Azione di ineleggibilità nei confronti della Sindaca Raggi

TRIBUNALE DI ROMA, SEZ. I CIVILE – ordinanza 17 gennaio 2017 (le ragioni per le quali è stata rigettata l’azione di ineleggibilità nei confronti della Sindaca di Roma Virginia Raggi).


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TRIBUNALE DI ROMA, SEZ. I CIVILE – ordinanza 17 gennaio 2017 – Pres. Mangano, Est. Palermo – Monello (in proprio) c. Raggi (Avv. Rupnik), Grillo (Avv.ti Morricone e Grillo), Associazione Movimento 5 Stelle (Avv. Patriarca) e Casaleggio (Avv. Polese).

1-2. Elezioni – Elezioni amministrative – Azione di decadenza dalle cariche elettive nelle amministrazioni comunali e provinciali e nei consigli circoscrizionali – Ex art. 70 del T.U.E.L. – Promossa dal cittadino-elettore – Natura, finalità ed effetti – Individuazione.

3-5. Elezioni – Elezioni amministrative – Cause di ineleggibilità – Costituiscono una eccezione e vanno previste tassativamente dalla legge – Ineleggibilità derivanti da mere situazioni di fatto – Non possono essere fatte valere – Fattispecie.

6. Elezioni – Elezioni amministrative – Azione di nullità – Ex art. 70 del T.U.E.L. – Nei confronti di soggetti terzi – Inammissibilità.

1. L’azione giudiziaria per la declaratoria di decadenza dalle cariche elettive nelle amministrazioni comunali e provinciali e nei consigli circoscrizionali, prevista dall’art. 70 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, può anche essere promossa da qualsiasi cittadino elettore del Comune o da chiunque altro vi abbia interesse (art. 70 c. 1); il cittadino che agisce non necessariamente deve essere portatore di un interesse personale e diretto, risultando sufficiente a concretizzare l’interesse ad agire la qualità di elettore.

2. L’azione prevista dall’art. 70 del D.Lgs. n. 267 del 2000 – avendo oggetto la condizione personale del candidato eletto chiamato in causa ed incidendo sul diritto soggettivo di elettorato (passivo) di quest’ultimo e (attivo) dell’attore – ha come parti necessarie soltanto quel candidato e l’elettore (o gli elettori) che assumono l’iniziativa giudiziaria, oltre al pubblico ministero partecipe (ex lege) (1).

3. Il diritto di elettorato passivo di cui all’art. 51 della Costituzione è inquadrabile nella sfera dei diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 della Costituzione (2). Nell’attuale ordinamento, l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità invece l’eccezione; tale principio è collegato alla circostanza che l’ineleggibilità, cui consegue la nullità dell’elezione, deroga al principio costituzionale della generalità del diritto elettorale passivo, comprimendo la possibilità che l’ordinamento costituzionale offre al cittadino di concorrere al processo democratico.

4. Sussiste la necessità che le cause di ineleggibilità, in quanto eccezione al generale e fondamentale principio del libero accesso, in condizioni di eguaglianza, di tutti i cittadini alle cariche elettive, siano tipizzate dalla legge con determinatezza e precisione sufficienti ad evitare quanto più possibile situazioni di persistente incertezza, che inciderebbero, alterandola, sulla capacità elettorale passiva dei cittadini. In altri termini, le cause limitative del diritto, costituzionalmente garantito, all’elettorato passivo sono norme di stretta interpretazione (3), escludendo che una ipotesi di ineleggibilità possa essere interpretata estensivamente onde ricomprendervi fattispecie testualmente non previste nella disciplina positiva (4).

5. L’art. 60, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000 elenca i casi tassativi di ineleggibilità alla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale. Né, sulla base dei principi generali, può darsi ingresso ad una interpretazione analogica delle cause di ineleggibilità tipiche, ancorché sulla base di regole di rilievo costituzionale invocate dal ricorrente a fondamento delle sue richieste; ed invero, la piena attuazione dell’art. 51 Cost., ovvero della generalità del diritto elettorale passivo, è garantita dal fatto che le norme che a tale principio derogano sono di stretta interpretazione (5). Diversamente opinando potrebbero assumere rilevanza come cause d’ineleggibilità situazioni di mero fatto, con conseguente violazione al precetto di cui all’art. 51 della Costituzione (alla stregua del principio, nella specie, la domanda principale è stata rigettata, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di ineleggibilità tassativamente previste dalla legge, né essendo ipotizzabile una interpretazione estensiva ed analogica delle stesse) (6).

6. E’ inammissibile la domanda di nullità proposta da un cittadino-elettore ex art. 70 D.lgs. n 267 del 2000 nei confronti di soggetti che sono estranei all’azione disciplinata dall’art. 70 cit. L’azione, difatti, in quanto prevista esclusivamente per l’accertamento della sussistenza di condizioni di ineleggibilità alle cariche elettive espressamente indicate, non consente l’introduzione nel giudizio, peraltro regolato da forme specifiche di cognizione sommaria, di un’azione di accertamento della nullità di un atto negoziale – tale qualificato dal ricorrente -, ancorché fondata sulle medesime asserite violazioni di principi costituzionali, in materia di rappresentanza politica, per le quali è stata chiesta la pronuncia di ineleggibilità.

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(1) Cfr. Cass., sentenze nn. 14199 del 2004, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/ago/cass1_2004-07-28.htm e 17769 del 2007..

(2) Cfr. Corte Costituzionale, sentenze nn. 571 del 1989 e 235 del 1988.

(3) Cfr. Corte Costituzionale, sentt. n. 46 del 1969, n. 38 del 1971, n. 166 del 1972, n. 129 del 1975, n. 280 del 1992, n. 295 del 1994, n. 364 del 1996.

(4) Cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 510 del 1989.

(5) Cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 141 del 1996.

(6) Nella specie il ricorso per la declaratoria di ineleggibilità della Sindaca Raggi era stato proposto in relazione al “codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016 nelle liste del Movimento 5 Stelle”; per il testo di tale “codice di comportamento” v. il seguente link: http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma/codice_comportamento_M5SRoma.pdf


IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

– Prima Sezione civile –

composto dai magistrati:

dr.ssa Franca Mangano Presidente

dr.ssa Vincenzo Vitalone giudice

dr.ssa Carmela Chiara Palermo giudice relatore ed estensore

riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente

Ordinanza

nella causa iscritta al NRG 53473 del 2016 promossa da:

Venerando Monello difeso in proprio

Parte ricorrente

contro

Virginia Raggi, con l’Avv. Ervin Rupnik

Giuseppe Piero Grillo, con gli Avvocati Paolo Morricone e Enrico Grillo Associazione Movimento 5 Stelle, con gli Avvocati Paolo Morricone ed Enrico Grillo Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’Avv. Pier Ludovico Patriarca;

Davide Federico Dante Casaleggio, con l’Avv. Pier Paolo Polese

Parti resistenti

ORDINANZA

Con ricorso depositato presso il Tribunale di Roma in data 22.07.2016, Venerando Monello adiva il Tribunale per sentir accogliere le seguenti conclusioni: accertare e dichiarare tempestivamente:

1) le condizioni di ineleggibilità della candidata Virginia Raggi alla carica di sindaco di Roma Capitale, a causa del rapporto contrattuale con l’Associazione Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo e Davide Casaleggio derivanti dalla adesione al c.d. “codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle”, in violazione degli artt. 3, 67 e 97 Cost. dell’art. 1 L. n. 17 del 1982, nonché degli artt. 3, 7, 23 del Regolamento del Consiglio comunale di Roma Capitale, e conseguentemente dichiarare la decadenza dell’avv. Virginia Raggi dalia carica di Sindaco di Roma Capitale;

2) la nullità del “codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016 nelle liste del Movimento 5 Stelle” sottoscritto tra le parti Virginia Raggi, l’associazione Movimento 5 Stelle, Giuseppe Piero Grillo e Davide Federico Casaleggio, in quanto in evidente violazione degli artt. 3, 67 e 97 Cost., dell’art. 1 L. n. 17 del 1982, nonché degli artt. 3, 7, 23 del regolamento del Consiglio Comunale di Roma Capitale”. A sostegno della domanda relativa all’accertamento delle condizioni di ineleggibilità della candidata Virginia Raggi alla carica di Sindaco di Roma Capitale, il ricorrente evidenziava l’esistenza di un rapporto contrattuale con l’Associazione Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Sosteneva, in sintesi, che 1’ adesione di Virginia Raggi al c.d. “codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016 nelle liste del Movimento 5 Stelle”, sarebbe in grado di ledere principi democratici e costituzionali e, in quanto tale nullo.

L’udienza per la comparizione delle parti avanti al Giudice designato veniva fissata per il giorno 6 dicembre 2016.

Si costituivano i convenuti, contestando le avverse deduzioni.

In particolare, Davide Federico Dante Casaleggio sosteneva il proprio difetto di legittimazione passiva, evidenziando come il Garante del Movimento 5 Stelle fosse al momento soltanto Giuseppe Piero Grillo, dopo la scomparsa di Gianroberto Casaleggio. Evidenziava inoltre la carenza di interesse ad agire del ricorrente.

La resistente Roma Capitale concludeva per l’inammissibilità del ricorso con cui parte ricorrente intendeva far valere, come cause di ineleggibilità e/o decadenza nei confronti del Sindaco, circostanze in realtà non riconducibili alle cause ostative all’accesso alle cariche elettive comunali, tassativamente previste dall’art. 60 e ss. del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

La resistente Virginia Raggi chiedeva il rigetto del ricorso evidenziando:

– l’inammissibilità e l’improponibilità del ricorso in quanto, in violazione del diritto di elettorato passivo riconosciuto dall’art. 51 della Costituzione a tutti i cittadini, diretto ad ottenere una declaratoria di ineleggibilità fuori dai casi previsti dalla legge; – l’insussistenza di qualsivoglia vincolo di mandato derivante dalla sottoscrizione del codice di comportamento del M5S;

– la manifesta illogicità della domanda avanzata dal ricorrente di decadenza del Sindaco Virginia Raggi in conseguenza dell’eventuale accoglimento dell’altra domanda di declaratoria di nullità del codice di comportamento;

– la totale inconsistenza dell’accusa di violazione degli articoli 1 e 2 della legge n. 17 del 1982. Negli scritti conclusionali formulava domanda ex art, 598 c.p., lamentando il carattere diffamatorio delle affermazioni contenenti il richiamo relative all’asserita violazione della normativa in materia di associazioni segrete, chiedeva la cancellazione o la soppressione dell’intero paragrafo 5) del ricorso proposto, con assegnazione a carico del ricorrente e a favore della persona offesa Virginia Raggi di una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale dalla stessa subito.

Anche il resistente Piero Giuseppe Grillo concludeva, chiedendo il rigetto del ricorso sulla base dei seguenti argomenti:

– introduzione di un nuovo morivo di decadenza dalla carica elettiva non incluso nelle tassative cause di decadenza previste della legge;

– mancanza di un interesse giuridicamente rilevante ad ottenere una declaratoria di nullità del Codice etico;

– difetto di contraddittorio, non avendo il ricorrente provveduto alla notifica della domanda di nullità a tutti i sottoscrittori del codice etico;

– irrilevanza della pronuncia di nullità del predetto codice etico, non essendo detta asserita nullità motivo di decadenza perseguibile con azione popolare.

All’udienza del 06.12.2016, il relatore, nel rimettere la decisione al Collegio, concedeva alle parti termine per note al 23.12.2016 e per repliche al 10.01.2017.

* * *

1. Sulla legittimatone attiva e sull’interesse ad agire in relazione alla domanda di ineleggibilità.

L’art. 70 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 disciplina l’azione giudiziaria per la declaratoria di decadenza dalle cariche elettive nelle amministrazioni comunali e provinciali e nei consigli circoscrizionali, il cui svolgimento è disciplinato dall’art. 22 del D.Lgs. n. 150 del 2011 (che espressamente richiama l’art. 70 citato).

La legittimazione attiva spetta a qualsiasi cittadino elettore del Comune o da chiunque altro vi abbia interesse” (art. 70 c. 1) ed al Prefetto (art. 70 c. 2). L’azione popolare rappresenta il rimedio tradizionalmente previsto per garantire un controllo da parte di qualsiasi elettore dell’ente locale o da chiunque ne abbia interesse, oltreché dal prefetto: il cittadino elettore, al verificarsi di una qualsiasi causa di ineleggibilità o decadenza del Sindaco, Presidente della Provincia, Consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale, esercita un diritto soggettivo pubblico che gli appartiene non uti singulus ma uti civis, e dunque in quanto componente di un determinato gruppo sociale, si fa promotore di un’azione di tutela giudiziaria degli interessi collettivi (cfr., ex pluribus, Cass. Civ., Sez. I, sent. del 12 febbraio 2008, n. 3383; Cass. Civ., Sez. I, sent. del 24 febbraio 2006, n. 4254). In particolare, la Suprema Corte precisa che il diritto in oggetto viene riconosciuto per “attuare il preminente interesse generale a che, in ogni tempo, chiunque sia in possesso di elementi, anche sopravvenuti, possa chiedere il controllo delle condizioni di legittimità dell’elezione di un Consigliere o del Sindaco [o del Presidente della Provincia], serica che un irragionevole onere impugnatorio possa consentire il consolidarsi di situazioni di illegalità (cfr. Cass. Civ., Sez. I, sent. del 7 ottobre 2000 n. 13356). Il cittadino che agisce esercita una vera e propria azione popolare di tipo correttivo nell’interesse generale, che mira ad evitare il consolidamento di situazioni potenzialmente dannose all’ente pubblico, configurandosi, pertanto, come “opportunità data al cittadino a tutela da deliberazioni consiliari che possono essere assoggettate a logiche politiche di maggioranza in difesa dei propri esponenti” (cfr. Cass. Civ., Sez. I, sent. del 16 luglio 2005 n. 15104, in Dir. e giust. 2005, 39, 30; Cass. Civ., Sez. I, sent. del 19 dicembre 2002 n. 18128, in Mass. Giur. It., 2002, Mass. Giur. It., 2003, Arch. Civ., 2003, 1082, Gius, 2003, 8, 818). Dalle considerazioni sopra esposte discende che il cittadino che agisce non necessariamente deve essere portatore di un interesse personale e diretto, risultando sufficiente a concretizzare l’interesse ad agire la qualità di elettore. Inoltre, per delineare compiutamente l’azione prevista dall’art. 70 del D.Lgs. n. 267 del 2000, va ricordato come “il giudizio introdotto con l’azione popolare – avendo oggetto la condizione personale del candidato eletto chiamato in causa ed incidendo sul diritto soggettivo di elettorato (passivo) di quest’ultimo e (attivo) dell’attore – ha come parti necessarie soltanto quel candidato e l’elettore (o gli elettori) che assumono l’iniziativa giudiziaria, oltre al pubblico ministero partecipe (ex lege) (cfr. sentenze nn. 14199 del 2004 e 17769 del 2007, Cass. Civ., Sez. I, sent. del 28 luglio 2004 n. 14199).

Alla luce delle suesposte considerazioni deve ritenersi sussistente in capo al ricorrente la legittimazione e l’interesse ad agire in relazione alla domanda principale.

2. Sulla domanda di ineleggibilità.

Secondo la prospettazione del ricorrente la condizione di ineleggibilità di Virginia Raggi — eletta Sindaco di Roma nel giugno 2016 — viene collegata alla sottoscrizione del “codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016 nelle liste del Movimento 5 Stelle”, cui conseguirebbe la violazione del principio costituzionalmente garantito (art. 67 Cost.) del divieto di vincolo mandato imperativo (ribadito dall’art. 3 del Regolamento del Comune di Roma), nonché la violazione degli artt. 3, 51, 97 Cost., argomentando anche come la sottoscrizione di detto codice possa configurare la costituzione di un’associazione segreta ai sensi della cd legge Spadolini (art. 1 l. n. 17 del 1982).

Appare ora opportuno ricapitolare, seppure in estrema sintesi, i principi in tema di ineleggibilità (anche) alla carica di Sindaco. Il diritto di elettorato passivo di cui all’art. 51 della Costituzione è inquadrabile nella sfera dei diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 della Costituzione (cfr. sentenze nn. 571 del 1989 e 235 del 1988 della Corte Costituzionale). Il precetto di cui all’art. 51 Cost deve essere interpretato nel senso che l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità invece l’eccezione. Tale principio è collegato alla circostanza che l’ineleggibilità, cui consegue la nullità dell’elezione, deroga al principio costituzionale della generalità del diritto elettorale passivo, comprimendo la possibilità che 1 ordinamento costituzionale offre al cittadino di concorrere al processo democratico. Il principio dell’ineleggibilità come eccezione alla regola del diritto all’elettorato passivo, reiteratamente richiamato dagli interventi del giudice costituzionale sul tema (sent. n. 235/88; 1020/88; 510/89; 53/1990; 141 del 1996), rappresenta il criterio che condiziona i presupposti sostanziali della disciplina positiva dell’ineleggibilità attraverso la tipizzazione della fattispecie. Partendo dal principio dell’eleggibilità come regola, la Corte Costituzionale ha affermato la necessità che le cause di ineleggibilità, in quanto eccezione al generale e fondamentale principio del libero accesso, in condizioni di eguaglianza, di tutti i cittadini alle cariche elettive, siano tipizzate dalla legge con determinatezza e precisione sufficienti ad evitare quanto più possibile situazioni di persistente incertezza, che inciderebbero, alterandola, sulla pan capacità elettorale passiva dei cittadini. In altri termini, le cause limitative del diritto, costituzionalmente garantito, all’elettorato passivo sono norme di stretta interpretazione (sentt. n. 46 del 1969, n. 38 del 1971, n. 166 del 1972, n. 129 del 1975, n. 280 del 1992, n. 295 del 1994, n. 364 del 1996), escludendo che una ipotesi di ineleggibilità possa essere interpretata estensivamente onde ricomprendervi fattispecie testualmente non previste nella disciplina positiva (sent. n. 510 del 1989). L’art. 60, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000 elenca i casi tassativi di ineleggibilità alla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale. Le situazioni che possono giustificare la limitazione dell’elettorato passivo sono riconducibili a ipotesi che rischiano di condizionare la libertà di manifestazione del voto da parte degli elettori ovvero quelle che rischiano di produrre conflitti di interessi nell’esercizio della carica elettiva. Appare opportuno – a tale riguardo – riportare il testo dell’art. 60 citato: “Non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale: 1) il Capo della Polita, i vice capi della polita, gli ispettori generali di pubblica sicurezza che prestano servilo presso il Ministero dell’interno, i dipendenti civili dello Stato che svolgano le funzioni di direttore generale o equiparate o superiori ed i capi di gabinetto dei ministri; 2) nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni, i Commissari di Governo, i prefetti della Repubblica, i vice prefetti ed i funzionari di pubblica sicurezza; 3) nel territorio, nel quale esercitano il comando, gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello Stato; 4) nel territorio, nel quale esercitano il loro ufficio, gli ecclesiastici ed i ministri di culto, che hanno giurisdizione e cura di anime e coloro che ne fanno ordinariamente le veci; 5) i titolari di organi individuati ed i componenti di organi collegali che esercitano poteri di controllo istituzionale sull’amministrazione del comune o della provincia nonché i dipendenti che dirigono o coordinano i rispettivi uffici; 6) nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace; 7) i dipendenti del comune e della provincia per i rispettivi consigli; 8) il direttore generale, il direttore amministrativo e il direttore sanitario delle attende sanitarie locali ed ospedaliere; 9) i legali rappresentanti ed i dirigenti delle strutture convenzionate per i consigli del comune il cui territorio coincide con il territorio dell’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionati o lo ricomprende, ovvero dei comuni che concorrono a costituire ?azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate (numero dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte costituzionale, con sentenza n. 27 del 2009, nella parte in cui prevede l’ineleggibilità dei direttori sanitari delle strutture convenzionate per i consigli del comune il cui territorio coincide con il territorio dell’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate o lo ricomprende, ovvero dei comuni che concorrono a costituire l’azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate); 10) i legali rappresentanti ed i dirigenti delle società per azioni con capitale superiore al 50 per cento rispettivamente del comune o della provincia; (numero così modificato dall’art. 14-decies, legge n. 168 de! 2005); 11) gli amministratori ed i dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale di istituto, consorzio o attenda dipendente rispettivamente dal comune o dalla provincia; 12) i sindaci, presidenti di provincia, consiglieri metropolitani, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente, in altro comune, città metropolitana, provincia o circoscrizione:(numero cosi sostituito dall1art. 1, comma 23, lettera a), legge n. 56 del 2014”.

Si deve, a questo punto, ribadire che le ipotesi di ineleggibilità, con conseguente nullità dell’elezione, derogano al principio costituzionale del diritto all’elettorato passivo. Da qui la necessità di tipizzazione, specificità e determinatezza delle fattispecie di ineleggibilità che, in quanto eccezione al generale e fondamentale principio del libero accesso, in condizioni di eguaglianza, di tutti i cittadini alle cariche elettive, sono tipizzate dalla legge.

Né, sulla base dei principi esposti, può darsi ingresso – come sollecitato dal ricorrente — ad una interpretazione analogica delle cause di ineleggibilità tipiche, ancorché sulla base di regole di rilievo costituzionale invocate dal ricorrente a fondamento delle sue richieste. Ed invero, lo si ribadisce, la piena attuazione dell’art. 51 Cost., ovvero della generalità del diritto elettorale passivo, è garantita dal fatto che le norme che a tale principio derogano sono di stretta interpretazione (sentenza della Corte Costituzionale n. 141 del 1996).

Diversamente opinando potrebbero assumere rilevanza come cause d’ineleggibilità situazioni di mero fatto, con conseguente violazione al precetto di cui all’art. 51 della Costituzione.

Alla luce delle suesposte considerazioni, la domanda principale va dunque rigettata non ricorrendo alcuna delle ipotesi di ineleggibilità tassativamente previste dalla legge né essendo ipotizzabile una interpretazione estensiva ed analogica delle stesse.

3. Sulla domanda di nullità.

L’azione prevista dall’art. 70 D.lgs. n 267 del 2000, come già evidenziato, è finalizzata alla tutela giudiziaria degli interessi collettivi, in sostituzione degli organi a ciò istituzionalmente preposti (Cass. Civ., Sez. I, sent. del 12 febbraio 2008, n. 3383), facendo valere ipotesi di decadenza, sia per cause originarie che sopravvenute. L’oggetto del giudizio come sopra delineato, in uno con le peculiarità del rito, non consente di ritenere ammissibile la domanda di nullità proposta dal ricorrente, anche nei confronti di soggetti che, come si è detto, sono estranei all’azione disciplinata dall’art. 70 D.Lgs. n. 267 del 2000. L’azione, difatti, in quanto prevista esclusivamente per l’accertamento della sussistenza di condizioni di ineleggibilità alle cariche elettive espressamente indicate, non consente l’introduzione nel giudizio, peraltro regolato da forme specifiche di cognizione sommaria, di un’azione di accertamento della nullità di un atto negoziale – tale qualificato dal ricorrente – , ancorché fondata sulle medesime asserite violazioni di principi costituzionali, in materia di rappresentanza politica, per le quali è stata chiesta la pronuncia di ineleggibilità- Per mera completezza deve rilevarsi che rispetto alla domanda di nullità (atomisticamente considerata), il ricorrente – in quanto soggetto estraneo al Movimento 5 Stelle e non sottoscrittore dell’accordo – non è portatore di un concreto interesse ad agire, giacché dalla rimozione del vincolo non potrebbe derivare alcun effetto nella sua sfera giuridica id est — ed in termini positivi — il ricorrente non ha assolto all’onere di allegazione di una incidenza negativa nella di lui sfera giuridica del codice in parola). Inoltre, poiché la domanda di ineleggibilità, nella prospettazione del ricorrente, ha il suo presupposto nella nullità del patto sottoscritto da Virginia Raggi il rigetto della domanda principale rende ultronea la pronuncia sulla domanda di nullità dell’accordo in questione, non essendo la pronunzia richiesta in ogni caso rilevante ai fini della decisione della lite.

Tali considerazioni assorbono le ulteriori argomentazioni addotte dalle parti convenute con la sola precisazione, necessaria al fine di dar conto del regime delle spese di seguito regolamentato, che la legitimatio ad causam deve essere allegata e provata da chi agisce in giudizio. Nel caso in esame il ricorrente non ha allegato alcun elemento a sostegno dell’evocazione in giudizio e della legittimazione passiva di Davide Federico Dante Casaleggio che, nell’espletamento del suo diritto di difesa, si è costituito al fine di contestare le avverse asserzioni e sostenere la propria estraneità i fatti.

La domanda di nullità va dunque dichiarata inammissibile.

4. Sulla domanda ex art. 598 c.p.

Va, altresì, dichiarata inammissibile la domanda ex art. 598 c.p. formulata dalla difesa di Virginia Raggi solo in sede di note conclusionali e quindi tardivamente.

5. Sugli adempimenti conseguenti.

Ai sensi dell’art. 22 del D.lg. n. 150 del 2011 si dispone la trasmissione della presente ordinanza al Sindaco di Roma perché entro ventiquattro ore dal ricevimento provveda alla pubblicazione per quindici giorni del dispositivo nell’albo dell’ente.

6. Sulle spese di giudizio.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza, e in assenza di nota di parte, sono liquidate ai sensi della tabella 2 del D.M. 55 del 2014, tenuto conto della complessità della causa, applicando il quarto scaglione di riferimento, con riduzione approssimata al massimo anche per la fase istruttoria concretizzatasi nella sola acquisizione documentale, e aumentando del 20% l’importo liquidabile nel caso di soggetti difesi da un unico avvocato.

il Tribunale di Roma definitivamente pronunciando, sulla causa iscritta al NRG 53473/2016, così decide:

– rigetta la domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di ineleggibilità di Virginia Raggi;

– dichiara l’inammissibilità della domanda di nullità del Codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016 nelle liste del Movimento 5 Stelle;

– condanna Monello Vagabondo al pagamento delle spese processuali in favore dei convenuti che liquida: – in euro 3939,00 da Versarsi in favore degli avvocati Morriconc Paolo ed Enrico Grillo dichiaratisi antistatari di Giuseppe Piero Grillo e Associazione Movimento 5 Stelle; euro 3282,50 in favore dell’avvocato Ervin Rupnik dichiaratosi antistatario di Virginia Raggi; in euro 3282,50 in favore di Roma Capitale; in euro 3282,50 in favore di Casaleggio Davide Federico Dante; agli onorari come sopra liquidati vanno sommate le spese processuali nella misura del 15%, oltre ulteriori accessori di legge;

– dispone che la presente ordinanza sia immediatamente trasmessa in copia al Sindaco di Roma;

P.Q.M.

dichiara inammissibile la domanda ex art. 598 c.p. formulata da Virginia Raggi.

Così deciso nella Camera di Consiglio in Roma, il 12 gennaio 2017.

Il Giudice est.      Il Presidente

Carmela Chiara Palermo  Franca Mangano

Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2017.