FREE: nozione di opera precaria

CASSAZIONE, SEZ. UNITE PENALI – sentenza 30 maggio 2019* (la Cassazione penale accoglie una nozione di opera precaria analoga a quella della giurisprudenza amministrativa).


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE PENALI – sentenza 30 maggio 2019 n. 24149 – Pres. Izzo, Est. Ramacci – Campiglia (n.c.) – P.M.  Romano.

1. Edilizia ed urbanistica – Attività edilizia – Opera precaria – Nozione – Individuazione.

2. Edilizia ed urbanistica – Permesso di costruire – Necessità – Casi in cui sussiste – Individuazione.

1. La precarietà di una opera edilizia non può essere desunta dalle caratteristiche costruttive, dai materiali impiegati o dall’agevole sua amovibilità; invero, una opera precaria, per essere considerata tale, deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo e deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso (1).

2. Sono soggetti a permesso di costruire, sulla base di quanto disposto dal T.U. (v. in part. l’art. 10, lett. a) del d.P.R. 380 del 2001), tutti gli interventi che, indipendentemente dalla realizzazione di volumi, incidono sul tessuto urbanistico del territorio, determinando una trasformazione in via permanente del suolo inedificato (2). Tra gli interventi di nuova costruzione indicati, dall’art. 3, alla lettera e), del T.U.  sono elencati, nella attuale stesura, “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”. Sono quindi soggetti a permesso di costruire tutte le strutture, di qualsiasi genere, tra le quali sono comprese quelle elencate a titolo di esempio, che siano destinate ad una stabile utilizzazione, non meramente transitoria (3).

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(1) Cfr. Cass. Sez. 3, n. 36107 del 30/6/2016, Arrigoni e altro, Rv. 267759; Sez. 3, n. 6125 del 21/1/2016, Arcese, non massimata; Sez. 3, n. 16316 del 15/1/2015, Curti, non massimata; Sez. 3, n. 966 del 26 novembre 2014 (dep. 2015), Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 25965 del 22/06/2009, Bisulca, non massimata.

 (2) Cfr. Cass., Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016 (dep.2017), Palma, Rv. 268847; Sez. 3, n. 4916 del 13/11 /2014 (dep.2015), Agostini, Rv. 262475; Sez. 3, n. 8064 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.G. in proc. Dominelli e altro, Rv. 242741 • Sez. 3, n. 6930 del 27/1/2004, laccarino, Rv. 227566; Sez. 3, n. 6920 del 21/01/2004, Perani, Rv. 227565; Sez. 3, n. 38055 del 30/9/2002, Raciti, Rv. 222849 ed altre prec. conf..

(3) Ha precisato la sentenza in rassegna che l’esplicita menzione di detta tipologia di interventi nel Testo Unico ha, di fatto, codificato la figura giuridica di “costruzione” elaborata dalla giurisprudenza prima dell’entrata in vigore del TU. e nella quale rientravano tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, modificavano lo stato dei luoghi, in quanto, difettando obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, erano destinati almeno potenzialmente a perdurare nel tempo, non avendo peraltro alcun rilievo a riguardo la distinzione tra opere murarie e di altro genere, né il mezzo tecnico con cui fosse assicurata la stabilità del manufatto al suolo (o al muro perimetrale di quello esistente), in quanto la stabilità non va confusa con l’irrevocabilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare un bisogno non temporaneo (così Sez. 3, n. 9138 del 7/7/2000, RM. in proc. Migliorini T. ed altro, Rv. 217217 ed altre prec. conf.).

Si è successivamente avuto modo di precisare che, ai fini della individuazione della nozione di costruzione urbanistica, non è determinante l’incorporazione nel suolo indispensabile per identificare, a norma dell’art. 812 cod. civ., il bene immobile, essendo sufficiente la destinazione del bene ad essere utilizzato come bene immobile, con la conseguenza che l’elencazione contenuta nel menzionato art. 3, lett. e) non può considerarsi esaustiva, giacché i parametri indicati possono essere analogicamente applicati ad opere simili (Sez. 3, n. 37766 del 7/7/2005, Terrin, non massimata).

A conclusioni analoghe è pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale (Cons. Stato Sez. VI, 3 giugno 2014, n. 2842, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/14/cds_2014-06-03-1.htm).

 


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza dell’8 ottobre 2018 ha confermato la decisione con la quale, in data 24 giugno 2016, il Tribunale di Brindisi aveva affermato la responsabilità penale di Piergiorgio CAMPIGLIA in ordine ai reati di cui agli artt. 55 e 1161 cod. nav., 44 d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004, per la realizzazione, in zona demaniale marittima, arbitrariamente occupata, gravata da vincolo paesaggistico, in quanto ricompresa nella fascia dei 300 metri dalle linee di battigia, di una struttura pressostatica delle dimensioni di mq 100, realizzata in elementi metallici e copertura in PVC, con pavimentazione in pietra leccese, in assenza dei prescritti titoli abilitativi (fatti accertati in San Pietro Vernotico, il 22 giugno 2012).

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc.

2. Con un unico, articolato motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe offerto una motivazione meramente apparente, richiamandosi integralmente alle argomentazioni svolte dal primo giudice e facendo ricorso a valutazioni congetturali del materiale probatorio senza una obiettiva ricostruzione dei fatti di causa.

Richiamando, quindi, il contenuto della motivazione censurata, osserva che, sulla base delle dichiarazioni rese dal responsabile dell’ufficio tecnico comunale, risulterebbero la precarietà ed amovibilità dell’opera, per la quale era stato peraltro rilasciato il permesso di costruire in sanatoria e l’inesistenza del vincolo, in quanto il manufatto, pur trovandosi a meno di 300 metri dalla battigia, rientrerebbe tra le strutture ammissibili sulla base del PPTR della Regione Puglia.

La legittimità degli interventi eseguiti, aggiunge, risulterebbe dimostrata dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria, il quale sarebbe stato illegittimamente disapplicato dai giudici del merito in violazione dei principi generali in materia.

Osserva, inoltre, che la sentenza impugnata sarebbe meritevole di censura

Corte di Cassazione – copia non ufficiale

anche nella parte in cui non ha giustificato il rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, finalizzata all’espletamento di una consulenza tecnica volta ad accertare le caratteristiche di precarietà e totale amovibilità dell’opera oggetto, di imputazione e l’esistenza o meno di vincoli paesaggistici sull’area.

Lamenta, poi, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, evidenziando, infine, che la sentenza impugnata andrebbe comunque annullata per la conseguente applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui articolo 131 -bis cod. pen., ritenuta sussistente nella fattispecie.

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Va rilevato, in primo luogo, che la Corte territoriale ha del tutto legittimamente richiamato per relationem la sentenza del primo giudice, dando conto del fatto che l’atto di appello si limitava a riproporre le medesime questioni già prospettate al Tribunale ed in quella sede efficacemente confutate, tanto da potersi configurare, sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte, una causa di inammissibilità del gravame.

Ciò nonostante, i giudici dell’appello hanno comunque preso in considerazione le doglianze sviluppate nell’atto di impugnazione, fornendo risposte esaurienti e giuridicamente corrette.

3. Va considerato, quanto alla consistenza dell’opera, che le dedotte caratteristiche di precarietà e facile amovibilità sono platealmente smentite dalla descrizione della stessa effettuata nella sentenza di appello sulla base delle emergenze processuali valorizzate nel giudizio di primo grado.

Si specifica, infatti, che dalla documentazione fotografica (e non anche, dunque, sulla sola base di dichiarazioni testimoniali) il manufatto realizzato si presentava come stabilmente infìsso al suolo e dotato di pavimentazione circoscritta da un muretto di contenimento, aggiungendo, poi, che l’opera poggiava su pilasti in ferro, a loro volta ancorati su plinti in cemento armato e che, all’atto del sopralluogo da parte della polizia giudiziaria, era stato accertato anche un cambiamento del livello pianovolumetrico e pianoaltimetrico del terreno su cui l’opera era stata realizzata. In altra parte della sentenza impugnata (pag. 7) si evidenzia, poi, che i plinti su cui poggiava il manufatto “erano infissi su di una zattera in cemento sulla quale era stata poi posta una pavimentazione in lastre di pietra leccese”.

Avuto riguardo a tali caratteristiche costruttive, risulta evidente che la dedotta precarietà dell’opera è del tutto insussistente.

4. Occorre a tale proposito richiamare l’attenzione su quanto già precisato in tema di interventi precari (Sez. 3, n. 31388 del 27/4/2018, Serio, non massimata), ricordando che l’art. 10, lett. a) del d.P.R. 380\01 individua, tra gli interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, quelli di nuova costruzione, la cui descrizione viene fornita dall’art. 3 dello stesso T.U. nella lettera e), ove si specifica che si intendono come tali tutti gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti (che riguardano, lo si ricorda, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia).

La stessa disposizione specifica, poi, che sono comunque da considerarsi come interventi di nuova costruzione tutta una serie di opere singolarmente indicate in un elenco la cui natura è meramente esemplificativa e ricavata utilizzando le qualificazioni operate dalla giurisprudenza, come emerge dalla semplice lettura della relazione illustrativa al T.U.

Ai suddetti interventi vanno poi aggiunti quelli eventualmente individuati con legge dalle regioni ai sensi del comma terzo del menzionato art. 3 e che pertanto, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire.

Sono dunque soggetti a permesso di costruire, sulla base di quanto disposto dal T.U., tutti gli interventi che, indipendentemente dalla realizzazione di volumi, incidono sul tessuto urbanistico del territorio, determinando una trasformazione in via permanente del suolo inedificato (cfr. Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016 (dep.2017), Palma, Rv. 268847; Sez. 3, n. 4916 del 13/11 /2014 (dep.2015), Agostini, Rv. 262475; Sez. 3, n. 8064 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.G. in proc. Dominelli e altro, Rv. 242741 • Sez. 3, n. 6930 del 27/1/2004, laccarino, Rv. 227566; Sez. 3, n. 6920 del 21/01/2004, Perani, Rv. 227565; Sez. 3, n. 38055 del 30/9/2002, Raciti, Rv. 222849 ed altre prec. conf.).

Tra gli interventi di nuova costruzione indicati, dall’art. 3, alla lettera e5, citata dalla ricorrente, sono elencati, nella attuale stesura, “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”.

La medesima disposizione, che ha subito nel tempo diverse modifiche, era così formulata all’epoca dei fatti per cui è processo: “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Le differenze, per quel che qui interessa, non rilevano, essendo chiara la finalità della norma di considerare interventi di nuova costruzione, quindi soggetti a permesso di costruire, tutte le strutture, di qualsiasi genere, tra le quali sono comprese quelle elencate a titolo di esempio, che siano destinate ad una stabile utilizzazione, non meramente transitoria.

L’esplicita menzione di detta tipologia di interventi nel Testo Unico ha, di fatto, codificato la figura giuridica di “costruzione” elaborata dalla giurisprudenza prima dell’entrata in vigore del TU. e nella quale rientravano tutti quei manufatti che, comportando una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale, modificavano lo stato dei luoghi, in quanto, difettando obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, erano destinati almeno potenzialmente a perdurare nel tempo, non avendo peraltro alcun rilievo a riguardo la distinzione tra opere murarie e di altro genere, né il mezzo tecnico con cui fosse assicurata la stabilità del manufatto al suolo (o al muro perimetrale di quello esistente), in quanto la stabilità non va confusa con l’irrevocabilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare un bisogno non temporaneo (così Sez. 3, n. 9138 del 7/7/2000, RM. in proc. Migliorini T ed altro, Rv. 217217 ed altre prec. conf.).

Si è successivamente avuto modo di precisare che, ai fini della individuazione della nozione di costruzione urbanistica, non è determinante l’incorporazione nel suolo indispensabile per identificare, a norma dell’art. 812 cod. civ., il bene immobile, essendo sufficiente la destinazione del bene ad essere utilizzato come bene immobile, con la conseguenza che l’elencazione contenuta nel menzionato art. 3, lett. e) non può considerarsi esaustiva, giacché i parametri indicati possono essere analogicamente applicati ad opere simili (Sez. 3, n. 37766 del 7/7/2005, Terrin, non massimata).

A conclusioni analoghe è pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale (Cons. Stato Sez. VI n. 2842 del 3/6/2014).

Tali considerazioni coincidono, peraltro, con la nozione di precarietà dell’intervento edilizio in genere, individuata dalla giurisprudenza di questa Corte.

5. Gli interventi edilizi precari, categoria già individuata dalla giurisprudenza e dalla dottrina con inequivocabile indicazione delle specifiche caratteristiche, sono ora espressamente menzionati dall’art. 6 del d.P.R. 380/01 che, nell’attuale formulazione, li descrive al comma 1, lett. e-bis) come opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale.

In precedenza, il testo unico dell’edilizia conteneva riferimenti indiretti, che riguardavano gli interventi di cui all’art. 3, comma primo, lett. e.5 e quelli per le attività di ricerca descritti nell’art. 6.

L’opera precaria, per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull’originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo e la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che l’intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dall’utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l’agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso (cfr. ex. p. Sez. 3, n. 36107 del 30/6/2016, Arrigoni e altro, Rv. 267759; Sez. 3, n. 6125 del 21/1/2016, Arcese, non massimata; Sez. 3, n. 16316 del 15/1/2015, Curti, non massimata; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014 (dep. 2015), Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 25965 del 22/06/2009, Bisulca, non massimata).

Nel caso di specie, come si è osservato, i necessari requisiti individuati dalla richiamata giurisprudenza mancano del tutto ed, anzi, le caratteristiche costruttive accertate depongono, unitamente alla rilevata alterazione pianovolumetrica e pianoaltimetrica del terreno, per un intervento destinato a durare nel tempo che ha già determinato una modifica dell’originario assetto dell’area su cui insiste.

Un’ulteriore conferma di una simile evenienza, che il ricorrente non coglie, è data dal fatto che, per dette opere, l’interessato ha ritenuto di dover richiedere un permesso di costruire in sanatoria (il cui rilascio viene ripetutamente enfatizzato in ricorso per sostenere la legittimità dell’intervento edilizio), che non sarebbe affatto necessario per un intervento precario nel senso dianzi individuato, atteso che la natura dell’opera precaria, che non determina stabili trasformazioni del territorio, non richiede per la sua realizzazione, come si è detto, alcun titolo abilitativo.

6. Deve pertanto ribadirsi che al fine di ritenere sottratto un manufatto al preventivo rilascio del permesso di costruire in ragione della sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo.

7. Per ciò che concerne, inoltre, il permesso di costruire in sanatoria, di cui

diffusamente tratta il ricorso, deve in primo luogo osservarsi che lo stesso non è stato affatto “disapplicato” dai giudici dell’appello, i quali, invece, ne hanno evidenziato la estraneità rispetto alle opere effettivamente realizzate, osservano che  lo stesso riguarda una struttura “con pannellature in vetro del tutto amovibili… fondazione realizzata con plinti prefabbricati, inseriti direttamente nella sabbia e su di essi poggeranno le travi in prefabbricato fissate ai plinti mediante particolari bullonature. La piattaforma, costituita da pannelli portanti prefabbricati, è poggiata sulle predette travi assemblate“.

La Corte di appello, dunque, con motivazione del tutto coerente e logica e, come tale, insindacabile in questa sede di legittimità, ha operato un doveroso confronto tra quanto autorizzato e ciò che è stato effettivamente realizzato, escludendo, conseguentemente, la rispondenza delle opere al titolo abilitativo postumo.

Va in ogni caso osservato che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l’eventuale “disapplicazione” dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all’oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (si veda, da ultimo, Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga e altri, Rv. 273218, nonché, con riferimento all’autorizzazione paesaggistica, Sez. 3, n. 38856 del 4/12/2017 (dep. 2018), Schneider e altro, Rv. 273703).

Si tratta, peraltro, di un indirizzo interpretativo ormai consolidato, rispetto al quale si è dato ripetutamente conto anche di soluzioni interpretative solo apparentemente difformi e di altre, isolate, di non decisiva incidenza rispetto ad una stabile giurisprudenza ormai ultraventennale (si veda, a tale proposito, quanto evidenziato in Sez. 3, n. 50648 del 9/10/2018, Fabbri, non massimata; Sez. 3, n. 56678 del 21/9/2018, Lodice, non massimata; Sez. 3, n. 49687 del 7/6/2018, Bruno non massimata).

E’ appena il caso di ricordare, poi, che il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria avrebbe comunque comportato l’estinzione dei soli reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche, non spiegando effetti rispetto alle violazioni del codice della navigazione e del codice dei beni culturali e del paesaggio pure contestate nel presente procedimento.

8. Il ricorso, inoltre, si diffonde sui contenuti delle dichiarazioni rese, nel corso della sua deposizione, dalla responsabile dell’ufficio tecnico comunale, lamentandone una non adeguata considerazione da parte dei giudici dell’appello.

Occorre rilevare, a tale proposito, che una autonoma valutazione dei contenuti di tali dichiarazioni è preclusa al giudice di legittimità e che, in ogni caso, la Corte territoriale ne ha posto in luce le evidenti contraddizioni, già rilevate dal giudice di primo grado, con argomentazioni del tutto congrue. La descrizione degli interventi e dello stato dei luoghi riportate in sentenza, peraltro, evidenziano chiaramente la irrilevanza dei contenuti della deposizione ritenuta dai giudici del merito.

9. Va poi osservato che la sussistenza del vincolo paesaggistico risulta accertata sulla base di elementi fattuali non valutabili in questa sede e, segnatamente, sulla base della effettiva collocazione delle opere, mentre i richiami effettuati in ricorso al PPTR della Regione Puglia risultano connotati da estrema genericità, non specificandosi in alcun modo a quale particolare disposizione il ricorrente intende riferirsi.

10. Parimenti accertata in fatto risulta l’occupazione del suolo demaniale.

11. Manifestamente infondate risultano, inoltre, le doglianze concernenti la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale finalizzata all’espletamento di una “consulenza” volta ad accertare le caratteristiche dell’opera e la sussistenza dei vincoli.

In disparte la circostanza che la Corte territoriale ha giustificato il diniego dando conto della pregnanza delle emergenze processuali, tale da consentire un’esaustiva decisione in appello, va comunque ricordato che, nel giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. 3, n. 7259 del 30/11/2017 (dep. 2018), S e altri, Rv. 273653) e, in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto (Sez. 2, n. 36630 del 15/5/2013, Bommarito, Rv. 257062).

12. Parimenti giustificato risulta in diniego delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte di appello ritenuto del tutto adeguato il trattamento sanzionatorio applicato dal primo giudice, considerata la gravità del fatto in relazione alle caratteristiche dimensionali delle opere.

13. Per ciò che concerne, poi, la speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131 -bis cod. pen., va osservato che, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata e dal ricorso, l’imputato ed il suo difensore non hanno prospettato al giudice del merito la questione della particolare tenuità del fatto e, secondo quanto già affermato da questa Corte, quando la sentenza di merito è successiva alla vigenza della nuova causa di non punibilità, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-p/s cod. pen. non può essere posta per la prima volta nel giudizio di legittimità come motivo di violazione di legge (cfr. Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018 – dep. 23/05/2018, Sarr, Rv. 272789; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877; Sez. 3, n. 19207 del 16/3/2017, Celentano, Rv. 269913; Sez. 6, n. 20270 del 27/4/2016, Gravina, Rv. 26667801; Sez. 7, n. 43838 del 27/5/2016, Savini, Rv. 26828101), né può affermarsi, in assenza di specifica richiesta, che nella fattispecie il giudice avesse l’obbligo di pronunciarsi comunque.

L’insussistenza delle condizioni di applicabilità dell’art.131 -bis cod. pen. risulterebbe comunque esclusa implicitamente dal diniego delle circostanze attenuanti generiche e dal giudizio di gravità della condotta espresso in punto di valutazione della dosimetria della pena.

14. Occorre infine precisare che la prescrizione dei reati, che comunque non rileverebbe in ragione della rilevata inammissibilità del ricorso, non è ancora maturata, spirando il termine massimo, avuto riguardo anche ai periodi di sospensione (dal 12/6/2017 al 6/10/2018 e dal 3/4/2014 al 13/10/2014 per adesione del difensore all’astensione dalle udienze) il 31/3/2019.

15. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende

Così deciso in data 29/3/2019

Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2019.