Le “raccomandazioni” vincolanti di Cantone
PIETRO QUINTO, La morale del motorino e le “raccomandazioni” di Cantone.
PIETRO QUINTO*
La morale del motorino
e le “raccomandazioni” di Cantone
La vicenda del sorpasso e della corsa contromano del “Piccolo diavolo” ha richiamato alla mente il bel film di Risi “Il sorpasso”, interpretato magnificamente da Vittorio Gassman. In quel film lo sguardo di Risi è cinico e la descrizione del Paese è antropologica. Nell’Italia del boom economico e del miraggio del benessere, attraverso una carrellata di episodi e la conclusione drammatica di un sorpasso in curva contro le regole si verifica la morte del mite Roberto Mariani (Trintignant), cioè l’Italia con i principi e i valori del passato, e sopravvive impotente Bruno Cortona (Gassman), che rappresenta gli arrivisti, i cialtroni, gli infingardi e gli arrampicatori sociali.
Più modesta la vicenda del “sorpasso” di Benigni, che ha però un suo significato simbolico perché, nell’attualità, evidenzia un’Italia incapace di cambiare ed un Paese nel quale l’unica regola sembra essere quella di non credere nella necessità del rispetto delle regole. Ed anzi il saltare la fila si inquadra nella “normalità” del disprezzo delle regole e delle furbizie tipiche dell’italiano medio, insomma di un sistema di vita rispetto al quale nessuno ha il diritto di chiamarsi fuori. La vicenda ha fatto notizia solo perché il trasgressore si chiama Benigni (aveva fretta e la coda era lunga) altrimenti non avrebbe avuto l’onore delle cronache. Semmai la vera notizia è che, in questo caso, la violazione è stata accertata e sanzionata. Il che è già una conquista perché un altro problema ricorrente è l’incapacità dello Stato apparato di applicare le numerosissime leggi, che prevedono le sanzioni per le violazioni delle regole di comportamento.
Dicevo che nessuno può chiamarsi fuori perché come ricorda Michele Corradino (Consigliere di Stato e consulente ANAC) nel suo recente libro: «E’ normale … lo fanno tutti», il continuo spostamento dei confini tra legalità ed illegalità diventa un fatto di costume sociale. Scatta allora «la morale del motorino» evocata da Camilleri in una sua intervista – richiamata nel libro di Corradino -, che ben si attaglia alle vicende dei sorpassi: con il motorino si può evitare la fila, destreggiarsi tra le auto, violare le regole sui sorpassi e andare contromano. Insomma si fa quel che si vuole. E chi è in automobile dice: «Magari ci fossi io su quel motorino» (1).
A questo punto si potrebbe obiettare che cosa c’entra la “raccomandazione” di Cantone? Il riferimento è ad un istituto introdotto nel nuovo Codice degli Appalti, che dovrebbe rappresentare una misura di prevenzione della corruzione, non anche del contenzioso nelle gare pubbliche. Se Anac si accorge in qualsiasi momento che in un procedimento concorsuale si è verificata qualche illegittimità, interviene con una “raccomandazione”, intimando alla stazione appaltante di esercitare il potere di autotutela. Si tratta di una raccomandazione vincolante perché il mancato esercizio dell’autotutela è punito con una sanzione pecuniaria per il funzionario ed incide sulla qualificazione reputazionale della stazione appaltante.
Il collegamento con gli episodi del sorpasso in violazione delle regole si apprezza sotto due profili. Il primo è che con l’introduzione dell’art. 211 del Codice degli Appalti (ed altre disposizioni) si conferma la convinzione che per prevenire le violazioni di legge e per assicurare la legalità occorre comunque produrre ulteriori atti normativi sempre più stringenti ed imperativi.
Il secondo profilo è che, nello specifico, il Legislatore è stato costretto addirittura ad utilizzare uno strumento, pacificamente derogatorio, e che non ha precedenti nel panorama giuridico, cioè una “raccomandazione vincolante” per perseguire il rispetto della legge. Ma per far ciò – come ho evidenziato in un precedente scritto (2) – ha dovuto forzare le “regole del gioco”, incidendo su alcuni principi che, nell’ordine amministrativo-legislativo, hanno un preciso significato: il valore delle Autonomie; il rispetto delle competenze; la certezza delle situazioni giuridiche; il contenimento del contenzioso; la funzione salvifica di una Autorithy presieduta da un magistrato, con la concentrazione di poteri normativi, sanzionatori, amministrativi e contenziosi in un unico soggetto.
Ed è per questo che il ricorso alla “raccomandazione” ha suscitato non poche perplessità nel mondo giuridico, non è stato condiviso nel parere reso dal Consiglio di Stato, che ne ha proposto l’abrogazione, ma soprattutto, nell’economia del presente intervento, è un’ulteriore dimostrazione di una sfiducia, dall’interno, nei confronti dell’apparato amministrativo, che è stato messo sotto tutela con un controllo ulteriore extra ordinem. Ma anche in questo caso si finisce per mettere in discussione quel principio di responsabilità che dovrebbe governare un efficiente sistema democratico e si ribadisce una totale sfiducia nel rispetto delle regole anche da parte delle Istituzioni.
Ed allora qual è il senso di questo intervento. Come ha scritto Natalino Irti a proposito del nichilismo giuridico, la legalità non basta, o meglio non sarà l’accumulo delle leggi, la c.d. ipertrofia legislativa, a garantire un recupero di legalità nella coscienza dei cittadini. Insomma non saranno le regole poste ad evitare i sorpassi contromano. “La legalità non sta a sé ma presuppone ed esige l’ethos della convivenza o ciò che in altri tempi era chiamato il senso dello Stato” (3).
Si tratta di una riflessione che risale all’insegnamento delle Istituzioni di Gaio secondo cui il diritto è costituito non solo dalle leggi ma soprattutto dai mores. E’ la polarità del diritto – per dirla con Zagrebelsky – secondo cui il diritto come forma sono le leges, il diritto come sostanza sono i mores. La legalità, quindi, non è separabile dal consapevole e reciproco vincolo della convivenza. Il problema è come perseguire questo obiettivo.
Ad avviso di chi scrive v’è un solo rimedio in attesa di una pur necessaria rivoluzione generazionale. E’ indispensabile un recupero della credibilità delle Istituzioni pretendendo da esse buoni esempi. Non è il positivismo giuridico a convincere i cittadini a rispettare le regole perché come ricordava Leopardi nello Zibaldone: nessuna legge può impormi di rispettare la legge.
Dev’essere recuperata la convinzione e forse l’interesse che le leggi vanno osservate perché solo così è possibile una pacifica convivenza. Ma per ottenere ciò è indispensabile che si torni al costume dei buoni esempi da parte di una classe dirigente, che si definisce tale perché ha l’onere (e l’onore) di guidare e rappresentare una comunità. Si tratta di ritornare a ciò che ci è stato insegnato nella tradizione di quella società naturale che è la famiglia, laddove i genitori hanno guidato quella società non tanto con le prediche o le sanzioni, ma soprattutto con l’esempio della probità e del sacrificio personale in funzione dell’interesse comune di quella società caposaldo di qualsiasi ulteriore sovrastruttura. Ed è probabilmente questa la vera causa del disfacimento attuale del tessuto sociale e della “normalizzazione” della corruzione e della violazione delle regole.
Per dare un contenuto concreto a queste osservazioni e registrare la crisi delle Istituzioni è sufficiente fare riferimento al clima che vive il Paese da alcuni mesi per la c.d. “battaglia” referendaria. Già il termine è significativo, ma lo è soprattutto lo spirito con cui viene combattuta la battaglia perché, indipendentemente dalle ragioni del SI o del NO, le armi usate sono la delegittimazione delle parti contrapposte, il giudizio di non affidabilità delle Istituzioni coinvolte (Parlamento e dintorni) e la prevalenza degli interessi individuali rispetto alla difesa dei valori fondanti della “Carta” comune di tutti gli italiani.
Ed allora c’è poco da meravigliarsi se anche Benigni, acclamato lettore di Dante e della Costituzione, trasgredisce le regole al pari di tanti altri furbetti. Nel mentre rimane scolpita, ma evidentemente non sufficientemente condivisa, una riflessione profetica di Aldo Moro all’assemblea dei parlamentari DC poche settimane prima del rapimento e dell’uccisione: « Questo Paese non si salverà. La stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non sorgerà un nuovo senso del dovere».
Ma il rispetto dei doveri deve riguardare tutti indistintamente e cioè sia i cittadini che i poteri pubblici.
(*) Avvocato del Foro di Lecce.
(1) Michele Corradino: «E’ normale …lo fanno tutti», ed. Chiarelettere, 2016.
(2) Pietro Quinto: «Il nuovo Codice dei contratti pubblici e le “raccomandazioni vincolanti” di Cantone», in LexItalia.it 26 aprile 2016, pag. http://www.lexitalia.it/a/2016/76334.
(3) Natalino Irti: «La sola legalità non basta» in Corriere della Sera, 2016.