FREE: Permesso di costruire in sanatoria e requisito della “doppia conformità”

FABIO SAITTA, Permesso di costruire in sanatoria: in Sicilia non è più necessaria la «doppia conformità» (prime considerazioni a margine dell’art. 14, comma 1, della legge regionale siciliana n. 16 del 2016).



FABIO SAITTA
(Ordinario di Diritto amministrativo
nell’Università di Catanzaro)

Permesso di costruire in sanatoria: in Sicilia non è più necessaria la «doppia conformità» (prime considerazioni a margine dell’art. 14, comma 1, della legge regionale siciliana n. 16 del 2016)



Sommario: 1. La sanatoria nella legge Bucalossi: brevi cenni. – 2. La sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 e la «doppia conformità». – 3. La c.d. «sanatoria giurisprudenziale» alla luce dell’art. 36 del testo unico dell’edilizia. – 4. L’art. 14, comma 1, della legge regionale siciliana n. 16 del 2016.

1. La sanatoria era stata per la prima volta espressamente prevista dall’art. 15 della legge n. 10 del 1977 per il caso di annullamento della concessione edilizia o di varianti non essenziali, mentre era controverso se, al di fuori di tali ipotesi, la realizzazione di un’opera priva di titolo autorizzativo, ancorché sostanzialmente non contrastante con le norme e prescrizioni urbanistiche vigenti al momento dell’esecuzione e, soprattutto, al momento in cui si richiedeva la sua regolarizzazione, fosse sanabile con atto successivo [1]. La tesi prevalente, che non si basava su specifiche disposizioni normative, bensì su principi generali, era nel senso di ammettere la sanatoria, anche parziale, di ogni opera sostanzialmente conforme alle norme e prescrizioni urbanistiche vigenti al momento della richiesta di sanatoria, affetta quindi soltanto da vizi formali [2].

Già allora non appariva giustificabile che, in presenza di opere sostanzialmente conformi alle norme urbanistiche quantomeno al momento dell’esame della domanda di sanatoria, per le quali, per varie ragioni, non era stato richiesto alcun titolo abilitativo, si dovesse procedere alla demolizione, con possibile successiva ricostruzione senza modifiche, unicamente per la presenza di un difetto formale [3]. Come si vedrà di qui a poco, il dibattito ha trovato poi uno sbocco con l’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, che ha più compiutamente disciplinato l’istituto. Per il momento, sia sufficiente affermare che, in linea generale, «il sistema consente di sanare tutto ciò che è stato realizzato, bensì senza titolo, ma in conformità a quanto stabilito dalla disciplina sostanziale, di guisa che ciò che in definitiva rileva nei rapporti tra proprietario e autorità amministrativa non è tanto che la trasformazione sia stata preceduta dal controllo del progetto da parte della seconda o comunque che il controllo sia stato reso possibile, quanto che in definitiva la trasformazione stessa non contrasti con la normativa di zona» [4].

2. La legge n. 47 del 1985 ha modificato la disciplina della sanatoria edilizia, ammettendo la punibilità dell’abuso anche solo formale, introducendo la sanatoria «per accertamento di conformità».

L’art. 13 di tale legge – inteso a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il relativo titolo abilitativo, ma sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione sia al momento della presentazione della domanda (c.d. «doppia conformità») [5] – prevedeva, infatti, che colui che avesse realizzato opere abusive, ossia prive della necessaria concessione edilizia ovvero in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto ad essa, potesse conseguire, in via successiva, il relativo provvedimento abilitativo, quando l’opera risultasse conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione vigenti e non in contrasto con quelli (soltanto) adottati sia al momento della realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda.

La norma costituiva evidentemente una deroga al principio della legittimità della concessione, che va verificata al momento del suo rilascio e non al momento della presentazione della domanda [6].

Secondo un primo orientamento, la disposizione – pretendendo la c.d. «doppia conformità» – avrebbe inteso escludere la possibilità di conseguire la concessione in sanatoria in presenza di opere «attualmente» conformi agli strumenti urbanistici, ma che non lo erano al momento in cui furono realizzate [7]. La ratio della previsione era individuata nel tentativo di evitare che taluno potesse essere indotto a realizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica vigente, confidando in un successivo mutamento della disciplina stessa con cui l’intervento realizzato risultasse, invece, compatibile.

La giurisprudenza, d’altro canto, aveva avuto modo di evidenziare che l’apparente contrasto, giustificato per la sua natura eccezionale, non poteva dare luogo ad un principio generale, in quanto l’art. 13 della legge n. 47 del 1985, nel consentire il rilascio di concessione in sanatoria «quando l’opera […] è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria, non vale con certezza ad escludere che, una volta presentata la domanda tutte le altre modificazioni degli strumenti urbanistici siano irrilevanti ai fini della decisione dell’istanza e comunque non introduce un principio generale applicabile anche alla domanda di concessione per un’opera non ancora esistente» [8].

A tale orientamento se n’era aggiunto un secondo, poi divenuto prevalente, secondo il quale sarebbe del tutto illogico ed in contrasto con il principio di economicità dell’attività amministrativa negare la concessione in sanatoria in presenza di manufatti realizzati abusivamente, ma che, al momento dell’esame della richiesta di sanatoria, risultino conformi agli strumenti urbanistici, poiché ciò comporterebbe la preventiva demolizione dell’opera, a cura del privato su ordine dell’amministrazione, ma, successivamente, l’obbligo per l’amministrazione stessa di approvare un’opera identica a quella abusivamente realizzata (e demolita) [9].

Per evitare di giungere a tale paradossale conclusione, la giurisprudenza ha, pertanto, ammesso, accanto alla figura dell’accertamento di conformità (non definibile come vera e propria sanatoria), una sanatoria c.d. «giurisprudenziale», ossia la legittimazione dell’opera, originariamente abusiva, divenuta sostanzialmente conforme alle norme solo successivamente [10]. È stato, infatti, ritenuto che il succitato art. 13 non avesse ristretto il campo della sanabilità delle opere conformi alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio della sanatoria; al contrario, esso avrebbe imposto all’amministrazione di rilasciare la concessione in sanatoria anche per opere non più conformi alla disciplina urbanistica, quando la conformità agli strumenti urbanistici approvati o adottati sussistesse al momento della costruzione ed a quello della presentazione della domanda. Restava, quindi, fermo il più generale istituto della sanatoria delle opere conformi agli strumenti urbanistici vigenti al momento in cui l’amministrazione provvedeva sulla domanda di concessione in sanatoria [11].

3. A fronte di questa pregressa situazione normativa, l’art. 36 del testo unico dell’edilizia dispone oggi che «il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda». In relazione al nuovo dettato normativo, si è, quindi, riproposto all’operatore ed all’interprete l’interrogativo in ordine all’ammissibilità della c.d. sanatoria giurisprudenziale.

Prima che la giurisprudenza si pronunciasse in proposito, i primi commentatori [12] avevano tentato di offrire un’utile indicazione interpretativa, riprendendo i presupposti e le motivazioni che avevano portato ad ammettere la c.d. sanatoria giurisprudenziale. Era stato così ricordato come la già citata giurisprudenza del Consiglio di Stato avesse evidenziato che «la concessione in sanatoria è istituto dedotto dai principi attinenti al buon andamento ed all’economia dell’azione amministrativa e consiste nell’obbligo di rilasciare la concessione quando sia regolarmente richiesta e conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, anche se l’opera alla quale si riferisce sia già stata realizzata abusivamente; pertanto, tale generale istituto resta fermo anche successivamente alla previsione espressa della concessione in sanatoria di cui all’art. 13 l. n. 47/1985»[13]. Tale principio aveva trovato ulteriore conferma laddove era stato evidenziato che «il potere autorizzatorio, intesa l’accezione in senso ampio, può essere in generale esercitato per consentire attività permesse dall’ordinamento, anche medio tempore illegittimamente svolte per mancanza del necessario assenso dell’autorità amministrativa, a meno che la legge, ovvero una imprescindibile esigenza logica o funzionale, lo impediscano; il mero silenzio del legislatore non è perciò interpretabile come divieto di provvedere al rilascio di concessioni in sanatoria delle opere ormai assentibili» [14]. Tale dottrina aveva, quindi, ritenuto «sostanzialmente più logica» la sanatoria di un manufatto realizzato in contrasto con le norme vigenti al momento della sua realizzazione, ma divenuto successivamente non contrastante con le norme vigenti al momento della richiesta di sanatoria; manufatto che, paradossalmente, dovrebbe essere demolito o soggetto comunque a sanzione per poter poi essere ricostruito nella stessa identica forma e consistenza, con ingiustificato danno, oltre che per il responsabile, anche per la collettività [15].

La più recente dottrina appare invero concorde nell’affermare che il contrasto interpretativo resta aperto [16].

Invero, l’Adunanza generale del Consiglio di Stato, esprimendosi in merito allo schema del testo unico del 2001, aveva osservato che, «pur non potendosi, in astratto, contestare la necessità del duplice accertamento di conformità, nella prassi l’applicazione del principio viene disattesa, ritenendosi illogico ordinare la demolizione di un quid che, allo stato attuale, risulta conforme alla disciplina urbanistica vigente e che, pertanto, potrebbe legittimamente ottenere, a demolizione avvenuta, una nuova concessione», ed aveva, perciò, suggerito all’amministrazione di valutare se non fosse opportuno, in casi del genere, prevedere una forma di sanatoria che, ferma restando la sanzione penale per l’illecito commesso, sia subordinata al pagamento di un’oblazione maggiore rispetto a quella che si richiede nell’ipotesi di duplice conformità»[17]. Il legislatore delegato ha, però, preferito «non inserire una tale previsione, sia perché la giurisprudenza sul punto non è pacifica (sicché non può dirsi formato quel diritto vivente che avrebbe consentito la modifica del dato testuale), sia, soprattutto, per le considerazioni in senso nettamente contrario contenute nel parere espresso dalla Camera» [18].

Va, peraltro, segnalato che la stessa dottrina è incline a preferire l’indirizzo restrittivo, che viene ricondotto ad una concezione più rigorosa del principio di legalità, che non ammette, neppure in base a ragioni di grave opportunità, provvedimenti non previsti dalla legge [19].

Anche nella giurisprudenza più recente sembra affermarsi l’indirizzo contrario alla c.d. sanatoria giurisprudenziale [20].

4. La legislazione regionale ha per lo più riprodotto la disciplina statale, esigendo, quindi, la doppia conformità, anche se non mancano regioni che hanno preso in considerazione la c.d. «sanatoria giurisprudenziale», pur «disciplinando in vario modo» [21].

In tal senso si è, da ultimo, orientata la Regione siciliana, che, nel recepire, con modifiche, l’art. 36 del testo unico, ha espressamente previsto la possibilità di «ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda» (art. 14, comma 1, della legge regionale n. 16 del 2016): non è, quindi, necessario che l’intervento stesso sia, altresì, conforme, alla disciplina vigente al momento della sua realizzazione.

Una siffatta scelta legislativa potrà apparire opportuna ai fautori della «sanatoria giurisprudenziale», mentre, a nostro avviso, suscita perplessità in quanto – com’è ben stato evidenziato in una recente pronuncia – «alla sanabilità degli abusi sostanziali è dedicato non già l’istituto dell’accertamento di conformità, bensì quello diverso del condono edilizio, nei limiti, in specie temporali, in cui quest’ultimo sia applicabile alla fattispecie concreta considerata. Ciò posto, ammettere la “sanatoria giurisprudenziale” significherebbe anche introdurre surrettiziamente nell’ordinamento una sorta di condono atipico, affrancato dai predetti limiti, mediante il quale il responsabile di un abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli effetti indirettamente sananti di un più favorevole jus superveniens, anziché di un’apposita disciplina legislativa condonistica»[22].

Il recepimento in via legislativa di tale orientamento giurisprudenziale – peraltro, come si è visto, decisamente minoritario – pone, a ben guardare, anche dubbi di costituzionalità in quanto, poco più di tre anni fa, la Corte costituzionale, sia pure con espresso riferimento solo alla rispondenza alla normativa tecnico-sismica, ha affermato che la doppia conformità di cui all’art. 36 del testo unico è da considerarsi principio della legislazione statale, come tale non derogabile dalla normativa regionale [23]; da qui il dubbio sulla conformità a Costituzione di quelle norme regionali – come quella qui commentata – che hanno codificato l’istituto pretorio.

Comunque sia, la scelta legislativa qui brevemente commentata pone fine al dibattito giurisprudenziale, che, nell’ambito del T.a.r. per la Sicilia e del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, resterà d’ora in poi circoscritto alle domande di accertamento di conformità presentate prima del 3 settembre 2016.

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[1] P.F. Gaggero, Regolarizzazione edilizia successiva atipica e accertamento di conformità, in Riv. giur. edil., 2004, I, 1398-1401.

[2] In tal senso, Cons. St., Ad. plen., 17 maggio 1974, n. 5, in Cons. Stato, 1974, I, 697; per il regime precedente la l. n. 10/1977, I.M. Grippaudo, La nuova sanatoria delle costruzioni contra jus, in Nuova rass., 1969, 438; R. Ferri, Della sanatoria delle costruzioni abusive e suoi effetti, in Amm. it., 1969, 106; G. Ferrero, Sanatoria in tema di licenze edilizie, in Riv. giur. edil., 1968, II, 66 ss.; P.F. Gaggero, op. cit., 1398 ss.

[3] Per queste problematiche già nel regime di vigenza della l. n. 10/1977, cfr. E. Follieri, Profili problematici della concessione in sanatoria, con riferimento alle sanzioni amministrative previste dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10, in Riv. giur. edil., 1978, II, 239; L.V. Moscarini, Proprietà dei suoli, jus aedificandi, licenza e concessione in sanatoria, in Cons. Stato, 1979, II, 571; G. Pagliari, Concessione edilizia in sanatoria: stato del dibattito e spunti ricostruttivi, in Riv. giur. edil., 1981, II, 144.

[4] P. Stella Richter, Diritto urbanistico. Manuale breve, 4ᵃ ed., Milano, 2016, 114.

[5] Tra le più recenti, T.A.R. Campania-Napoli, Sez. VIII, 11 settembre 2007, n. 7511, www.giustizia-amministrativa.it; Sez. VI, 3 agosto 2007, n. 7269, ibidem; Sez. II, 7 maggio 2007, n. 4790, ibidem; T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. II, 9 giugno 2006, n. 1352, ibidem.

[6] Per il principio, ampiamente, G.D. Comporti, Tempus regit actionem. Contributo allo studio del diritto intertemporale dei procedimenti amministrativi, Torino, 2001. In giurisprudenza, Cons. St., Sez. V, 20 ottobre 1994, n. 1200, in Foro it., 1995, III, 608.

[7] S. Vinti, La sanatoria degli abusi edilizi in assenza della c.d. doppia conformità. Contraddizioni del sistema e proposte, in Riv. giur. urb., 1995, 77 ss.

[8] Cons. St., Ad. plen., 8 gennaio 1986, n. 1, in Riv. giur. edil., 1986, I, 161.

[9] Cass. pen., Sez. III, 4 maggio 2004, in Urb. e app., 2004, 1359.

[10] Sul tema, M. Giavazzi, La sanatoria degli abusi edilizi di creazione giurisprudenziale, in Riv. giur. urb., 2004, 40 ss.; A. Cortesi, I termini del dibattito in corso in tema di «sanatoria giurisprudenziale», in Urb. e app., 2003, 1091 ss.; P.F. Gaggero, ibidem; S. Vinti, ibidem; B. Graziosi, A proposito della ammissibilità della c.d. «sanatoria giurisprudenziale» (e dei suoi intrecci con il condono edilizio), in Riv. giur. edil., 2004, II, 161 ss.; L. Ricci, Accertamento di conformità e regolarizzazione edilizia successiva atipica (c.d. «sanatoria giurisprudenziale»), ivi, 2009, I, 737 ss.

[11] Cons. St., V, 13 febbraio 1995, n. 238, in Giust. civ., 1995, I, 1980. In dottrina, a favore della sanatoria giurisprudenziale si era espresso G. Torregrossa, Sanzioni urbanistiche e recupero degli insediamenti e delle opere abusive, in Riv. giur. edil., 1985, suppl. al n. 2, 23; contra, A. de Roberto, in A. Predieri (a cura di), Abusivismo edilizio: condono e nuove sanzioni (commento alla l. n. 47/1985), Roma, 1985, 206; V. Gasparini Casari, in R. Gianolio (a cura di), Condono edilizio ed innovazioni alla disciplina urbanistica della l. 28 febbraio 1985 n. 47, Rimini, 1985, 204. Del resto, più in generale, sull’obbligo del rilascio della concessione in sanatoria ove l’opera non risulti in contrasto con gli strumenti urbanistici, la giurisprudenza si era più volte espressa favorevolmente: tra le tante, T.A.R. Liguria, 22 giugno 1987, n. 410, in Foro amm., 1988, 191; T.A.R. Lazio, Sez. II, 22 aprile 1988, n. 624, in Trib. amm. reg., 1988, I, 1462; più recentemente, T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Trento, 31 ottobre 2001 n. 585, in Foro amm., 2001, 2915.

[12] A. Crosetti, in M.A. Sandulli (a cura di), Testo unico sull’edilizia, 1ª ed., Milano, 2004, 442-443.

[13] Cons. St., Sez. V, n. 238/1995, cit.

[14] Cons. St., Sez. V, 13 ottobre 1993, n. 1031, in Riv. giur. edil., 1994, I, 336.

[15] Così A. Crosetti, op. cit., 443, il quale (in adesione a quanto rilevato da G.C. Mengoli, Manuale di diritto urbanistico, 5ª ed., Milano, 2003, 1087), riteneva che la sanatoria introdotta dalla giurisprudenza trovi effettivamente la sua intima giustificazione proprio nei principi fondamentali di efficacia e di economicità dell’attività amministrativa, che strettamente si collegano al principio costituzionale del buon andamento, nonché nei principi di ragionevolezza e di logicità, intesi come applicazione di razionalità, ed in quello di proporzionalità, a fronte dei quali apparirebbe difficile ritenere che l’indirizzo giurisprudenziale in commento, basandosi su elementi di considerazione non meramente esegetici ma di logica e di ragionevolezza, possa ritenersi recessivo rispetto alla dizione contenuta nel testo unico, che presenta profili di contraddizione anche in relazione alle normative regionali.

[16] Di recente, P. Tanda, L’orientamento (a volta contrastante) dei giudici amministrativi e penali sull’ammissibilità della c.d. sanatoria giurisprudenziale, in Riv. giur. edil., 2015, 130 ss., il quale segnala come non manchino pronunce di giudici amministrativi e penali che, in contrasto con la prevalente giurisprudenza, si schierano apartamente a favore della c.d. sanatoria giurisprudenziale; già prima, M. Giavazzi, op. cit., 60; S. Vinti, L’accertamento di conformità per opere realizzate in assenza di permesso o in violazione della normativa sulla d.i.a., in Riv. giur. edil., 2004, II, 148; A. Cortesi, op. cit., 1094; L. Ricci, op. cit., 740 ss., al quale si rinvia per una dettagliata esposizione degli argomenti addotti a sostegno delle tesi, favorevole e contraria, all’ammissibilità della c.d. «sanatoria giurisprudenziale».

[17] Sez. Atti norm., 29 marzo 2001, n. 52/2001, www.giustizia-amministrativa.it.

[18] Relazione illustrativa al t.u. sull’edilizia, in Riv. giur. edil., 2001, V, 332.

[19] Così A. Travi, La sanatoria giurisprudenziale delle opere abusive: un istituto che non convince, in Urb. e app., 2007, 339 ss.; ancora più di recente, P. Tanda, Sanatoria giurisprudenziale: auspicabile un intervento dell’Adunanza plenaria, in Riv. giur. edil., 2010, I, 880 ss.; G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, 5ᵃ ed., Milano, 2015, 599-600; già prima, S. Vinti, op. ult. cit., 149; cfr., altresì, M. Giavazzi, op. cit., 61, secondo cui, in caso contrario, «si realizzerebbe una gestione dell’apparato sanzionatorio ingiustamente premiale dell’abusivismo e assolutamente inaccettabile da parte della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge, con conseguente violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione»; P.F. Gaggero, op. cit., 1412, il quale, pur ritenendo preferibile la soluzione negativa, rileva che, laddove si reputasse invece di ammettere la figura in discussione, la si dovrebbe coerentemente mantenere estranea, sotto ogni punto di vista, rispetto al diverso modello di cui al vigente art. 36 t.u., escludendosi, in particolare, l’applicabilità ad essa del peculiare regime contributivo-sanzionatorio aggravato, tipico dell’accertamento di conformità, in luogo della normale quantificazione dei contributi concessori. Contra, B. Graziosi, ibidem, secondo cui la c.d. sanatoria giurisprudenziale è da ritenersi esclusa soltanto per gli immobili gravati da vincolo paesaggistico; G. Ciaglia, Le sanzioni amministrative, in Diritto dell’edilizia, a cura di V. Mazzarelli, Torino, 2004, 251, secondo cui l’opzione legislativa del 2001, intesa ad escludere l’applicabilità di tale istituto, avrà evidenti conseguenze negative in termini di spreco di risorse pubbliche e private; P. Monetto, La “sanatoria giurisprudenziale” degli abusi edilizi, in Il Piemonte delle Autonomie, n. 3/2014, spec. 12 ss.. Sembra possibilista, infine, P. Stella Richter, op. cit., 115, secondo cui «[l]a pur apparentemente univoca scelta del legislatore di richiedere la doppia conformità, giustificata dalla finalità di porre fine allo scandalo di varianti di piano adottate per sanare gli abusi pregressi, non ha escluso la permanenza dell’istituto della sanatoria giurisprudenziale, il quale valorizza la progressiva accentuazione, sul piano legislativo, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa che strettamente si collegano al principio costituzionale del buon andamento».

[20] Da ultimo, Cons. St., Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194, 17 marzo 2016, n. 1097 e 9 marzo 2016, n. 936, in www.giustizia-amministrativa.it (secondo la prima delle anzidette decisioni, con la «sanatoria giurisprudenziale» viene in questione «un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi previsione normativa»); Sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2886, ibidem; T.A.R. Campania-Napoli, Sez. VI, 16 marzo 2016, n. 1431, ibidem; T.A.R. Liguria, Sez. I, 15 gennaio 2016, n. 45, ibidem, che ritiene, quindi, illegittimo il permesso di costruire in sanatoria con prescrizioni, che postulerebbe «una sorta di conformità ex post, condizionata all’esecuzione delle prescrizioni e quindi non esistente al tempo della presentazione della domanda di sanatoria»; Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 26425, in CED Cassazione, 2016.  Per la giurisprudenza meno recente, cfr., se vuoi, F. Saitta, Art. 36, in Testo unico dell’edilizia, a cura di M.A. Sandulli, 3ª ed., Milano, 2015, 873-874.

[21] L. Ricci, op. cit., 744-745; cfr., altresì, F. Pozzolini, L’attività edilizia, in Diritto per il governo del territorio, a cura di M. Carrà, W. Gasparri e C. Marzuoli, Bologna, 2012, 297-298, il quale riferisce che alcuni comuni – come, ad es., Firenze – hanno addirittura disciplinato questa fattispecie nel loro regolamento edilizio, prevedendo persino la possibilità di sanare interventi per i quali si sia provveduto a realizzare opere di adeguamento alla vigente normativa urbanistico-edilizia.

[22] T.A.R. Lazio, Sez. II ter, 11 giugno 2013, n. 5832, in www.giustizia-amministrativa.it.

[23] Sent. 27 febbraio 2013, n. 101, in www.giurcost.org.