FREE: Diritto di accesso e diritto di cronaca
MAURIZIO LUCCA, Trasparenza informativa, diritto di accesso e diritto di cronaca (note a margine di Cons. Stato, sez. IV, sentenza 12 agosto 2016, n. 3631).
MAURIZIO LUCCA
Trasparenza informativa, diritto di accesso e diritto di cronaca
(note a margine di Cons. Stato, sez. IV, sentenza 12 agosto 2016, n. 3631*).
SOMMARIO: 1. Il diritto di accesso. 2. Il caso. 3. La legittimazione (l’ubi consistam). 4. Prime riflessione sul diritto di cronaca. 5. Principio della domanda e libertà di stampa. 6. Diritto di cronaca e acquisizione delle fonti. 7. La massima. 8. Molteplicità di diritti di accesso e gradi di legittimazione. 9. Considerazioni prospettiche.
1. Il diritto di accesso.
Il “diritto di accesso”, nella sua conformazione generale definita dell’articolo 22 della legge n. 241 del 1990, è “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”, subordinata ad un’istanza motivata (ex art. 25, comma 2, primo periodo) e ad “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” [1].
Pertanto, benché il “diritto” di accesso sia un’autonoma posizione giuridica soggettiva, il suo esercizio non è consentito per finalità di mero controllo della legalità dell’attività amministrativa (ex art. 24, comma 3): l’istanza di accesso deve essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso [2].
Il “diritto di accesso civico ai dati e ai documenti” (ex art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013), sul modello Freedom of information act (cd. F.O.I.A.), in funzione di controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena partecipazione alla realizzazione del principio “trasparenza” (right to know) [3], assolve l’esigenza di conoscere le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche e, più in generale, l’attività della P.A. (anche in funzione di misura di contrasto e prevenzione della corruzione) [4], senza necessità di motivare la richiesta (full disclosure)[5], oltre ad una specifica legittimazione (l’esercizio del diritto di accesso civico non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente).
Appare subito evidente che l’accesso civico assume il connotato della piena libertà (di un diritto soggettivo al bene della vita) potendo “chiunque”, senza limiti oggettivi e soggettive (come in materia di accesso ambientale) [6] disporre del diritto, con piena legittimazione, costituendo un diritto pieno: la legittimazione all’accesso viene assicurata a fronte di un’istanza (con la quale si identifica l’ambito dell’accesso) [7], senza poter scrutinare la presenza di un titolo idoneo o di una motivazione [8].
Risulta di solare evidenza che l’accesso è strettamente connesso con l’imparzialità e la trasparenza della condotta pubblica, elementi necessari e valori primari dell’agire pubblico, in aderenza ai principi costituzionali di eguaglianza e buona amministrazione (ex artt. 3 e 97 Cost.), in un rapporto di collaborazione e fiducia tra P.A. e cittadino, dove l’esercizio della discrezionalità amministrativa deve sempre poter essere valutato nella sua aderenza con l’interesse pubblico, sia nell’attività organizzativa del potere che in quella eminentemente pratica del rilascio di un titolo e/o di un comportamento assunto.
In presenza del diritto di accesso è immanente il diritto all’estrazione del documento, non potendo pensare che la visione del documento sia disgiunta dalla sua fisicità (analogica, e sia pure nella visione digitale) [9]: con la pubblicazione all’albo pretorio on line viene, di conseguenza, assolto il diritto di accesso.
I due diritti, rispondono entrambi ad una funzione di “trasparenza”, si muovono su piani distinti, sovrapponibili in parte [10], rispondendo ad esigenze e presupposti diversi:
– il classico diritto di accesso si circoscrive all’interno di un determinato procedimento e segue le regole generali, ripartite tra un diritto di accesso partecipativo o endoprocedimentale (ex 10 della Legge n. 241/1990), sempre collegato ad un procedimenti definito, e un diritto accesso difensivo (ex art. 22 cit.) [11], a tutela della sfera giuridica personale incisa dall’agire (autoritativo) [12] pubblico;
– l’accesso civico, con lo scopo di visionare costantemente l’attività amministrativa sotto il profilo delle risorse impiegati e dell’attività svolta, intende perseguire un controllo generale degli apparati pubblici e degli organi elettivi nella loro concretezza operativa, con la conseguenza che l’accesso civico si esercita quando l’Amministrazione è inadempiente agli obblighi (normativi) di pubblicità non effettuando le dovute pubblicazioni (indicate nel D.Lgs. n. 33/2013) [13], avendo scrutinato in via preventiva dal legislatore l’esigenza di “rendere noto” il dato, il documento e l’informazione [14].
Ne discende che l’accesso va garantito qualora sia funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale [15]; ovvero, per rispondere alle esigenze di “trasparenza” definite dalla disciplina complessiva dell’accesso.
Ne consegue che l’interesse all’accesso ai documenti deve essere valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso e, quindi, la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante [16].
Da tempo, infatti, la giurisprudenza ha sganciato la fondatezza della pretesa all’accesso dalla sussistenza di un preciso interesse legittimo o diritto soggettivo da tutelare [17] e dalla concreta possibilità dell’utilizzazione del provvedimento cui si chiede l’accesso in giudizio, ovvero dalla fondatezza della pretesa fatta valere nel giudizio principale: l’apprezzamento sull’utilità o meno della documentazione richiesta in ostensione non spetta all’Amministrazione destinataria dell’istanza ostensiva[18].
È di rilievo annotare che non solo il singolo ha titolo all’accesso ma anche i soggetti portatori di “interesse generali”, quali le associazione e/o i comitati, soggetti esponenziale degli interessi diffusi degli utenti di un servizio o dei destinatari di atti autoritativi da parte della P.A. [19]: astrattamente tutti i portatori di “interessi generali” hanno titolo a richiedere l’accesso agli atti relativi all’esercizio di una determinata attività o in presenza dell’adozione di atti amministrativi che incidano la sfera giuridica di una molteplicità di cittadini (erga omnes).
Difatti, la norma (dell’art. 22, comma 1, lettera b) della Legge n. 241/1990) chiarisce espressamente che per “interessati” all’accesso sono “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse”, riconoscendo a tali soggetti non un diritto generalizzato e pluricomprensivo alla conoscenza di ogni documento riferibile all’attività degli stessi, ma ai soli atti che hanno una incidenza diretta sui servizi nei quali sono coinvolti dai quei specifici “interessi”, oggetto di tutela da parte delle associazioni e/o comitati, e non in via meramente ipotetica e riflessa sui loro interessi: questi soggetti non vantano “una generalizzata legittimazione alla tutela anche dell’interesse (che assume connotazione invero indifferenziata rispetto alla generalità dei consociati) al corretto e regolare svolgimento di una funzione o di un servizio pubblico” [20].
Il diritto di accesso, oltre che alle persone fisiche, spetta, quindi, agli enti esponenziali di interessi collettivi e diffusi purché corroborati dalla rappresentatività dell’associazione, comitato o ente esponenziale e dalla pertinenza dei fini statutari rispetto all’oggetto dell’istanza[21], dimostrando – in chiaro – la posizione legittimante l’accesso costituita da una situazione giuridicamente tutelabile comprensiva anche degli interessi diffusi e dal collegamento tra questa posizione qualificata e la specifica documentazione della quale si chiede l’esibizione[22].
I portatori di interessi pubblici o diffusi devono motivare l’esatta rappresentazione dell’interesse all’accesso, dimostrando la presenza, tra i fini statutari o dell’attività svolta, il perseguimento di quel determinato interesse posto alla base delle loro istanze, acclarando una differenziata posizione di interesse concreto, diretto ed attuale, che legittima a chiedere copia di documenti; documenti che una volta acquisiti possono costituire indubbio supporto e mezzo per il miglior perseguimento degli scopi statutari, sociali o dell’attività svolta (si pensi ad un comitato in difesa dell’ambiente o a tutela dei beni culturali).
Tuttavia non si può ritenere che siffatta, assunta rappresentatività conferisca per ciò solo all’associazione o al comitato un generalizzato e indifferenziato titolo per il diritto d’accesso nei confronti degli atti della P.A. [23] atteso che il diritto di accesso non corrisponde ad un’azione popolare [24], il suo esercizio non può che essere collegato alla sussistenza e alla puntuale rappresentazione di un interesse differenziato, concreto e attuale, all’accesso ai documenti [25].
In definitiva, se l’art. 22 della Legge n. 241 del 1990 – a differenza del testo originario proposto dalla Commissione Nigro –riconosce il diritto di accesso a “chiunque vi abbia interesse” non ha introdotto alcun tipo di “azione popolare” diretta a consentire una sorta di “controllo generalizzato sull’Amministrazione”, ma postula sempre un accertamento concreto dell’esistenza di un interesse differenziato della parte che richiede i documenti.
Il legislatore, al fine di evitare un uso strumentalizzato di tale diritto o la sua trasformazione in un potere esplorativo nei confronti della pubblica amministrazione, non ha attribuito il diritto a qualunque soggetto per un qualsiasi interesse, ma solo ai titolari di un interesse rilevante giuridicamente, cioè ai soggetti portatori di una situazione giuridica qualificata e differenziata, cioè che trova qualificazione nell’ordinamento giuridico che la riconosce e tutela.
Il diritto di accesso ai documenti, infatti, non si configura appunto come una sorta di azione popolare, volta ad ottenere una verifica in via generale della trasparenza e legittimità dell’azione amministrativa tanto più che, specularmente rispetto al diritto alla conoscenza degli atti, sussiste la legittima pretesa dell’Amministrazione a non subire intralci alla propria attività istituzionale, possibili in ragione della presentazione di istanze strumentali e/o dilatorie tali da produrre un appesantimento dell’azione amministrativa in contrasto con il canone fondamentale dell’efficienza ed efficacia dell’azione stessa di cui all’art. 97 Cost.[26].
La pretesa titolarità o la pretesa rappresentatività di interessi collettivi o diffusi non vale a costituire un potere di ispezione generalizzata sulla pubblica amministrazione, al di fuori delle possibilità e dei limiti stabiliti dalla legge (nello specifico, ad es. del D.Lgs. n. 33/2013).
Il diritto di accesso si allinea così al principio di leale collaborazione fra Amministrazione e cittadini, in base al quale questa non può frapporre ostacoli privi di significato sostanziale alle istanze degli associati: quello della conoscenza dell’agire pubblico[27].
Significativo di questa tendenza è l’introduzione nell’ordinamento, ad opera del D.Lgs. n. 97/2016, dell’art. art. 4 bis “Trasparenza nell’utilizzo delle risorse pubbliche” nel D.Lgs. n. 33/2013.
A margine, tale conoscenza può esercitarsi anche rispetto a documenti di natura privatistica [28] quando l’attività persegua gli interessi della collettività, atteso che la legge non ha introdotto alcuna deroga alla generale operatività dei principi della trasparenza e dell’imparzialità e non ha garantito alcuna “zona franca” nei confronti dell’attività disciplinata dal diritto privato; d’altro canto, l’attività amministrativa, soggetta all’applicazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, è configurabile non solo quando l’Amministrazione esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa persegue le proprie finalità istituzionali e provvede alla cura concreta di pubblici interessi mediante un’attività sottoposta alla disciplina dei rapporti tra privati [29].
2. Il caso.
La sentenza n. 3631, pubblicata il 12 agosto 2016, della quarta sezione del Consiglio di Stato, interviene sul rapporto tra “diritto di accesso” e “diritto di cronaca” a fronte di una richiesta di un giornalista di poter acquisire dal Ministero dell’economia e delle finanze (rimasto silente) copia di “contratti in derivati”, in essere tra l’Italia e alcuni istituti di credito e banche.
La motivazione dell’istanza era collegata ad un’inchiesta giornalistica, rilevante (ad avviso della parte attorea) sotto il profilo dell’utilità sociale (della notizia, cd. pertinenza), dell’interesse pubblico all’informazione, dell’attualità (connotazione centrale e qualificante della professione giornalistica) [30], dell’assenza di una dichiarazione di riservatezza da parte della P.A., nel pieno esercizio del diritto di cronaca (ex art. 21 Cost., espressione della libertà di stampa e di manifestazione del pensiero).
Il ricorso in appello è avvenuto dopo una sentenza di primo grado (sfavorevole per il ricorrente) [31] con la quale, oltre alla condanna delle spese, si è statuito che:
a) la posizione di giornalista e l’interesse dei potenziali lettori ad una maggior informazione sui contratti in derivati non sono elementi sufficienti a fondare una legittimazione qualificata all’accesso;
b) l’effetto di tale divulgazione è pregiudizievole sulle attività in derivati, con svantaggio competitivo di Stato ed istituti nel mercato relativo.
L’appello si fondava sui seguenti punti:
non aver riconosciuto al ricorrente, un interesse rilevante e differenziato all’accesso (strumentale alla libertà d’informazione garantita e riconosciuta agli organi di stampa), nonché in considerazione degli obblighi di buona fede e di collaborazione cui è tenuta la P.A. verso il privato;
la falsa rappresentazione dei fatti di causa, essendo stato chiesto un numero delimitato di atti (individuati in modo specifico secondo quanto già reso pubblico in esito a detta indagine parlamentare), non preordinato ad un controllo generalizzato dell’attività amministrativa;
l’illegittimità del diniego tacito circa taluni affermati e non dimostrati effetti pregiudizievoli sulle attività in derivati;
l’illegittima condanna alle spese di lite.
Quest’ultimo punto, unico gravame accolto, essendo in presenza di giustificati motivi per due ordini di considerazioni: la prima, l’inerzia del Ministero è stata la causa della lite, “ispirata all’apprezzabile fine di svolgere attività di informazione a vantaggio della pubblica opinione”, dunque non pretestuosa; la seconda, dovuta ad una vicenda in sé normativamente complessa, senza una giurisprudenza consolidata e una dottrina univoca, involgendo aspetti seri e delicati a rilevanza costituzionale.
3. La legittimazione (l’ubi consistam).
Il giudice di seconde cure, si sofferma in primis sulla difesa erariale volta a surrogare l’inerzia (inespressiva di volontà) dell’Amministrazione resistente nell’emanare un provvedimento espresso di diniego (si tratta di un diniego per silentium), esponendo – in giudizio – lo scopo della richiesta, quale controllo generalizzato dell’azione amministrativa.
In termini diversi, viene rilevato che il ricorrente non ha ricevuto alcuna risposta dall’Amministrazione intimata, risposta e profilo motivazionale, invece, riportato nelle memorie dedotte in appello: condotta che si pone in contrasto con il generale obbligo di provvedere con un provvedimento espresso, ma ancor di più con l’evoluzione del diritto di accesso, nella sua marcata espressione di trasparenza e accessibilità totale alle informazioni, ai dati e ai documenti.
Non va sottaciuto che l’obbligo o dovere di pronuncia espressa e motivata e del clare loqui gravante sull’Amministrazione, risponde al principio, di portata generale, che prevede gli obblighi di trasparenza, chiarezza e leale collaborazione tra P.A. e privato[32].
Questa nuova visione evolutiva della “trasparenza” e le connesse considerazioni in fatto, ritenute tuttavia non pertinenti, vengono puntualmente analizzate dal Consiglio che non ignora i propri precedenti[33] secondo cui il “diritto di accesso” è collegato a una riforma di fondo dell’Amministrazione pubblica, ispirata ai principi di democrazia partecipativa, della pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, precipitati dell’art. 97 Cost, inseriti a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività amministrativa, quale strumento di prevenzione e contrasto sociale ad abusi e illegalità (rectius corruzione).
Il punto, rimarcano i giudici di Palazzo Spada, riguarda non la ratio generale dell’accesso (che non è in discussione), ma l’utilizzabilità della documentazione richiesta – mediante le regole dell’articolo 22 e ss. della Legge n. 241/1990 – strumentali all’esercizio della professione giornalistica (l’obbligo del giudice di pronunciarsi sui motivi del ricorso).
In altra visuale, la domanda da porsi è se sia lecito esercitare il diritto di accesso (ex art. 22 della cit. legge), ossia se sia questo lo strumento giuridico assegnato dall’ordinamento per garantire “la propria libertà di informarsi per informare”, oppure se tale procedura possa invocarsi per finalità diverse rispetto a quelle testualmente indicate dalla legge: “una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (come nel caso in trattazione).
La questione centrale, infatti, è che l’essere titolare (legittimato) di una situazione giuridicamente tutelata non è sufficiente perché l’interesse possa considerarsi diretto, concreto e attuale, occorre dimostrare in concreto che gli atti cui si chiede di accedere siano in qualche modo collegati con la “situazione giuridica tutelabile” (“libertà di informarsi per informare”) e se la conoscenza di tali atti sia in grado di concorrere alla tutela della situazione giuridica enunciata: l’utilizzo dei documenti per finalità giornalistiche.
In sintesi, il nodo da sciogliere è la verifica della legittimazione dell’appellante all’uso della documentazione richiesta e, di conseguenza, ai rimedi che l’ordinamento appresta a garanzia di questo.
Sul punto, il giudice di prime cure ha precisato che, se fosse “sufficiente l’esercizio dell’attività giornalistica ed il fine di svolgere un’inchiesta su una determinata tematica per ritenere, per ciò solo, il richiedente autorizzato ad accedere a documenti in possesso della P.A., sol perché genericamente riconducibili all’oggetto di detta “inchiesta”, si finirebbe per introdurre una sorta di inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa che la normativa sull’accesso non conosce” [34].
4. Prime riflessione sul diritto di cronaca.
L’accesso agli atti amministrativi – in assenza di una legittimazione – impedisce al giudice di pronunciarsi.
È necessaria la dimostrazione che il soggetto sia titolare di una determinata posizione soggettiva sostanziale (interesse a ricorrere) che si assume lesa dalla condotta silente dell’Amministrazione, rappresentando, inoltre, la presenza di un interesse diretto (in origine “personale”), concreto e attuale ad un facere dell’Amministrazione nell’esibizione della documentazione; diversamente, l’impugnativa degrada al rango di azione popolare in contrasto insanabile con l’istituto predisposto dal legislatore: manca l’interesse ad agire che presuppone l’esistenza di una posizione giuridica attiva protetta dall’ordinamento riferita ad un bene della vita.
Invero, se il diritto di accesso è una situazione giuridica autonoma e strumentale rispetto ad una sottostante “situazione giuridicamente tutelata” (più restrittiva rispetto alla precedente edizione di “situazioni giuridicamente rilevanti”)[35], l’accesso non fornisce un’utilità finale, ma una utilità strumentale ad un’altra posizione giuridica, che a sua volta produce una utilità finale: quella di poter esercitare l’attività giornalistica d’inchiesta (costituzionalmente protetta).
Nella nozione di “situazione giuridicamente tutelata” sicuramente, oltre a rientrare diritti soggettivi, interessi legittimi ed interessi collettivi (come segnalato supra), progressivamente sono state fatte rientrare situazioni di aspettativa di diritto, atteso che la disciplina dell’accesso non condiziona l’esercizio del relativo diritto alla titolarità di una posizione giuridica tutelata in modo pieno, quale il diritto soggettivo del soggetto, essendo sufficiente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta dall’ordinamento anche in misura attenuata.
La giurisprudenza afferma, infatti, che la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto [36].
In ogni caso, se il diritto di accesso va riconosciuto a “chiunque vi abbia interesse” la disciplina non può essere interpretata come una sorta di azione popolare diretta a consentire una controllo generalizzato sull’Amministrazione, e questa soluzione è coerente con la presenza di un contestuale interesse finalizzato alla “tutela” di una “situazione giuridicamente tutelata”.
L’interesse che legittima la richiesta di accesso, oltre ad essere serio e non emulativo, non presenta più il carattere “personale”, ossia ricollegabile alla persona dell’istante da uno specifico nesso, ma quello “diretto” (l’utilità deve essere del ricorrente) slegato dalla sua condizione soggettiva per valutare l’incisione sull’interesse manifestato ex se.
La modifica, ad opera della Legge 11 febbraio 2005, n. 15, “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”, ha introdotto (coerentemente con la situazione meritevole di tutela, non essendo sufficiente il generico e indistinto interesse di ogni cittadino alla legalità o al buon andamento della attività amministrativa) il comma 3, all’articolo 24, secondo cui sono inammissibili istanze di accesso “preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”, confermando che l’“interessato” all’accesso deve dimostrare un interesse “diretto, concreto e attuale”, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, ma anche che – ed è questa l’innovazione – tale situazione sia “collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
La novella chiarisce che, per stabilire se sussiste il diritto all’accesso, occorre avere riguardo al documento cui si intende accedere, per verificarne l’incidenza, anche potenziale, sull’interesse di cui il soggetto è portatore, essendo anche necessario che la documentazione cui si chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento[37].
Da queste premesse (da una lettura della sentenza), l’interesse all’informazione (acquisizione della documentazione) del giornalista (e di conseguenza il diritto di cronaca) è equiparato ad una forma di controllo generalizzato dell’azione amministrativa, precluso dalla legge, incidendo, si direbbe, di conseguenza direttamente sulla libertà di stampa (non è così, come si legge, o si vorrebbe leggere, nel proseguo della citata sentenza: l’agire è su piani diversi).
In generale, impedendo l’acquisizione diretta delle fonti documentali presenti nella P.A., l’attività d’inchiesta giornalistica (del giornalista e della sua testata) risente di un riscontro certo e documentato dell’informazione, venendo meno in parte alla sua funzione di interesse pubblico (oltre che di pluralità di fonti informative).
La Legge n. 69 del 1963, “Ordinamento della professione di giornalista”, all’articolo 2 “Diritti e dovere”, comma 1, stabilisce che “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”, e il Codice deontologico sul controllo e l’attendibilità delle fonti (ex art. 9 del Testo Unico dei doveri del giornalista) esprimono dei diritti e dei doveri insiti nel diritto di cronaca: da una parte, protetti dall’ordinamento e meritevoli di tutela (ex art. 21 Cost.), dall’altra, obblighi di verifica in funzione dell’esercizio corretto del diritto: privare il giornalista dalla visione e acquisizione (ricerca) delle fonti, si potrebbe affermare, è privare il diritto stesso di esercitare la professione (alias la libertà di stampa).
Tra i “principi fondamentali” della Costituzione, l’articolo 21 rientra tra le libertà a garanzia della persona umana, che oltre a soddisfare una esigenza individuale, adempie ad una funzione sociale, assicurando alla collettività il contributo del pensiero di ciascun cittadino ed il consentire la libera formazione della pubblica opinione che a sua volta, sotto un determinato profilo, si identifica con la volontà del corpo elettorale: la facoltà di informare (cd. libertà di informazione) trova esplicita e particolare formulazione nel cit. art. 2 della Legge n. 69/1963 che tutela “come diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica”[38].
In questo humus, la Costituzione mira quasi esclusivamente alla diffusione del pensiero a mezzo della stampa, e questo in assonanza della particolare sensibilità reattiva nei confronti del regime oppressivo nel quale la stampa era stata tenuta nel periodo prerepubblicano, a causa degli effetti politici dell’informazione giornalistica: “la preoccupazione del costituente si rileva attratta soprattutto dal settore della carta stampata (giornali e periodici), in ordine al quale si pone infatti il divieto generale di autorizzazioni o censure”[39].
Il diritto di informazione esercitato dal giornalista (e, in generale dalla stampa) è proclamato libero, rispondendo all’esigenza di un’efficace tutela dei diritti dei cittadini e del buon funzionamento dell’ordine democratico, che ricomprende una significativa conoscenza “da parte dei cittadini dei problemi politici e sociali in atto, nonché dei propositi e dell’azione dei pubblici poteri per risolverli”[40], sicché appare indispensabile garantire l’accesso alle fonti informative per coniugare effettivamente la libertà di stampa.
Tale libertà, in quanto “pietra angolare dell’ordine democratico”, o più generalmente in quanto “condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale”[41] adempie ad una funzione sociale a vantaggio dell’intera Comunità nazionale, curando di garantire, allo stesso tempo, una molteplicità dei mezzi di informazioni (pluralismo dell’informazione), anche sotto l’aspetto della proprietà (cd. situazione dominante).
Si può sostenere che la libertà di opinione, include la narrazione dei fatti e delle vicende che interessano l’opinione pubblica, con una dovuta attenzione a coloro che esercitano pubblici poteri: la cd. libertà di cronaca “corrispondente indifferentemente alla libertà di dare e divulgare notizie, opinioni, commenti” [42], e in tale quadro precettivo il giornalista è titolare di uno status (iscrizione all’albo) particolare rispetto agli altri titolari delle libertà di manifestazione e diffusione del pensiero.
I diritti e doveri “di informazione e di critica” impongono ai giornalisti di rispettare la verità sostanziale dei fatti e di rettificare le notizie che risultino inesatte, fornendo la prova della verità dei fatti denunciati che non può prescindere dall’acquisizione delle fonti informative, legittimando – nei rapporti con i pubblici poteri – un interesse qualificato all’accesso, strumentale all’esercizio della professione di giornalista; diversamente, i fatti rimarrebbero sconosciuti, salvo (si direbbe) indicare, da parte dell’ordinamento, uno sistema alternativo all’actio ad exhibendum dell’art. 22 della Legge n. 241/1990, efficace per visionare ed estrarre copia degli atti della pubblica amministrazione non coperti segreto.
5. Principio della domanda e libertà di stampa.
Il Consiglio, dopo una breve disamina introduttiva tiene a precisare (in “altri termini”), che l’istanza di accesso proposta in via amministrativa e la conseguente domanda giudiziale vanno valutate, per saggiare la legittimità del diniego (per silentium) opposto dall’Amministrazione intimata alla luce dell’invocato disposto normativo, senza poter prendere in considerazione la successiva evoluzione della disciplina normativa in materia di trasparenza delle pubbliche amministrazioni e, di conoscenza, dei relativi atti.
Inconferente, per la valutazione del caso, appare l’approdo normativo più recente, anche se il Collegio giudicante si sofferma sulla disciplina della “trasparenza” per precisare il diverso titolo legittimante e l’interesse, spingendosi a richiamare, anche, la disciplina comunitaria in materia di informazione.
Al di là di tali argomentazioni, il punto di equilibrio individuato ruota proprio sulla legittimazione richiesta dall’art. 22 della Legge n. 241/1990.
È necessario soffermarsi, allora, sui principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, delineando i confini dell’obbligo di pronunciarsi sui motivi del ricorso non potendo attribuire un bene della vita al di fuori delle previsioni normative, pur comprendendo le ragioni pratiche (sottese) del ricorso (l’esercizio dell’attività giornalistica), che comunque non trovano cittadinanza all’interno del diritto di accesso, anche qualora attivato dal giornalista.
Il giornalista, sembra di comprendere, non gode di una posizione privilegiata in grado di differenziarsi rispetto alla titolarità di un interesse meritevole di tutela dall’ordinamento, nemmeno l’art. 21 della Costituzione consente di incardinare, nella richiesta delle fonti necessarie per garantire un’informazione completa e trasparente (alias svolgere l’attività giornalistica), un vero diritto strumentale all’esercizio di una funzione pubblica: la libertà di stampa.
Attraverso la libertà di stampa si garantisce l’informazione e si consolida la democrazia.
Alla manifestazione del pensiero sono strettamente legati i mezzi per la sua diffusione, assegnando alla stampa un funzione primaria a presidio di ogni tirannia (o dittatura che si voglia): il diritto di cronaca si assolve attraverso una stampa libera, capace di acquisire (verificare) le fonti per un’informazione vera, completa e obiettiva, soprattutto se tali fonti sono detenute da una Pubblica Amministrazione e non è prevista alcuna forma di segretezza e/o di divieto espresso di divulgazione.
Il diritto di libertà della stampa è manifestazione e conseguenza del diritto positivo di manifestare liberamente il proprio pensiero e la stampa, in questo contesto costituzionale, adempie aduna funzione pubblica, contribuendo a conservare le libertà civili e sociali, già di per sé titolo idoneo a legittimare la richiesta; diversamente opinando, l’interesse ad agire dovrebbe essere rivisto, non dovrebbe più essere considerato come una posizione autonoma rispetto al documento richiesto in ostensione.
Il Collegio si sofferma su questi aspetti, e sulla ridefinizione, ad opera della dottrina e della giurisprudenza, della formula dell’art. 21 Cost., con il consolidamento dell’autonomia della libertà di informazione, in sé e rispetto alla libertà di opinione e di stampa, ma soprattutto la maturazione della differenza:
tra profilo attivo che si sostanzia nella libertà (positiva) d’informare, cioè di comunicare e diffondere idee e notizie;
profilo passivo che attiene ai destinatari dell’informazione, si specifica nella libertà di esser informati, ma come mero risvolto passivo della libertà d’informare, oltre che nella libertà di accedere alle informazioni.
Su quest’ultimo aspetto, l’attenzione s’è incentrata, anzitutto, sulle posizioni soggettive inerenti alla libertà di informarsi, con particolare riguardo:
sia all’interesse a ricevere le notizie in circolazione e non coperte da segreto o da riservatezza (aspetto che esula il giudizio pendente);
sia all’interesse a ricercare le notizie.
Ed è proprio l’interesse “a ricercare le notizie” che si gioca l’intera vicenda oggetto di gravame.
Viene ammesso, in relazione anche ai precedenti [43], l’esistenza di una stretta interdipendenza tra quell’interesse e l’attività giornalistica che presenta una posizione qualificata e differenziata degli organi di stampa circa la conoscenza del contenuto degli atti detenuti dalla P.A., ritenendo, in linea di principio, che non si può equiparare la posizione di una testata giornalistica o di un operatore della stampa a quella di un qualunque soggetto giuridico per quanto attiene al diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Nondimeno, affermano i precedenti, non è consentito dilatare l’ambito applicativo della normativa di tipo garantista, di cui all’art. 22 della Legge n. 241 del 199,0 nel caso in cui il numero dei documenti variamente chiesti in ostensione dal giornalista, nonché la genericità della richiesta avanzata alle Amministrazioni complessivamente coinvolte nella vicenda lasciano intravvedere un intento che si pone al di fuori della portata della norma, di cui al citato art. 22 cit., e cioè quello di esercitare un controllo generalizzato sull’attività della P.A.: ammettere in tal caso il diritto di accesso, infatti, equivarrebbe a introdurre una inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa.
Entro questi limiti, il diritto di cronaca viene in rilievo nella misura in cui è strumentale ad altra finalità (non quella diretta di una “situazione giuridicamente tutelata”): quella di reperire materiale documentale utile per un inchiesta giornalistica: posizione ritenuta non sufficientemente a legittimare l’istante.
L’appello viene respinto sulla base della non dimostrata sussistenza di una posizione legittimante, ai sensi e nei termini di cui alla Legge n. 241/1990.
Il diritto di accesso, ex art. 22 della Legge n. 241/1990, non è lo strumento idoneo per il giornalista (e per la sua testata) per acquisire le fonti di informazione presenti nella pubblica amministrazione.
6. Diritto di cronaca e acquisizione delle fonti.
A sostenere compiutamente la motivazione della sentenza si richiama, anche il nuovo approdo dell’ordinamento comunitario in subjecta materia circa una compiuta evoluzione verso una società dell’informazione e della conoscenza [44].
Inoltre, sostengono i giudici d’appello, pur ammettendo la relazione giuridica tra i giornalisti (chi informa) e i cittadini (chi viene informato) che depone per l’esistenza d’un diritto soggettivo in capo ai destinatari tale addirittura da condizionare la posizione di chi informa pure nei contenuti e nel risultato, ma questa particolare posizione legittimante inserita nel corpo dello stesso art. 21 Cost., non consegna il fondamento di un generale diritto di accesso alle fonti notiziali.
L’accesso alle fonti di informazioni viene definito, “al di là del concreto regime normativo che, di volta in volta e nell’equilibrio dei molteplici e talvolta non conciliabili interessi in gioco”, su un piano distinto rispetto al diritto di accesso, e trova i suoi riferimenti nelle discipline settoriali.
Occorre, si legge nella sentenza, “evitare ogni generalizzazione sul rapporto tra diritto d’accesso e libertà di informare. Il nesso di strumentalità tra le due figure, che pure esiste, … si sostanzia non già reputando il diritto di accesso qual presupposto necessario della libertà d’informare, ma nel suo esatto opposto. È il riconoscimento giuridico di questa che, in base alla concreta regolazione del primo, diviene il presupposto di fatto affinché si realizzi la libertà d’informarsi”.
La libertà di informare (quella del giornalista) viene messa in secondo piano rispetto al diritto generale di essere informati (diritto di accesso): solo se il diritto di accesso viene esercitato nei limiti previsti dalla norma (che vieta un controllo generalizzato all’attività della P.A.) si può realizzare concretamente e lecitamente il diritto di essere informati (che è cosa diversa dalla libertà di informare).
Nel merito, appare di capire, che l’acquisizione dei contratti in derivati (peraltro, una limitata serie di documenti), oggetto di inchiesta parlamentare (in corso), pur rivestendo il requisito dell’attualità e dell’interesse sociale, oltre agli effetti sulla spesa pubblica, per gli effetti prodotti sulla collettività, non è titolo di per sé legittimante per esercitare il diritto di accesso da parte di un giornalista (e della sua testata giornalistica), tenendo presente che l’Amministrazione resistente non ha dato riscontro all’istanza se non in sede giurisdizionale.
L’opzione interpretativa deve essere convincente, comprendere le condizione (cd. termsheet) che regolano i “contratti in derivati” (in ambito pubblico per contenere il debito) assume una forte valenza di interesse pubblico, ancor più quando gli eventuali effetti negativi tracimano direttamente sui contribuenti e sulla spesa pubblica.
Considerare che la posizione di giornalista ed il possibile interesse dei potenziali lettori ad una maggiore informazione sul tema (visto che incide anche indirettamente sul debito pubblico, sulla capacità contributiva in relazione ai scaglioni di reddito prodotto dal singolo) non appaiono elementi sufficienti a fondare una posizione di legittimazione, qualificata all’accesso ai documenti, non risulta chiaramente comprensibile ai più.
Se effettivamente la divulgazione di tali contratti avrebbe avuto riflessi pregiudizievoli sulle attività in derivati, determinando uno svantaggio competitivo dello Stato nei riguardi del mercato, con ripercussioni negative sull’intera gestione del debito pubblico, allora perché non è stato invocata una specifica disciplina di tutela del superiore interesse dello Stato (al divieto di divulgazione delle informazioni), ai sensi per es. dell’art. 24 della Legge n. 241/1990; evitando di ingenerare dubbi e perplessità (ed è questa probabilmente la ragione della richiesta) in considerazione, anche, della spiccata aleatorietà delle negoziazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari (derivati), utilizzabili dallo Stato per il raggiungimento di finalità di carattere pubblico e, dunque, di generale interesse per la collettività (?) [45].
Di converso, può ritenersi comprensibili le osservazioni posto sulle estreme conseguenze che potrebbero comportare un accesso, in assenza di specifiche fattispecie normative coperte da segreto o riservatezza, obbligando la P.A. ad esibire indiscriminatamente la documentazione che il giornalista mira a visionare sulla base dell’argomento, di volta in volta, da lui liberamente prescelto come di proprio interesse: siffatta pretesa non trova alcun fondamento nel sistema delineato dagli artt. 22 e ss. della Legge n. 241 del 1990 [46].
Non si deve trascurare, direbbero molti, che spetta all’interprete il compito, certamente non facile, di ricondurre la materia ad unità, applicando tutti i criteri ermeneutici al fine di individuare la ratio della norma nel complesso normativo di riferimento e, quindi, la sua esatta portata precettiva e il suo preciso ambito applicativo, tutt’altro che scontato in presenza di una produzione normativa in continua evoluzione, assestata – come risulta dagli atti parlamentari di riforma (ex Legge n. 124/2015) – nell’allargare ed estendere i confini dell’accesso delle informazioni, dei dati e dei documenti in assenza di limiti espressi dalla legge.
Per altri versi, è noto che i contratti derivati sono strumenti finanziari che servono a gestire l’esposizione ai c.d. “rischi di mercato” assunti da un ente pubblico nell’ambito della propria operatività [47]; vi è stato un progressivo emergere di situazioni potenzialmente dannose per le P.A., con più interventi legislativi per definire – in modo più puntuale – le caratteristiche che debbono presentare i derivati finanziari, con oneri informativi e di controllo stringenti, e non sono mancate condanne erariali per la sottoscrizione di derivati [48].
Volendo cogliere delle sfumature, le argomentazioni motivazionali sono sottili, riconoscere una posizione qualificata in capo agli organi di stampa (giornalisti compresi) rispetto a qualunque soggetto giuridico e negare l’accesso alle fonti detenute dalla P.A., specie quando il contenuto impinge l’utilizzo di risorse pubbliche la cui applicazione può comportare gravi perdite economiche in pregiudizio dell’Erario, oltre a essere l’argomento oggetto di indagine parlamentare, rilevando per ciò stesso l’interesse pubblico prevalente, appare poco persuasivo ove si consideri che il procedimento azionato viene equiparato ad un controllo generalizzato sull’attività della pubblica amministrazione e per questo precluso.
Con le stesse argomentazioni, si potrebbe sostenere lecitamente la legittimazione del ricorrente, proprio in ragione dell’interesse pubblico prevalente alla conoscenza concreta dell’utilizzo delle risorse pubbliche e alle modalità di redazione delle condizioni negoziali per le ricadute dirette sui cittadini (lettori e contribuenti), oltre ovviamente alla qualifica rivestita dal richiedente nell’espletamento di una funzione meritevole di tutela, prevista dall’ordinamento all’art. 21 Cost., a fronte della condotta silente dell’Amministrazione resistente e delle argomentazioni poste a difesa (solo in sede giurisdizionale).
7. La massima.
La sentenza del 12 agosto 2016, n. 3631, della sezione quarta del Consiglio di Stato, ripete, prima di passare in analisi le diverse tipologie di accesso, i propri precedenti a sostegno dell’assenza di una legittimazione in capo al giornalista in grado di dilatare l’ambito applicativo della normativa garantistica del diritto di accesso (ex art. 22 della Legge n. 241), pur ammettendo (è pur vero), in linea di principio, la non equiparare della posizione di una testata giornalistica o di un operatore della stampa a quella di un qualunque soggetto giuridico per quanto attiene al diritto di accesso ai documenti amministrativi.
La massima viene contenuta nei seguenti principi: non “v’è un diniego generale al diritto di accesso alle fonti per l’informazione, né che il diritto ad essere informati si esaurisca nella libertà d’informarsi come mero risvolto fattuale della libertà d’informare… va condotta un’indagine circa la consistenza della situazione legittimante all’accesso e che la relativa valutazione va articolata a seconda della disciplina normativa di riferimento, che varia in significative parti sia con riguardo ai caratteri della posizione legittimante (l’interesse “diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata” di cui alla legge n. 241), sia dei vari presidi che la legge pone verso l’accesso generalizzato (non collegato, cioè, ad un interesse qualificato e differenziato o comunque volto a un controllo diffuso sull’attività dei pubblici poteri)”.
In definitiva, è necessario dimostrare un interesse qualificato per il giornalista che intenda utilizzare le fonti della P.A., dimostrare cioè l’incisione diretta degli atti nella propria sfera giuridica, e non semplicemente il diritto di poter informare (ossia, esercitare la professione giornalistica) visto che tale azione si trasformerebbe in un ingiusto controllo generalizzato dell’attività della pubblica amministrazione, valutando, semmai, se tale esercizio di tutela non sia effettivamente azionabile con altri rimedi offerti dall’ordinamento (per es. il cd. accesso civico).
Chiarezza espositiva e ragioni logico – sistematiche suggeriscono, pertanto, di rammentare che il giornalista per esercitare liberamente e legittimamente il diritto di cronaca e di critica giornalistica, entrambi espressione della libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21 della Cost., devono sottostare ad alcuni presupposti costituiti dall’interesse del pubblico alla conoscenza della notizia, dalla correttezza della esposizione dei fatti e dalla necessaria corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti (nel senso che deve essere assicurata la oggettiva verità del racconto) [49].
Il valore informativo è condizionato, in ogni caso, dal rispetto della verità della notizia nel suo nucleo essenziale, e anche volendo aggiungere valutazioni critiche dei fatti stessi, per rimanere nei limiti della liceità, devono trarre spunto dalla realtà oggettiva e, dunque, da fatti realmente accaduti, significando che l’acquisizione delle fonti assume un’importanza vitale e centrale all’assolvimento della funzione di interesse pubblico: la notizia che merita di essere pubblicata deve soddisfare l’interesse della collettività all’informazione indirettamente protetto dall’art. 21 Cost. [50].
Non pare superfluo aggiungere, per ciò che interessa, che in tema di diffamazione a mezzo stampa, il requisito della verità della notizia riportata, necessario ai fini della operatività della esimente prevista dall’art. 51 cod. pen., non è soddisfatto nel caso in cui il giornalista faccia riferimento ad una “vox populi”, perché questa, in considerazione della sua intrinseca vaghezza e del suo insuperabile carattere impersonale, non può ragionevolmente costituire una fonte da usare legittimamente nell’esercizio del diritto/dovere di informare [51].
A tale riguardo non deve ignorarsi che la legittimazione all’acquisizione degli atti – fonte assicura l’attendibilità e la verità dell’informazione che non viene affatto accordata al quisque de populo ma ad un soggetto che vanta un interesse qualificato alla corretta informazione, non meramente esplorativo e/o per un controllo generalizzato sull’attività della P.A.; seppure, va inciso, di riflesso che lo scopo dell’informazione è rendere conoscibile tutta l’attività della P.A. in presenza di un’utilità pubblica: il venir meno dell’interesse pubblico affievolisce la notizia, mentre il diritto di cronaca è rivolto a trasmettere informazioni concernenti fatti attuali di pubblico interesse.
8. Molteplicità di diritti di accesso e gradi di legittimazione.
A completare l’ultimo passaggio argomentativo, il Consiglio analizza il versante dei rapporti con i pubblici poteri, rilevando che il legislatore non sconta limiti generali nel prevedere in favore dei cittadini una serie, più o meno ampia, di diritti ad essere informati, come avviene, per esempio, con le regole di pubblicità ex art. 29 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Il processo legislativo in materia di accessibilità si è sempre più evoluto alle esigenze di trasparenza dell’azione pubblica, configurando diverse forme di accesso “più che a guisa di un unico e globale diritto soggettivo di accesso agli atti e documenti in possesso dei pubblici poteri, come un insieme di sistemi di garanzia per la trasparenza, tra loro diversificati pur con inevitabili sovrapposizioni”.
Tale estensione di trasparenza si è atteggiata in forme diverse di legittimazione “soggettiva, a seconda della più o meno diretta strumentalità della conoscenza, incorporata negli atti e documenti oggetto d’accesso, rispetto ad un interesse protetto e differenziato, diverso dalla mera curiosità del dato, di colui che esprime sì il bisogno di accedere, ma con le modalità previste dalla specifica disciplina normativa invocata”.
La sentenza passa all’elencazione dei diversi sistemi di accesso (con conseguenti diversi sistemi di legittimazione e grado di trasparenza).
Nel sistema della Legge n. 241/1990 (che il Collegio, ribadisce, costituisce il parametro normativo di riferimento nel caso di specie) l’accesso varia ed è, in ogni caso, legato ad una posizione legittimante:
partecipazione al procedimento (art. 7, comma 1; art. 8, comma 2, lett. b); art. 10, lett. a) della Legge n. 241/1990);
processo amministrativo già in atto (ex 116, comma 2, c.p.a.) [52];
l’accesso riguardi documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (ex 24, comma 7).
Tale disamina impone di affermare che nella disciplina della Legge n. 241/1990 l’accesso non è connotato da caratteri di assolutezza e soggiace, oltre che ai limiti di cui all’art. 24 legge cit., alla rigorosa disamina della posizione legittimante del richiedente, il quale deve dimostrare un proprio e personale interesse (non di terzi, non della collettività indifferenziata) a conoscere gli atti e i documenti richiesti: il diritto di cronaca è presupposto fattuale del diritto ad esser informati ma non è di per sé solo la posizione che legittima l’appellante all’accesso invocato, ai sensi della Legge n. 241/1990.
Anche la disciplina comunitaria (la c.d. “società dell’informazione”) [53] non esclude, nei ben noti ed ovvi limiti di ragionevolezza e proporzionalità, regimi nazionali che possano delimitare l’accesso anche con riferimento alla titolarità di una posizione legittimante.
I presupposti del c.d. “accesso civico” (ex art. 5 del D.Lgs. n. 33/2013, anche nel testo previgente alla novella del 2016, ex D.Lgs. n. 97) presuppongono la sussistenza di un obbligo di pubblicazione [54], e svincola il diritto di accesso da una posizione legittimante differenziata e, al contempo, sottopone l’accesso ai limiti previsti dall’articolo 5 bis.
9. Considerazioni prospettiche.
Il diritto di “rendere conto” [55] è stato oggetto di apposito parere del Consiglio di Stato in relazione alle modifiche del D.Lgs. n. 33/2013[56], ove si affermavo che sin dai tempi della prima attuazione della Legge n. 241 del 1990, la “trasparenza” si presentava come un “valore-chiave”, capace di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa.
La trasparenza, concetto allargato rispetto al diritto di accesso e non inclusivo, si coniuga con un esteso concetto di pubblicità, ove l’accesso totale ai dati, alle informazioni e ai documenti viene assolto con le pubblicazione on line nei siti istituzionali delle Amministrazioni (e di chi esercita una funzione pubblica), obbligando le stesse ad oneri aggiuntivi di pubblicità rispetto alle previsioni di legge (vedi, ultima versione del riscritto D.Lgs. n. 33/2013, a seguito del D.Lgs. n. 97/2016).
Il valore della “trasparenza”, si legge nel parere, risulta un valore immanente all’ordinamento, “modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri”, parametro cui commisurare l’azione delle figure soggettive pubbliche, chiarendo che se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come “causa” dell’atto (e del potere) amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione dove la partecipazione è estesa a tutta comunità degli amministrati.
Occorre, si sottolineava nel parere, anche “rendere visibile” il modo di formazione dell’interesse medesimo, il cd. processo decisionale (la motivazione, ex art. 3 della Legge n. 241/1990), i soggetti convolti, le fasi procedimentali.
Accanto a tale onere partecipativo, si aggiungeva la necessità di “rendere conoscibili” i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate. Ciò al fine di realizzare l’aspirazione a una democrazia intesa come “regime del potere visibile” (secondo la definizione di Norberto Bobbio)”[57].
La “trasparenza”, in questo contesto ordinamentale, può manifestarsi sotto diversi coni visuali, come è stato enunciato nella sentenza, ma il diritto di accesso non può ritenersi escluso da queste coordinate normative al punto da limitare la conoscenza di documenti necessari all’esercizio di una professione che della trasparenza ha fatto un suo valore fondante.
Garantire l’accesso ad un soggetto qualificato per ragioni di pubblico interesse, quale la gestione e l’utilizzo delle risorse pubbliche, imporrebbe una diversa lettura delle norme secondo il cd. diritto vivente, un’evoluzione incidente sulle tecniche decisorie, in una lettura costituzionalmente orientata.
Sostenere che attraverso il diritto di accesso non si può acquisire la documentazione, per effettuare un’indagine giornalistica, in quanto si verrebbe ad effettuare un controllo generalizzato sull’attività della pubblica amministrazione e non sussisterebbe l’interesse qualificato, appare quando mai controverso se il ruolo proprio del giornalista è quello di svolgere una funzione pubblica di informazione, completa, attendibile e certa: un cd. diritto civico che dovrebbe corrispondere al dovere della P.A. di porre a disposizione della collettività dei beni dei quali tutti possano godere indistintamente (rectius le informazioni), senza che possa frapporsi alcun ostacolo a tale diritto (succedaneo all’acquisizione delle fonti).
La tesi in esame desta perplessità, in quanto equipara l’attività giornalistica nell’ambito di una sorta di azione popolare nella pretesa generale a che la P.A. osservi un dovere, anch’esso generale, di comportarsi correttamente, inibendo in concreto la legittimazione a ricorrere, devolvendo la portata e la consistenza ad un cd. interesse “di fatto”, riconducendo l’interesse a ricorrere nella sfera del giuridicamente irrilevante.
È insito nella funzione di informazione il diritto di accesso alle fonti, in considerazione della strumentalità della conoscenza rispetto alla divulgazione: sarebbe “contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, oltre che al comune buon senso, la pretesa di equiparare la posizione della testata giornalistica, per quanto attiene il diritto all’accesso, al quisque de populo e negarle, di conseguenza, la titolarità di una posizione differenziata e qualificata alla conoscenza di atti – non riservati – che possano interessare i propri lettori”[58].
Fondamentale sarebbe rileggere il quadro d’insieme, proprio alla luce della società dell’informazione, e considerare, senza alcuna esitazione, il giornalista un soggetto qualificato che acquisisce le fonti non solo perché è titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, ma perché l’autonomia dell’interesse sotteso è collegato all’esercizio di una determinata attività (quella giornalistica) di – prevalente – pubblico interesse che può esistere in quando espressione di una libertà di essere informati, coincidente con il diritto di accesso, avente medesima copertura e inquadramento costituzionale, ex art. 21 Cost., con il diritto pieno (il bene della vita) di consultare le fonti pubbliche.
Non può negarsi, come ha sostenuto la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi [59], che il diritto di cronaca è di rango costituzionale perlomeno pari a quello del diritto alla riservatezza, e di ciò è ben consapevole il legislatore, si annota, che ha previsto che le disposizioni relative al consenso dell’interessato e all’autorizzazione del Garante non si applicano quando il trattamento dei dati è effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, valorizzando la consapevolezza che il diritto di accesso possa essere azionato in via strumentale rispetto al (futuro) esercizio del diritto di cronaca.
In assenza delle fonti informative è quanto mai improbabile dimostrare il fatto (secondo le regole e i principi della professione giornalistica), l’interesse diretto, concreto e attuale non può corrispondere ad un’azione popolare di controllo generalizzato dell’attività della pubblica amministrazione, ma si collega all’esercizio di una funzione pubblica che non può prescindere dalle fonti d’indagine, che – in quanto pubbliche – dovrebbero essere tendenzialmente tutte accessibili al giornalista, salvo espressa preclusione di legge.
Non pare inutile ricordare che il legittimo esercizio del diritto di cronaca è condizionato dall’esistenza dei seguenti presupposti:
la verità oggettiva della notizia pubblicata;
l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza);
la correttezza formale dell’esposizione (c.d. continenza) [60].
Il giornalista ha l’obbligo di controllare l’attendibilità della fonte informativa a meno che non provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria [61], dovendo esaminare e controllare attentamente la notizia in modo da superare ogni dubbio, non essendo sufficiente, in proposito, l’affidamento in buona fede sulla fonte informativa [62].
Non appare dirimente sostenere che si tratta di un controllo generalizzato dell’attività della P.A., ovvero un uso “strumentalizzato” di tale diritto o la sua trasformazione in un potere esplorativo nei confronti della pubblica amministrazione, dovendo ribadire, semmai, che lo scopo dell’accesso è proprio quello di esercitare la funzione tipica del giornalistica, funzione che viene esercitata solo a seguito di un’apposita iscrizione all’albo (garanzia di esercizio legale della professione e dei conseguenti obblighi normativi e deontologici).
Tale posizione, potrebbe già essere stata confermato anche da una rilettura attualizzata dall’art. 2 del primo regolamento attuativo della legge – approvato con D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 – che circoscrive il diritto di accesso esclusivamente a chi intenda difendere una situazione di cui è portatore (l’esercizio del diritto di cronaca), qualificata dall’ordinamento come meritevole di tutela (ex art. 21 Cost.), non potendo (in questa linea di pensiero) assimilare l’interesse del giornalista al generico e indistinto interesse di ogni cittadino alla legalità o al buon andamento della attività amministrativa (pur con le distinzioni effettuate dal Consiglio) [63].
Il giornalista dovendo assolvere, in relazione al proprio status, una funzione pubblica generale di informazione dovrebbe vantare di una legittimazione (maggiore) all’acquisizione delle fonti, se presenti all’interno di atti e/o procedimenti amministrativi, finalizzata al dovere di informazione sul corretto e regolare svolgimento di un altro soggetto che esercita una funzione pubblica (istituzionalmente assegnata ad ogni Pubblica Amministrazione, il cd. principio di legalità, ex art. 97 Cost.).
La stampa quotidiana, al pari della radiotelevisiva o di quella on line, è certo un servizio pubblico essenziale e tutti devono essere posti nelle condizioni i poterne usare: questo significa che la norma costituzionale dell’art. 21 “correlativamente garantisce anche la più vasta partecipazione popolare alla nascita dell’informazione, in tutti i suoi aspetti: dalla libertà di parola, di riunione e di associazione, alla libertà della stampa, dell’emittenza radiotelevisiva, degli spettacoli”[ 64].
Potrebbe così ammettersi che in capo al giornalista sussista una rappresentanza in funzione inclusiva di “interessi pubblici o diffusi”, a sostegno delle esigenze della collettività di essere informata o, più in generale, della libertà di stampa.
Su tale prospettazione e rappresentatività, corre l’obbligo di segnalare che nel versante passivo degli elettori, rispetto al diritto pieno di informare del giornalista (lato attivo), siamo in presenza, invece, “di un mero interesse, genericamente inteso: con la sola eccezione di quei diritti ad essere informati, che siano riconosciuti o presupposti da particolari norme costituzionali (per esempio in tema di garanzie della salute)” [65], confermando che in presenza di un collegamento alla tutela di un diritto costituzionalmente definito – la capacità contributiva del singolo concorre “alle spese pubbliche” – (ex art. 53, comma 1, Cost.), anche l’opinione pubblica acquista un diritto pieno ad essere informata, assumendo un interesse qualificato e non generico.
Non è allora irrilevante, per assicurare un diritto costituzionalmente protetto, garantire l’accesso ai contratti in derivati se tale accesso consente di dispiegare appieno il diritto di essere informati: un utile comparazione sul piano sostanziale idonea ad evitare il rischio di soluzioni precostituite poggianti su una astratta scala gerarchica dei diritti in contesa, tenendo conto delle specifiche circostanze di fatto destinate a connotare il caso concreto di grande interesse pubblico, in un contesto, quello attuale, di forte debito pubblico.
In tale prospettiva, l’interesse fatto valere dal giornalista è specifico e non generico, identificandosi con quello proprio delle categoria rappresentata, dimostrando (per ciò stesso) un collegamento diretto tra il richiedente e il documento, in assenza del quale l’informazione non è completa e il diritto verrebbe limitato, se non svanito.
Le considerazioni che precedono impongono che la P.A., nel corretto agire pubblico e nei doveri di leale collaborazione con i cittadini, deve porsi nella condizioni di rispondere a tutte le istanze, secondo il regime generale dell’articolo 2 della Legge n. 241/1990.
Nello specifico del diritto di accesso (ex art. 22 della Legge n. 241/1990) collegato alla trasparenza, del novellato D.Lgs. n. 33/2013, la P.A. dovrebbe in concreto valutare l’inquadramento della singola istanza, avendo cura di orientare, anche normativamente, le richieste alle esigenze sostanziali della parte, che anela a soddisfare il bene della vita alla base dell’interesse ad agire, piuttosto che assumere comportamenti limitativi del diritto.
Un onere di buona amministrazione vorrebbe che la P.A. rispondesse a tutte le istanze senza rimanere silente e garantire un istruttoria completa, valutando concretamente la posizione del richiedente, anche per le peculiarità della posizione legittimante; specie quando la richiesta avviene da un soggetto giuridicamente qualificato che esercita una funzione pubblica tutelata a livello costituzionale (il diritto di cronaca, ex art. 21 Cost.), coincidente, almeno a livello astratto, con l’Amministrazione pubblica nel perseguimento del bene comune (ex art. 97 Cost.) in modo imparziale e trasparente: l’informazione e l’essere informati non può prescindere dalla valutazione e dall’accesso alle fonti, soprattutto se pubbliche.
Desta, in definitiva, non poche perplessità equiparare la richiesta di accesso del giornalista, nell’ambito del procedimento amministrativo, di cui all’art. 22 della Legge n. 241, ad una sorta di azione popolare che si sostanzierebbe in una pretesa generalizzata di controllo dell’attività amministrativa, invece di concretizzarsi, per le ragioni esposte, in una posizione legittimante in modo tale che lo stesso abbia un interesse differenziato e qualificato che gli consenta di far valere in concreto il bene della vita, di carattere sostanziale, che vuole conseguire, leso dall’inerzia dell’Amministrazione.
L’acquisizione delle fonti è collegata al soddisfacimento di un’utilità vantata dal giornalista, funzionale all’interesse pubblico ad essere informati, differenziandosi dall’interesse del quisque de populo: il potere amministrativo attribuito, dalla disciplina normativa dell’accesso, alla pubblica amministrazione persegue il medesimo soddisfacimento: quello dell’interesse pubblico ad informare.
L’insieme postula che l’eventuale potere esercitato (non esercitato nel caso di specie) di consentire l’accesso alla documentazione richiesta (contratti in derivati) per garantire l’esercizio della professione di giornalista, il cui scopo è quello di informare l’opinione pubblica, troverebbe profili di coerenza e legittimità con l’impianto normativo vigente, impianto proiettato all’estensione del diritto di accesso riferito all’intera organizzazione e attività della pubblica amministrazione, con sempre più attenzione sui strumenti e le azioni per ridurre il debito pubblico (caso di specie).
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[1] Nella nozione di “situazione giuridicamente tutelata” rientrano sicuramente diritti soggettivi, interessi legittimi ed interessi collettivi, SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, Torino, 2016, pag. 358.
[2] Cons. Stato, sez. V, 20 gennaio 2015, n. 166.
[3] Secondo il Ministro della Funzione Pubblica “con l’introduzione del Foia… ogni cittadino potrà richiedere alla pubblica amministrazione dati e documenti a prescindere da un interesse specifico. Introduciamo quindi una novità straordinaria, certamente sul piano normativo, ma soprattutto sul piano culturale perché si riconosce per la prima volta ai cittadini il “diritto di sapere””, Comunicato 1 aprile 2016, pubblicato sul sito istituzionale della FP (funzionepubblica.gov.it/articolo/ministro/01-04-2016/foia-la-mia-risposta-a-lespresso).
[4] La “trasparenza”, insieme alla responsabilità e all’efficienza amministrativa, si configura come elemento chiave di prevenzione di fenomeni patologici, sino a quelli, particolarmente gravi, della corruzione, GIAMPAOLINO, Il problema economico richiede una nuova coscienza sociale: è possibile far quadrare i conti?, intervento del Presidente della Corte dei Conti, Verona, 14 settembre 2012.
[5] Visivamente, “dove un superiore, pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro”, TURATI, in atti del Parlamento Italiano, Camera dei Deputati, sessione 1904 – 1908, 17 giugno 1908, 22962.
[6] L’art. 3 “Accesso all’informazione ambientale su richiesta” del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 195 (di recepimento della Convenzione di Aarhus) dispone l’accesso alle informazione ambientale detenute dalla P.A. a “chiunque” ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse.
[7] Non può sostenersi, in quanto inesigibile a carico dell’istante, un onere di specificazione degli estremi di protocollo e data degli atti richiesti in ostensione, essendo solo necessario porre l’Amministrazione nelle condizioni di comprendere l’ambito della richiesta, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 13 aprile 2016, n. 1793.
[8] Si rinvia, per una lettura articolata, LUCCA, Il d.lgs. n. 33/2013 dopo la riforma Madia, Comuni d’Italia, 2016, n.3/4.
[9] È illegittimo il divieto di estrarre copia e la limitazione dell’accesso alla sola visione degli atti, che spesso non è sufficiente a consentire la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi, T.A.R. Piemonte, sez. II, 29 agosto 2014, n. 1458; mentre, in caso di richiesta della sola visione non è praticabile di subordinare il suo accoglimento al rimborso dei “diritti di ricerca e visura”, Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 14 aprile 2015, n. 1900.
[10] In ogni caso, l’accesso tradizionale continua ad operare con i propri diversi presupposti e disciplina, ma la circostanza che un soggetto possa essere titolare di una posizione differenziata tale da essere tutelata con tale tipologia di accesso, non impedisce certo al medesimo soggetto di avvalersi dell’accesso civico, qualora ne ricorrano i presupposti, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 13 aprile 2016, n. 1793.
[11] Il diritto di accesso ai documenti si atteggia a “diritto fondamentale di difesa”, poiché laddove sia negata la conoscenza della documentazione, il diritto di difesa perde di effettività. Tale diritto di difesa prevale sulla riservatezza dei terzi e, in base al combinato disposto degli artt. 24 della Legge n. 241 del 1990 e 60 del D.Lgs. n. 196 del 2003, quando l’accesso sia strumentale alla tutela di propri interessi in giudizio, l’accesso può essere negato solo in presenza dei cd. dati supersensibili (stato di salute o vita sessuale); in tutti gli altri casi, a meno che non si rientri nei casi di documenti sottratti ab origine all’accesso, l’accesso deve essere consentito, Cons. Stato, sez. V, 27 novembre 2015, n. 5378.
[12] Cfr., sulla natura di diritto soggettivo o interesse legittimo, Cons. Stato, Adunanza Plenaria, nn. 4 e 16/1999, 6 e 7/2006, 7/2012. La tesi del diritto di accesso, quale diritto soggettivo, è legata alla sua rilevanza costituzionale (ex art. 21, Parte I, “Diritti e doveri dei cittadini”, Titolo I, “Rapporti civili”) emanazione della libertà di informazione, nonché, dopo le modifiche seguite dalla Legge n. 15/2005, rientrante tra i principi generali dell’ordinamento inerente i cd. LEP (livelli essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale). Cfr. il comma 35, dell’articolo 1 della Legge n. 190/2012 e l’articolo 11 della Legge n. 150/2009.
[13] T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 4 marzo 2015, n. 360.
[14] Le pubblicazioni obbligatorie e gli oneri di trasparenza assumono “i contorni di un nuovo diritto di cittadinanza: l’accessibilità totale e gli open data costituiscono la moderna frontiera della democrazia partecipativa in cui i cittadini sono chiamati ad interagire con le istituzioni in maniera consapevole e responsabile”, ANAC, Atto di segnalazione n. 1 del 2 marzo 2016. Decreto legislativo di cui all’art.7 della legge n.124 del 2015, approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 gennaio 2016.
[15] Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2010, n. 1067.
[16] Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55.
[17] T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 16 aprile 2014, n. 158.
[18] T.A.R. Sardegna, sez. II, 4 settembre 2014, n. 1010.
[19] Cons. Stato, sez. VI, sentenza n.5481/2011.
[20] T.A.R. Lazio, Roma, sez. I bis, 28 agosto 2013, n. 7991. Vedi, a commento della sentenza, BIANCARDI, Associazioni di consumatori e utenti: accesso limitato, La settimana degli enti locali, 8 ottobre 2013, pag. 9.
[21] T.A.R. Lazio, sez. II ter, 14 marzo 2011, n. 2260.
[22] Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2004 n. 127.
[23] È stato affermato che se la rappresentatività degli interessi degli utenti di pubblici servizi legittima associazioni portatori di interessi diffusi o collettivi ad impugnare il provvedimento di archiviazione adottato dall’Autorità antitrust in seno al procedimento avviato su segnalazione avente ad oggetto pretesi accordi tra alcuni gestori di telefonia mobile, Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3751; tuttavia, non le consente di ottenere l’esibizione degli atti della Rai relativi ad una trasmissione televisiva (T.A.R. Lazio, sez. III ter, 9 febbraio 2012, n. 1292) in quanto la titolarità degli interessi diffusi dei consumatori e degli utenti non giustifica “un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza di tutti i documenti riferiti all’attività del gestore del servizio e non collegati alla prestazione dei servizi all’utenza”.
[24] È legittima l’esclusione dall’ambito del diritto di accesso delle Associazioni di consumatori e utenti degli atti di organizzazione interna di un gestore di pubblici servizi – volti a definire le competenze dei propri organi, centrale e periferici – in quanto altrimenti si consentirebbe ad esse un generale potere di controllo sull’attività amministrativa privo di qualsiasi supporto normativo ed un’indebita interferenza in ambiti nei quali, ratione materiae, non ha alcun titolo per intervenire, T.A.R. Lazio, sez. III quater, 24 novembre 2011, n. 9237. In tale ottica vanno esclusi anche gli atti relativi all’attività strumentale di una P.A. in quanto non direttamente ed immediatamente connessi alle prestazioni di servizio pubblico da questa rese.
[25] È stato riconosciuto a dette associazioni il diritto di accedere a tutti i documenti formati, utilizzati o detenuti dal gestore del servizio, ma solo a condizione che questi siano connessi in modo qualificato con lo svolgimento dell’attività di servizio pubblico. In tale ottica è stato riconosciuto il diritto del Codacons ad accedere a documentazione di Ferrovie dello Stato s.p.a. attinente alla sicurezza del trasporto ferroviario, Cons. Stato, sez. VI, n. 1683/98; alla documentazione di una s.p.a. relativa alla promozione di iniziative culturali aperte alla fruizione pubblica, T.A.R. Lazio, sez. II quater, 7 gennaio 2011, n. 1165; alla documentazione relativa alla manutenzione di apparecchi autovelox il cui malfunzionamento aveva determinato l’irrogazione di “multe pazze”, T.A.R. Lazio, sez. II, 2 settembre 2010, n. 32099.
[26] Cfr., C.G.A., sez. giurisdizionale, 24 ottobre 2011, n. 700; Cons. Stato, sez. IV, n. 6899 del 2010.
[27] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1492; sez. V, 26 febbraio 2010 n. 1150, ove si è affermato l’applicabilità del principio di leale collaborazione ai rapporti relativi ad istanze di accesso agli atti della pubblica amministrazione.
[28] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 22 aprile 1999, n. 4.
[29] Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2014, n. 1768.
[30] ABRUZZO, I principi deontologici della legge ordinistica, in La deontologia del giornalista a cura di PARTIPILO, Roma, 2009, pag. 58, ove si conclude affermando che il “giornalismo è informazione critica legata all’attualità”.
[31] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 26 novembre 2015, n. 13250.
[32] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1586 e 29 febbraio 2008, n. 793.
[33] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 marzo 2015, n. 1370 e Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6.
[34] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 26 novembre 2015, n. 13250.
[35] La nozione “situazione giuridicamente rilevante” precedente rispetto all’attuale era diversa e più estesa rispetto all’interesse all’impugnativa e non presupponeva necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2010, n. 5173.
[36] Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1492.
[37] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 24 aprile 2012, n. 7.
[38] SPAGNA MUSSO, Diritto costituzionale, Padova, 1986, pag. 327.
[39] BERTI, Interpretazione costituzionale, Padova, 1987, pag. 370.
[40] DI CELSO – SALERNO, Manuale di diritto costituzionale, Padova, 2007, pag. 189.
[41] Cfr. Corte Cost., sentt. 19 febbraio 1965, n. 9, e 17 aprile 1969, n. 84.
[42] Corte Cost., 15 giugno 1972, n.105.
[43] Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 1996 n. 570 e 22 settembre 2014, n. 4748.
[44] Cfr. Direttiva 2003/98/CE del 17 novembre 2003, relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico.
[45] Corte Cost., 18 febbraio 2010, n. 52.
[46] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 26 novembre 2015, n. 13250.
[47] Cfr. Corte Conti, sez. regionale controllo Lombardia, deliberazione 28 luglio 2014, n. 222 e deliberazione 26 ottobre 2007, n. 596.
[48] Corte Conti, sez. III Centrale Giurisdizionale, 18 maggio 2012, n. 364.
[49] Trib. Roma, sez. I, 19 giugno 2013.
[50] Cass. pen., sez. V, 6 ottobre 2015, n. 6911.
[51] Cass. pen. sez. V, 11 febbraio 2014, n. 21840.
[52] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 14 marzo 2013, n. 1533.
[53] Vedi, il considerando n. 2 della Direttiva 2003/98/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003, relativa al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, “L’evoluzione verso la società dell’informazione e della conoscenza incide sulla vita di ogni cittadino della Comunità, consentendogli, tra l’altro, di ottenere nuove vie di accesso alle conoscenze e di acquisizione delle stesse”.
[54] Cons. Stato, sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515.
[55] Cfr. l’articolo 15 della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino (26 agosto 1789): “La società ha il diritto di chieder conto a ogni agente pubblico della sua amministrazione. l’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”, e l’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
[56] Cons. Stato, sez. Consultiva per gli Atti Normativi, parere 24 febbraio 2016, n. 515.
[57] Cons. Stato, sez. Consultiva per gli Atti Normativi, parere 24 febbraio 2016, n. 515.
[58] Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 1996, n. 570, idem T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 7 ottobre 1996, n. 315.
[59] Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, Parere deliberato dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi in data 27 febbraio 2003, su quesito posto dal comune di Fino Mornasco. Nell’articolato parere, si conferma che nell’istruttoria, riferita alla richiesta di accesso, si dovrà accertare in primo luogo la sussistenza del requisito “dell’utilità sociale dell’informazione alla quale, per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (per tutte, Cass. 8 ottobre 1984, n. 5259), è subordinata la legittimità del diritto di cronaca. Se tale requisito sussiste, occorrerà in secondo luogo saggiarne la consistenza e valutare poi il rischio specifico per la sfera della riservatezza di terzi che discenderebbe dalla conoscenza dell’atto al quale si chiede l’accesso e alle informazioni e valutazioni in esso contenute”.
[60] Il legittimo esercizio del diritto di cronaca ha luogo nella sola ipotesi in cui sia prestata osservanza a tre condizioni, ovvero la verità dei fatti esposti, la continenza, quale rispetto dei requisiti mini di forma che devono caratterizzare la cronaca e la critica, e la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, Trib. Padova, sez. II, 24 ottobre 2013.
[61] Trib. Genova, sez. II, 14 maggio 2015.
[62] Cass. pen., sez. V, 19 maggio 2015, n. 35702.
[63] Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 1993, n. 1036.
[64] BARILE – MACCHITELLA, I nodi della costituzione, Torino, 1979, pag. 75.
[65] PALADIN, Diritto costituzionale, Padova, 1991, pag. 632.