FREE – Il TAR del Lazio ha sganciato una bomba Nimby?

TAR LAZIO – ROMA – sentenza 8 settembre 2015 (è già stata definita come la “bomba Nimby” del T.A.R. del Lazio, solo perchè afferma che la P.A., nel disporre la revoca, può anche fare riferimento alla contrarietà della popolazione alla realizzazione dell’opera pubblica revocata), con breve nota di G. VIRGA, Un allarme eccessivo.


TAR LAZIO – ROMA, SEZ. II BIS – sentenza 8 settembre 2015 n. 11098 – Pres.ff. Lundini, Est. Cogliani – S.r.l. Altair ed altri (Avv.ti Casati, Masini e Colombo) c. Comune di Borgorose (Avv. Piccinni) – (respinge).

1. Contratti della P.A. – Finanza di progetto (project financing) – Provvedimento  di valutazione positiva di una proposta di project financing riguardante una opera pubblica – Sua successiva revoca – Facendo riferimento alla manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera ed all’interesse pubblico primario – Legittimità.

2. Atto amministrativo – Revoca – Legittimità della stessa – Non esclude la corresponsione dell’indennizzo ex art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990.

3. Contratti della P.A. – Finanza di progetto (project financing) – Provvedimento  di valutazione positiva di una proposta di project financing – Sua successiva revoca – Indennizzo ex art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 – Non spetta – Ragioni.

1. E’ legittimo il provvedimento con il quale un Comune ha revocato una precedente delibera di valutazione positiva di una proposta di project financing (nella specie per la realizzazione di un impianto di cremazione per salme, con annessa sala del commiato, presso il cimitero comunale) facendo riferimento ad alcuni profili inerenti una nuova valutazione dell’interesse pubblico, costituiti dalla manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e dall’interesse primario, dunque, di rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione. Infatti, poichè nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento della revoca non sia affetta da vizi di legittimità.

2. Dopo l’introduzione dell’art. 21 quinquies nella legge n. 241 del 1990, ad opera dell’art. 14 l. 11 febbraio 2005, n. 15, come integrato dal comma 1 bis introdotto dall’art. 13 del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7 (convertito dalla l. 2 aprile 2007, n. 40), ha fatto ingresso nel nostro ordinamento la c.d. responsabilità della P.A. per atti legittimi.

3. L’indennizzo ex art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990 non spetta in caso di revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, ma solo in caso di revoca di atti definitivamente attributivi di vantaggi. Deve quindi escludersi che spetti un indennizzo ex art. 21 quinquies cit. per la revoca di una dichiarazione di pubblico interesse di una proposta di progetto di finanza. La dichiarazione di p.i. non attribuisce, infatti, all’interessato una posizione giuridica definitiva, ben potendo l’Amministrazione dar luogo o meno a successiva procedura di affidamento della concessione o non dare corso affatto alle proposte che pure abbia ritenuto di pubblico interesse (1).

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(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che, pur differenziando, invero, la dichiarazione di pubblico interesse la posizione del proponente (v. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 1/12, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/12/cdsap_2012-01-28-1.htm), essa non assicura al promotore finanziario alcuna diretta, definitiva ed immediata utilità.

Né nella specie la posizione della ricorrente potrebbe avere assunto maggiore consistenza dall’indizione della gara che è stata infatti revocata prima ancora della partecipazione dell’istante stessa ed atteso che il rimborso spese, in caso di gara, spetta a favore del promotore solo ove questo non risulti aggiudicatario della concessione quando la gara stessa si sia peraltro conclusa (cfr. Cons. Stato 26 giugno 2015, n. 3237)



Breve commento di

GIOVANNI VIRGA

Un allarme eccessivo



La sentenza in rassegna, pur essendo abbastanza recente, ha già innescato una vivace polemica, la quale ha tratto pretesto dal fatto che la sentenza stessa ha affermato – in un breve periodo – che è legittima la revoca di una delibera di approvazione della proposta di realizzazione di una opera pubblica,  disposta a seguito di “manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione”.

In base a tale semplice affermazione, la sentenza in parola è già stata bollata addirittura come la “bomba Nimby” (not in my backyard) del T.A.R.  Lazio: v. in tal senso l’articolo pubblicato su “Formiche.net”, intitolato “Il Tar del Lazio sgancia una bomba Nimby”, alla pag. http://www.formiche.net/2015/09/10/bomba-nimby-tar/

Nell’articolo citato si riporta, tra l’altro, l’opinione di Massimiliano Atelli, magistrato di lungo corso per anni in servizio al ministero dell’Ambiente e profondo conoscitore della materia degli appalti, secondo il quale: “Va premesso che sul piano formale la sentenza del Tar è corretta. Ma è altrettanto evidente come questa decisione rechi una novità importante: per la prima volta si dice con chiarezza che la revoca della decisione presa dalla Pubblica amministrazione è legittima se fondata sul malumore della popolazione”, spiega Atelli, per il quale si tratta di “una novità che riapre il tema della necessità di ricostruire il rapporto, entrato in crisi, tra certezza del diritto e dinamiche economiche”.

Un forte grido d’allarme è stato altresì lanciato il giorno dopo dal noto ex ambientalista – molto ex ormai, specie dopo i sei anni di presidenza dell’Enel –  Chicco Testa, con un intervento, pubblicato nello stesso sito (di cui è peraltro amministratore), intitolato “Caro Renzi, attento alla bomba Nimby del Tar. Parla Chicco Testa.”, alla pag. http://www.formiche.net/2015/09/11/caro-renzi-attento-alla-bomba-nimby-del-tar-parla-chicco-testa/, il quale ha dichiarato in particolare che si tratterebbe di un “mostro giuridico” e si è augurato che intervenga presto il Consiglio di Stato, per scongiurare il pericolo addirittura di uno “Stato totalitario”.

In realtà, se si esamina serenamente la sentenza in rassegna, ci si accorge che il T.A.R. Lazio ha solo affermato (peraltro del tutto incidentalmente, dato che la questione principale riguardava la spettanza o meno di un risarcimento a seguito della revoca) che il potere di revoca della P.A. ha natura molto ampia e che tra i motivi di revoca può farsi anche riferimento alla contrarietà mostrata dalla popolazione residente, che va tuttavia valutata come un parametro al quale può fare riferimento la P.A. nella ponderazione dell’interesse pubblico primario.

Non si può infatti contestare il potere degli amministratori locali, i quali, non è inutile ricordare, rivestono la carica per tutelare gli interessi dei cittadini che li hanno eletti, di tener conto dell’opinione pubblica locale, comparando ovviamente tale opinione con gli interessi generali. Peraltro nella specie non si era nemmeno in presenza di una opera pubblica di rilievo nazionale (si trattava infatti di un forno crematorio a servizio del locale cimitero), che imponeva una comparazione con gli interessi del Paese. In  termini diversi, invece, si porrà il problema allorché si tratterà di verificare la legittimità o meno dei provvedimenti (che si preannunciano già copiosi) che rifiutano l’installazione di termovalorizzatori, previsti per risolvere in qualche modo l’annoso (e dispendioso) problema dell’eliminazione dei rifiuti solidi urbani.

Comunque, non è stato affatto affermato, come si vorrebbe far credere (non si sa se strumentalmente o meno) che ogni volta che ci sia una manifestazione di protesta della popolazione locale per la realizzazione di una opera pubblica, l’Amministrazione è tenuta a revocare i propri atti che l’hanno approvata.

D’altra parte, come dovrebbe essere noto a tutti, il G.A. in sede di legittimità non può sindacare – se non nel caso di macroscopici vizi di eccesso di potere – le ragioni di merito che hanno indotto la P.A. al riesame di un precedente provvedimento, specie nel caso in cui non vengano in discussione (come nella specie) interessi nazionali. Lo stesso Atelli – che, a differenza di Chicco Testa, è un giurista – ha dovuto ammettere che, sotto questo profilo, “sul piano formale la sentenza del Tar è corretta”.

La sentenza tuttavia offre l’occasione per ribadire quanto da me sostenuto  molto tempo addietro: e cioè che per l’approvazione dei progetti di opere pubbliche che hanno un impatto ambientale e comunque per i provvedimenti di loro localizzazione sarebbe opportuno introdurre forme partecipative preventive, atte ad illustrare alla popolazione interessata, ancor prima del loro inizio, i vantaggi e di ponderare pubblicamente i possibili danni dalle stesse prodotti: sia consentito far rinvio al  mio articolo pubblicato in data 14 dicembre 2005 (e cioè circa 10 anni fa) nel weblog intitolato:  «Il metodo del notice and comment per la localizzazione di opere pubbliche», pag. http://blog.lexitalia.it/?p=11

In assenza di adeguate forme informativo-partecipative di massa (appunto il metodo del “notice and comment“, già da tempo presente nei paesi anglosassoni), infatti, è elevato il rischio di possibili strumentalizzazioni dell’opinione pubblica locale circa i rischi che, inevitabilmente, ogni opera pubblica – in grado maggiore o minore – comporta. L’attuale procedura di valutazione di impatto ambientale, quindi, andrebbe adeguatamente integrata con la previsione di adeguate procedure partecipative-informative che riguardino le popolazioni locali interessate.

Non occorre, a tal fine, elaborare complessi testi legislativi. Basterà invece semplicemente dar vigore alle norme già contenute nella proposta della Commissione Nigro che tuttavia, inopinatamente, sono state a suo tempo stralciate e che, se approvate per tempo, ci avrebbero forse evitato tante tribolazioni (ivi compresa quella per l’ormai endemica questione dei TAV, nonché per quelle, a cui accennavo prima, dei termovalorizzatori e degli impianti per la rigassificazione). In tal modo il progetto originario della Commissione Nigro in materia di partecipazione potrà dirsi compiutamente realizzato. Dubito tuttavia che gli attuali governanti, alle prese con le loro riforme “epocali” ed in particolare le Ministre Madia e Boschi od il Premier Renzi abbiano mai sentito parlare della Commissione Nigro.

(G.V., 12 settembre 2015)


N. 11098/2015 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12742 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

S.r.l. Altair, in persona del legale rappresentante p.t., in proprio ed in qualità di mandataria del raggruppamento temporaneo d’imprese con le Soc. Schena Arte Marmo S.r.l. e Edilver S.r.l. rappresentate e difese dagli avv.ti Mattia Casati, Maria Stefania Masini e Maria Cristina Colombo, con domicilio eletto presso la seconda in Roma, Via A. Gramsci, 24;

contro

Comune di Borgorose, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Gianluca Piccinni, con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, Via G.G. Belli, 39;

per l’annullamento

della delibera di G.C. n. 67 del 4 agosto 2014, con cui era revocata la precedente deliberazione n. 40 del 2014 avente ad oggetto la dichiarazione di pubblica utilità e l’individuazione del soggetto promotore per la costruzione e gestione economico funzionale di un impianto di cremazione per salme con annessa sala del commiato presso il cimitero comunale;

e della determina dirigenziale n. 371 dell’8 agosto 2014, resa pubblica con avviso pubblico dell’8 agosto 2014 sul portale del Comune, con cui era revocata la precedente determinazione n. 316 del 2014 avente ad oggetto la determina a contrarre relativa al predetto affidamento e, per l’effetto, era revocata la procedura di gara indetta;

di tutti gli atti e provvedimenti consequenziali o comunque connessi;

e per l’effetto per la condanna

del Comune a riattivare la procedura menzionata;

ed, in via subordinata, per la condanna

al risarcimento dei danni consistenti in tutto quanto sostenuto dalla ATI ALTAIR quale promotore dell’opera e comunque derivanti;

e con i motivi aggiunti del 20 gennaio 2015

per l’annullamento

della delibera di C.C. n. 42 del 18 dicembre 2014, pubblicata nella medesima data sull’albo pretorio comunale, con cui era revocata la precedente deliberazione n. 14 del 2014;

e per la condanna

del Comune a riattivare la procedura di gara e, comunque, al risarcimento dei danni patiti.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Borgorose;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2015 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso indicato in epigrafe, la Società Altair s.r.l., in proprio e quale mandataria della ATI “ALTAIR”, esponeva che ad esito del procedimento di valutazione della proposta di project financing della ricorrente medesima, conclusosi con la motivata dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e con l’individuazione dell’ATI ALTAIR come promotore il Comune di Borgorose avviava la procedura di gara per l’affidamento in concessione della progettazione, realizzazione e successiva gestione economico funzionale di un impianto di cremazione; del tutto inaspettatamente, dunque, mentre la ricorrente si accingeva e partecipare alla seconda fase della procedura, il Comune, tuttavia, revocava il precedente provvedimento di pubblica utilità e la conseguente gara.

La ricorrente, dunque, presentava una richiesta di riesame, tuttavia senza ottenere riscontro; pertanto, censurava i provvedimenti sopra specificati per i seguenti motivi:

1 – violazione e falsa applicazione dell’art. 42, co. 2, lett. b) ed e), d.lgs. n. 267 del 2000, dell’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, difetto di competenza e violazione del principio del contrarius actus, poiché illegittimamente la Giunta comunale avrebbe deciso di revocare i provvedimenti in esame, nonostante la deliberazione consiliare n. 14 del 23 giugno 2014, con cui era stato dichiarato il pubblico interesse;

2 – violazione degli artt. 7 e 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, dell’art. 153, co. 2, d.lgs. n. 163 del 2006, dell’art. 122, co. 5, d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 79, co. 5 bis, d.lgs. n. 163 del 2006; nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, violazione principio di trasparenza, contraddittorio e partecipazione al procedimento di secondo grado, mancando l’avviso dell’avvio del procedimento;

3 – violazione dell’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, dell’art. 153, d.lgs. n. 163 del 2006 ed ancora eccesso di potere per difetto di motivazione, ingiustizia manifesta e violazione del principio della trasparenza, violazione della deliberazione consiliare n. 14 del 2014, essendo gli atti impugnati, unicamente motivati sulla considerazione della manifestazione da parte della popolazione della contrarietà alla realizzazione dell’opera;

4 – ancora le dedotte illegittimità per violazione del principio di pubblicità nel settore degli appalti pubblici.

L’ATI, dunque, chiedeva l’annullamento dei gravati provvedimenti.

In subordine formulava domanda risarcitoria, chiedendo la condanna del Comune al pagamento della somma di euro 56.383,18, oltre rivalutazione ed interessi dal dovuto al saldo.

Si costituiva l’Amministrazione per resistere, ed evidenziando che nessun indennizzo spetta alla ricorrente in ragione dell’interesse pubblico posto a fondamento della revoca.

Tale circostanza era specificata proprio nella delibera consiliare n. 42 del 2014 di revoca della precedente. Peraltro, il Comune evidenziava che la proposta di project financing era approvata dalla Giunta.

Con riferimento al vizio procedimentale, l’Amministrazione invocava la disposizione di cui all’art. 21 octies co. 2, l. n. 241 del 1990.

Peraltro, contestava la ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 158, d.lgs. n. 163 del 2006, prevista per il caso di revoca della concessione.

Con ricorso per motivi aggiunti, la parte istante impugnava la deliberazione consiliare con cui il Comune revocava la precedente deliberazione n. 14 del 2014 per i medesimi profili già sopra descritti di violazione di legge ed eccesso di potere, chiedendo la condanna dell’Amministrazione a riavviare la procedura.

A seguito di ulteriori memorie, la causa era trattenuta in decisione all’udienza del 25 marzo 2015.

DIRITTO

I – L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione, da parte dell’ATI costituenda, della legittimità dell’esercizio del potere di autotutela in ordine a un provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità di una proposta di project financing e di avvio della procedura di affidamento di pubblici lavori da parte della p.a. e dalle connesse pretese patrimoniali, di carattere risarcitorio o indennitario.

II – Con un primo gruppo di censure la parte ricorrente contesta la competenza della Giunta a disporre la revoca di atti posti in essere dal Consiglio comunale. Tale assunto è smentito per tabulas; infatti, la Giunta si è limitata a revocare un proprio atto ed il dirigente, lo stesso. Mentre successivamente è intervenuto l’atto consiliare di revoca della precedente delibera del Consiglio, atto gravato anch’esso con i motivi aggiunti. Risulta, dunque, rispettato il principio del contrarius actus. E neanche le competenze consiliari risultano, di fatto, violate. Anche ove si volesse considerare la necessità della previa deliberazione dell’Assemblea consiliare a modifica del precedente deliberato, si può con sicurezza affermare l’effetto sanante del successivo provvedimento, che ha inciso esplicitamente sulle scelte e la valutazione del pubblico interesse.

III – Con un ulteriore gruppo di censure, la parte istante si duole della mancanza dei presupposti per esercitare il potere di revoca con riguardo all’assenza di ragioni di pubblico interesse, alla omessa valutazione dell’affidamento delle parti destinatarie del provvedimento da rimuovere e del tempo trascorso, all’obbligo di motivazione.

Essa ha certamente interesse a dimostrare l’illegittimità del potere di autotutela esercitato dall’amministrazione per ottenere il pieno risarcimento dei danni. Infatti la parte ricorrente chiede la condanna dell’Amministrazione alla reintegra della posizione compromessa e, in via subordinata, il risarcimento dei danni patiti. Il gravame è, dunque, teso a contestare la legittimità del potere di revoca esercitato al fine di ottenere il risarcimento dei danni, quanto meno a titolo di danno emergente.

IV – Passando, dunque, all’esame della fattispecie, nel caso che occupa, la Giunta ha revocato – con la delibera n. 67 del 2014 – la precedente delibera n. 40 del 2014 avente ad oggetto l’approvazione del progetto preliminare e la dichiarazione di p.u. ed il responsabile del servizio – con la determina n. 371 del 2014 – ha annullato la precedente determina dirigenziale n. 316 del 2014 contenente il parere di regolarità tecnica e l’attestazione della copertura finanziaria, e conseguentemente la procedura di gara indetta.

Nella delibera di Giunta ( e nella conseguente determina dirigenziale) sono evidenziati alcuni profili inerenti una nuova valutazione dell’interesse pubblico (la manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione).

Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, con conseguente conferma della qualificazione del provvedimento in termini di revoca. Nel caso di specie, la già citata motivazione del provvedimento di revoca è costituita appunto da una nuova valutazione dell’interesse pubblico. Tenuto che nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento della revoca non sia affetta da vizi di legittimità.

Nella specie, peraltro, l’Amministrazione non ha espressamente valutato la spettanza di un qualche indennizzo.

Tuttavia, va rilevato, che specie nel caso che occupa si era unicamente svolta la progettazione – ovvero la prima fase della procedura, mentre la ricorrente – soggetto promotore, non aveva ancora maturato alcune affidamento in ordine all’assegnazione dell’opera, né aveva ancora prodotto domanda di partecipazione alla gara.

Peraltro, non primo di rilevanza è il breve termine occorso tra la delibera di n. 40 (5 giugno 2014) e l’avviso di revoca dell’8 agosto 2014.

La giurisprudenza, ancora, ha precisato che “la mancata liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela, ma consente al privato di agire per ottenere l’indennizzo” (Cons. Stato, Sez., n. 2244 del 2010).

V – Orbene, nel caso di legittimità del provvedimento di autotutela viene meno il presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale.

Va precisato che anche in caso di revoca legittima si può ipotizzare che al privato derivino danni risarcibili, e non meramente indennizzabili, ma ciò discende dal fatto che tali danni conseguono non già direttamente dall’atto di revoca, ma da altre illegittimità (procedimentali o di altro tipo) commesse dall’Amministrazione.

Nella specie, devono essere respinte le ulteriori censure mosse dalla parte ricorrente in ordine ai profili partecipativi e procedimentali. Infatti, è evidente come l’eventuale partecipazione della ricorrente non avrebbe in alcun modo potuto incidere sulla decisione dell’Amministrazione che si appalesa di carattere eminentemente discrezionale.

Del resto i già evidenziati profili di tempestività dell’esercizio dell’autotutela non consentono di riscontrare alcuno degli addebiti mossi all’Amministrazione sotto il profilo della correttezza della condotta.

Ciò comporta che l’Amministrazione non è tenuta a corrispondere l’integrale risarcimento del danno.

VI – Le valutazioni sin qui svolte non possono che valere anche per i successivi motivi aggiunti, per i medesimi motivi evidenziati.

VII – Il Consiglio di Stato (cfr. sentenza n. 7334 del 2010) ha avuto modo di rilevare che nell’ordinamento precedente all’introduzione dell’art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, l’orientamento prevalente era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti intervenisse la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo vantaggioso per il privato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 1969, n. 266) o per lo meno un indennizzo veniva ammesso solo in casi particolari (Cass. S. U. 2 aprile 1959, n. 672).

Dopo l’introduzione del menzionato art. 21 quinquies nella legge generale del procedimento amministrativo, ad opera dell’art. 14 l. 11 febbraio 2005, n.15, come integrato dal comma 1bis introdotto dall’art. 13 d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, (convertito dalla l. 2 aprile 2007, n.40), ha fatto ingresso la c.d. responsabilità della p.a. per atti legittimi. n.5266).

Nel caso che occupa, dunque, la domanda risarcitoria, deve essere interpretata – secondo i canoni di effettività della tutela – come contenente in sé quella di indennizzo.

Peraltro, l’indennizzo ex art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990 non spetta in caso di revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, ma solo in caso di revoca di atti definitivamente attributivi di vantaggi. Deve quindi escludersi che spetti un indennizzo, ex art. 21 quinquies cit., per revoca (come nella specie) di una dichiarazione di pubblico interesse della proposta di progetto di finanza. Tale dichiarazione non attribuisce, infatti, all’interessato una posizione giuridica definitiva, ben potendo l’Amministrazione dar luogo o meno a successiva procedura di affidamento della concessione o non dare corso affatto alle proposte che pure abbia ritenuto di pubblico interesse. Pur differenziando, in vero, tale dichiarazione di p.i. la posizione del proponente (Ad. Plen. N. 1/12), essa non assicura al promotore alcune diretta, definitiva ed immediata ultilità. Né nella specie la posizione della ricorrente potrebbe avere assunto maggiore consistenza dall’indizione della gara che è stata infatti revocata prima ancora della partecipazione dell’istante stessa ed atteso che il rimborso spese, in caso di gara, spetta a favore del promotore solo ove questo non risulti aggiudicatario della concessione quando la gara stessa si sia peraltro conclusa (cfr. Cons. Stato n. 3237 del 26 giugno 2015)

VIII – Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere respinti.

Le spese di lite possono essere compensate in relazione alla complessità della vicenda.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)

definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dei giorni 25 marzo e 7 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Lundini, Presidente FF

Solveig Cogliani, Consigliere, Estensore

Antonella Mangia, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 08/09/2015.

 

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