FREE – L’ordo quaestionum nel giudizio amministrativo

ANIELLO CERRETO, Sul potere del giudice amministrativo di stabilire l’ordine di decisione dei motivi e delle domande nel giudizio davanti al TAR (osservazioni alla sentenza del Cons. Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5).



ANIELLO CERRETO
(Presidente di sezione onorario
del Consiglio di Stato
)

Sul potere del giudice amministrativo di stabilire l’ordine di decisione dei motivi e delle domande nel giudizio davanti al TAR
(osservazioni alla sentenza del Cons. Stato, Ad.Plen., 27 aprile 2015, n. 5).



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Il presente scritto cerca di approfondire l’emersione, principalmente nell’ultimo quinquennio, del complesso problema dell’ordine di esame dei motivi e delle domande da parte del giudice amministrativo nel giudizio di primo grado.

Dopo una sommaria ricognizione dei risvolti teorici e pratici della questione viene accennato allo scarso apporto della dottrina, che si è riscattata con il fondamentale recente contributo di A. Romano Tassone, che ha aperto nuove prospettive di indagine.

E’ quindi esaminata la giurisprudenza amministrativa più recente con particolare riferimento nel biennio 2013-14 alle due ordinanze delle sezioni VI e V del Consiglio di Stato per la rimessione della questione alla A.P. e alla sentenza A.P. n. 5/2015. Vengono infine esposte brevi considerazioni conclusive.

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SOMMARIO: 1. Premessa; 2. Posizione della dottrina sull’ordine di esame dei motivi e delle domande; 3. I divergenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa; 4. La sentenza Cons. St. A. P. 27 aprile 2015, n. 5; 5. Accoglimento della censura di incompetenza dell’autorità emanante; 6. Accoglimento di una censura che comporta comunque l’annullamento dell’atto e assorbimento dei motivi; 7. Considerazioni conclusive.

1. Premessa.

Negli ultimi tempi sta emergendo, specialmente in materia di appalti pubblici, una questione di importanza fondamentale per il delinearsi del futuro ruolo del giudice amministrativo nell’ambito del giudizio di annullamento degli atti amministrativi lesivi di interessi legittimi.

Si tratta di stabilire se il giudice amministrativo, a fronte di un dato ordine di graduazione delle censure dato dalla parte oppure in presenza dell’impugnativa di un bando di gara o di concorso e della graduatoria finale debba decidere i motivi di ricorso in modo da soddisfare in maniera ottimale l’interesse legittimo del ricorrente oppure debba privilegiare comunque l’interesse pubblico alla legalità dell’azione amministrativa.

Evidentemente le conseguenze di una tale scelta hanno riflessi pratici sul contenuto della sentenza amministrativa e sul dovere di ottemperanza gravante sull’amministrazione. Invero se in una procedura selettiva (gara di appalto pubblico, concorso a pubblico impiego, gara per la concessione di finanziamenti, procedimento elettorale), la parte ricorrente propone una pluralità di motivi contro i diversi atti del procedimento, il giudice deve stabilire se esaminare o meno prioritariamente i motivi che si dirigono contro gli atti più a monte nella procedura e il cui accoglimento meglio soddisfa l’interesse pubblico alla legittimità dell’azione amministrativa oppure dare prevalenza all’interesse del ricorrente che abbia graduato le relative censure. Per es. nel caso di vizi dedotti contro il bando e contro l’aggiudicazione, occorre optare per l’esame prioritario dei vizi contro il bando e dopo degli altri motivi oppure prima quelli rivolti avverso la graduatoria e poi quelli che contestano il bando.

La problematica si complica per la difficoltà di distinguere nel processo amministrativo di annullamento la domanda dai motivi di ricorso, che appare particolarmente delicata, quando, ad esempio, l’azione di annullamento sia rivolta contro atti connessi o avverso il medesimo atto per ragioni distinte. In questo caso, infatti, utilizzando lo schema tradizionale che individua i tre elementi costitutivi della domanda (soggetti, causa petendi e petitum), potrebbe dirsi che la domanda sia unica e fondata su più ragioni, poiché a fronte di un unico interesse legittimo che si assume essere leso, si invoca l’eliminazione dal mondo giuridico dell’atto impugnato. Quest’impostazione, però, si presta ad essere superata laddove si ponga mente alle novità che hanno interessato la nozione di petitum e di causa petendi nel processo amministrativo. In realtà, la prospettazione di un vizio che se riscontrato imporrebbe la ripetizione della gara o del concorso e di una censura che se accolta eliminerebbe dalla graduatoria la prima classificata a vantaggio della ricorrente, sembrano presentarsi come richieste fortemente divergenti, perché se è vero che entrambe guardano al passato con l’unico intento di eliminare il provvedimento impugnato, al contempo palesano una diversa ambizione in relazione alla futura azione dell’amministrazione come vincolata dal giudicato.

Un problema analogo si presenta nel caso che le parti facciano valere in giudizio una pluralità di domande ad es annullamento e risarcimento del danno oppure annullamento e accertamento del rapporto, domanda di accertamento del rapporto e domanda riconvenzionale, domanda di annullamento e domanda di esecuzione del giudicato, ma in questo caso la giurisprudenza più recente è sufficientemente compatta nel ritenere che se le parti ricorrenti propongono più domande, il giudice amministrativo è vincolato alla graduazione indicata dalle parti [1].

Inoltre si è consolidata la giurisprudenza amministrativa che richiede, ai fini della rituale ed effettiva subordinazione dei motivi (ovvero delle domande), che questa sia espressa e non desumibile implicitamente dalla semplice enumerazione delle censure o dal mero ordine di indicazione delle stesse [2].

Si è chiarito infine che l’accorpamento di più motivi di ricorso ai fini di un loro esame congiunto è un’operazione eminentemente logica, che non dà luogo a particolari problemi. Il giudice sceglie più censure proposte distintamente dalla parte ritenendole tra loro logicamente collegate o, più semplicemente, simili. Ciò avviene, solitamente, nell’ipotesi in cui il ricorrente deduca partitamente più profili del vizio di eccesso di potere; il giudice tenderà a raggrupparli in un’unica disamina o, meglio, a raggruppare profili sintomatici tra loro omogenei, per esempio i vizi della motivazione, il travisamento dei fatti con il difetto di istruttoria, o ancora lo stesso difetto di istruttoria in relazione alla motivazione, e cosí via.

2. Posizione della dottrina sull’ordine di esame dei motivi e delle domande.

Il panorama dottrinario sull’argomento è stato brillantemente delineato da Romano Tassone in un recente scritto [3], del cui significativo contributo occorre tener presente.

La riflessione dottrinale sull’argomento appare al Romano Tassone eccessivamente semplificante in quanto incline a risolvere positivamente il problema sulla base del richiamo al vigore del principio dispositivo, argomentando per lo più nel senso che la graduazione delle censure costituirebbe un minus rispetto al potere del ricorrente di introdurre e di rinunciare ai motivi di ricorso [4].

Ma l’Autore ritiene non soddisfacente anche la dottrina che se ne è occupata nell’ambito di trattazioni più generali, dedicate soprattutto a contrastare la discussa prassi del c.d. « assorbimento improprio », largamente diffusa nella giurisprudenza amministrativa meno recente [5]. Per Lui la questione deve essere affrontata in via diretta ed autonoma, perchè solo così potrà aversi piena consapevolezza dei suoi nessi sistematici e dei suoi risvolti pratici.

Precisa poi che lo scarso interesse della dottrina per il cumulo condizionale dei motivi, trova storicamente spiegazione nella minima utilità pratica che tale congegno sembrava presentare all’interno di una tutela di legittimità concepita come di carattere essenzialmente demolitorio [6]. Tanto è vero che l’attenzione al problema si è accentuata nel momento in cui, pur restando apparentemente intatte le forme e le categorie del giudizio di impugnazione, attraverso di esse son venute realizzandosi, in realtà, forme di tutela che si riportano invece al diverso modello del c.d. « giudizio di spettanza ».

Rileva che la dottrina più recente tenta di risolvere la questione facendola dipendere dall’inquadramento del processo amministrativo nella sfera della giurisdizione di diritto oggettivo o di diritto soggettivo, nel cui ultimo ambito soltanto il principio dispositivo potrebbe trovare piena realizzazione.

Sostiene infine che il principio dispositivo (più precisamente da intendere come “disponibilità della trattazione della causa”) impone di riconoscere una tendenziale vincolatività del cumulo condizionale (di domande, come di motivi), salvo il caso in cui l’accoglimento dell’uno o dell’altro motivo comporti esiti decisori integralmente sovrapponibili [7], auspicando più approfondite analisi circa le possibilità combinatorie e le concrete attitudini funzionali del cumulo condizionale, tuttora sostanzialmente inesplorate all’interno del processo amministrativo.

3. I divergenti orientamenti della giurisprudenza amministrativa.

Il problema dell’ordine di esame delle questioni di merito da parte del giudice amministrativo si pone in particolare nelle procedure selettive (gara di appalto, concorso a pubblico impiego, gara per la concessione di finanziamenti, contenzioso elettorale), in cui la parte ricorrente propone una pluralità di motivi contro i diversi atti del procedimento e talvolta la parte controinteressata presenta a sua volta un ricorso incidentale, con la presenza sia di censure, per così dire, “finali”- dirette cioè al conseguimento dell’aggiudicazione o in caso di concorso di un posto utile in graduatoria-, sia di censure “strumentali” – dirette, cioè al travolgimento della procedura concorsuale ab initio o da una certa fase in poi (ad es. partecipazione alla gara dell’aggiudicatario, esclusione del ricorrente, assegnazione del punteggio, anomalia dell’offerta).

Secondo la tesi tradizionale [8], a cui non mancano argomentate adesioni recentissime [9], occorrerebbe esaminare per primi i motivi che si dirigono contro gli atti più a monte nella procedura e il cui accoglimento meglio soddisfa l’interesse pubblico alla legittimità dell’azione amministrativa; p.es. nel caso di vizi dedotti contro il bando e contro l’aggiudicazione, dovrebbero essere esaminati per primi i motivi del ricorso contro il bando e dopo gli altri motivi. Si sottolinea al riguardo che il principio dispositivo che caratterizza ogni tipo di processo ad impulso di parte, ed il giudizio amministrativo in particolare, non può essere condiviso nella sua assolutezza, dovendo essere coordinato con l’opposta tesi secondo la quale rientrerebbe nel potere del giudice amministrativo, scaturente dal particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato all’esercizio della funzione della cura del pubblico interesse, decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico-giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell’interessato [10]. L’interesse pubblico alla legittimità degli atti amministrativi risulterebbe prevalente sulla tutela della posizione sostanziale della parte. Di modo che non appare incongruo che il giudice possa far conseguire alla parte un risultato “minore” (in termini di utilità concreta ed immediata), rispetto a quelle richiesto, laddove quest’ultimo si ponga in contrato con l’interesse pubblico. Né una ricostruzione in termini sostanzialistici dell’interesse legittimo potrebbe essere spinta al punto di riconoscere a tale posizione giuridica la possibilità di conseguimento di utilità superiori a quelle stesse che deriverebbero dall’esercizio legittimo del potere amministrativo [11]

Pertanto, il giudice dovrebbe procedere nell’ordine logico segnato da quei motivi che evidenziano in astratto una più radicale illegittimità del provvedimento e comunque idonei, in caso di accoglimento, a soddisfare l’interesse sostanziale dedotto in giudizio. Sulla base di premesse del genere si è affermato che, impugnata una graduatoria concorsuale, il ricorrente non può pretendere che sia esaminata prima la censura che conduca al conseguimento della nomina o dell’aggiudicazione e poi, in caso di mancato accoglimento, far valere un motivo di illegittimità riguardante l’intera procedura; ciò sul rilievo secondo cui non si può conseguire una nomina o una aggiudicazione a seguito di una selezione la cui procedura sia integralmente invalida [12].

E’ stato perciò ritenuto che la censura idonea a travolgere integralmente la gara, enunciando un vizio radicale di illegittimità dell’intera procedura (ad es. illegittimità del bando di gara, illegittima composizione della commissione di gara; mancata osservanza del principio di pubblicità della seduta di gara), va esaminata prioritariamente da parte del TAR. Infatti, poiché il processo amministrativo è teso non soltanto a stabilire quale dei contendenti abbia ragione (secondo il modello civilistico), ma anche a verificare il rispetto del principio di legalità da parte dell’Amministrazione, appare evidente -secondo tale tesi- che il giudice amministrativo, diversamente dal giudice civile, possa dare rilievo alle censure proposte dalla parte in base ad un ordine diverso da quello indicato dalla parte stessa, proprio al fine di assicurare il rispetto di tale principio [13].

A tale tesi se ne contrappone però un’altra più recente, secondo cui il giudice nell’esaminare i motivi di ricorso è vincolato alla graduazione indicata dalla parte (sempre che non ci siano questioni rilevabili d’ufficio), in funzione della effettività e satisfattività della tutela. Il giudice incontra il vincolo di doversi pronunciare nei limiti della domanda, su tutta la domanda e non oltre essa, il che significa che deve rendere una pronuncia satisfattiva. Inoltre il c.p.a. ha accentuato il connotato di processo di parti del processo amministrativo, e dunque il principio dispositivo. La giustizia amministrativa (analogamente a quella civile, sia pure con diversità di strumenti e di criteri) non ha il compito di ripristinare la legalità in senso assoluto, ma quello di tutelare situazioni giuridiche soggettive qualificate [14].

Da tali considerazioni segue che la graduazione va tendenzialmente rispettata dal giudice in funzione dei principi dispositivo, di satisfattività e di completezza, con il temperamento delle questioni rilevabili d’ufficio.

Se determinate questioni sono rilevabili di ufficio, la graduazione dei motivi indicata dalle parti non è vincolante in quanto tale scelta non può derogare all’ordine legale.

Così, nell’esempio appena fatto della impugnazione del bando e dell’aggiudicazione, andrebbero esaminati prima i motivi contro l’aggiudicazione e poi quelli contro il bando, se per la parte è più satisfattivo ottenere l’annullamento della sola aggiudicazione (così potendo concorrere alla gara e all’aggiudicazione) piuttosto che l’annullamento del bando (che implicando il rifacimento della gara impedisce alla parte di ottenere quella aggiudicazione, dandole solo la chance di partecipare ad una nuova gara, se e quando la amministrazione la bandirà). Viene precisato che, in ossequio al principio dispositivo, il giudice amministrativo non può selezionare i motivi suscettibili di accoglimento in base alla loro consistenza oggettiva (es. la maggiore o minore gravità per la soddisfazione oggettiva dell’interesse pubblico) e del rapporto fra gli stessi esistente sul piano logico-giuridico, bensì esclusivamente in base all’interesse sostanziale esposto dal ricorrente nel ricorso (e negli atti successivi, comprese le memorie e le note illustrative), che impone di esaminare prima quelle censure dal cui eventuale accoglimento deriverebbe un effetto pienamente satisfattivo della pretesa della parte medesima [15].

Peraltro nel caso in cui le domande avanzate siano diverse per il rispettivo petitum/causa petendi, dovrebbe comunque trovare applicazione il principio dispositivo in applicazione del quale compete al ricorrente indicare al giudice quale delle domande proposte egli ritenga più ampiamente satisfattiva del suo interesse. In altre parole, la discrezionalità del giudice di ordinare l’esame della materia del contendere secondo un determinato ordine logico resta pur sempre correlata all’interesse di cui il ricorrente chiede tutela; cosicché quando più siano gli interessi o diverso sia il mezzo di tutela in relazione all’intensità dello stesso interesse, tanto da risolversi nella proposizione di domande aventi petitum diverso, l’esercizio di quella discrezionalità è consentito al giudicante soltanto riguardo alle questioni sollevate ed ai motivi di censura dedotti nell’ambito della stessa domanda.

In una ipotesi in cui i ricorrenti avevano chiesto nel ricorso di primo grado “la rettifica e/o l’annullamento delle risultanze delle operazioni elettorali e conseguentemente la declaratoria del pieno titolo del ricorrente ad essere eletto sindaco ovvero, in via alternativa/gradata l’annullamento delle operazioni elettorali…”, è stata data preferenza, tra domande incompatibili, a quella di correzione che presuppone la conservazione del procedimento elettorale nel suo complesso (Cons. St. sez. V, 5 settembre 2006, n. 5108).

È però da capire cosa si intenda per domande diverse. Sembra chiaro che sono diverse le domande di annullamento e di risarcimento del danno oppure di annullamento ed esecuzione del giudicato, e che pertanto le stesse possano essere graduate in ordine di importanza dalla parte.

Se si chiede l’annullamento di una pluralità di atti della stessa sequenza procedimentale, è da chiedersi se la domanda di annullamento è una sola (perché unico è il procedimento) o se vi sono tante domande di annullamento quanti sono gli atti impugnati o addirittura i vizi denunciati [16]. Così, per ritornare al caso di impugnazione contestuale di aggiudicazione e bando di gara, occorre stabilire se vi sono due domande, che possono essere graduate dall’interessato, o se la domanda è unica, con la conseguente problematica della graduabilità o meno vincolante per il giudice.

A quest’ultimo riguardo è stata avanzata dalla Sez. IV del Consiglio di Stato una tesi intermedia, che da un lato, aderisce alla tesi tradizionale secondo la quale rientra nel potere del giudice amministrativo, derivante dal particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato all’esercizio della funzione pubblica, decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell’interessato; dall’altro, però, ha ampliato il concetto di domanda ritenendo che la domanda di annullamento del provvedimento di aggiudicazione tesa alla ripetizione della gara non coincida con la domanda di annullamento dello stesso provvedimento ove finalizzata all’ottenimento dell’aggiudicazione della gara. Per cui, qualora vi sia espressa subordinazione delle domande, il giudice amministrativo non possa esaminare quella subordinata tesa alla ripetizione della gara, invece di quella finalizzata all’ottenimento dell’aggiudicazione. A conferma si richiama la disciplina contenuta negli artt. 120 e segg. c.p.a., che dettano regole distinte a seconda del risultato perseguito dal ricorrente [17].

Sull’ordine di esame dei motivi è intervenuta recentemente l’importante ordinanza Cons. St. sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 761 (est. R. De Nictolis), che ha rimesso varie questioni all’A.P. del Consiglio di Stato. Viene premesso che la graduazione è un ordine dato ai motivi dalla parte, in funzione del proprio interesse. La graduazione serve a segnalare che l’esame e l’accoglimento di alcuni motivi ha, per la parte, importanza prioritaria, e che i motivi indicati come subordinati o graduati per ultimi, hanno minore importanza e se ne chiede l’esame solo in caso di mancato accoglimento di quelli prioritari. Se la parte ha graduato i motivi, si pone la questione se la graduazione sia vincolante o meno per il giudice e quindi vengono enunciate le due tesi suddette.

Peraltro la Sezione rimettente appare orientata a preferire il principio dispositivo. L’art. 99 c.p.c., applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno recato dall’art. 39, c. 1, c.p.a., pone il principio della domanda (ai limiti della domanda fa riferimento anche l’art.34,comma 1, c.p.a.), e l’art. 112 c.p.c. pone il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Anche se nessuna di dette norme pone espressamente un vincolo del giudice a rispettare la graduazione dei motivi, il giudice incontra il vincolo di doversi pronunciare nei limiti della domanda, su tutta la domanda e non oltre essa, il che significa che deve rendere comunque una pronuncia satisfattiva. Inoltre il c.p.a. ha accentuato il connotato di processo di parti del processo amministrativo, e dunque il principio dispositivo.

Da tali considerazioni ne dovrebbe seguire che la graduazione nell’ambito della stessa domanda va tendenzialmente rispettata dal giudice in funzione dei principi dispositivo, di satisfattività e di completezza, con il temperamento delle questioni rilevabili d’ufficio.

Se determinate questioni sono rilevabili di ufficio, la graduazione dei motivi indicata dalle parti non è vincolante in quanto non si può derogare all’ordine legale.

Invero, il principio dispositivo che caratterizza il giudizio amministrativo comporta che il ricorrente abbia la possibilità di indicare l’ordine con il quale ritiene che i motivi di ricorso debbano essere esaminati, dichiarando l’interesse all’accoglimento di alcuni di essi solo in via subordinata, per l’ipotesi in cui gli altri non vengano accolti [18].

Uno spunto puntuale si trae anche dalla disciplina del rito speciale degli appalti, dal quale si desume che il subentro nel contratto non è una pronuncia che il giudice può disporre automaticamente quando annulla l’aggiudicazione, ma solo se c’è domanda di parte in tal senso (art. 124, c. 1 e 2, c.p.a.). Indizio, questo, che il principio dispositivo è considerato prevalente sulla tutela coerente dell’interesse pubblico (che in tal caso potrebbe esigere che rimosso un aggiudicatario se ne faccia subito un altro nella persona del ricorrente vittorioso).

Uno spunto implicito si può desumere anche dall’art.34, comma 3, c.p.a. con riferimento all’accertamento dell’illegittimità dell’atto, anche nel caso in cui l’annullamento non sia più utile per il ricorrente, occorrendo in tal caso per lo meno un’istanza della parte.

In definitiva, da un esame complessivo della normativa l’ordinanza rimittente evince il principio per cui nei processi connotati da parità delle parti e principio dispositivo, l’ordine dei motivi vincola il giudice, laddove nei processi connotati da un primato dell’interesse pubblico l’ordine dei motivi non è vincolante per il giudice.

Nei giudizi di costituzionalità, ad es., secondo il costante insegnamento della Corte cost., a fronte del denunciato contrasto delle norme impugnate con uno o più parametri costituzionali, rientra nella discrezionalità della Corte la scelta dell’ordine di esame dei differenti parametri, e, inoltre, dichiarata l’incostituzionalità della norma alla luce di un determinato parametro, la Corte può dichiarare assorbiti gli altri, per difetto di rilevanza, e per ragioni di economia processuale (Corte cost., 19 ottobre 2009 n. 262).

L’A. P. si è poi pronunciata con la sentenza 3 febbraio 2014, n.8, ma (essendo stato respinto il motivo che avrebbe comportato in caso di accoglimento la rinnovazione della gara) limitatamente alla legittimazione e l’interesse a ricorrere nel processo amministrativo sui pubblici appalti .

La Sez. V del Consiglio di Stato, persistendo la diversità di orientamento, ha recentemente riproposto la questione all’A. P. con ordinanza 22 dicembre 2014, n. 6204 (est. Tarantino), con particolare riferimento al caso in cui il ricorrente non esprima esplicitamente una graduazione tra le varie censure ma si limiti semplicemente ad enumerarle in successione, ritenendo preferibile la tesi secondo cui in tal caso il giudice dovrebbe esaminare gli atti amministrativi nell’ordine in cui sono stati adottati per verificarne via via le censure indicate dal ricorrente, anche se l’ordine in questione non consente a quest’ultimo di ottenere la massima utilità dal processo.

Si è pronunciata nel frattempo senza tentennamenti per la tesi tradizionale la sez. IV del Consiglio di Stato con la sentenza 4 febbraio 2015, n. 552, in un caso in cui la graduazione era stata indicata dal ricorrente, affermando che rientra nel potere del giudice amministrativo, derivante dal particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato all’esercizio della funzione pubblica, decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico-giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell’interessato. La sentenza, nell’escludere nella fattispecie la presenza di un cumulo di domande di annullamento, ha anche precisato in modo poco convincente che la domanda di annullamento ha comunque carattere unitario e comporta un unico effetto “tipizzante”, che è rappresentato, appunto, dall’annullamento dell’atto, cui si connettono, a secondo della valorizzazione dell’uno o dell’altro dei motivi proposti, una pluralità di conseguenze conformative del successivo esercizio del potere.

Parimenti ha aderito alla tesi tradizionale TAR Puglia-Bari 13 gennaio 2015, n.22, precisando che ritenere vincolante per il Giudice l’ordine di enucleazione dei motivi così come effettuato in ricorso sulla base di una lettura “forte” del principio dispositivo e di quello di corrispondenza fra chiesto e pronunciato implica una non condivisibile ablazione ideologica del potere del Giudice di (auto)organizzare la propria funzione decisoria, a tutela tanto dell’interesse della parte privata quanto dell’interesse pubblico.

4. La sentenza Cons. Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5.

Detta sentenza, che si è avvantaggiata delle conclusioni cui era pervenuta la sentenza A. P. n.4 del 2015 sull’inquadramento pieno ed effettivo del processo amministrativo nell’ambito della giurisdizione di diritto soggettivo, ha precisato quanto segue:

– l’ordine di esame delle questioni processuali in primo grado -inter se ed in relazione a quelle sostanziali- sono sottratte alle scelte processuali vincolanti delle parti e sono sempre rilevabili d’ufficio (Cons. St. A. P. 25 febbraio 2014, n. 9; 3 giugno 2011, n. 10, e 7 aprile 2011, n. 4);

– il principio secondo cui l’ordine della potestas iudicandi è rimesso al giudice (e non può essere condizionato dal potere dispositivo delle parti, specie se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio), può valere solo per il giudizio di primo grado. Quando, invece, la decisione su una questione, una domanda, un’eccezione o un motivo vi sia stata, ovvero sia stata assorbita (esplicitamente o implicitamente attraverso il non esame), la sottoposizione della stessa al giudice dell’impugnazione è rimessa necessariamente all’impulso di parte, per il principio devolutivo attenuato che regge il sistema delle impugnazioni nel processo amministrativo;

– per stabilire se un unico ricorso (corredato da eventuali motivi aggiunti ovvero contrastato da ricorso incidentale), introduca(no) nella singola causa, una o più domande di annullamento, ancorché il provvedimento impugnato sia unico ma molteplici e distinti i vizi – motivi articolati nei confronti del medesimo, rileva solo l’effetto cassatorio avuto di mira, che è unico, se si dispiega nei confronti di singoli e ben individuati atti (ciascuno espressione di autonoma volontà provvedimentale dell’amministrazione), ovvero plurimo, se aggredisce distinti provvedimenti autonomamente lesivi;

– se la parte ricorrente, nelle forme e con le modalità sancite dal codice, propone domande diverse rispetto a quella di annullamento (ovvero di accertamento, di condanna, di adempimento, di esecuzione, di interpretazione), in tal caso, il giudice amministrativo è sempre vincolato dalla indicazione delle parti;

– il processo amministrativo è certamente un processo di parte governato, in linea generale, dal principio della domanda nella duplice accezione di principio dispositivo sostanziale – inteso quale espressione del potere esclusivo della parte di disporre del suo interesse materiale sotto ogni aspetto compresa la scelta di richiedere o meno la tutela giurisdizionale- e di principio dispositivo istruttorio (sia pure con i temperamenti previsti in relazione al processo impugnatorio, ed ispirati al c.d. sistema dispositivo con metodo acquisitivo);

– non è consentito considerare quella amministrativa una giurisdizione di diritto oggettivo e tale approdo è coerente con il significato che assume il principio della domanda nel dettato dell’art. 24, co. 1, Cost. (Corte cost. 22 ottobre 2014, n. 238) [19];

– l’obbligo del giudice amministrativo di pronunciare su tutti i vizi – motivi e le domande di annullamento non è incondizionato (cfr., sul principio generale, Ad. plen. n. 4 del 2015 ). Il punto di equilibrio fra la tutela dell’interesse pubblico e la tutela degli interessi privati, nel processo amministrativo dominato dal principio della domanda, si coglie in primo luogo nelle norme e nei principi che ne rappresentano il punto di emersione a livello positivo. Al di fuori di tali casi, però, non è possibile sostenere una esegesi della disciplina processuale che dia vita ad una derogatoria giurisdizione di diritto oggettivo, contraria all’ordinamento ed al principio di legalità (Ad. plen., n. 4 del 2015 e n. 9 del 2014 ) e al principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, interferendo nel potere dispositivo delle parti con l’ alterare uno degli elementi identificativi dell’azione, cioè il petitum e la causa petendi, salvo il potere del giudice di procedere alla qualificazione giuridica dei fatti e della domanda giudiziale ovvero alla sua interpretazione (Ad. plen. n. 7 del 2013);

– la graduazione è un ordine dato dalla parte ai vizi – motivi (o alle domande di annullamento), in funzione del proprio interesse; ha la finalità di segnalare che l’esame e l’accoglimento di alcuni motivi (o domande di annullamento) ha, per la parte, importanza prioritaria, e che i motivi (o le domande) indicati come subordinati o graduati per ultimi, hanno minore importanza e se ne chiede l’esame esclusivamente in caso di mancato accoglimento di quelli prioritari;

– la graduazione impedisce, pertanto, al giudice di passare all’esame dei vizi – motivi subordinati perché tale volizione equivale ad una dichiarazione di carenza di interesse alla loro coltivazione una volta accolta una o più delle preminenti doglianze. Né siffatta conclusione è in contrasto con il codice del processo amministrativo: il quale si limita ad indicare il contenuto necessario del ricorso, non anche quello eventuale; esige la specificità dei motivi, non anche la loro graduazione, che resta una facoltà della parte non vietata dalla disciplina processuale;

– la graduazione dei motivi, pertanto, vincola il giudice amministrativo sebbene la sua osservanza possa portare, in concreto, ad un risultato non in linea con la tutela piena dell’interesse pubblico e della legalità; tale fenomeno si manifesta in particolare nelle controversie aventi ad oggetto procedure competitive o selettive, allorquando il ricorrente anteponga l’esame delle censure che gli permettono di conseguire il bene della vita finale (l’aggiudicazione di una gara d’appalto, la nomina ad un pubblico ufficio, l’inserimento in un graduatoria), rispetto a quelle il cui accoglimento implicherebbe l’eliminazione di tutta o parte della sequenza procedurale attraverso la rimozione di tutti i vizi riscontrati;

-la graduazione dei vizi – motivi, consistendo in una eccezione all’obbligo del giudice di esaminare tendenzialmente tutti i vizi di legittimità costitutivi del thema decidendum (siano essi articolati in un’unica o in più domande di annullamento proposte in via principale o incidentale), e trovando fondamento nella disponibilità degli interessi dei soggetti che agiscono in giudizio, richiede una puntuale ed esplicita esternazione da parte di questi ultimi; sia per ragioni di certezza dei rapporti processuali, che per evitare che sia il giudice a sostituirsi alle parti nella ricerca arbitraria della maggiore satisfattività dell’interesse concreto perseguito da queste ultime. (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 8 aprile 2014, n. 1662; Cons. giust. amm., 7 marzo 2014, n. 98; Cons. Stato, Sez. III, 24 maggio 2013, n. 2837);

-In tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus;

-in mancanza di una espressa graduazione, si riespande nella sua pienezza l’obbligo del giudice di primo grado di pronunciare, salvo precise deroghe, su tutti i motivi e le domande, per cui il giudice, senza dover soddisfare il criterio del soddisfacimento del massimo interesse della parte, stabilisce l’ordine di trattazione dei motivi (e delle domande di annullamento) sulla base della loro consistenza oggettiva (radicalità del vizio) nonché del rapporto corrente fra le stesse sul piano logico- giuridico e diacronico procedimentale;

-nel processo amministrativo, la tecnica dell’assorbimento dei motivi deve ritenersi legittima quando è espressione consapevole del controllo esercitato dal giudice sull’esercizio della funzione pubblica e se è rigorosamente limitata ai soli casi disciplinati dalla legge ovvero quando sussista un rapporto di stretta e chiara continenza, pregiudizialità o implicazione logica tra la censura accolta e quella non esaminata; oppure vi siano ragioni di economia processuale, se comunque non risulti lesa l’effettività della tutela dell’interesse legittimo e della funzione pubblica.

Ha quindi espresso i seguenti principi diritto:

a) “nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi”;

b) “nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, la parte può graduare, esplicitamente e in modo vincolante per il giudice, i motivi e le domande di annullamento, ad eccezione dei casi in cui, ex art. 34, co. 2, c.p.a., il vizio si traduca nel mancato esercizio di poteri da parte dell’autorità per legge competente”;

c) “nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, non vale a graduare i motivi di ricorso o le domande di annullamento il mero ordine di prospettazione degli stessi”;

d) “nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, in mancanza di rituale graduazione dei motivi e delle domande di annullamento, il giudice amministrativo, in base al principio dispositivo e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, è obbligato ad esaminarli tutti, salvo che non ricorrano i presupposti per disporne l’assorbimento nei casi ascrivibili alle tre tipologie precisate in motivazione (assorbimento per legge, per pregiudizialità necessaria e per ragioni di economia”.

5. Accoglimento della censura di incompetenza dell’autorità emanante.

L’art. 26 legge TAR prevedeva che in caso di accoglimento del vizio di incompetenza dell’autorità emanante, il giudice doveva annullare l’atto per incompetenza e rimettere l’affare all’autorità competente, con assorbimento necessario degli altri motivi, diversamente si sarebbe leso il principio del contraddittorio nei confronti dell’autorità ritenuta competente.

Tale principio è stato ritenuto recessivo rispetto a quello di effettività nell’ipotesi n cui si trattava di incompetenza interna allo stesso Ente (ad es. Giunta e Consiglio comunale), caso in cui il contraddittorio è salvaguardato se effettuato nei confronti del Comune [20].

Il codice non ha riprodotto il menzionato art. 26 legge TAR ma i termini del dibattito restano invariati, tanto più che nel codice viene precisato che in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati (art. 34, comma 2, c.p.a.), come sembra avvenire nel caso del diverso ente/ pubblica amministrazione ritenuto competente dal giudice.

Tale previsione ripropone, anche nel vigore del c.p.a., il dibattito sull’ordine di esame dei motivi quando è dedotto il vizio di incompetenza.

Secondo una lettura oggettiva dell’art. 34, comma 2 c.p.a., i poteri sono quelli mai esercitati da alcuna autorità, secondo una lettura soggettiva, il riferimento è anche ai poteri non esercitati dall’autorità competente. E’ stato recentemente chiarito che è da preferirsi quest’ultima esegesi, più rispettosa del quadro sistematico e dei valori costituzionali che si correlano a tale norma: diversamente opinando, del resto, verrebbe leso il principio del contraddittorio rispetto all’autorità amministrativa competente nel senso dianzi precisato – sia essa appartenente al medesimo ente ovvero ad ente diverso ma comunque interessato alla materia – dato che la regola di condotta giudiziale si formerebbe senza che questa abbia partecipato, prima al procedimento, e poi al processo, in violazione di precise coordinate costituzionali: l’art. 97, co. 2 e 3 Cost., infatti, riserva alla legge l’ordinamento delle amministrazioni ed il riparto delle sfere di competenza ed attribuzione, impedendo all’autorità amministrativa di derogarvi a suo piacimento. [21]. In particolare, l’art. 34, co. 2, cit., è espressione del principio costituzionale fondamentale di separazione dei poteri (e di riserva di amministrazione) che, storicamente, nel disegno costituzionale, hanno giustificato e consolidato il sistema della giustizia amministrativa [22]: Nel caso di atto adottato da autorità incompetente, a ben vedere si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, il giudice non può che fare altro che dichiarare il vizio di incompetenza e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il potere.

Giova inoltre la considerazione che se il giudice ritiene che l’autorità che ha adottato l’atto è incompetente, tale vizio è radicale e assorbente di ogni altra questione, sicché si profilano elementi per l’assorbimento logico.

Resta perciò dubbio se il principio dispositivo consenta alla parte di graduare e proporre in via subordinata il vizio di incompetenza, vincolando così il giudice nell’ordine di esame dei motivi, o se a fronte di un vizio di incompetenza il giudice debba sempre esaminarlo prima degli altri motivi, assorbendo le altre censure in caso di suo accoglimento. decidendo, anche nell’esempio classico di mancata acquisizione del parere obbligatorio dell’organo consultivo.

Al riguardo è stato ritenuto che anche dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo è ancora valido il principio generale secondo cui “l’accoglimento di un vizio-motivo di incompetenza dell’organo che ha provveduto è, intrinsecamente e necessariamente, assorbente di ogni altro vizio-motivo dedotto nel ricorso; giacché tale vizio accolto, per la sua stessa natura, inficia tutti gli atti successivi, che inevitabilmente dovranno essere reiterati dall’organo competente (o, se si tratti di un collegio, da quello correttamente costituito), e ciò, ovviamente, senza che la successiva attività, cognitiva e valutativa, di quest’ultimo possa in alcun modo risultare pregiudicata da quella in precedenza svolta dall’organo incompetente” (C.G.A. si, 6 marzo 2012, n. 273)

Né è da condividere l’orientamento secondo cui il ricorrente potrebbe graduare l’ordine di esame dei motivi di ricorso privilegiando i motivi sostanziali rispetto al vizio di incompetenza [23], in quanto comunque tale graduazione è irrilevante e il giudice deve annullare l’atto per incompetenza, con assorbimento delle ulteriori censure, verificandosi l’ipotesi in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato dalla competente autorità [24], salvo che l’autorità ritenuta competente non sia costituita in giudizio.

Per cui non può aderirsi alla tesi secondo cui a seguito all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, in caso di accoglimento del vizio di incompetenza, non sarebbe più possibile considerare assorbiti gli altri motivi dedotti dal ricorrente che, contenendo censure di ordine sostanziale, potrebbero arricchire il contenuto del giudicato, nell’ipotesi di accoglimento e garantire maggiore effettività della tutela in sede di eventuale riesercizio del potere [25].

Alla parte che intende ottenere una pronuncia sulle peculiari modalità di (mancato) esercizio del potere amministrativo, si aprono due strade: non sollevare la censura di incompetenza (e le altre assimilate), oppure sollevarla ma nella consapevolezza della impossibilità di graduarla [26].

6. Accoglimento di una censura che comporta comunque l’annullamento dell’atto e assorbimento dei motivi

Il pieno riconoscimento in capo al giudice del potere di decidere l’ordine di esame dei vizi – motivi (e delle domande di annullamento), ha favorito in passato la diffusione della prassi dell’assorbimento: il giudice “sceglie” un motivo fondato di ricorso e sulla base di questo solo motivo, che accoglie, annulla il provvedimento, omettendo di esaminare le altre censure proposte dal ricorrente, che vengono, appunto, dichiarate assorbite.

La tecnica dell’assorbimento è stata talvolta utilizzata in modo eccessivo e si è concretizzata, in casi estremi, in sentenze di annullamento per vizi di mera forma che lasciavano, invece, impregiudicate le questioni d’ordine sostanziale.

Ne derivava che:

a) la pretesa del ricorrente, apparentemente soddisfatta dalla sentenza di accoglimento, poteva non esserlo nella sostanza, se l’amministrazione reiterava l’atto riproducendo i vizi dedotti dal ricorrente con i motivi assorbiti;

b) l’Amministrazione rimaneva nell’incertezza circa la fondatezza delle censure sostanziali e dunque sulle modalità di un eventuale riesercizio della funzione pubblica [27].

Ma il cosiddetto assorbimento dei motivi è stato con il tempo correttamente ridimensionato:

-in considerazione del pieno riconoscimento del principio di effettività cui deve sottostare la pronuncia del giudice atteso che l’assorbimento di alcune censure riduce il c.d. effetto conformativo della sentenza e l’effettività del giudizio di ottemperanza e conseguentemente frena la tendenza del processo amministrativo ad atteggiarsi come processo a cognizione piena sul rapporto tra cittadino e amministrazione tutelando, in maniera tendenzialmente completa, l’interesse legittimo e la funzione pubblica;

– con l’estensione della tutela risarcitoria nel processo amministrativo anche nei confronti dell’interesse legittimo.

Il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il conseguente dovere del giudice di pronunciarsi su tutta la domanda, unitamente alle esigenze di miglior cura dell’interesse pubblico e della legalità, comportano che il c.d. assorbimento dei motivi sia, in linea di principio, da considerarsi vietato. Per cui con il c.p.a. l’assorbimento è ormai ipotesi marginale [28] e può essere correttamente praticato solo per:

a) espressa previsione di legge (nel caso di accoglimento della censura di incompetenza in cui si versa in una situazione nella quale il potere amministrativo non è stato ancora esercitato [29]; in caso di giudizio immediato (sentenza in forma semplificata) in cui il giudice può motivare con riferimento al punto ritenuto risolutivo (art. 74 c.p.a ) [30]; manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità e infondatezza, che consente di assorbire la questione di mancata integrità del contraddittorio (art. 49, comma 2, c.p.a.).;

b) evidenti e ineludibili ragioni di ordine logico-pregiudiziale;

c) ragioni di economia processuale, se comunque non risulti lesa l’effettività della tutela dell’interesse legittimo e della funzione pubblica, purchè dall’accoglimento dell’ulteriore censura (da assorbire) non potrebbe derivare alla parte alcun vantaggio neppure dal punto di vista risarcitorio [31]. Il principio desumibile dal codice del processo è nel senso che il giudice deve pronunciarsi su tutti i motivi dedotti dal ricorrente il cui accoglimento sia idoneo ad arricchire il contenuto del giudicato ed il correlativo vincolo conformativo al riesercizio del potere [32].

7. Considerazioni conclusive.

Con i principi di diritto enunciati dalla sentenza A.P. n.5/2015 può ormai ritenersi assodato che l’attuale processo amministrativo sia riconducibile alla giurisdizione di diritto soggettivo (con apertura parziale alla giurisdizione di tipo oggettivo in precisi e limitati ambiti [33]), e tendenziale predomino del principio dispositivo nel giudizio davanti al TAR., con l’eccezione delle questioni rilevabili d’ufficio.

In particolare le questioni processuali in primo grado -inter se ed in relazione a quelle sostanziali- sono sottratte alle scelte processuali vincolanti delle parti e sono sempre rilevabili d’ufficio [34].

Nelle ipotesi in cui l’ordine della potestas iudicandi è rimesso al giudice (che non può essere condizionato dal potere dispositivo delle parti, specie se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio), tale principio può valere solo per il giudizio di primo grado. Quando, invece, la decisione su una questione, una domanda, un’eccezione o un motivo vi sia stata, ovvero sia stata assorbita (esplicitamente o implicitamente attraverso il non esame), la sottoposizione della stessa al giudice dell’impugnazione è rimessa necessariamente all’impulso di parte, per il principio devolutivo attenuato che regge il sistema delle impugnazioni nel processo amministrativo.

La facoltà di graduazione appartiene alle parti e può essere esercitata utilmente nel giudizio di primo grado [35] con riferimento non solo alle domande ma anche ai motivi-vizio limitatamente al giudizio di annullamento [36], ad eccezione dei casi in cui, ex art. 34, co. 2, c.p.a., il vizio si traduca nel mancato esercizio di poteri da parte dell’autorità per legge competente e nelle ipotesi di esercizio di potere officioso del giudice.

Nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, in mancanza di rituale graduazione dei motivi e delle domande di annullamento [37], il giudice amministrativo, in base al principio dispositivo e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, è obbligato ad esaminarli tutti senza dover ricercare il massimo interesse della parte, salvo che non ricorrano i presupposti previsti per disporne l’assorbimento (assorbimento per legge, per pregiudizialità necessaria e per ragioni di economia).

La graduazione dei motivi e delle domande di annullamento, pertanto, vincola il giudice amministrativo sebbene la sua osservanza possa portare, in concreto, ad un risultato non in linea con la tutela piena dell’interesse pubblico e della legalità.

In tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta vincolante o parere obbligatorio, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus.

Roma, 7 maggio 2015.

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[1] Prima di A. P. n.5/2015 era generalmente affermato che il potere officioso del giudice amministrativo deve essere esercitato nell’ambito dei motivi sollevati all’interno di una medesima domanda; quando invece vengono avanzate più domande, tale facoltà incontra un limite nel principio dispositivo che non consente al giudice di superare le vincolanti indicazioni del ricorrente (Cons. St., sez. V, 5 settembre 2006, n.5108; 6 aprile 2009 n. 2143; sez. IV, Sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4827).

[2] cfr., recentemente Cons. Stato, Sez. V, 8 aprile 2014, n. 1662; Sez. III, 24 maggio 2013, n. 2837; Cons. giust. amm. sic., 7 marzo 2014, n. 98.

[3] A. Romano Tassone, Sulla disponibilità dell’ordine di esame dei motivi di ricorso, in Dir. proc. amm., fasc.3, 2012, pag. 803 e segg.., in cui viene richiamato diffusamente il pregevole scritto di R. De Nictolis, L’ordine dei motivi e la sua disponibilità, in Federalismi.it, 2010.

[4] V. Caianiello, Lineamenti proceesso amm, 1979, p. 372, il quale precisa che il ricorrente ha la facoltà di graduare i motivi di ricorso , subordinando l’accoglimento di uno di essi al rigetto di altri. Anzi, secondo tale Autore, il giudice, nel caso di pluralità di motivi senza precisazione di importanza, dovrebbe tendere ad adottare la pronuncia che soddisfi maggiormente l’interesse del ricorrente (idem, pag. 24): P. Virga, Giustizia amm., 1992, p. 345, secondo cui “è possibile graduare nel ricorso i motivi, perché il ricorrente potrebbe avere interesse all’accoglimento di alcuni motivi solo in via subordinata per l’ipotesi in cui altri motivi, cui annette maggiore importanza, non vengano accolti”.

[5] M. Nigro, L’appello nel processo amm., 1960. p. 446; B. Cavallo, Processo amm. e motivi assorbiti, 1975.

[6] Aggiungerei da parte mia anche il rifiuto della giurisprudenza a riconoscere il risarcimento del danno per lesione di interesse legittimo fino alla sentenza Cass. S. U. 22 luglio 1999, n. 500.

[7] Sia consentito il richiamo della tesi favorevole alla facoltà di graduazione dei motivi e delle domande nel giudizio di annullamento davanti al Tar espressa da Aniello Cerreto e Roberto Michele Palmieri, in Tecniche di redazione della sentenza amministrativa, Dike 2015, pagg. 484-492;501-503.

[8] Cons. St., sez. VI, 5 settembre 2002 n. 4487; Cons. St., sez. V, 29 ottobre 1992 n. 1095: “Il ricorrente ha il potere di determinare l’ambito e i limiti della cognizione del giudice sulla legittimità di un provvedimento amministrativo, definendo esattamente le censure con le quali ritiene di poterne ottenere l’annullamento; tuttavia, una volta che ha proceduto alla formulazione dei motivi, e salvo l’eventuale rinuncia a taluno di essi, egli non può pretendere di indicare l’ordine di esame dei motivi dedotti quando questi, per la loro consistenza oggettiva, siano tra loro in un rapporto ben definito sul piano logico giuridico e non alterabile su mera richiesta dell’interessato”; Cons. St., sez. V, 7 settembre 1982 n. 635: “Le censure proposte in giudizio devono essere esaminate dal giudice nell’ordine suggerito dall’ottica del processo”; Cons. giust. sic., 13 febbraio 1980 n. 1; Cons. St., sez. V, 25 febbraio 1997 n. 184 :soltanto al giudice spetta il compito di decidere l’ordine di trattazione delle censure.

[9] Cons. St. sez. IV, 4 febbraio 2015, n. 552, secondo cui rientra nel potere del giudice amministrativo, derivante dal particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato all’esercizio della funzione pubblica, decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico-giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell’interessato; non essendo ammissibile che il soggetto privato possa ritrarre dall’accoglimento della domanda (per il tramite di un uso sapiente e “graduato” dei motivi di ricorso), utilità che non avrebbe potuto conseguire da un esercizio legittimo del potere amministrativo.

[10] Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2006, n. 5108 e 6 aprile 2009, n. 2143; Sez. VI, 5 settembre 2002, n. 4487.

[11] Cons. St. sez. IV, 4 febbraio 2015, n. 552.

[12] Cons. St., sez. V, 25 febbraio 1997, n. 184.

[13] Cons. St. sez. V, 7 giugno 2012, n.3351.

[14] Cons. St. sez.III, 27 settembre 2012, n.5111.

[15] L’interesse dell’impresa volge prioritariamente a ottenere l’aggiudicazione di una gara, ancorché, in ipotesi, viziata in relazione a censure più radicali che comporterebbero la rinnovazione della procedura (Cons. St. Sez. VI, 25 gennaio 2008, n.213; sez. IV 16 dicembre 2011, n.6625)

[16] Potrebbe ritenersi orientato per l’unicità della domanda nel caso di pluralità di vizi avverso lo stesso atto l’art.43 c.p.a. nella parte in cui distingue “le nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte ovvero domande nuove purchè connesse a quelle già proposte” con riferimento alle due ipotesi di motivi aggiunti. Ma si tratta di disposizione equivoca che non disciplina specificamente l’ordine di esame delle censure e delle domande, che va desunto dai principi generali del processo amministrativo.

[17] Cons. St., Sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4827.

[18] In tal senso appare orientata la sentenza Cons. St. sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2362, la quale ha precisato che occorre dare la prevalenza alle censure di rito rispetto a quelle di merito con l’applicazione sia del principio dispositivo (che consente agli interessati di graduare le proprie domande, prospettandone alcune in via subordinata), sia della possibilità per il giudice di seguire, per le ulteriori censure prospettate, l’ordine logico di trattazione.

Di diverso avviso è invece Cons. St. sez. V. n.6204/2014, che rimette all’ A. P. del Cons. St. varie questioni sulla graduazione dei motivi, ritenendo che il vincolo espresso o implicito imposto dalla parte per le censure a sostegno della stessa domanda non sarebbe vincolante per il giudice, che dovrebbe valutare quella censura che si è presentata per prima nel corso dell’azione amministrativa, in modo tale da consentire all’amministrazione di riprovvedere, eliminando ab imis ogni illegittimità denunciata, e consentendo in questo modo il soddisfacimento dell’interesse alla piena legalità dell’azione amministrativa.

[19] Cons. St. A. P. 13 aprile 2015, n.4, ha ritenuto che si tratta di una giurisdizione di tipo soggettivo, sia pure con aperture parziali alla giurisdizione di tipo oggettivo (ma che si manifestano in precisi, limitati ambiti come, per esempio, nella estensione della legittimazione ovvero nella valutazione sostitutiva dell’interesse pubblico in sede di giudizio di ottemperanza o in sede cautelare, ovvero ancora nella esistenza di regole speciali, quali quelle contenute negli artt. 121 e 122 c.p.a., che, riguardo alle controversie in materia di contratti pubblici, consentono al giudice di modulare gli effetti della inefficacia del contratto).

[20] Deroga confermata a seguito del c.p.a. da TAR Liguria, 27 aprile 2012, n.609.

[21] Cons. St. A. P. 27 aprile 2015, n.5.

[22] Sul valore del principio di separazione dei poteri e la sua declinazione avuto riguardo al potere giurisdizionale in generale, ed a quello esercitato dal giudice amministrativo in particolare, cfr. da ultimo Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85; 23 febbraio 2012, n. 40; Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 2012, n.. 2312 e 2313; Cons. St. A. P. nn. 8 e 9 del 2014.

[23] TAR Lazio, sez. II, 7 gennaio 2014, n.86. Il dubbio è stato fatto proprio anche dall’ord. Sez. V n. 6204/2014 del Cons. St. che rimette la questione all’A. P. , che poi si è pronunciata negativamente con la sentenza n.5/2015.

[24] Cons. St. A. P. , 27 aprile 2015, n.5.

[25] TAR Lazio – Roma sez.. II Quater, 7 ottobre 2014, n. 10225.

[26] Cons. St. A. P. n. 5/2015.

[27] Cons. St. A. P. n. 5/2015.

[28] Lo schema originario del c.p.a., nel testo licenziato dalla commissione di studio istituita in seno al Consiglio di Stato, conteneva una disposizione espressa secondo cui «Quando accoglie il ricorso, il giudice deve comunque esaminare tutti i motivi, ad eccezione di quelli dal cui esame non possa con evidenza derivare alcuna ulteriore utilità al ricorrente». La previsione è stata espunta nel testo finale, ma essa costituisce un principio tendenziale evincibile dal sistema del c.p.a. e senz’altro operante pur in difetto di espressa previsione. Da ultimo, come manifestazione di tale principio generale, può leggersi la norma sancita dall’art. 40, co. 1, lett. a), d.l. n. 90 del 2014 nella parte in cui, novellando l’art. 120, co. 6, c.p.a., ha previsto esplicitamente che il «…il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti….».

[29] Tra i casi di mancato esercizio del potere possono ricondursi anche la mancanza della proposta vincolante prevista dalla legge o di un parere obbligatorio per legge (Cons. St. A.P. n.5/2015).

[30] L’espressione “punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo” va intesa non solo nel senso di idoneità a chiudere il processo rapidamente, ma nel senso più ampio e sostanziale di idoneità a chiudere la lite definitivamente (Cons. St. A..P. n.5/2015).

[31] Cons. St. sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 213.

[32] Cons. St. sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6285.

[33] Cons. St. A. P. n. 4/2015.

[34] Cons. St. A. P. 25 febbraio 2014, n. 9; 3 giugno 2011, n. 10; 7 aprile 2011, n. 4.

[35] Se la decisione su una questione, una domanda, un’eccezione o un motivo vi sia stata, ovvero sia stata assorbita (esplicitamente o implicitamente attraverso il non esame), la sottoposizione della stessa al giudice dell’impugnazione è rimessa necessariamente all’impulso di parte, per il principio devolutivo attenuato che regge il sistema delle impugnazioni (Cons. St. A. P. n.5/2015 e Sez. VI, 23 marzo 2015, n.1596).

[36] Nei giudizi di mero accertamento o di condanna non rilevano i motivi di ricorso ma la fondatezza o meno della pretesa fatta valere, per cui appare irrilevante la graduazione dei motivi.

[37] Sembra preferibile ritenere al fine dell’instaurazione di un corretto contraddittorio che per considerarsi rituale la graduazione dei motivi, ove non effettuata nel ricorso, nei motivi aggiunti o nel ricorso incidentale, debba essere contenuta in un atto notificato alle controparti, anche se ciò non risulta precisato da A. P. n. 5/2015.

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