Il rispetto delle distanze dopo il decreto “semplificazioni”

STEFANO BIGOLARO, Gli interventi di trasformazione dell’esistente e il rispetto delle distanze dopo il decreto “semplificazioni”.



STEFANO BIGOLARO

Gli interventi di trasformazione dell’esistente e il rispetto delle distanze dopo il decreto “semplificazioni” [1]



Il recente decreto legge “semplificazioni”, il numero 76 del 16 luglio 2020, tra le molte novità che contiene pone anche modifiche assai rilevanti nel delicato tema del rapporto tra interventi di trasformazione degli edifici esistenti e obbligo del rispetto delle distanze tra costruzioni, incidendo altresì sulla definizione di ristrutturazione edilizia.

Tali modifiche – per essere comprese e valutate – richiedono un breve inquadramento.

In sintesi, c’è al riguardo una distinzione di base da cui partire: è tra il concetto di nuova costruzione e il concetto di trasformazione di un edificio già esistente.

La nuova costruzione deve rispettare tutte le regole del momento in cui viene fatta.

La trasformazione può essere anche radicale ma interviene su qualcosa che esiste già, e che – per il fatto di esistere legittimamente – ben può continuare a esistere anche se non conforme alla normativa del momento.

L’ipotesi più importante di trasformazione è quella di ristrutturazione edilizia.

Ma quando si interrompe il nesso tra ciò che c’è e ciò che viene realizzato al suo posto? Quando la ristrutturazione edilizia diventa nuova costruzione, e cambia quindi la disciplina applicabile?

La storia degli ultimi anni è la storia dello spostamento di questo confine, nel senso dell’allargamento, lento ma progressivo, della ristrutturazione edilizia. Allargamento che si incentra sulla riconducibilità alla ristrutturazione degli interventi di demolizione e ricostruzione.

La nozione di ristrutturazione aveva una potenzialità espansiva fin dall’inizio, con l’articolo 31 della legge 457 del 1978 che individuava gli interventi di ristrutturazione edilizia come quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

E’ a partire da quella definizione che il concetto di ristrutturazione si è esteso nel tempo, fino alla conclusione che a essere irrinunciabile è solo il rispetto della volumetria preesistente, mentre per il resto la ristrutturazione edilizia può giungere a incidere anche sul sedime e sulla sagoma del manufatto “ristrutturato”.

Sarebbe una storia lunga da ricostruire, fatta di decenni di modifiche legislative e di pronunce giurisprudenziali, di precisazioni e di distinzioni, di giochi a incastro tra discipline e categorie.

Ci si limita qui a ricordare che il punto di arrivo è la versione dell’articolo 3, lettera d), del d.p.r. 380 nel testo vigente fino al decreto legge 76/2020: “Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente…“.

Ma, con la modifica ora apportata all’articolo 3 del d.p.r. 380 dall’articolo 10 del d.l. 76, si va oltre, e non si tiene più ferma neanche l’identità del volume quale presupposto necessario della nozione di ristrutturazione: “Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alle normative antisismiche, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’installazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico“.

Può trattarsi quindi dell’incremento volumetrico per l’applicazione di normative tecniche (non più solo quella antisismica; e, quanto a quella per l’efficientamento energetico, va ricordata la previsione del decreto legislativo 73 del 14 agosto 2020 che, intervenendo sul precedente decreto legislativo 102 del 2014, modifica la considerazione degli spessori necessari).

Ma – soprattutto – nella nozione di ristrutturazione edilizia oggi possono essere ricompresi anche ampliamenti per così dire “autonomi”, cioè non imposti da normative di settore.

Così infatti prosegue ora l’art. 3, lettera d), del d.p.r. 380 come modificato dal d.l. 76: “L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana“.

Cosa vuol dire però “nei soli casi previsti dalla legislazione vigente“? Quale legislazione? Probabilmente sia quella statale che quella regionale. Ma a quale tipo di disposizioni legislative ci si riferisce?

Il riferimento ai “soli casi” fa pensare che non debba trattarsi di disposizioni di portata generale, che ricomprendano nella ristrutturazione ogni tipo di ampliamento. Sembra invece che la norma abbia riguardo alla disciplina di situazioni particolari, espressamente individuate e sottratte come tali alla generalità di tutte le altre situazioni (nelle quali la ristrutturazione continua a non comprendere gli incrementi di volumetria).

Potrebbero essere i casi nei quali l’ampliamento è ricondotto alla ristrutturazione in quanto attribuito per finalità di incentivazione degli interventi di riqualificazione (e in questo senso sembra orientare l’inciso finale della disposizione – pur solo eventuale – sulla promozione degli interventi di rigenerazione urbana).

Ma è necessario individuare una normativa legislativa specifica.

(Nel Veneto, ad esempio, non sembra utile a tal fine l’articolo 10 della legge regionale 14/2009, che anzi distingue tra la parte in cui l’intervento mantiene i volumi esistenti, che è di ristrutturazione, e la parte in cui vi è l’ampliamento rispetto a quei volumi, che è di nuova costruzione.)

Analoghi dubbi si pongono con riferimento ai “soli casi … previsti dagli strumenti urbanistici comunali“. Quelli generali, sembra debba ritenersi. O magari anche quelli attuativi?

Simili incertezze sono evidentemente in grado di vanificare quell’intenzione di larga espansione della nozione di ristrutturazione che forse il decreto legge “semplificazioni” aveva.

All’ormai tradizionale distinzione tra ristrutturazione “leggera” e ristrutturazione “pesante”, recepita dagli articoli 22, comma 1, e 10, comma 1, lettera c), del d.p.r. 380 si affianca ora un’ulteriore distinzione: quella tra ristrutturazione ampliativa (limitata appunto a certi casi soltanto di ampliamento) e ristrutturazione a volume costante (pur se plasmabile con grande libertà). E la moltiplicazione delle ipotesi richiede precisione nelle definizioni.

E’ infine appena il caso di ricordare che l’espansione della nozione di ristrutturazione edilizia rispetto a quella di nuova costruzione rileva anche ai fini del contributo di costruzione e dei correlati incassi comunali.

Va ricordata al riguardo la norma del comma 4 bis dell’articolo 17 del d.p.r. 380 – ora chiarita dal d.l. 76 – che prevede la riduzione del 20% del contributo di costruzione per la ristrutturazione, salve ulteriori riduzioni comunali. E i Comuni devono comunque considerare le proprie disposizioni regolamentari o contenute in “disciplinari” vari, magari risalenti a un tempo in cui le nozioni erano diverse, che spesso prevedono riduzioni di varia natura sulla base della riconducibilità dell’intervento alla ristrutturazione.

Il tema della definizione della ristrutturazione edilizia si incrocia, sovrapponendosi ma senza identificarsi, a un diverso tema: quello della possibilità di mantenimento delle distanze tra costruzioni preesistenti – se ridotte rispetto a quelle prescritte dal d.m. 1444 del 1968 – quando una delle due costruzioni venga sostituita da un nuovo manufatto.

Sul punto, grande rilievo ha avuto il comma 1 ter dell’articolo 2 bis del d.p.r. 380 quale introdotto dall’articolo 5 del d.l. 32 del 2019, il cosiddetto “sblocca-cantieri”.

In tale versione la norma disponeva che: “in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo“.

Non è una norma che si riferisce alla ristrutturazione edilizia, e si riferisce invece alle distanze.

Ed è una norma chiara: se si ha a che fare con delle preesistenti distanze tra costruzioni ridotte rispetto al d.m. 1444 del 1968, per il loro mantenimento non conta la nozione di ristrutturazione. Se si vuole mantenere un fabbricato a tali distanze, dopo averlo demolito, deve essere ricostruito esattamente così: rispettando sedime, volume e altezza dell’edificio preesistente.

E’ una norma cui la Corte costituzionale ha attribuito ora un valore di principio della legislazione statale, censurando in base ad essa una disposizione di legge regionale pugliese che, in via interpretativa, aveva ricondotto agli interventi di demolizione e ricostruzione anche incrementi volumetrici e diverse dislocazioni dei volumi all’interno dell’area di pertinenza (cfr. Corte Cost., sentenza numero 70 del 29 aprile 2020).

E la norma statale in esame è altresì perfettamente in linea con la consueta disciplina delle sopraelevazioni: essendo parificate a nuove costruzioni, le sopraelevazioni devono arretrare per rispettare il d.m. del 1968.

Ma, in tale contesto, la nuova formulazione del comma 1 ter dell’art. 2 bis cit., ora posta dall’articolo 10 del d.l. 76, apporta rilevanti novità: “In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti“.

Interessante, al riguardo, l’inciso sull’impossibilità del rispetto delle distanze mediante la modifica dell’area di sedime, che sembra introdurre un obbligo di verifica preliminare.

Ma se non c’è possibilità di risolvere il problema spostando il manufatto ricostruito, allora – in linea con la premessa generale – anche eventuali ampliamenti possono essere realizzati senza arretrare: “Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti“.

L’attenzione, in questo caso, va posta sul termine di “incentivi volumetrici“: termine non coincidente con quello di “incrementi” volumetrici (usato – come si è visto – nella nuova definizione di ristrutturazione edilizia ora posta dall’articolo 3, lettera d, del d.p.r. 380, sopra citata).

Insomma, non tutti gli incrementi volumetrici sono incentivi.

Incentivi” sembrano in ogni caso essere quei volumi attribuiti in forza di norme di “piano casa”, o comunque aventi natura premiale per gli interventi di riqualificazione (e ciò anche sulla scorta del caso legato alla legislazione regionale pugliese deciso dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza 70/2020, che sembra essere in qualche modo alla base delle scelte ora compiute con il decreto “semplificazioni”).

Per tali volumi, dunque, il decreto legge 76 prevede ora una effettiva novità: la possibilità di deroga al d.m. 1444 del 1968, giacché essi possono essere collocati “nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti“, e dunque – in particolare – con sopraelevazioni non arretrate.

In conclusione: è chiara la direzione, anche se non tutto è chiaro quanto alle effettive intenzioni del decreto-legge “semplificazioni” sui temi in esame.

Nel testo del decreto vi è un sicuro ampliamento della nozione di ristrutturazione edilizia, fino a ricomprendervi gli incrementi di volumetria in alcune ipotesi che però non sono chiaramente definite ma circoscritte ai “soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente e dagli strumenti urbanistici comunali“.

Vi è poi una sicura espansione delle ipotesi in cui un intervento di demolizione e ricostruzione può limitarsi a rispettare le distanze legittimamente preesistenti, venendo ciò consentito anche nel caso di ricostruzione con ampliamento. Ma solo se l’ampliamento sia riconducibile a un concetto, quello di “incentivi volumetrici“, certamente più limitato rispetto a quello di “incrementi” volumetrici, e che potrebbe comunque lasciare spazio a qualche incertezza interpretativa.

Insomma: l’uso della legislazione d’urgenza per introdurre riforme di sistema in una materia delicata e a formazione progressiva come questa, appare quanto mai discutibile. Ma potrebbe almeno esserci l’occasione, in sede di conversione, per una precisazione delle intenzioni alla base del testo normativo.

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[1] Cfr. sul tema Pietro Quinto, “La nuova ristrutturazione edilizia nel decreto semplificazioni”, in LexItalia.it, luglio 2020, pag. http://www.lexitalia.it/a/2020/125572