Termine massimo per il ritiro degli atti amministrativi

TAR – sentenza 18 maggio 2016* (sulla necessità di interpretare l’art. 21 nonies della L. n. 241/1990, nella sua versione originaria, nella parte in cui prevedeva che l’atto di ritiro deve essere adottato “entro un termine ragionevole”, in conformità all’art. 1, comma 136 della legge finanziaria per il 2005, che prevedeva un termine massimo di 3 anni), con 3 documenti correlati.


TAR CAMPANIA – NAPOLI, SEZ. III – sentenza 18 maggio 2016 n. 2554 – Pres. ff. Cernese, Est. Graziano – Hotel Floridiana S.r.l. (Avv.ti Allodi, Morelli e Nonno) c. Regione Campania (Avv.ti Schiano e Di Colella) – (in parte accoglie il ricorso e per altra parte lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione).

1. Giurisdizione e competenza – Contributi e provvidenze pubbliche – Revoca per inadempienze relative alla fase di erogazione – Giurisdizione dell’A.G.O. – Revoca per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse – Giurisdizione amministrativa.

2. Atto amministrativo – Atti di ritiro – Disciplina prevista dall’art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 (inserito dall’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15) – Prima e dopo le modifiche introdotte dalla L. 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. legge Madia) – Necessità che l’atto di ritiro comunque intervenga “entro un termine ragionevole” – Sussisteva sin dall’introduzione di tale norma.

3. Atto amministrativo – Atti di ritiro – Disciplina prevista dall’art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 (inserito dall’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15) – Nella versione originaria – Andava applicato alla stregua disposizione dell’art. 1, comma 136 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 (Legge Finanziaria per il 2005), che prevedeva un termine massimo di 3 anni – Revoca di un contributo oltre detto termine – Illegittimità.

1. In materia di sovvenzioni e contributi pubblici, qualora la controversia sorga in relazione alla fase di erogazione del contributo o di ritiro della sovvenzione sulla scorta di un addotto inadempimento del destinatario, la giurisdizione spetta al G.O., anche se si faccia questione di atti denominati come revoca, decadenza, risoluzione, purché essi si fondino sull’asserito inadempimento, da parte del beneficiario, alle obbligazioni assunte a fronte della concessione del contributo; il privato vanta invece una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del G.A., se la controversia riguarda una fase procedimentale precedente al provvedimento attributivo del beneficio e se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (1).

2. L’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, inserito dall’art. 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, stabiliva sin dalla sua prima versione (nella specie applicabile ratione temporis) che: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’ articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”; successivamente, nel corpo della norma è stato inserito l’inciso in forza del quale il termine ragionevole deve essere “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20”, disposizione recata dall’articolo 6, comma 1, lettera d), numero 1) della legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. Riforma Madia, in vigore dal 28.8.2015).

3. L’originario testo dell’art. 21-nonies L. n. 241/1990, nello stabilire la necessità che il provvedimento di secondo grado venga adottato “entro un termine ragionevole”, va interpretato ed applicato in base alla legislazione allora vigente ed in particolare alla stregua disposizione dell’art. 1, comma 136 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 (Legge Finanziaria per il 2005), norma pienamente vigente fino alla sua abrogazione operata con l’art. 6, comma 2, della L. 7 agosto 2015, n 124, il quale stabiliva che “136. Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”. E’ pertanto illegittimo un provvedimento di revoca di un contributo adottato oltre il termine massimo di tre anni entro il quale, in applicazione dell’art. 1, comma 136 della L. n. 311/2004, poteva essere annullato d’ufficio un provvedimento amministrativo illegittimo ad efficacia durevole (2).

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(1) Giurisprudenza ormai pacifica: v. per tutte Cons. Stato, Ad. Plen., 29 gennaio 2014 n. 6, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/a/2014/9442 e T.A.R. Veneto, Sez. III, 11 novembre 2015 n. 1184.

(2) Ha osservato la sentenza in rassegna che l’art. 1, comma 136 della L. n. 311/2004 costituiva positivizzazione legislativa del principio del termine ragionevole scolpito all’art. 21 – nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241.

Al riguardo è stata richiamata una sentenza recente del Consiglio di Stato (Sez. III, 17 novembre 2015, n. 5259, confermativa di T.A.R. Campania – Salerno, Sez. I, n. 568 del 2015, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/a/2015/47494) sull’interpretazione e l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 1, comma 136, L. n. 311 del 2004, la quale ha evidenziato la portata esegetica della “grundnorm” costituita dall’art. 21 – nonies della L. n. 241/1990 in punto di ragionevolezza del termine massimo di legittimo esercizio del potere di annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi ad efficacia durevole incidenti su rapporti negoziali correnti tra la P.A. e i privati.

Il Giudice d’appello ha avuto modo di statuire al riguardo che l’art. 1, comma 136 della L. 30.12.2004, n. 311, “nel fissare un preciso limite temporale (tre anni) entro il quale le Amministrazioni pubbliche possono esercitare il potere di riesame dei provvedimenti dalle stesse adottati (nella specie, tetti di spesa per strutture sanitarie private accreditate), traduceva (prima della sua abrogazione per effetto dell’art. 6, l. 7 agosto 2015, n. 124) in un dato concreto il parametro indeterminato del « termine ragionevole » di cui all’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 previsto in via generale per l’esercizio di tale potere e individuava legislativamente un punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali fra Pubblica amministrazione e privati, senza lasciare quindi alcuno spazio ulteriore per l’esercizio dell’autotutela finalizzata ad evitare un illegittimo esborso di pubblico denaro”.

Tale esegesi è stata sposata anche dal giudice amministrativo di prime cure, il quale ha affermato che: “Il limite di tre anni previsto dall’art. 1 comma 136, l. 30 dicembre 2004 n. 311, per annullare d’ufficio provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con i privati traduce in un dato concreto il parametro indeterminato del “termine ragionevole” di cui all’art. 21 nonies , l. 7 agosto 1990 n. 241 previsto in via generale per l’esercizio di tale potere. Esso individua legislativamente un punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra pubblica amministrazione e privati, e non lascia quindi alcuno spazio ulteriore per l’esercizio dell’autotutela finalizzata a evitare un illegittimo esborso di denaro pubblico” (T.A.R. Toscana, Sez. I, 21 febbraio 2013 n. 263).

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Documenti correlati:

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – sentenza 10 dicembre 2015, pag. http://www.lexitalia.it/a/2015/69047 (è legittimo, alla luce della L. n. 124 del 2015, che ha previsto uno “sbarramento” di 18 mesi, l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia in sanatoria rilasciata 13 anni prima perché ci si è accorti che occorreva il rilascio del nulla osta da parte della Soprintendenza?).

TAR PUGLIA – BARI – sentenza 17 marzo 2016, pag. http://www.lexitalia.it/a/2016/74149 con commento di OTTAVIO CARPARELLI (sulla illegittimità dell’annullamento in autotutela di un permesso di costruire disposto oltre il termine di 18 mesi ex art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, come novellato dalla L. n. 124 del 2015).

FRANCO BOTTEON, Lo “sblocca-Italia” … blocca l’autotutela: la l. 164/2014 limita l’ambito di applicazione degli artt. 19, comma 3, 21 quinquies e 21 novies della l. n. 241/1990, in LexItalia.it, n. 11/2014, pag. http://www.lexitalia.it/a/2014/34633


N. 02554/2016 REG.PROV.COLL.

N. 03808/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3808 del 2006, proposto da:

Hotel Floridiana S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Giovanni Allodi, Umberto Morelli, Ugo Nonno, con domicilio eletto presso il primo in Napoli, piazza Giovanni Bovio N. 22;

contro

Regione Campania, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Luigia Schiano Di Colella Lavina, con domicilio eletto presso la medesima in Napoli, Via S. Lucia, 81 presso l’Avvocatura Regionale;

per l’annullamento decreto n.39 del 13.3.2006 recante revoca contributi e recupero somme.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2016 il Consigliere Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori specificati in verbale.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. Con il gravame in epigrafe, regolarmente proposto, la ricorrente impugna il provvedimento con cui la Regione Campania, a seguito di comunicazione di avvio del procedimento del 1.7.2005, prot. 570265 ha pronunciato la revoca del contributo di € 409.710,42 concesso nel quadro del P.O.R. 1994/1999 (aiuti alle piccole e medie imprese) con D.D. n. 32 del 14.7.2000 per la realizzazione di un progetto di ristrutturazione ed ammodernamento della struttura ricettiva denominata “Hotel Floridiana” sita in Ischia, Corso Vittoria Colonna, 185.

1.2. Si costituiva la Regione Campania il 17.1.2007 per poi depositare documenti il 19.1.2016 e memoria per il merito il 21.1.2016, eccependo l’inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul rilievo che la pronunciata decadenza dall’aiuto discende da inadempienze che si situano in una fase successiva all’attribuzione del contributo, nella quale la beneficiaria è titolare di una posizione soggettiva avente consistenza di diritto soggettivo.

La ricorrente produceva memoria il 22.1.2016 e replica il 2.2.2016.

Alla pubblica Udienza del 23 febbraio 2016 la causa veniva riservata per approfondimenti a successiva camera di Consiglio stante la compresenza nella motivazione della impugnata revoca, di profili afferenti alla fase esecutiva del rapporto e di profili involgenti invece condizioni di ammissione alla procedura.

Alle Camere di consiglio del 5 aprile 2016 e del 3 maggio 2016 il ricorso è stato deciso.

2.1. Deve essere accolta solo parzialmente l’eccezione di inammissibilità dell’azione per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dal’Ente territoriale e sulla scorta delle ragioni che seguono.

Invero, l’atto di ritiro posto all’attenzione del Collegio è stato determinato oltre che dagli accertamenti della Guardia di Finanza per emissione di false fatturazioni nonché fatturazioni per operazioni inesistenti, dalle risultanze di ulteriori verifiche eseguite dall’Ufficio regionale competente sulla documentazione in suo possesso, verifiche dalle quali sono emerse, a stare alla premessa del provvedimento di revoca gravato, “gravi inadempienze e violazioni di legge con riferimento alla normativa comunitaria e alle prescrizioni del Bando”.

In particolare viene addebitata alla ricorrente le seguente sequela di inadempienze: a) nella relazione allegata al “businnes plan”non sono stati indicati i parametri di costo per vani e posti letto; b) l’istanza di riesame della domanda di cofinanziamento non ha in allegato la relazione di perizia asseverata citata nella stessa istanza.

2.2. Orbene, in relazione alle due descritte inadempienze ritiene il Collegio sussistere la giurisdizione di questo Giudice poiché le contestate mancanze afferiscono a condizioni di partecipazione e presupposti di ammissibilità della domanda di finanziamento, le relative accertate violazioni integrando vizi genetici dell’attribuzione del contributo e costituendo quindi vizi di legittimità originari della deliberata ammissione al beneficio.

In siffatte ipotesi la giurisprudenza, di recente suggellata da Consiglio di Stato, Ad. Plen. n. 6/2014, ha da tempo statuito che il Giudice amministrativo è fornito di giurisdizione se la controversia si situi nella fase procedimentale precedente l’erogazione ovvero in quella successiva ma allorché il contributo venga annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse ma non per inadempienze del concessionario: Consiglio di Stato, Sez.VI, 24.1.2011, n. 465; Consiglio di Stato, Sez. V, 10.11.2010, n.7994).

2.3. Sennonché è dato al Collegio rilevare che la revoca per cui è causa è stata adottata non solo a causa delle appena delineate irregolarità genetiche, ma anche in conseguenza di ulteriori violazioni prettamente involgenti la fase esecutiva del rapporto ed individuate nel provvedimento ma ancor prima nella conforme comunicazione di avvio ex art. 7, L. n. 241/1990 del 1.7.2005, nelle seguenti deficienze:

1) tra i documenti inviati dalla società risulta una fattura non ammissibile a contributo perché emessa il 30.7.1994, ovvero antecedentemente alla data del 1.8.1994 fissata nel bando di gara;

2) alla data di richiesta dell’acconto, fatture per un totale pari a £1.147.962,098 non erano quietanzate;

3) la società ha compreso tra le fatture presentate, anche quelle relative a beni non durevoli ed a spese di manutenzione per un totale di £ 130.318.817, non ammissibili a finanziamento;

4) la società ha presentato fatture per operazioni fittizie per un importo totale di £ 647.016.442;

5) i lavori sono stati eseguiti su due corpi di fabbrica e non su un unico fabbricato, come invece attestato dalle relazioni tecniche.

Come può notarsi, dunque, le inadempienze di cui ai punti da 1 a 5 contestate alla ricorrente e costituenti il secondo gruppo di ragioni delle disposta revoca del finanziamento concesso, si situano a valle dell’attribuzione del beneficio, posizionandosi nella fase esecutiva del rapporto di concessione, nella quale si ravvisano posizioni aventi consistenza di diritto soggettivo, radicanti pertanto la giurisdizione del giudice ordinario.

3.1. Rammenta sul punto il Collegio che per giurisprudenza consolidata il ritiro di un contributo pubblico per inadempimento del concessionario agli obblighi discendenti da norme, dal provvedimento, dal disciplinare o dall’accordo di concessione, anche ove assuma la forma e i caratteri di un provvedimento di decadenza o di revoca, delinea in termini di diritto soggettivo la situazione giuridica del destinatario e conseguentemente radica la giurisdizione del Giudice ordinario.

La materia della spettanza della giurisdizione sulle controversie concernenti la revoca o l’annullamento di contribuzioni pubbliche ha formato oggetto di numerosi interventi della giurisprudenza, dei quali conviene richiamare solo quelli più pregnanti.

In proposito giova segnalare che si è condivisibilmente precisato che “in tema di riparto di giurisdizione in materia di sovvenzioni, contributi pubblici ed aiuti comunitari, rilevano i normali criteri di riparto, fondati sulla natura delle situazioni soggettive azionate, con la conseguenza che, qualora la controversia sorga in relazione alla fase di erogazione del contributo o di ritiro della sovvenzione sulla scorta di un addotto inadempimento del destinatario, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti denominati come revoca, decadenza, risoluzione, purché essi si fondino sull’asserito inadempimento, da parte del beneficiario, alle obbligazioni assunte a fronte della concessione del contributo; il privato vanta invece una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, se la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento attributivo del beneficio, o se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 7 aprile 2011 , n. 359).

La citata pronuncia riproduce del resto l’orientamento già formatosi nel Consiglio di Stato, che ha affermato la giurisdizione del G.A. solo nella fase procedimentale precedente l’erogazione ovvero in quella successiva ma allorché il contributo venga annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse ma non per inadempienze del concessionario: Consiglio di Stato, Sez. VI, 24.1.2011, n. 465; Consiglio di Stato, Sez. V, 10.11.2010, n. 7994.

Più di recente il Giudice d’appello ha ribadito che “inoltre la posizione del privato, anche quando è di interesse legittimo, come tale tutelabile dinanzi al giudice amministrativo nella fase procedimentale anteriore all’emanazione del provvedimento attributivo del beneficio, ovvero nel caso che tale provvedimento venga annullato o revocato in via di autotutela per vizi di legittimità o per il suo contrasto con il pubblico interesse, è invece di diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, se la controversia attiene alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione” (Consiglio Stato , sez. IV, 28 marzo 2011 , n. 1875).

3.2. Anche la giurisprudenza di prime cure segue il rammentato indirizzo interpretativo avendo precisato che “Il riparto di giurisdizione in materia di sovvenzioni, contributi pubblici ed aiuti comunitari è regolato dai normali criteri, fondati sulla natura delle posizioni soggettive azionate, per cui il beneficiario risulta titolare di un diritto soggettivo, nella fase successiva all’attribuzione dell’aiuto; pertanto, qualora la controversia sorga in relazione alla fase di erogazione del contributo o di ritiro della sovvenzione, sulla scorta di un preteso inadempimento del destinatario, la giurisdizione spetta al g.o., anche ove si faccia questione di atti denominati revoca, decadenza, risoluzione e simili, purché fondati sull’asserito inadempimento da parte del concessionario, quanto alle obbligazioni assunte in rapporto al conseguito contributo. Il privato vanta, invece, una situazione soggettiva d’interesse legittimo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale anteriore al provvedimento attributivo del beneficio o se il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse” (T.A.R. Emilia – Romagna – Parma, Sez. I, 27.1.2011, n. 17).

La spettanza della giurisdizione al Giudice ordinario nei casi di revoca determinata da presunte inadempienze del beneficiario è affermata pure dal T.A.R. centrale: cfr T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, 6.12.2010, n. 35391; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, n. 32633/2011.

Anche la Sezione si è pronunciata da tempo nel medesimo senso dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario nei casi di revoca cagionata da inadempienze del beneficiario: T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 5.10.2009, n. 5152 emerse in sede di rendicontazione ( T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 7.9.2012, n. 3784).

Segnala inoltre conclusivamente la Sezione che il rassegnato e riportato orientamento giurisprudenziale ha recentissimamente ottenuto il suggello dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale, confermando T.A.R. Lazio Roma, Sez. III ter n. 1134/2013, ha statuito che “il giudice ordinario è competente a conoscere le controversie instaurate per ottenere gli importi dovuti o per contrastare l’Amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione concessi, adducendo l’inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo” (Consiglio di Stato, A.P. 29.1.2014 n. 6).

L’arresto dell’Adunanza Plenaria costituisce del resto di conferma del tradizionale e consolidato indirizzo giurisprudenziale, già ribadito con la precedente pronuncia della stessa Adunanza plenaria 29 luglio 2013, n. 13 e condiviso dalle sezioni unite della Corte di cassazione – Cass. ss.uu., ordinanza 25 gennaio 2013, n. 1776; Id., 24 gennaio 2013, n. 1710; 7 gennaio 2013, n. 150 – secondo cui il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata.

Segnala il Collegio che l’attribuzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie afferenti alla fase di esecuzione del contributo pubblico, in particolare laddove si faccia questione di un inadempimento del beneficiario alle condizioni tutte cui è sottoposta l’erogazione dello stesso, è stata confermata dalla V Sezione del Consiglio di Stato che ha ribadito che “Qualora una controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo pubblico sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione (…) la giurisdizione spetta al Giudice Ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca , decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo; in tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto” (Cons. Stato Sez. V, 23-10-2014, n. 5257). In tal senso il Consiglio si era già espresso: Cons. Stato Sez. V, 14-10-2014, n. 5086 nonché Cons. di Stato Sez. V, 10-09-2014, n. 4598.

Più di recente la giurisprudenza ha ribadito il delineato avviso affermando che “In materia di sovvenzioni e contributi pubblici, qualora la controversia sorga in relazione alla fase di erogazione del contributo o di ritiro della sovvenzione sulla scorta di un addotto inadempimento del destinatario, la giurisdizione spetta al g.o., anche se si faccia questione di atti denominati come revoca, decadenza, risoluzione, purché essi si fondino sull’asserito inadempimento, da parte del beneficiario, alle obbligazioni assunte a fronte della concessione del contributo; il privato vanta invece una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del g.a., se la controversia riguarda una fase procedimentale precedente al provvedimento attributivo del beneficio e se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse” (T.A.R. Veneto, Sez. III 11 novembre 2015 n. 1184).

Ulteriormente si è precisato che “ Nella materia dei contributi, delle sovvenzioni e dei finanziamenti pubblici, la posizione giuridica del privato nella fase procedimentale successiva al provvedimento attributivo del beneficio riveste i connotati del diritto soggettivo, allorché si faccia questione della conservazione della disponibilità della somma percepita di fronte alla contraria posizione assunta dalla p.a. con provvedimenti che, pur variamente definiti (revoca, decadenza, risoluzione), siano assunti in funzione dell’attuazione dello scopo che si è voluto agevolare; e ciò in quanto non si tratta di effettuare una ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato (come nel momento di stabilire se concedere o no il finanziamento), ma soltanto di valutare se siano stati rispettati gli obblighi presi o imposti. Correlativamente, la posizione del beneficiario è di diritto soggettivo ogniqualvolta la concessione e il ritiro del contributo discendano automaticamente dall’accertamento di presupposti vincolanti, senza che all’amministrazione sia rimessa alcuna possibilità di valutazioni o accertamenti discrezionali, la medesima regola valendo tanto per gli aiuti statali, che per quelli comunitari, con le ovvie ricadute in punto di riparto di giurisdizione” (T.A.R. Toscana, Sez. II , 1 giugno 2015 n. 846).

Risolutivamente il Consiglio di Stato ha di recente ricostruito il panorama del riparto giurisdizionale ribadendo i criteri già individuati dall’Adunanza Plenaria n. 6/2014, riaffermando il principio per cui “ Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo atteso che, in tal caso, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario” (Consiglio di Stato, Sez. III, 13 maggio 2015 n. 2403 ).

Orbene, nel caso all’esame del Collegio è indiscutibile, come più sopra precisato, che le circostanze che hanno determinato la contestata revoca sono emerse in sede di esecuzione, a valle del provvedimento di concessione dell’agevolazione pubblica e non afferiscono agli unici due casi che ritagliano la giurisdizione del Giudice amministrativo, ossia una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico (o il contrasto originario con esso) o la scoperta di vizi di legittimità parimenti originari ostativi alla concessione della provvidenza e che more solito si riconnettono alla valutazione dei requisiti di ammissione o ammissibilità dell’intervento.

Sulla scorta delle argomentazioni fin qui svolte e della giurisprudenza sopra rassegnata, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, il ricorso in decisione va dichiarato in parte qua inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in relazione alle ragioni della revoca enucleate alle lettere b), d), e), f) e g).della parte motiva del d.d.31.3.2006, n. 39 impugnato.

4.1 Deve ora il Collegio farsi carico di valutare la legittimità, alla luce dei relativi motivi di ricorso, dell’annullamento in autotutela disposto con l’impugnato decreto regionale n. 39 del 31 marzo 2006, del D.D. n. 32 del 14 luglio 2000 recante la concessione del contributo per cui è causa.

Come si è dianzi precisato, infatti, con il decreto gravato l’Amministrazione regionale ha pronunciato la decadenza ovvero la revoca del contributo concesso con il citato decreto n. 32 adottato circa sei anni prima il 14 luglio 2000 ed ha conseguentemente revocato le determinazioni dirigenziali, ad esso conseguenti, n. 126 del 19.10.2000 e n. 160 del 9.5.2001 recanti l’erogazione dei primi due acconti e della rata di saldo del contributo de quo agitur.

La censurata decisione di ritiro in via di autotutela del provvedimento concessorio del 14.7.2000 e delle conseguenziali determinazioni erogative del finanziamento dell’ottobre 2000 e del maggio 2001 è stata cagionata dalla circostanza che la Regione, dopo circa sei anni dalla concessione e cinque dall’erogazione delle prime due rate nonché del saldo della provvidenza, ha accertato due deficienze nella domanda di ammissione al finanziamento, integranti una ragione di inammissibilità della stessa; la prima mette capo ad una parziale carenza della relazione da allegarsi al businnes plan, ossia al piano economico – finanziario dell’investimento e consiste nell’omessa specificazione dei parametri di costo dell’intervento relativamente ai vani e ai posti letto; la seconda nella presunta allegazione alla domanda di riesame [si rammenta che in prima battuta la Regine aveva respinto l’istanza di concessione della provvidenza che è stata poi accordata a seguito di istanza di riesame (doc. 6 produzione ricorrente) con cui la ricorrente chiariva che il progetto era “completo di tutti gli elaborati previsti dalla normativa”] della relazione di perizia asseverata citata nella stessa in luogo in luogo della quale relazione risulterebbe invece allegata, ad avviso della Regione, una relazione a firma dell’Arch. Paolo Baiocco.

4.2. A contestazione in generale dell’avvenuto esercizio da parte della Regione del potere di autotutela tradottosi nella decadenza e revoca del finanziamento pronunciate, anche per le ragioni più sopra indicate afferenti alla fase di esecuzione del programma e come tali devolute alla giurisdizione del Giudice ordinario, la ricorrente articola il primo e fondamentale motivo di ricorso, che censura in radice ed in toto la disposta autotutela per violazione dei principi fondamentali cui detto potere è astretto e soggetto in forza degli artt. 21 – quinquies e nonies della L. 7.8.1990, n. 241, dei quali la deducente rubrica violazione al pari di altre norme ed unitamente a varie figure sintomatiche dell’eccesso di potere, in particolare per difetto di motivazione ed omessa ponderazione dei contrapposti interessi pubblici e privati nonché per violazione del principio del legittimo affidamento ingenerato nel beneficiario per effetto del decorso di un così lungo arco temporale dalla concessione del finanziamento.Lamenta, in particolare che i provvedimenti concessivi del contributo ed oggetto di un’autotutela esercitata dopo ben sei anni, sono scaturiti da una approfondita istruttoria protrattasi per circa tre anni da quando l’iniziale domanda di cofinanziamento dell’iniziativa, poi di fatto completata in virtù dell’avvenuta erogazione della provvidenza cui era funzionale, fu respinta con decreto regionale n. 4432 dell’8.4.1998, a seguire al quale l’istante produceva domanda di riesame di tale negativa decisione in data 1.6.2008 (doc. 6 produzione ricorrente) chiarendo con la relazione dell’Ing. Trani allegata all’istanza per formarne parte integrante, che il progetto era “completo di tutti gli elaborati previsti dalla normativa”.

Dopo aver impiegato due anni per la disamina della predetta domanda di riesame, con il decreto poi revocato a distanza di sei anni mediante quello oggi impugnato, la Regione si determinava ad accogliere l’istanza di riesame adottando il decreto dirigenziale n. 32 del 14 luglio 2000, con il quale, evidentemente dopo aver analizzato la documentazione prodotta dalla deducente a sostegno della richiesta revisione nel merito della precedente decisione negativa di non ammissione, concedeva all’Hotel La Floridiana il finanziamento richiesto, avendo riscontrato, l’esistenza di tutti i documenti richiesti dal bando ed allegati all’istanza di finanziamento.

Dopo di ché la Regione erogava l’acconto con determina dirigenziale n. 126 del 19 ottobre 2000 e con la successiva erogazione del saldo consolidava la posizione giuridica della istante la quale utilizzava tutte le some erogate realizzando l’iniziativa di ammodernamento e ristrutturazione agevolata.

Tanto più che la stessa Regione, con nota n. 2004.0266542 del 30.3.2004 (doc 4 produzione ricorrente), comunicava alla ricorrente che “dall’esame della documentazione inviata dopo la chiusura del programma di investimento …finanziato con i decreti dirigenziali nn. 126/00 e 160/01 emerge che è stato realizzato l’incremento occupazionale programmato per l’anno a regime”, contestualmente dichiarando pertanto che “nulla osta allo svincolo delle polizza fideiussorie”.

4.3.Tutto ciò premesso, per la ricorrente appare evidente che il particolare grado di approfondimento dell’istruttoria ed il consolidarsi della situazione di fatto e di diritto determinata dall’amministrazione abbiano generato un legittimo affidamento in merito alla validità del finanziamento, conseguendone l’illegittimità dell’impugnato decreto di revoca – ovvero di annullamento in via di autotutela – che è intervenuto a circa sei anni dalla concessione, del finanziamento de quo agitur disposta con decreto n. 32/2000, “al di là di ogni ragionevole termine per l’esercizio dell’autotutela, senza motivare in ordine all’esistenza di un pubblico interesse attuale e specifico alla sua adozione” (ricorso, pag. 5).

Nella memoria del 22.1.2016 sul punto la deducente ulteriormente avversa l’esercitato potere di autotutela, rimarcando come sia stato “sicuramente superato l’invalicabile limite temporale di esercizio del potere la cui individuazione, secondo l’opinione consolidata nella giurisprudenza amministrativa, non può prescindere dal grado di complessità degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento”, all’uopo invocando una pronuncia del Consiglio di Stato che in materia di revoca di finanziamento di un programma agricolo ha ritenuto irragionevole la revoca stessa disposta sulla base di una contestazione dell’ammissibilità della domanda non effettuata al momento della sua valutazione, dopo sei anni dall’ammissione al programma (Consiglio di Stato, parere del 13.7.2011, affare n. 05654/2010).

4.3. Ad avviso del Collegio la ricostruita censura si presta ad essere favorevolmente considerata e merita pertanto di essere accolta ed, oltretutto, rivestendo carattere assorbente poiché involge funditus l’avvenuto esercizio del potere di autotutela, consente di accogliere il ricorso con assorbimento degli altri residui motivi appuntati nello specifico sulla contestazione nel merito delle motivazioni addotte nel provvedimento a sostegno delle due rilevate e sopra sintetizzate ragioni di inammissibilità della domanda (mancanza della relazione asseverata in allegato all’istanza di riesame ed omessa indicazione nella relazione acclusa al businnes plan, dei parametri di costo per vani e posti letto).

Invero, risulta ex actis che il decreto regionale n. 39/2006 impugnato, recante esercizio del potere di autotutela e conseguente ritiro del decreto regionale concessivo dell’aiuto n. 32 del 14,7.2000, è stato adottato il 31 marzo 2006 e comunicato alla ricorrente con nota del 4 aprile 2006 successivamente recapitata.

Il provvedimento censurato è stato dunque adottato circa sei anni dopo l’emanazione del decreto di ammissione al contributo richiesto dalla ricorrente con istanza del 12.8.1997, agli atti (doc. 5 produzione ricorrente) ed annulla un provvedimento di concessione del contributo a sua volta assunto il 14 luglio 2000 a seguire ad un’istruttoria procedimentale durata, come esattamente rileva la ricorrente, quasi tre anni a decorrere dal 12 agosto 1997 allorché essa ebbe a presentare la domanda di cofinanziamento a valere sul P.O.P (Programma operativo plurifondo) per le annualità 19994 – 1999 del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.

L’istanza iniziale fu reietta sul rilievo, poi risultato infondato, che il progetto presentato non fosse cantierabile, rilevo al quale la deducente reagì documentando, invece, la pronta realizzabilità del programma mediante produzione di una relazione asseverata a firma dell’Ing. Benito Trani, elaborato richiamato nel’istanza di riesame del 1.6.1998 e ad essa allegato quale parte integrante (cfr. doc. 6 produzione ricorrente sul quale diffusamente breviter infra).

Ebbene emerge palese la denunciata disfunzione amministrativa, oggetto degli strali argomentativi svolti con il primo motivo di ricorso in disamina, laddove si consideri che dalla data della citata istanza di riesame (1 giugno 1998) a quella di adozione del decreto regionale n. 32 oggetto del’illegittima autotutela attuata con l’impugnato decreto n. 39/2006, sono decorsi più di due anni, verosimilmente occorsi al Servizio regionale competente per esaminare l’istanza di riesame e i relativi allegati – tra i quali la cennata relazione tecnica asseverata – e decidere di accogliere la stessa decretando la concessione del contributo.

Ne consegue l’abnormità dell’avversata autotutela siccome intervenuta circa sei anni dopo il decreto del 14 luglio 2000 con il quale il competente dirigente aveva assunto il decretato accoglimento del’istanza di riesame a seguito di approfondita rinnovata disamina della domanda di partecipazione alla luce della ulteriore documentazione inoltrata dalla deducente

Invero, come si legge a chiare note nella determina dirigenziale n. 126 del 19.10.2000, successiva al decreto di ammissione n 32 del 14.7.2000, da parte del Servizio regionale competente è stata “verificata l’esistenza di tutti i documenti previsti dal bando ed allegati alla domanda di richiesta del contributo” (doc. 4 produzione regionale del 19.1.2016).

4.4. Sorprende, dunque, che la mancanza in allegato all’istanza di riesame del 1.6.2008, della relazione tecnica asseverata richiamata in essa, redatta dal’Ing. Benito Trani e intesa a dimostrare la cantierabilità del progetto, sia stata rilevata non nell’immediatezza e in costanza dell’esame della domanda di riesame cui la ricorrente afferma di averla allegata, e cioè in funzione dell’adozione del decreto n. 32/2000 di vaglio dell’istanza stessa (vaglio risultato di segno favorevole alla deducente ed esitato nella concessione della provvidenza ) bensì a distanza di circa sei anni dal predetto decreto di concessione.

Se l’additata relazione asseverata non fosse stata allegata all’istanza di riesame, la quale, invece, precisa al punto c) che “risulta, invece, dalla relazione di perizia asseverata dell’ing. Benito Trani, che si allega alla presente perché ne formi parte integrante, che il progetto presentato dall’istante è completo di tutti gli elaborati previsti dalla normativa”, l’Ufficio competente ed il relativo Dirigente, non avrebbe decretato la concessione del finanziamento a seguito dell’accoglimento della domanda di riesame della precedente negativa determinazione di rigetto.

Al riguardo, oltretutto, la ricorrente fornisce adeguato principio di prova dell’avvenuta allegazione all’istanza di riesame – contrariamente a quanto afferma la Regione nelle premesse dell’impugnato decreto n. 39/2006 a pag. 3 – della citata perizia asseverata a firma del’Ing. Trani atteso che deposita (doc. 6 del ricorso) copia dell’istanza stessa congiunta ad una ricevuta postale n.. PI3035 5020 9 IT di spedizione per postacelere recante timbro dell’Ufficio postale accettante riportante chiaramente leggibile la relativa data del 1.6.2008. Ebbene in detta istanza si legge l’inciso testé riportato circa l’avvenuta allegazione della perizia, che viene prodotta in copia in allegato all’istanza stessa ed ha impressi in ciascun foglio il timbro del professionista redattore e la sigla ed all’ultima pagina riporta la data del 29.5.1998, il timbro e la sottoscrizione per esteso del tecnico.

Dal che consegue anche la fondatezza della seconda parte del secondo motivo di ricorso dedicato alla contestazione della causa di revoca indicata alla lettera a) della premessa del’impugnato decreto, imperniata sulla addotta omessa allegazione della ridetta relazione peritale all’istanza di riesame.

5.1. Riprendendo lo scrutinio del primo motivo direzionato avverso l’illegittimità, radicitus ed in generale, sull’avvenuto esercizio del potere di ritiro in autotutela dei provvedimenti concessivi ed erogativi del finanziamento, la ricorrente, come dianzi illustrato, si duole dell’assenza del presupposto basilare che condiziona la legittimità del potere in questione, individuato sin dall’immediato varo dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990 avvenuto con la L. n. 15 del 2005, nella tempestività del potere stesso, ossia nel dispiegarsi di esso entro un ragionevole lasso di tempo decorrente tra il provvedimento oggetto di ritiro in autotutela e quello mediante il quale la stessa si estrinseca.

Orbene, l’art. 21 – nonies della L. 7.8.1990, n. 241, inserito dall’articolo 14, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, stabilisce sin dalla sua prima versione, vigente ed applicabile ratione temporis al provvedimento impugnato adottato il 31 marzo 2006, che “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’ articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”. Successivamente, nel corpo della norma è stato inserito l’inciso in forza del quale il termine ragionevole deve essere “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20”, disposizione recata dall’articolo 6, comma 1, lettera d), numero 1) della Legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. Riforma Madìa, in vigore dal 28.8.2015).

Orbene, in disparte la riportata ultima definizione normativa, nella sua estensione massima, del termine ragionevole, già l’originario testo dell’art. 21-nonies L. n. 241/1990 stabiliva la necessità che il provvedimento di secondo grado venisse adottato entro un termine ragionevole, la cui concreta individuazione era opera della giurisprudenza, che all’uopo ha valorizzato i più svariati fattori, onde tutelare l’affidamento incolpevole che il privato destinatario del provvedimento di primo grado, accrescitivo della sua sfera giuridica, avesse riposto nel silenzio dell’Amministrazione sull’assetto di interessi creato dall’atto amministrativo sul quale solo successivamente essa intervenga in via di autotutela c.d. decisoria.

5.2. In chiave ricognitiva della stratificazione normativa succedutasi nel tempo in ordine alla tematica del ragionevole termine di annullamento di provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole, rammenta anche il Collegio come sul punto si profili rilevante, in quanto direttamente disciplinante l’annullamento di provvedimento incidenti su rapporti convenzionali o contrattuali intercorrenti tra la P.A. e i privati – qual è il caso all’esame – la disposizione dell’art. 1, comma 136 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 (Legge Finanziaria per il 2005), norma pienamente vigente fino alla sua abrogazione operata con l’art. 6, comma 2, della L. n. 7.8.2015, n 124 appena citata, il quale stabiliva che “136. Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.

5.3. Orbene, considerato che, come si è or ora avvertito, tale norma è stata espunta dal’ordinamento solo con l’art. 6 della L. n. 124/20015 del 7 agosto 2015 all’evidente fine di armonizzare l’ordinamento ed evitare contraddizioni con la previsione del termine massimo di diciotto mesi inserito nel testo del’art. 21-ninies della legge sul procedimento, doveva fondatamente predicarsene la sua doverosa applicazione da parte della Regione Campania nel 2006, allorquando è stato emanato l’impugnato decreto n. 39 del 31 marzo 2006. Ne consegue che in forza della disposizione in disamina il provvedimento regionale di annullamento d’ufficio della concessione del finanziamento a cagione della ritenuta illegittimità dell’ammissione della domanda della Hotel Floridiana s.r. per le causali di cui alle lettere a) e c) della premessa del decreto gravato (omessa allegazione all’istanza di riesame della perizia asseverata e mancata indicazione nella relazione allegata al businnes plan dei parametri di costo per vani e posti letto) ma anche per le ulteriori causali di cui alle lettere b), d), e), f) e g) ancorché emerse in fase di esecuzione ma pur sempre colorando di illegittimità sopravvenuta la concessione del contributo, è illegittimo poiché adottato oltre il termine massimo di tre anni entro il quale, in applicazione dell’art. 1, comma 136 della L. n. 311/2004 poteva essere annullato d’ufficio un provvedimento amministrativo illegittimo ad efficacia durevole – qual è irrefutabilmente il decreto regionale n. 32/2000 – incidente su rapporti contrattuali o convenzionali intercorrenti tra la P.A. (nella specie, La Regione Campania ) e i privati (nella specie, la Hotel La Floridiana s.r.l.), rapporti contrattuali nel caso de quo costituiti dal contratto di concessione del contributo per cui è controversia.

Invero, la Regione avrebbe dovuto avvedersi tempestivamente, entro il termine massimo di tre anni dalla disposta concessione del finanziamento, anche delle eventuali patologie del rapporto collocatesi fase di esecuzione di esso, patologie per lo più afferenti al mero livello formale e documentale in quando incentrate sulla rendicontazione e sulla fatturazione dell’investimento.

Ciò non è avvento, essendo stato annullato e revocato il decreto 31/2000 di concessione del contributo e le determine n.126/2000 e 160/2001 di liquidazione ed erogazione dei primi due acconti e del saldo, ben oltre il ragionevole termine di cui all’art. 21- nonies della L. n. 241/1990 e comunque oltre il termine legislativo massimo di tre anni, avendo la Regione annullato il decreto concessivo dell’aiuto dopo circa ben sei anni dall’adozione, il 17 luglio 2000, del primo.

Ne consegue la evidente illegittimità del decreto n. 39 del 31.3.2006 impugnato che va conseguentemente in toto annullato per violazione dell’art. 1, comma 136 della L. n. 311/2004, norma che costituiva positivizzazione legislativa del principio del termine ragionevole scolpito all’art. 21 – nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241, del quale fondatamente la ricorrente deduce la violazione con il primo, persuasivo ed assorbente motivo di ricorso.

Segnala il Collegio che il Consiglio di Stato si è di recente pronunciato sull’interpretazione e l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 1, comma 136, L. n. 311 del 2004, delineandone condivisibilmente ed efficacemente la portata esegetica della “grundnorm” costituita dall’art. 21 – nonies della L. n. 241/1990 in punto di ragionevolezza del termine massimo di legittimo esercizio del potere di annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi ad efficacia durevole incidenti su rapporti negoziali correnti tra la P.A. e i privati.

Il Giudice d’appello ha condivisibilmente avuto modo di statuire che l’art. 1, comma 136 della L. 30.12.2004, n. 311, “nel fissare un preciso limite temporale (tre anni) entro il quale le Amministrazioni pubbliche possono esercitare il potere di riesame dei provvedimenti dalle stesse adottati (nella specie, tetti di spesa per strutture sanitarie private accreditate), traduceva (prima della sua abrogazione per effetto dell’art. 6, l. 7 agosto 2015, n. 124) in un dato concreto il parametro indeterminato del « termine ragionevole » di cui all’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 previsto in via generale per l’esercizio di tale potere e individuava legislativamente un punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali fra Pubblica amministrazione e privati, senza lasciare quindi alcuno spazio ulteriore per l’esercizio dell’autotutela finalizzata ad evitare un illegittimo esborso di pubblico denaro” (Consiglio di Stato, Sez. III, 17/11/2015, n. 5259, confermativa di T.A.R. Campania – Salerno, Sez. I, n. 568 del 2015).

Tale esegesi è stata sposata anche dal giudice amministrativo di prime cure, che ha condivisibilmente affermato che “Il limite di tre anni previsto dall’art. 1 comma 136, l. 30 dicembre 2004 n. 311, per annullare d’ufficio provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con i privati traduce in un dato concreto il parametro indeterminato del “termine ragionevole” di cui all’art. 21 nonies , l. 7 agosto 1990 n. 241 previsto in via generale per l’esercizio di tale potere. Esso individua legislativamente un punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra pubblica amministrazione e privati, e non lascia quindi alcuno spazio ulteriore per l’esercizio dell’autotutela finalizzata a evitare un illegittimo esborso di denaro pubblico” (T.A.R. Toscana, Sez. I, 21 febbraio 2013 n. 263 ).

5.4. Giova anche segnalare che in argomento la Sezione, con una pronuncia ricognitiva dei presupposti del potere di autotutela decisoria concretante annullamento di precedenti provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, ha giudicato non ragionevole un termine di cinque anni intercorrente tra l’atto annullato e il provvedimento di annullamento, enunciando il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui onde definire in concreto siffatto termine ragionevole occorre considerare da un lato la “natura dei provvedimenti oggetto del potere di ritiro e alla sequenza procedimentale in cui si collocano” e dall’altro gli “effetti prodotti sia a livello materiale che psicologico in capo al destinatario di un precedente provvedimento favorevole /ampliativo della sua sfera giuridica” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, n.1077/2013).

I tratteggiati principi, calati nel caso di specie conducono ad una diagnosi di illegittimità del decreto regionale n. 39/2006 siccome non rispettoso dei delineati fattori condizionanti l’autotutela, ambedue emergenti nella fattispecie all’esame, contrassegnata, quanto al primi principio, da un provvedimento oggetto di autotutela avente una rilevante finalità di incentivazione dell’attività economica e dal correlato riverbero occupazionale nonché da una sequela procedimentale che ha evidenziato una fase istruttoria prodromica particolarmente accurata e sviluppatasi nell’arco di tre anni; quanto al secondo, dall’aver ingenerato in capo alla Hotel Floridina s.r.l. beneficiaria del contributo concesso a luglio 2000 e ritirato a marzo 2006, di un affidamento legittimo ed incolpevole nella regolarità e legittimità della disposta ammissione all’agevolazione e della e correlata erogazione dei ratei del medesimo, per efetto delle quali la ricorente ha realizzato l’investimento.

Con la ricordata sentenza la Sezione ha chiarito, invero, che:

“L’art. 21 – nonies della legge sul procedimento consente alla p.a. di annullare d’ufficio suoi precedenti provvedimenti sempreché vengano rigorosamente osservati e rispettati i presupposti inderogabilmente da detta norma definiti, il più rilevante dei quali è l’adozione del provvedimento di ritiro entro un ragionevole termine dall’emanazione del provvedimento ritirato.

Il rispetto di tale condizione muove all’insegna della tutela del legittimo ed incolpevole affidamento ingenerato nel privato dall’emanazione del provvedimento da annullare, oltre che del canone di coerenza e non contraddizione dell’azione amministrativa riveniente dall’art. 97 della Costituzione.

Orbene, nella specie è da condividere l’assunto della ricorrente, secondo la quale il decorso di cinque anni dall’adozione del parere favorevole della C.E.I. configura la violazione del ragionevole termine. Siffatto spatium temporis, osserva il Collegio, si profila nettamente irragionevole soprattutto in considerazione della natura endoprocedimentale degli atti in questione, entrambi prodromici all’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento di sanatoria edilizia.

2.3. Invero, opina il Collegio che il concetto di ragionevole termine entro il quale a mente dell’art. 21 – nonies, L. n. 241/1990 la P.A. può legittimamente e nella ricorrenza degli altri presupposti, annullare in via di autotutela propri precedenti provvedimenti, si connota di una valenza relativa, che si apprezza in relazione: 1.alla natura dei provvedimenti oggetto del potere di ritiro e alla sequenza procedimentale in cui si collocano; 2. agli effetti prodotti sia a livello materiale che psicologico in capo al destinatario di un precedente provvedimento favorevole ampliativo della sua sfera giuridica” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III , 25.2.2013 n. 1077).

5.5. Il Giudice ordinario, che ai sensi dell’art. 11 c.p.a. si indica nel Tribunale ordinario di Napoli, al quale dovrà comunque la ricorrente riassumere il presente giudizio per la cognizione delle doglianze appuntate avverso le ragioni di revoca del finanziamento enucleate alle lettere b), d), e), f) e g) della premessa del decreto gravato, non potrà non tener conto, in forza dei principi e delle norme più sopra sviscerati, che la Regione non era più legittimata ad annullare o revocare d’ufficio il decreto regionale n. 32/2000 e le determine applicative suindicate, per avvenuta consumazione del potere di annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi ad efficacia durevole incidenti su rapporti negoziali correnti tra la P.A. e i privati, quali indubitevolmente sono gli annullati decreto dirigenziale n. 32/2000 e determine 126 126/2000 e 160/2001, per effetto della violazione dell’art. 1 comma 136 della l. 30.12.2004 n. 311 e del termine massimo di tre anni ivi stabilito nonché dell’art. 21-nonies della L. n.241 del 1990.

In definitiva, alla luce delle argomentazioni fin qui svolte, il primo e tranciante e pertanto assorbente motivo di gravame dedicato alla censura di illegittimità, in radice, dell’avvenuto esercizio del potere di autotutela per violazione del termine ragionevole stabilito per il legittimo suo esercizio dal’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 come interpretto ratione temporis dall’art. 1, comma 136 della L. 30.12.2004, n. 311.

Del pari fondato e meritevole di essere accolto è il secondo motivo di ricorso diretto contro la presunta mancata allegazione all’istanza di riesame della relazione asseverata a firma del’Ing. Benito Trani si prospetta fondato e va accolto.

Il gravame va per tali ragioni accolto con assorbimento delle residue censure e va per l’effetto annullato il decreto dirigenziale regionale n. 39 del 31 marzo 2006.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

1. Accoglie il ricorso relativamente alle causali di cui alle lettere a) e c) della premessa provvedimento impugnato e per l’effetto annulla il decreto regionale n. 39 del 2006.

2. Dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso relativamente alle causali di cui alle lettere b), d), e), f) e g) della premessa provvedimento impugnato.

Condanna la Regione Campania a corrispondere alla ricorrente le spese di lite, che liquida in € 3.000,00 (tremila) oltre Iva, CNAP e rimborso del contributo unificato.

Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nelle Camere di consiglio dei giorni 5 aprile 2016 e 3 maggio 2016 con l’intervento dei Signori Magistrati:

Vincenzo Cernese, Presidente FF

Alfonso Graziano, Consigliere, Estensore

Giuseppe Esposito, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 18/05/2016.


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