La riforma del sistema pensionistico proposta dal Presidente dell’INPS

TITO BOERI, Relazione annuale del Presidente dell’INPS recante proposte di riforma del sistema pensionistico, enucleate in cinque punti (Camera dei Deputati, 8 luglio 2015).


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Relazione annuale del Presidente INPS
Prof. TITO BOERI

Sono cinque i cardini della nostra proposta.

Un rete di protezione sociale dai 55 anni in su.

E’ il primo passo verso l’introduzione di quella rete di base, di quel reddito minimo garantito, che oggi manca nel nostro Paese. Al di sopra dei 55 anni è molto difficile trovare un impiego alternativo (solo un disoccupato su dieci ci riesce secondo le nostre stime). Dunque si sente molto meno il bisogno di avere un’amministrazione che imponga forme di attivazione ai beneficiari. Al tempo stesso è proprio per via della lunghissima durata della disoccupazione fra gli over 55 che la povertà in questa fascia di età è aumentata così tanto durante la recessione.

Le persone povere disoccupate con più di 55 anni sono più che triplicate nell’arco di sei anni. Stabilendo che l’assistenza sociale va fornita con regole uniformi tanto a chi si è ritirato dalla vita attiva che a chi è ancora saldamente in età lavorativa, si riuscirà anche, per la prima volta, a separare assistenza e previdenza nei nostri conti previdenziali.

Si tratta di una separazione vera, di sostanza e non solo di natura contabile. L’assistenza deve essere finanziata dalla fiscalità generale mentre la previdenza è una prestazione assicurativa, che prevede trasferimenti tra generazioni diverse, e che garantisce diritti proporzionati ai contributi versati durante l’intero arco della vita lavorativa.

Inoltre si potrà superare un vizio d’origine del sistema contributivo introdotto nel nostro ordinamento a partire dalla seconda metà degli anni ’90: quello di non prevedere prestazioni minime per chi non ha altri redditi e ha accumulato un montante contributivo troppo basso per garantirsi una pensione al di sopra della soglia di povertà.

Unificazione.

Con il pagamento di tutte le pensioni al primo del mese, abbiamo fatto un primo passo importante nella direzione dell’unificazione dei trattamenti pensionistici. Da giugno esiste il giorno delle pensioni e questo, come si è detto, semplifica grandemente la pianificazione famigliare (oltre a quella dell’lnps). Ma molto ancora rimane da fare sulla strada dell’unificazione e della semplificazione. L’Inps eroga 21 milioni di prestazioni pensionistiche a circa 15 milioni di pensionati.

Per ogni tre pensionati vengono messe in pagamento mediamente 4 pensioni. La modifica normativa che abbiamo proposto consente agli individui di unificare la pensione tra regimi diversi, compresa la cosiddetta gestione separata, senza oneri aggiuntivi. Non rende più necessarie le ricongiunzioni onerose che hanno penalizzato i lavoratori più mobili e quelli con vincoli di liquidità.

Anche in questo caso si vuole porre rimedio ad una forma di iniquità che ha colpito alcune categorie di lavoratori, quelli che magari avevano la sfortuna di avere contribuito “un giorno di troppo” per poter beneficiare del regime di cumulo delle prestazioni. Al tempo stesso, si vuole promuovere una maggiore efficienza nell’allocazione del nostro capitale umano. Le ricongiunzioni onerose penalizzavano proprio i lavoratori più mobili, quelli che presumibilmente avevano cambiato impiego cercando di mettere a frutto i propri talenti e le proprie vocazioni.

Armonizzazione.

Come documentato sul sito dell’lnps, nella sezione “Porte Aperte”, a partire da inizio marzo, permangono ancora forti asimmetrie nei trattamenti previdenziali concessi a diverse categorie di pensionati. Queste differenze non sono fondate su diversi livelli contributivi. Al contrario, riflettono differenze spesso macroscopiche nei tassi di rendimento garantiti ai contributi versati da alcune coorti e categorie specifiche di lavoratori.

In un sistema a ripartizione questi trattamenti di favore si ripercuotono su tutti gli altri contribuenti. Molti fondi speciali sono confluiti nell’lnps con bilanci già in rosso e avendo già eroso il loro patrimonio. Hanno così finito per gravare pesantemente sul bilancio dell’Istituto.

Un ragionamento analogo può essere fatto per i vitalizi dei parlamentari che dobbiamo chiamare col loro vero nome. Si tratta di vere e proprie pensioni, sottratte alle riforme previdenziali degli ultimi 25 anni. Auspicabile che Camera e Senato rendano al più presto pubbliche le regole che storicamente sono state alla base della concessione di questi vitalizi. Servirà per valutare i tassi di rendimento implicitamente offerti a deputati e senatori, comparandoli col trattamento riservato agli altri lavoratori.

La trasparenza sulle gestioni speciali, su tutte le gestioni speciali, serve a cementare il patto intergenerazionale. Soprattutto se a questa trasparenza seguono atti di equità. Crediamo sia giusto chiedere a chi ha redditi pensionistici elevati, in virtù di trattamenti molto più vantaggiosi di quelli di cui godranno i pensionati del domani, un contributo al finanziamento di uscite verso la pensione più flessibili, come quelle che passeremo ora a descrivere. Servirà anche per aiutare quelle generazioni di lavoratori che hanno avuto la sfortuna di imbattersi nella crisi sul finire della propria carriera lavorativa.

Flessibilità sostenibile.

Le regole del sistema contributivo consentono una certa flessibilità in uscita. Spalmano un montante contributivo accumulato durante la vita lavorativa in pagamenti mensili, in base all’età e alla speranza di vita residua. Chi va in pensione prima deve spalmare questa cifra su molti più mesi di chi va in pensione più tardi. A parità di montante, ogni anno in meno di lavoro comporta una riduzione di questi pagamenti mensili,tenendo conto della demografìa e dell’andamento dell’economia.

Posto che le pensioni siano sufficienti a garantire una vita dignitosa, senza comportare l’intervento dell’assistenza sociale, questa è una flessibilità sostenibile, che non grava sulle generazioni future, in quanto non porta ad aumentare il debito pensionistico. Si può così permettere a chi ha in mente di dedicare meno tempo al lavoro verso la fine della propria carriera di farlo, senza per questo gravare sulle generazioni future.

Questa flessibilità può anche essere molto utile durante le recessioni perché permette che parte dell’aggiustamento del mercato del lavoro agli shock macroeconomici avvenga attraverso riduzioni dell’offerta di lavoro anziché generando disoccupazione, come avvenuto negli ultimi 7 anni. Un principio simile può essere applicato anche a chi andrà in pensione nei prossimi anni con regimi diversi dal sistema contributivo.

Non si va in pensione, ma si prende la pensione.

Il rapporto fra contribuenti e pensionati – che nel 2014 era meno di 130 iscritti su 100 pensioni in pagamento – è destinato ulteriormente a peggiorare dato l’assottigliamento delle coorti in ingresso nel mercato del lavoro. Non basterà l’indicizzazione dell’età pensionabile alla speranza di vita a impedire questo andamento. Bene allora fare di necessità virtù: anche i pensionati possono contribuire al finanziamento della previdenza di chi si è del tutto ritirato dalla vita attiva. Vogliamo offrire nuove opportunità di versare e farsi versare contributi, che poi diventeranno un supplemento alla pensione, per chi sta già percependo un trattamento previdenziale. Bene che i datori di lavoro possano versare contributi aggiuntivi per permettere ai loro dipendenti che si ritirano prima di raggiungere l’età della pensione di vecchiaia di incrementare la loro pensione iniziale. Si potranno in questo modo gestire con più bassi costi sociali le ristrutturazioni di cui il nostro paese ha bisogno e contribuire ad affrontare i problemi legati alla non autosufficienza, che richiedono migliori politiche di conciliazione fra lavoro e responsabilità famigliari. Anche il sistema pensionistico può dare un contributo in questa direzione.

Cosa può fare l’Europa

Troppe volte nelle ultime settimane ci è capitato di pensare che l’Europa non c’è più. Lo abbiamo pensato vedendo le immagini dei migranti sugli scogli di Ventimiglia. Abbiamo temuto un’Europa mutilata della propria storia al pensiero di una Grecia che esce non solo dall’Euro, ma anche dall’Unione Europea.

La crisi si è accanita proprio sui paesi che hanno i sistemi di protezione sociale più fragili. Questa esperienza è un monito per i governi di questi paesi, a partire dal nostro, a riformare rapidamente le loro istituzioni redistributive. E’ un monito anche alle istituzioni europee: nessuna costruzione comune può reggere nel tempo a divari così accentuati fra paesi membri nell’incidenza della povertà e nella disoccupazione. Questi divari sono ancora più insostenibili all’interno di una unione monetaria che impedisce il riequilibrio attraverso l’aggiustamento del tasso di cambio. Soprattutto quando ci sono ancora forti restrizioni alla mobilità del lavoro tra i paesi dell’Unione.

Le regole fiscali europee servono a impedire che alcuni paesi facciano gravare sugli altri il costo di politiche di bilancio poco attente agli equilibri macroeconomici. Se si vogliono regole automatiche, queste regole appariranno a chi le deve rispettare, pressoché inevitabilmente, come regole stupide.

Tuttavia non bisogna eccedere nel grado di stupidità. Perché impedire una certa flessibilità nel prendere la pensione, se questa flessibilità non incide sul debito pubblico, dunque non grava sulle generazioni future? Si dirà che è difficile assicurarsi del fatto che questa flessibilità sia davvero neutrale rispetto ai conti pubblici.

Vogliamo allora lanciare una sfida ai governi del Patto di Stabilità e Crescita. Documentate, come da oggi farà l’Inps, che il vostro sistema pensionistico è sostenibile, come in Italia. Fateci vedere non solo le proiezioni della spesa pensionistica fra 20, 30 o 50 anni, ma anche l’intera distribuzione delle pensioni per importo in quelle date future.

La sostenibilità sociale di un sistema pensionistico conta non meno di quella finanziaria. Se condanniamo i lavoratori di oggi a pensioni da fame, si dovrà poi intervenire con altri trasferimenti per evitare ai giovani di cadere un domani in condizioni di povertà. Per questo, ecco la sfida, fateci vedere distribuzioni come quella che l’Inps metterà oggi sul proprio sito, basate sulla simulazione di carriere individuali degli attuali contribuenti, sulla base di estratti conto controllati dai diretti interessati nell’ambito dell’operazione “la mia pensione”.

Guardate a queste distribuzioni per valutare la sostenibilità di un sistema pensionistico e non solo alle stime aggregate del rapporto fra spesa pensionistica e prodotto interno lordo. Spesso, troppo spesso, ci si dimentica che dietro alle curve della spesa previdenziale, alle gobbe e ai dossi di questi grafici a tinte variabili, ci sono le vite di milioni di persone.

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