FREE – Il saluto di un magistrato coraggioso

FRANCESCO MARIUZZO, Saluto agli avvocati.



FRANCESCO MARIUZZO*

Saluto agli avvocati



1 – Mi sono spesso domandato se il corso della vita di una persona sia regolato dal suo libero arbitrio oppure da una sorta di determinismo.

Ho conseguito la laurea in diritto amministrativo all’Università La Sapienza di Roma dopo essere stato conquistato dalla dottrina del prof. Massimo Severo Giannini, ma anche dai suoi severi giudizi nei confronti del Consiglio di Stato, il che m’incuriosiva non poco.

Dopo aver superato gli esami di abilitazione a procuratore legale e due anni di libera professione esercitata prevalentemente in materia d’incidenti stradali, debbo il grande balzo nello studio del prof. Giuseppe Guarino alla casuale segnalazione fattami dall’amico Paolo De Caterini, suo assistente, che mi aveva fatto sapere che il procuratore legale dello studio, allora il dott. Filippo Lubrano, era stato chiamato ad assolvere il servizio militare e doveva essere, quindi, sostituito.

Dopo due anni e sei mesi d’intenso lavoro con il prof. Guarino ho altrettanto casualmente incontrato in via Ripetta il dott. Gaetano Zotta, allora procuratore aggiunto dello Stato, che mi informò che a giorni sarebbe scaduto il termine per partecipare al concorso per la stessa qualifica indetto dall’Avvocatura Generale. Non essendo ancora certa per me una sicura progressione economica in quello studio presentai la domanda e dopo il superamento del concorso pubblico presi servizio dapprima a Venezia e poi a Roma presso l’Avvocatura Generale, dove incontrai i neo assunti del precedente concorso Giorgio Giovannini e Riccardo Virgilio. Superato, poi, il concorso per sostituto avvocato sono stato trasferito a domanda a Brescia, dove soggiorno tuttora.

Dopo nove anni di servizio presso l’avvocatura dello Stato l’ulteriore svolta del mio personale percorso è rappresentata dal superamento del concorso pubblico per titoli ed esami come referendario dei Tribunali amministrativi regionali da poco entrati in funzione: in effetti, mi ero reso conto che, con la riforma dell’ordinamento tributario attuata dalla riforma Visentini negli anni 1972-73 la qualità del lavoro era scemata, alimentando il mio desiderio di confrontarmi con il diritto amministrativo.

2- Ancora casuale è stata la fortuna di aver lavorato con assai validi Colleghi sia a Brescia sia a Milano e a Trento, contando su altrettanto validi avvocati; di questi anni ricordo alcuni episodi, che hanno irrobustito il mio senso della giustizia sostanziale e il ripudio del formalismo.

Una prima vicenda riguardò un appalto affidato a una società partecipata dallo Stato per la realizzazione di un impianto di raccolta di reflui urbani dei Comuni da Limone sul Garda a Desenzano con il loro attraversamento tramite tubi al di sotto della superficie del lago con loro finale raccolta in un megadepuratore su area veneta; l’offerta presentata da un’impresa tedesca, che aveva realizzato un simile impianto nel Chiemsee, un lago bavarese più esteso del lago di Garda, era stata dichiarata, tuttavia, inammissibile per essere stato trasmesso per posta un unico pacco sigillato a fronte della previsione del bando d’inviare tre distinti plichi. La sospensiva venne accolta a Brescia, ma cassata in Consiglio di Stato, il ricorso fu, poi, sollecitamente accolto nel merito in primo grado, ma la sentenza fu sospesa in appello e, poi, depositata dopo circa cinque anni, quando l’impianto era stato ormai completato.

Con i colleghi della Sezione ci domandammo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato aperto il pacco in questione e fossero stati rinvenuti i tre plichi sigillati previsti dal bando. Certo è che di fronte a questo orientamento del Consiglio di Stato si rafforzò in me il convincimento che la valutazione sostanziale delle vicende litigiose è espressione di reale giustizia, mentre non è invece tale quella che si limita al solo formale rispetto delle norme.

Resta da dire che, sul piano della salvaguardia dell’interesse pubblico, di cui il Consiglio di Stato è tuttora il primo alfiere, la realizzazione dell’impianto di scolo non soltanto fu assai lenta, ma sovente bisognosa d’interventi urgenti per far fronte alle perdite dei reflui nel lago di Garda. Proprio in questi giorni, a distanza di 30 anni dalla sua realizzazione, ne è stata decisa la totale rimozione perché del tutto inefficiente e non passibile di ulteriori interventi di riparazione.

3 – In quel torno d’anni altrettanto casuale fu il mio incontro con i colleghi tedeschi, avendo accettato l’invito a partecipare alla celebrazione del 25° anniversario della costituzione dell’Associazione dei giudici amministrativi bavaresi a Monaco di Baviera; in quell’occasione, dopo essere stato scrutato come un pesce di un mare sconosciuto, incontrai alcuni colleghi, poi invitati a Brescia, che mi chiesero l’anno successivo di svolgere una relazione in lingua tedesca al convegno triennale della giustizia amministrativa a Saarbrücken; seguirono, poi, ulteriori incontri a Brescia e poi a Braunschweig e, infine, maturò a Venezia la determinazione di rendere più stabili i nostri rapporti con la costituzione di un’Associazione fra i Giudici amministrativi tedeschi, italiani e francesi, poi fondata a Weimar nel 1994. Da questi contatti e dai convegni organizzati nel corso di 20 anni avvocati e giudici che vi hanno partecipato hanno tratto un significativo vantaggio sul piano comparato.

E’ stato proprio in quel primo periodo che, in alcuni colloqui con il mio ex collega dell’Avvocatura dello Stato Aldo Bozzi, oggi valente avvocato del libero Foro, si parlò del principio di proporzionalità.

E’ stato, poi, nel 1997 che, partecipando al convegno organizzato a Colonia dalla novella associazione proprio su questo tema, alla brillante relazione di Aldo Bozzi fece seguito l’intervento di un Avvocato generale della Corte di Giustizia, che ebbe a illustrarci con grande chiarezza che cosa fosse e significasse il principio di proporzionalità non soltanto in Germania, ma anche per la giurisprudenza della Corte: la frase che parrebbe risalire a Otto Mayer, nato nel 1846 e morto nel 1924, identificava questo principio con le parole: “Non si può sparare ai passeri con i cannoni”.

Tornato a Milano con le idee un po’ più chiare i colleghi della Sez. III ed io ci trovammo di fronte a un ricorso dal quale, pur in mancanza di una formale evocazione di quel principio, si ricavava agevolmente dai fatti dedotti e dalla domanda presentata la possibilità dell’immediata applicazione della regola triadica della necessità, idoneità e stretta proporzione.

Si trattava dell’impugnazione di una sanzione irrogata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che aveva disposto la pubblicazione sul Corriere della Sera della rettifica della pubblicità per l’apertura di un nuovo corso in una scuola privata, perché non ancora approvato da parte del Ministero. Tra i motivi dedotti, a parte la lentezza ministeriale, era stato segnalato dall’avv. Domenico Barboni che la pubblicità non consentita era stata pubblicata sull’Eco di Bergamo e non sul Corriere della Sera; pertanto, la rettifica avrebbe dovuto essere pubblicata nell’area in cui la pubblicità aveva operato e con un costo oltremodo inferiore: in quell’occasione fu sufficiente soltanto una sospensiva puntualmente motivata con riferimento alla violazione del principio di proporzionalità, ordinanza che non fu impugnata dall’Autoritàm che annullò in autotutela il provvedimento impugnato.

La successiva applicazione di questo principio in altre vicende litigiose a Milano ha, poi, indotto anche altri Tribunali ad accogliere domande cautelari e ricorsi sul tale base, il che ha assunto per la Sez. III di questo Tribunale una sorta di nastrino di combattimento per avere introdotto nella prassi giudiziaria nazionale un nuovo, pungente parametro di controllo delle scelte discrezionali adottate dalle Amministrazioni ben diverso da quello della mera ragionevolezza.

E’ stato ancora in quello stesso periodo che mi venne richiesto dapprima da un avvocato civilista e successivamente da Aldo Bozzi di adottare un provvedimento ante causam, che dopo una meditata riflessione ritenni di accogliere, applicando le norme della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e quelle del codice di procedura civile. La notizia di questo rilascio si diffuse rapidamente non soltanto nella Regione Lombardia, ma anche altrove, con la conseguenza che Milano divenne suo malgrado l’unica sede nella quale, del tutto indipendentemente dalla competenza territoriale, poteva essere presentata e accolta una domanda cautelare ante causam.

Quando, tuttavia, le domande di una tutela urgente cominciarono a riguardare provvedimenti di Autorità statali l’Avvocatura dello Stato di Milano impugnò i provvedimenti monocratici davanti al Consiglio di Stato, che ritenne ammissibile l’appello e li annullò con una dura motivazione, che poneva in evidenza la natura abnorme delle ordinanze in questione, non provenendo esse da una formazione collegiale.

Non occorre indugiare troppo sul seguito della vicenda, che venne da ultimo per me positivamente definita, dopo due pronunce della Corte costituzionale, con un’ordinanza della Corte del Lussemburgo.

Sul piano formale sono rimasto dunque vittorioso sul campo, avendo in ogni fase sempre operato monocraticamente e sconfitti restando il Consiglio di Stato e la Corte costituzionale; per quanto mi riguardava, tuttavia, non restò estranea in me una silente tristezza per aver dovuto ricorrere alla Corte europea per elevare il tasso di effettività della giustizia amministrativa.

Non posso, tuttavia, dimenticare che, prima di quella pronuncia, quando, quindi, la questione era ancora in fieri, il prof. Riccardo Villata mi chiese di tenere una conversazione sulla tutela ante causam ai suoi studenti in Università, il che fu per me un segnale non soltanto di cordiale incoraggiamento, del quale sono tuttora grato, ma anche del fatto che in dottrina cominciava a profilarsi l’esistenza di un problema reale in attesa di una risposta.

Fra i numerosi rinvii alla Corte di Giustizia da parte della Sez. III ricordo la sentenza sul caso Santex, con la quale fu statuita la possibilità di disapplicare il bando di una gara di forniture, avendo la stazione appaltante dapprima rassicurato un’impresa partecipante quanto all’esistenza della sua capacità finanziaria, che aveva successivamente ritenuto inadeguata con provvedimento di esclusione dell’offerta, che fu impugnato congiuntamente al bando nel frattempo consolidatosi, perché non tempestivamente impugnato: si trattava dunque di una classica violazione del principio di affidamento da parte di una negligente pubblica Amministrazione.

Ricordo al riguardo il commento non generoso di un collega del Consiglio di Stato, che aveva ritenuto del tutto superfluo quel rinvio alla Corte, posto che ben avrebbe potuto il Tribunale (o il Consiglio di Stato) rimettere il ricorrente in termini: il passo in avanti sul piano della tutela è, tuttavia, contrassegnato dal fatto che la remissione in termini resta sempre nella discrezione del giudice, ma diviene un obbligo inderogabile, ove sia stato violato l’affidamento indotto da un comportamento contraddittorio dell’Amministrazione.

Con i miei colleghi di oggi richiamo invece la recente sentenza della Corte del Lussemburgo, che ha ritenuto disapplicabili da parte del Tribunale le sentenze del Consiglio di Stato, che abbiano cassato quelle del Tribunale, nell’ipotesi che sia stata violata una norma di diritto comunitario.

A questo punto della mia storia personale non mi trattengo oltre, riconoscendo con piacere che, come nel passato, i nuovi indirizzi adottati da parte della sede di Milano e di quella di Brescia si debbono in larga misura alla brillante e agguerrita Avvocatura milanese e lombarda in generale, i cui apporti sono stati decisivi per l’evoluzione della giurisprudenza del Tribunale.

Sono altrettanto lieto che nel corso degli anni si sia costituito con il Foro una sorta di “entente cordiale”, alimentata dal rispetto reciproco e dalla ferma determinazione da una parte e dall’altra di rendere un servizio giudiziario degno di questo nome.

E’ anche per questa ragione che la conclusione della mia attività di magistrato non mi immalinconisce, ritenendo di avere qualche ragione per affermare di avere assolto il mio dovere.

Grazie a tutti per l’attenzione.

Francesco Mariuzzo

Milano, 27 marzo 2015.

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(*) Presidente del T.A.R. Lombardia – Milano.

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