Soppressione del trattenimento in servizio

n. 5/2015 | 5 Maggio 2015 | © Copyright | - Legislazione, Pubblico impiego | Torna indietro | Commenta More

DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA – circolare 19 febbraio 2015, n. 2 (in G.U. n. 101 del 4 maggio 2015) – Soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro …


PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA – CIRCOLARE 19 febbraio 2015, n. 2 (in G.U. n. 101 del 4 maggio 2015) – Soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro – Interpretazione e applicazione dell’articolo 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. (15A03327)

Alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001

Alle autorità indipendenti

Loro Sedi

1. Finalità della disciplina.

L’art. 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha abrogato l’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che conteneva la disciplina generale dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, e ha riformulato il comma 11 dell’art. 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in materia di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte delle pubbliche amministrazioni stesse. L’istituto del trattenimento in servizio è stato conseguentemente soppresso, mentre l’ambito della risoluzione unilaterale è stato ridefinito.

L’intervento legislativo è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni. Con l’entrata in vigore delle recenti modifiche il sistema prevede la risoluzione del rapporto di lavoro: obbligatoria, per coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto l’età limite ordinamentale; rimessa alla determinazione dell’amministrazione, per coloro che hanno maturato il diritto alla pensione anticipata secondo i requisiti di cui all’art. 24, commi 10 e 12, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, aggiornati con l’adeguamento alla speranza di vita, e senza penalizzazione del trattamento, tenuto anche conto di quanto previsto dall’art. 6, comma 2-quater, secondo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, come modificato dall’art. 1, comma 113, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

La presente circolare è emanata d’intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

2. La soppressione del trattenimento in servizio.

2.1. Il limite ordinamentale per la permanenza in servizio.

Va ricordato che il limite ordinamentale per la permanenza in servizio è fissato, in via generale, dall’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, per i dipendenti dello Stato, e dall’art. 12 della legge 20 marzo 1975, n. 70, per i dipendenti degli enti pubblici; tale limite è applicabile in via analogica anche alle altre categorie di dipendenti pubblici in mancanza di diversa previsione normativa. Come precisato dall’art. 2, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, che ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 24, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge n. 201 del 2011, nei casi di cui allo stesso art. 24, comma 4, tale limite non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia dall’art. 24, comma 6, del citato decreto-legge n. 201 del 2011. Rimangono salvi i diversi limiti già stabiliti da norme speciali per particolari categorie di dipendenti (per esempio, il compimento del settantesimo anno di età per i magistrati, gli avvocati e procuratori dello Stato e per i professori universitari ordinari, in base rispettivamente all’art. 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, all’art. 34 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 e all’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382). Si veda, al riguardo, la circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 2 del 2012.

2.2. La disciplina transitoria.

Il comma 2 del citato art. 1 del decreto-legge n. 90 del 2014 ha fatto salvi i trattenimenti in servizio in essere sino alla data del 31 ottobre 2014 o a data antecedente se prevista nel provvedimento: essendo già scaduto questo termine, i trattenimenti non possono proseguire. A tal fine, si considerano in essere i trattenimenti già disposti ed efficaci. I trattenimenti già accordati ma non ancora efficaci al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto-legge) si intendono revocati ex lege.

I successivi commi 3 e 3-bis dell’art. 1 contengono una disciplina speciale, finalizzata a salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari e la continuità didattica. In base a questa disciplina, la data limite per l’efficacia dei trattenimenti in servizio, seppure ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è il 31 dicembre 2015, data oltre la quale coloro che ne stiano fruendo devono essere collocati a riposo. Per tali categorie di personale, pertanto, è ancora possibile disporre il trattenimento, che non potrà avere durata tale da superare la predetta data.

La disposizione del comma 3-bis, relativa al personale della scuola, ha esaurito i suoi effetti il 31 agosto 2014. Nessun dipendente del comparto scuola, quindi, può trovarsi ancora in servizio in virtù del trattenimento eventualmente operato.

2.3. Le ipotesi di prosecuzione del rapporto.

2.3.1. Il mancato raggiungimento del minimo contributivo.

In alcune ipotesi l’amministrazione è tenuta a proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente e tale prosecuzione non costituisce un trattenimento vietato dalla legge.

Ciò si verifica, innanzitutto, quando il dipendente non matura alcun diritto a pensione al compimento dell’età limite ordinamentale o al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. In tali casi, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale, sentenze n. 33 del 2013 e n. 282 del 1991), l’amministrazione deve proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente oltre il raggiungimento del limite per permettergli di maturare i requisiti minimi previsti per l’accesso a pensione non oltre il raggiungimento dei 70 anni di età (limite al quale si applica l’adeguamento alla speranza di vita).

Per valutare la sussistenza del requisito contributivo minimo per il diritto a pensione e, quindi, la possibilità della risoluzione del rapporto di lavoro, dovranno essere considerati il rapporto di lavoro in essere con l’amministrazione e gli eventuali precedenti rapporti di lavoro, a cui corrispondano contributi versati presso le diverse gestioni previdenziali. Infatti, se il totale dei 20 anni, previsto dall’art. 24, comma 7, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, è raggiunto attraverso la somma di anzianità contributive relative a diverse gestioni previdenziali, il dipendente potrà accedere all’istituto gratuito della totalizzazione, di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, o a quello del cumulo contributivo, di cui all’art. 1, commi 238-248, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che gli permetteranno di conseguire il requisito contributivo minimo. Va segnalato che, ai fini del collocamento a riposo attraverso l’istituto della totalizzazione, si deve tener conto del vigente regime delle decorrenze (art. 5, comma 3, del citato decreto legislativo n. 42 del 2006) e, pertanto, secondo il principio generale, il rapporto di lavoro dovrà proseguire sino alla maturazione della decorrenza per evitare cesure tra trattamento retributivo e trattamento pensionistico. Per coloro che abbiano il primo accredito contributivo a decorrere dal 1° gennaio 1996, peraltro, il collocamento potrà essere disposto solo se l’importo della pensione non risulterà inferiore all’importo soglia di 1,5 volte l’assegno sociale annualmente rivalutato (ai sensi dell’art. 24, comma 7, del citato decreto-legge n. 201 del 2011).

Se, invece, anche considerando tutti i periodi contributivi, il dipendente non raggiungerà il minimo di anzianità contributiva entro il raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia prevista dall’art. 24, comma 6, del predetto decreto-legge n. 201 del 2011, l’amministrazione dovrà valutare se la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al compimento dei 70 anni di età (oltre all’adeguamento alla speranza di vita) consentirebbe il conseguimento del requisito contributivo. In caso affermativo, l’amministrazione dovrà proseguire il rapporto di lavoro al fine di raggiungere l’anzianità contributiva minima. In caso contrario, l’amministrazione dovrà risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro.

Le amministrazioni programmeranno per tempo le opportune verifiche con l’ente previdenziale, per conoscere e valutare la situazione contributiva complessiva del dipendente e adottare le misure conseguenti.

2.3.2. Il regime speciale dei dirigenti medici e del ruolo sanitario.

Per i dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale continua a trovare applicazione il regime speciale previsto dall’art. 15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, modificato dall’art. 22 della legge 4 novembre 2010, n. 183. Il comma 1 del citato articolo individua il limite massimo di età per il collocamento a riposo di questi soggetti, inclusi i responsabili di struttura complessa, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, ovvero, su istanza dell’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo, in ogni caso con il limite massimo di permanenza del settantesimo anno di età.

Continua quindi a valere per tutti i dirigenti medici e del ruolo sanitario (dirigenti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica) la possibilità, previa istanza, di permanere in servizio oltre i sessantacinque anni di età per raggiungere i 40 anni di servizio effettivo, purchè non sia superato il limite dei 70 anni di età. Come previsto dalla citata disposizione, l’amministrazione potrà accordare tale prosecuzione a patto che la permanenza in servizio non dia luogo ad un aumento del numero dei dirigenti. In questo caso, la prosecuzione del rapporto non costituisce un trattenimento in servizio, ma l’applicazione di una specifica disciplina del limite ordinamentale per il collocamento a riposo.

Anticipando quanto meglio specificato in seguito, occorre tuttavia segnalare che, salvo che si tratti di dirigente di struttura complessa, sulla volontà del dirigente di proseguire il rapporto di lavoro fino al quarantesimo anno di servizio effettivo e oltre il sessantacinquesimo anno di età può prevalere l’esigenza dell’amministrazione di risolvere unilateralmente il contratto secondo la disciplina contenuta nell’art. 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modifiche dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

3. La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro.

3.1. Le novità della disciplina.

Come già osservato, in sede di conversione del decreto-legge n. 90 del 2014, è stato riformulato l’art. 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che disciplina la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro.

Rispetto al testo previgente, la disposizione non pone più un limite temporale di vigenza (precedentemente fissato al 31 dicembre 2014); la risoluzione unilaterale diviene quindi un istituto utilizzabile a regime dalle pubbliche amministrazioni. La nuova disciplina contiene elementi di novità inerenti all’ambito di applicazione, ai presupposti e alla procedura.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, viene ampliata la platea delle amministrazioni che possono procedere alla risoluzione unilaterale del rapporto. Infatti, oltre alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, vengono incluse anche le autorità indipendenti. In base alla nuova disposizione, in presenza dei relativi presupposti, la risoluzione unilaterale del rapporto può essere esercitata nei confronti di tutte le categorie di dipendenti possibili destinatari della pensione anticipata disciplinata dall’art. 24, commi 10 e 12, del menzionato decreto-legge n. 201 del 2011. Rimangono pertanto fuori dal campo di applicazione dell’istituto le categorie di personale regolate da regimi di accesso al pensionamento speciali, soggetti all’armonizzazione ai sensi del comma 18 del citato art. 24, come il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico.

Per quanto riguarda i presupposti, mentre il testo previgente faceva riferimento al requisito della massima anzianità contributiva di 40 anni, il nuovo riferimento richiama il requisito contributivo aggiornato per il conseguimento della pensione anticipata, come disciplinato dall’art. 24, commi 10 e 12, del decreto-legge n. 201 del 2011. Tuttavia, il recesso unilaterale non può avere luogo se a causa della risoluzione il dipendente subirebbe le penalizzazioni previste dal già citato art. 24, comma 10, tenendo conto di quanto previsto dall’art. 6, comma 2-quater, secondo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, come modificato dall’art. 1, comma 113, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Pertanto, a decorrere dall’anno 2014, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro può trovare applicazione nei confronti dei lavoratori che maturano 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva e compiono 62 anni di età e delle lavoratrici che maturano 41 anni e 6 mesi di anzianità contributiva e compiono 62 anni di età (art. 24, commi 10 e 12, del decreto-legge n. 201 del 2011, citato; decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 6 dicembre 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2011), salva l’applicazione dei successivi adeguamenti alla speranza di vita su requisito contributivo. Non è più possibile, dunque, procedere in regime ordinario alla risoluzione unilaterale nei confronti dei dipendenti che compiono i 40 anni di anzianità contributiva (tranne che nel caso di ricorso ai pensionamenti in deroga per soprannumero, per i quali continuano ad applicarsi le disposizioni anteriori al decreto-legge n. 201 del 2011).

I dipendenti che hanno maturato il requisito di accesso al pensionamento entro il 31 dicembre 2011 rimangono soggetti al regime di accesso al pensionamento previgente (anche in applicazione dell’art. 2, comma 4, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101). È il caso di coloro che entro tale data hanno maturato la quota 96. Anche dopo la data di entrata in vigore della novella (19 agosto 2014), nei confronti di questi dipendenti l’amministrazione può esercitare il recesso al raggiungimento del limite ordinamentale, nonchè al conseguimento del requisito dell’anzianità contributiva di 40 anni di servizio (infatti, la nuova norma non ha abrogato il comma 20 dell’art. 24 del citato decreto-legge n. 201 del 2011, che contiene il richiamo all’art. 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008 nel testo previgente la recente modifica).

Per quanto riguarda infine la procedura, la nuova formulazione della disposizione rende esplicita la necessità che la decisione sia motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati. In ogni caso, ai fini del rispetto dell’obbligo di motivazione appena menzionato, si segnala che ai sensi dell’art. 16, comma 11, del decreto-legge 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 2011, l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni “non necessita di ulteriore motivazione qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto degli organi di controllo”. A queste condizioni, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di motivazione, l’avvenuta adozione di tale atto consentirà alle amministrazioni di risolvere il rapporto di lavoro richiamando i criteri in esso contenuti purchè dai suddetti criteri applicativi emergano le scelte organizzative dell’amministrazione. Nel definire i criteri le amministrazioni valuteranno se prevedere soluzioni di armonizzazione tra uomini e donne, riguardo al momento di adozione della risoluzione unilaterale del rapporto, al fine di scongiurare casi di discriminazione di genere in relazione al diverso requisito di anzianità contributiva richiesto.

Rimane invariato il termine di preavviso per il recesso, che anche la nuova disposizione stabilisce in 6 mesi. Il recesso può essere anche comunicato in anticipo rispetto alla realizzazione dei relativi presupposti.

3.2. Regimi speciali.

L’ultima parte del nuovo testo dell’art. 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008 prevede alcune categorie di personale alle quali la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro non si applica o si applica con salvaguardia.

È mantenuta l’esclusione per i magistrati e i professori universitari, che viene estesa ai dirigenti di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale, tra i quali sono compresi sia i dirigenti medici che quelli sanitari a cui è affidata responsabilità di struttura complessa (per la categoria dei dirigenti sanitari, si veda l’art. 1 del contratto collettivo nazionale di lavoro, area della dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del Servizio sanitario nazionale, quadriennio normativo 2002/2005; si tratta dei dirigenti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica), come già indicato nel paragrafo 2.3.2.

Per i dirigenti medici e sanitari di struttura complessa, quindi, continua a trovare applicazione il regime speciale di cui all’art. 15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dall’art. 22 della legge 4 novembre 2010, n. 183. Per essi, pertanto, perdura la facoltà di proseguire il rapporto superando il limite dei 65 anni su istanza dell’interessato, fino al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non può superare il settantesimo anno di età e la permanenza in servizio non può dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti.

Per quanto riguarda, invece, i dirigenti medici e del ruolo sanitario ai quali non è affidata la responsabilità di una struttura complessa, le amministrazioni possono applicare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro una volta maturati i nuovi requisiti contributivi per l’accesso alla pensione anticipata, purchè dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età. Questi medici possono comunque presentare istanza di proseguire il rapporto di lavoro fino al compimento del quarantesimo anno di servizio effettivo (sempre che tale prosecuzione non comporti un aumento del numero dei dirigenti) ai sensi dell’art. 15-nonies del citato decreto legislativo n. 502 (che riguarda i “dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa”). L’amministrazione potrà tuttavia non accogliere l’istanza stessa ove decida di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro, anche in relazione ai criteri adottati per l’utilizzo della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, tenendo presenti le esigenze organizzative e funzionali e rispettando la parità di trattamento, anche per evitare l’indebita lesione dell’affidamento degli interessati.

Roma, 19 febbraio 2015.

Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione

Madia

Registrato alla Corte dei conti il 13 aprile 2015 Ufficio controllo atti P.C.M., Ministeri giustizia e affari esteri, Reg.ne – Prev. n. 924.


Documenti correlati:

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. I – parere 1° aprile 2015, pag. http://www.lexitalia.it/a/2015/50774 (sospende il collocamento a riposo di un Avvocato dello Stato che ha compiuto il 70° anno di età, sollevando q.l.c. dell’art. 1, comma 2, del D.L. n. 90/2014, nella parte in cui si applica anche agli Avvocati dello Stato).

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