Revoca della licenza di porto di fucile e principio di proporzionalità

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III – sentenza 14 marzo 2014* (sulla legittimità o meno, alla stregua del principio di proporzionalità, della revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia nel caso di colpo di fucile che ha accidentalmente prodotto lesioni di modesta entità ad altro cacciatore occultato dalla vegetazione), con 11 documenti correlati.


CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III – sentenza 14 marzo 2014 n. 1303 – Pres. ed Est. Lignani – Patacini (Avv. Bertolani) c. U.T.G. – Prefettura di Reggio Emilia e Questura di Reggio Emilia (n.c.) – (annulla T.A.R. Emilia Romagna – Parma, Sez. I, sentenza n. 390 del 2013).

Autorizzazione e concessione – Licenza di porto d’armi – Licenza di porto di fucile per uso caccia – Revoca – Motivazione che fa riferimento al pericolo che l’interessato sia potenzialmente capace di utilizzare le armi in modo poco prudente ex art. 43 TULPS – Nel caso di colpo di fucile sparato dall’interessato che ha accidentalmente prodotto lesioni di modesta entità alla persona di altro cacciatore appostato nelle vicinanze – Illegittimità per violazione del principio di proporzionalità.

E’ illegittimo il provvedimento con il quale il Questore, in applicazione dell’art. 43 del TULPS, ha revocato la licenza di porto di fucile per uso caccia perché l’interessato sarebbe potenzialmente capace di utilizzare le armi in modo poco prudente e, in particolare, perché il medesimo ha sparato un colpo di fucile che ha accidentalmente prodotto lesioni di modesta entità alla persona di altro cacciatore appostato nelle vicinanze, ove risulti che il soggetto danneggiato si trovava, rispetto alla linea di tiro, a distanza inferiore a quella di sicurezza (con riferimento all’eventualità del rimbalzo dei proiettili) in quanto ivi collocatosi spontaneamente, in contrasto con gli accordi presi fra i compagni di battuta, e per di più era occultato dalla vegetazione alla vista del soggetto danneggiante. In tal caso, infatti, il provvedimento del Questore deve ritenersi illegittimo per violazione del principio di proporzionalità della misura preventiva e cautelativa adottata (1).

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(1) Ha osservato la Sez. III che nella specie veniva in considerazione il problema della “proporzionalità” ossia “adeguatezza” della misura adottata, rispetto alla rilevanza del temuto rischio di comportamenti abusivi o pericolosi.

Sotto questo specifico profilo, in effetti, non si può negare che le caratteristiche specifiche dell’episodio siano tali da far apparire manifestamente sproporzionata la misura adottata, rispetto alla effettiva consistenza – anche in termini prognostici – del pericolo di abuso delle armi da parte del ricorrente.

Va premesso che si discute di caccia alla lepre, il che implica l’uso di proiettili di piccole dimensioni e di munizioni di potenza limitata.

Inoltre appare chiaro, dall’insieme della documentazione prodotta e non contestata, che il soggetto danneggiato è stato attinto solo da una minima parte dei pallini di un “rosa”, rimbalzati sul suolo sassoso e perciò deviati dalla loro traiettoria originale; tanto è vero che le lesioni riportate sono state di modestissima entità.

Certamente il danneggiato non si trovava nella linea di tiro; semmai, si trovava, rispetto alla linea di tiro, a distanza inferiore a quella di sicurezza (con riferimento all’eventualità del rimbalzo dei proiettili) ma vi si trovava perché vi si era collocato spontaneamente, in contrasto con gli accordi presi fra i compagni di battuta, e per di più era occultato dalla vegetazione alla vista dell’attuale appellante.

E’ stato peraltro notato che la presumibile direzione dello sparo era prevedibile in relazione alla dislocazione degli appostamenti dei cacciatori e ciò concorreva nella specie a rendere manifesta l’imprudenza del danneggiato.

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Documenti correlati:

CONSIGLIO DI STATO SEZ. III, sentenza 30-5-2011, pag. http://www.lexitalia.it/p/11/cds3_2011-05-30-2.htm (sulla legittimità o meno della revoca del porto di pistola, motivata con riferimento al furto della pistola, ove non siano state valutate le circostanze che avevano determinato il furto).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 7-4-2010, pag. http://www.lexitalia.it/p/10/cds6_2010-04-07-5.htm (sulla legittimità o meno della revoca del porto d’armi disposta sulla base di un solo accertamento dal quale risultava la presenza nel sangue del titolare della licenza di un tasso alcolemico modesto).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 29-1-2010, pag. http://www.lexitalia.it/p/10/cds6_2010-01-29.htm (sull’apprezzamento ampiamente discrezionale che l’Autorità di p.s. deve svolgere in sede di rilascio della licenza di porto d’armi e sulla sufficienza o meno, per la revoca od il diniego di detta licenza di una motivazione che fa riferimento al pericolo che l’interessato sia potenzialmente capace di utilizzare le armi in modo poco prudente).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 22-10-2009, pag. http://www.lexitalia.it/p/92/cds6_2009-10-22-2.htm (sulla legittimità o meno della revoca del porto d’armi disposta sulla base di alcune dichiarazioni rese dal titolare innanzi all’Autorità di p.s. dalle quali emergeva una situazione di animosità).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 23-7-2008, pag. http://www.lexitalia.it/p/82/cds6_2008-07-23-5.htm (sulla legittimità o meno della revoca della licenza di porto d’armi disposta a seguito di una sentenza che ha condannato il titolare della licenza stessa ad una pena pecuniaria per il reato di furto).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 22-3-2007, pag. http://www.lexitalia.it/p/71/cds6_2007-03-22-3.htm (sulla necessità o meno dell’avviso di inizio del procedimento nel caso di revoca del porto d’armi).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 20-7-2006, pag. http://www.lexitalia.it/p/62/cds6_2006-07-20-6.htm (sulla motivazione necessaria per disporre la revoca del porto d’armi).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 9-2-2006, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/cds6_2006-02-09-4.htm (sulla legittimità o meno del provvedimento con il quale il Prefetto ha disposto la revoca del porto d’armi – piuttosto che la sua sospensione – nei confronti di un soggetto trovato in possesso di sostanze stupefacenti in misura non superiore a quella media giornaliera).

TAR VENETO SEZ. III, sentenza 4-1-2007, pag. http://www.lexitalia.it/p/71/tarveneto3_2007-01-04.htm (sull’illegittimità della revoca di una licenza di porto di fucile adottata senza alcun preventivo avviso di inizio del procedimento comunicato all’interessato).

TAR LOMBARDIA – MILANO SEZ. III, sentenza 24-10-2005, pag. http://www.lexitalia.it/p/52/tarlombmi3_2005-10-24.htm (sui presupposti per disporre la revoca del porto d’armi nel caso di abuso del titolare).

TAR CALABRIA – REGGIO CALABRIA, sentenza 27-4-2004, pag. http://www.lexitalia.it/p/tar/tarcalabria_2004-04-27.htm (sui presupposti che legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca del porto d’armi).


N. 01303/2014REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1497 del 2014, proposto da:

Adriano Patacini, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Bertolani, con domicilio eletto presso Carolina Migliorini in Roma, piazza della Cancelleria N.85;

contro

U.T.G. – Prefettura di Reggio Emilia;

nei confronti di

Questura di Reggio Emilia;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – SEZ. STACCATA DI PARMA: SEZIONE I n. 00390/2013, resa tra le parti, concernente revoca licenza di porto di fucile per uso caccia

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2014 il Cons. Pier Giorgio Lignani e udito l’avvocato Bertolani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, è stato destinatario di un provvedimento del Questore di Reggio Emilia, con il quale gli è stata revocata la licenza di porto di fucile per uso caccia, in dichiarata applicazione dell’art. 43 t.u.l.p.s., nella parte in cui vieta di rilasciare (o mantenere) la licenza a chi non dia affidamento di non abusare delle armi.

L’interessato – che già aveva presentato ampie deduzioni difensive al Questore – ha proposto ricorso gerarchico al Prefetto di Reggio Emilia. Il ricorso gerarchico è stato motivatamente respinto.

2. L’interessato ha impugnato entrambi i provvedimenti amministrativi davanti al T.A.R. Emilia-Romagna, sezione di Parma. Il T.A.R. ha respinto il ricorso con sentenza c.d. semplificata, emessa all’esito della camera di consiglio cautelare del 4 dicembre 2013 e pubblicata con il n. 390/2013.

3. L’interessato ha quindi proposto appello davanti a questo Consiglio. L’Amministrazione non risulta costituita, benché l’appello sia stato ritualmente notificato.

In occasione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio, il Collegio ravvisa le condizioni per procedere alla definizione immediata della controversia.

4. I provvedimenti amministrativi avversati dal ricorrente sono stati emessi, come già detto, in dichiarata applicazione dell’art. 43 t.u.l.p.s., nella parte in cui vieta di rilasciare (o mantenere) la licenza a chi non dia affidamento di non abusare delle armi.

In questo caso la revoca della licenza è stata disposta a seguito di un incidente di caccia: un colpo sparato dall’attuale appellante ha provocato lesioni (per vero di modesta entità: prognosi di venti giorni) ad un altro cacciatore. Ciò è sembrato sufficiente alle due autorità amministrative (il Questore e poi il Prefetto) per affermare che l’interessato non dà pieno affidamento di un uso corretto delle armi.

5. L’appellante sostiene, innanzi tutto, che non si dovesse fare applicazione dell’art. 43, t.u.l.p.s., bensì riferirsi, semmai, alle leggi speciali in materia di caccia (peraltro senza meglio precisare quale fosse, in ipotesi, la disposizione pertinente alla fattispecie, e quali diversi provvedimenti potessero derivarne).

La tesi difensiva è manifestamente infondata. Le disposizioni del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza hanno portata ed applicazione generale, e non si è mai seriamente dubitato che l’art. 43 sia applicabile anche alla licenza di caccia, come dimostra anche la prassi costante ed incontroversa.

D’altra parte, il fatto che i cacciatori, nell’esercizio della caccia, siano soggetti alle apposite norme speciali, non li sottrae alle leggi di più ampia portata, fra le quali quelle sulla pubblica sicurezza.

Infine, nella fattispecie si discute del ferimento – a mezzo di arma da fuoco – di un essere umano e perciò il fatto non può essere ridotto ad una contravvenzione alle leggi sulla caccia; se non altro perché la specie homo sapiens non rientra fra quelle cacciabili. Ciò rende pienamente pertinente l’applicazione delle leggi di pubblica sicurezza.

6. A parte ciò, l’appellante (riprendendo le argomentazioni già svolte in primo grado) entra nel merito delle valutazioni compiute dall’autorità di pubblica sicurezza, dispiegando argomentazioni difensive tanto ampie quanto poco pertinenti.

Esse, infatti, si palesano chiaramente come concepite per sostenere, in un ipotetico processo penale per il reato di lesioni colpose, l’assenza dell’estremo della “colpa”; e come se al giudice amministrativo spettasse, invece che un mero sindacato di legittimità, la piena cognizione sulla responsabilità del soggetto, l’illiceità della condotta, l’adeguatezza della sanzione e via dicendo. Ma in questa sede non si discute di questo.

La revoca della licenza ai sensi dell’art. 43 non è una sanzione e non presuppone necessariamente che al soggetto sia imputabile un illecito (penale ovvero civile o amministrativo). La funzione del provvedimento non è sanzionatoria né punitiva, bensì (come pure esplicitato negli atti impugnati) cautelativa e preventiva. Il presupposto della sua applicazione è che il soggetto non dia (più) pieno affidamento di non abusare delle armi.

Ed al giudice amministrativo non compete sostituirsi all’autorità amministrativa nel valutare, a sua volta, se il soggetto sia più o meno affidabile; bensì solo verificare se l’autorità amministrativa, decidendo come ha deciso sulla base degli elementi a sua disposizione, sia incorsa nei vizi di travisamento dei fatti, manifesta illogicità e simili.

7. Ciò posto, si osserva che il dato di fatto innegabile è che un colpo di fucile sparato dall’interessato ha prodotto lesioni (fortunatamente di modesta entità) alla persona di altro cacciatore appostato nelle vicinanze. L’appellante, pur non avaro di argomenti difensivi, non nega che il colpo che ha prodotto le lesioni sia partito, in effetti dalla sua arma.

Vi è stato dunque un qualche deficit di perizia e/o di prudenza da parte dell’appellante; o per dir meglio, se questo ha giudicato l’autorità di pubblica sicurezza, tale giudizio non appare viziato da manifesta illogicità, ovvero travisamento dei fatti e simili. E non si può considerare manifestamente irragionevole, né contrastante con la ratio legis, che la stessa autorità abbia stimato conveniente, nell’interesse pubblico, privare l’interessato dell’uso delle armi.

8. Viene tuttavia in considerazione il problema della “proporzionalità” ossia “adeguatezza” della misura adottata, rispetto alla rilevanza del temuto rischio di comportamenti abusivi o pericolosi.

Sotto questo specifico profilo, in effetti, non si può negare che le caratteristiche specifiche dell’episodio siano tali da far apparire manifestamente sproporzionata la misura adottata, rispetto alla effettiva consistenza – anche in termini prognostici – del pericolo di abuso delle armi da parte del ricorrente.

Va premesso che si discute di caccia alla lepre, il che implica l’uso di proiettili di piccole dimensioni e di munizioni di potenza limitata. Inoltre appare chiaro, dall’insieme della documentazione prodotta e non contestata, che il soggetto danneggiato è stato attinto solo da una minima parte dei pallini di un “rosa”, rimbalzati sul suolo sassoso e perciò deviati dalla loro traiettoria originale; tanto è vero che le lesioni riportate sono state di modestissima entità. Certamente il danneggiato non si trovava nella linea di tiro; semmai, si trovava, rispetto alla linea di tiro, a distanza inferiore a quella di sicurezza (con riferimento all’eventualità del rimbalzo dei proiettili) ma vi si trovava perché vi si era collocato spontaneamente, in contrasto con gli accordi presi fra i compagni di battuta, e per di più era occultato dalla vegetazione alla vista dell’attuale appellante. Va notato che la presumibile direzione dello sparo era prevedibile in relazione alla dislocazione degli appostamenti dei cacciatori e ciò concorre a rendere manifesta l’imprudenza del danneggiato.

9. Riassumendo, gli elementi dai quali la Questura ha desunto la relativa inaffidabilità dell’appellante sono così limitati (come limitati sono stati gli effetti dannosi) da rendere sproporzionata e inadeguata (in quanto eccessiva) la misura preventiva e cautelativa adottata.

In conclusione, l’appello va accolto, e gli atti impugnati in primo grado vanno annullati.

Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio dei due gradi, tenuto conto della opinabilità della materia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l’appello nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore

Michele Corradino, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Angelica Dell’Utri, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 14/03/2014.