La metamorfosi del ruolo del Giudice
STEFANO GLINIANSKI, Crisi della rappresentanza e metamorfosi del ruolo del Giudice in un contesto di Stato costituzionale europeo.
STEFANO GLINIANSKI (*)
Crisi della rappresentanza e metamorfosi del ruolo del Giudice
in un contesto di Stato costituzionale europeo
SOMMARIO: 1. Premessa 2. Sulla crisi della rappresentanza. 3. Sulle fonti del diritto. 4. Sul potere giudiziario, l’equilibrio tra poteri e la certezza del diritto. 5. Rimedi funzionali ad una maggiore certezza del diritto: dalla qualificata partecipazione ai processi formativi della regola interna ed europea al rafforzamento della funzione nomofilattica.
1. Premessa
Il tema della crisi della rappresentanza e della metamorfosi del ruolo del giudice in un contesto di Stato costituzionale europeo, per l’ampiezza delle riflessioni che determina e, conseguentemente, per la delicatezza delle conclusioni a cui lo stesso consente di pervenire, necessita, a parere dello scrivente, di una opportuna delimitazione della prospettiva entro la quale circoscriverne l’analisi.
Il percorso argomentativo, pertanto, si articolerà nei seguenti solchi prospettici evidenzianti evoluzioni e cambiamenti del nostro ordinamento: a) crisi della rappresentanza politica, Unione Europea e mutamenti dell’assetto ordinamentale; b) allontanamento dal tradizionale modello gerarchico delle fonti del diritto; c) processo di costituzionalizzazione del diritto e superamento della illusione illuminista per cui il giudice deve essere solo la “boche de la loi”.
Solo successivamente a tale demarcazione dei profili di analisi, si affronterà, dunque, l’interrogativo sul se e come i richiamati processi evolutivi si conciliano con l’immanente necessità di un equilibrio tra poteri, in forza di una divisione, se non una distinzione tra essi, che ha, quale logico corollario, una ricercata ed auspicabile certezza del diritto.
2. Sulla crisi della rappresentanza
Con riferimento al primo aspetto e, dunque, alla crisi della rappresentanza politica, innegabilmente, si registra una spinta da parte del Demos – il popolo rappresentato – ad affrancarsi dalle “istituzioni” quali centri decisionali rappresentanti dei loro interessi.
Non può tacersi, infatti, della sempre più visibile ricerca da parte della collettività amministrata di forme alternative di democrazia diretta (rectius, di partecipazione attiva alle scelte pubbliche) – oggi supportate e attualizzate da innovazioni tecnologiche che ne governano le modalità operative – che manifestano una sfiducia, se non una vera insofferenza, nei confronti della rappresentatività indiretta tipica del nostro sistema parlamentare, acuita dalla appartenenza dell’Italia alla Unione Europea e alla soggezione alle regole da essa dettate.
In particolare, le ragioni di tale dissociazione tra cittadini – che sovente convergono con i loro voti anche verso forme di rappresentanza politica a forte tendenza populista, nell’impossibilità immediata di ricorrere ad altre forme di diretta rappresentanza – e istituzioni sovranazionali sono da ricercare proprio nella circostanza che l’Europa e le sue conseguenti regole sono certo espressione di una democrazia, ma di una democrazia fortemente indiretta.
Ciò, dunque, amplifica ancora di più quella avvertita crisi di rappresentanza da parte della collettività amministrata rendendo al non tecnico (contrapposto a quella che, in senso ampio, viene definita tecnocrazia, giudici, appartenenti al mondo accademico, funzionari amministrativi, naturali conoscitori delle regole e dell’imperatività dei precetti discendenti da esse), talvolta, incomprensibile il rispetto delle stesse, sovente contrastanti con un interesse nazionale che si tende ad attuare attraverso un indirizzo politico amministrativo interno.
La sovranità statuale, dunque, cede a fronte della regola sovranazionale, con il conseguente effetto di a) una tendenza alla deparlamentarizzazione del potere legislativo [1], sempre più organo non deliberante ma ratificante volontà formatesi in altre sedi, in primis governativa, volontà a sua volta risultante da processi di negoziazione con organismi europei; b) un forte dimensionamento della discrezionalità amministrativa, ove la pubblica amministrazione è oltremodo veicolata, nell’attuazione dell’interesse pubblico, al rispetto di regole tecniche di derivazione europea, talvolta, azzeranti politiche decisionali interne di bilancio [2]; c) un diritto giurisprudenziale interno che deve, necessariamente, non solo rendere, con la decisione del caso concreto, il diritto vivente, nei limiti di una soggettività di giudizio auspicabilmente non sfociante in arbitrio decisionale [3], ma coesistere con il giudice sovranazionale e cedere dinanzi al primato del diritto comunitario [4] sul diritto interno con decisioni, sovente, disapplicanti scelte normative interne [5].
3. Sulle fonti del diritto
L’ordinamento europeo ha inciso, altresì, sul sistema delle fonti del diritto [6], con conseguente ulteriore ridimensionamento della statualità e, di riflesso, della territorialità e della stessa sovranità nazionale.
E’ innegabile che ad una struttura piramidale delle fonti, tipica del modello gerarchico di matrice Kelseniana [7], si è sostituito un modello “a rete [8]” o dell’”arcipelago [9]”, caratterizzati da un “policentrismo normativo [10]” il cui effetto è un “disordine delle fonti [11]”.
Si pensi, relativamente alle fonti interne, a titolo esemplificativo, ai principi contabili [12], alla loro difficoltà di inserimento nel sistema delle fonti, pur nella riconosciuta tripartizione degli stessi in “regole d’arte”, non formalizzate a cui fanno riferimento le clausole generali presenti nelle regole civiliste (quali l’articolo 2119 che richiama norme di ordinata contabilità; gli articoli 2217 e 2423 che impongono principi di evidenza e verità, concetti a contenuto indeterminato destinati a specificarsi con un rinvio a regole tecniche determinate, risultato di una elaborazione tecnica professionale che, per l’autorevolezza del soggetto da cui promanano, acquisiscono vincolatività); in “raccolte scritte non riconosciute” la cui standardizzazione attraverso la formulazione scritta, tuttavia, ne impone la natura normativa, ove lo standard setter ha natura pubblicistica, e la natura privatistica dell’organismo non ne esclude necessariamente la loro rilevanza giuridica; e, infine, “raccolte scritte riconosciute”, fonti normative di disciplina della materia non mediate, come nella prima ipotesi, da clausole generali e dal controllo da parte dell’autorità giudiziaria, e la cui rilevanza giuridica è direttamente acquisita da coloro i quali hanno poteri normativi.
Non meno complesso il tema, poi, del processo di produzione normativa dei cc.dd. IAS/IFRS (International Accounting Standards e International Financial Reporting Standards) e delle interpretazioni SIC/IFRIC (Standing Interpretations Committee, International Financial Interpretations Committee) entrambi posti sullo stesso piano della vincolatività e che individuano unitariamente i “principi contabili internazionali” secondo l’articolo 2 Regolamento 02/1606/Ce e l’articolo 1 del Dlgs 38/2005 rilevanti negli ordinamenti nazionali.
Viva è, infatti, la discussione in merito al valore giuridico che detti principi acquisiscono nell’ambito degli stessi ordinamenti interni. Più precisamente, se essi siano da considerare norme regolamentari comunitarie una volta adottati dalla Commissione con lo strumento regolamentare o regola privata riconosciuta, al pari di altre regole legislative, con evidenti conseguenze, ove qualificati giuridicamente nell’uno o nell’altro senso, sul piano degli effetti e del sindacato ad opera della autorità giudiziaria.
Il tutto in un quadro generale, ove vige il già ricordato primato del diretto dell’Unione Europea applicato direttamente dal giudice interno di ciascun Stato membro vede ampliare notevolmente l’interventismo giudiziario attraverso lo strumento della disapplicazione della legislazione nazionale non coerente con quella comunitaria e con la giurisprudenza della Corte di giustizia, con l’effetto di una ulteriore erosione del potere legislativo e, conseguentemente, di un deficit democratico, aggravato da una assenza di sistematicità codicistica.
4. Sul potere giudiziario, l’equilibrio tra poteri e la certezza del diritto
Strettamente collegato a quanto sinora detto è, poi, con riferimento al ruolo del potere giudiziario, l’abbandono da parte del pensiero giusfilosofico contemporaneo dell’ideale illuminista per cui il giudice è e deve essere la mera bocca della legge [13].
L’evidente amplificazione dell’attività interpretativa del giudice che non può ridursi, come pur si era tentato di prospettare, ad una mero applicatore della legge scritta, per la naturale dose di soggettività che caratterizza la decisione del caso concreto, in un contesto in cui un ampliamento della funzione giudiziaria è strettamente collegato al mutamento ordinamentale tracciato e alla complessità del sistema delle fonti e della loro valorizzazione nei giudizi, ripropone, dunque, in termini ancora più complessi, il dilemma del dove termina la soggettività di un giudizio ed inizia l’arbitrio.
E, dunque, come si concilia la stessa attività ermeneutica giudiziaria con il principio dell’equilibrio dei poteri, anche in considerazione di un processo di costituzionalizzazione del diritto [14] in atto, sempre più “impregnato” di Costituzione che, nel determinare l’abbandono di una Costituzione formale per l’evolversi della stessa Carta costituzionale nella sua visione materiale, induce con maggior frequenza a pronunciamenti giurisprudenziali costituzionalmente orientati , talvolta, accusati di troppa creatività.
Al fine di una corretta prospettazione del tema, si impone, tuttavia, una riflessione preliminare.
L’equilibrio dei poteri e tra i poteri, per il dinamismo insito in tutti i fenomeni umani e, dunque, anche sociali e, conseguentemente, giuridici, non può concepirsi in una sua accezione statica e risolversi in una sua cristallizzazione immodificabile nel tempo e, dunque, perpetua.
L’impossibilità di un immobilismo concettuale e, dunque, ordinamentale, nel quale si tenta, ritengo con estrema difficoltà, di condurre la tradizionale separazione tra poteri legislativo ed esecutivo e potere giudiziario, trova la sua ragione proprio nel dinamismo tipizzante tutti i fenomeni naturali e, naturalmente, anche quelli giuridici.
Se, dunque, il diritto è dinamico, e le istituzioni che lo regolano, per essere al passo con i tempi, conseguentemente, lo devono essere nel gestire la sua naturale mobilità, logico corollario a tale assunto sarà che il punto di equilibrio tra diversi poteri sarà trovare una soluzione idonea di bilanciamento, ove detto dinamismo rischia, per le più varie ragioni, di disequilibrarsi in favore dell’un potere a scapito di altro.
Allora la domanda da porsi sarà quali potrebbero essere i naturali rimedi funzionali ad una maggiore certezza del diritto e, dunque, ad una identificazione dei confini tra poteri, prodromica ad un auspicato e auspicabile loro equilibrio, ove spie rivelatrici facciano intercettare eventuali sconfinamenti dell’uno nei confronti dell’altro generati da fattori esterni e da dinamiche interne.
5.Rimedi funzionali ad una maggiore certezza del diritto: dalla qualificata partecipazione ai processi formativi della regola interna ed europea al rafforzamento della funzione nomofilattica
Sicuramente un primo rimedio può essere rappresentato da una maggiore chiarezza nella formulazione dei testi legislativi il cui presupposto è, oltre che una più specifica competenza tecnica da parte di chi è preposto alla produzione normativa, ancor prima una semplificazione del suo processo formativo.
Se, infatti, per le ragioni dette, il sistema delle fonti è sempre più articolato, una facilitazione dei processi di formazione della legislazione e una più chiara esplicitazione dei contenuti delle norme di regolazione, aiuterà sicuramente l’interprete nella loro applicazione concreta, evitandone interpretazioni arbitrarie.
E tanto non solo sul piano ordinamentale interno.
Il processo di integrazione degli Stati nazionali in una cornice di regolazione europea impone, in un contesto sovranazionale, una nostra maggiore e più qualificata partecipazione ai processi formativi della regola europea, oltre che una superiore attenzione nel recepimento degli stessi nel diritto interno, se si vuole evitare di subire, direttamente e indirettamente, discipline prioritariamente dettate da altri e, dunque, avviate nell’interesse primario del predisponente le stesse, ma con successivi effetti erga omnes.
Si è evidenziato, tuttavia, che pur nella maggiore chiarezza del testo legislativo e nel presupposto di una più incisiva e qualificata partecipazione ai processi di formazione della regola europea, quel dinamismo insito in tutti i processi naturali in cui rientra, evidentemente, anche la regolazione dei fenomeni giuridici attraverso l’attualizzazione della regola alle eventuali mutate circostanze comporta, almeno in prima battuta, di demandarne al Giudice il controllo della stessa.
Ed ecco, allora, riproporsi il rischio di una dominanza del potere giudiziario sugli altri poteri, sovente amplificata, per ragioni politiche, dalla non regolazione del fenomeno da parte del naturale potere a ciò preposto (Il Parlamento) che impone (al Giudice) di colmare un vuoto normativo, ove ciò sia a lui richiesto di disciplinare un accadimento non normato, ed aggravata dalla eterogeneità dei giudizi.
Orbene, alla presenza di una tale evenienza, un rafforzamento, ad onor del vero già in parte attuato dal Legislatore [15], della funzione nomofilattica in seno alle diverse magistrature, può, nel rispetto del libero convincimento del Giudice, conciliare le diversità di giudizio con il principio di certezza del diritto.
Principio di certezza del diritto, dunque dal quale bisogna ripartire, ma in una logica collaborativa e non di contrapposizione.
Senza, infatti, dovere – per il conseguimento della tanto auspicata certezza giuridica, funzionale ad un bilanciamento tra poteri – necessariamente spingersi al punto di costruire teorie del diritto fondate non sulla legislazione ma sul precedente – il potere legislativo, proprio attingendo ai risultati della funzione nomofilattica delle magistrature ordinarie, amministrative e amministrativo contabili, potrebbe, non esasperare, come spesso accade, la sua funzione legislativa, sovente in forma di ratifica di decretazione d’urgenza, rendendo così ipertrofica e contenutisticamente complessa la produzione di leggi, ma sensibilizzarsi e dirigere la sua attività in una preliminare funzione di ricerca e di analisi della migliore giurisprudenza espressa nei suoi diversi settori di competenza, ai fini di una migliore produzione del diritto, formulando testi legislativi che, come autorevolmente affermato, potranno funzionare meglio “per mezzo di, e non contro, i precedenti e la giurisprudenza [16]”.
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(*) Consigliere della Corte dei conti e Segretario generale Autorità Scioperi Servizi Pubblici Essenziali
[1] Sul tema D.GRIMM, Il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione Europea, in Nomos, 2015, 2, pp 1-2, il quale evidenzia come le mutate condizioni della politica statale sul piano interno con il passaggio da uno Stato liberale ad uno Stato sociale ed esterne, con il trasferimento della sovranità verso organizzazioni internazionali quali l’Unione Europea, rappresentano ragioni strutturali di una generale tendenza alla deparlamentarizzazione.
[2] Sulla valenza politica del bilancio dello Stato, G. LO CONTE, Equilibrio di bilancio, vincoli sovranazionali e riforma costituzionale, Giappichelli, 2017, nonché S. BUSCEMA, voce Bilancio dello Stato, Giuffrè 1971.
[3] G. FORIGLIO, Trasformazioni del diritto. Alla ricerca di nuovi equilibri nell’esperienza giuridica contemporanea, Giappichelli, Torino, 2017.
[4] Sul tema, U. BRECCIA, Immagini della giuridicità contemporanea tra disordine delle fonti e ritorno al diritto, in Politica e diritto, 2006. L’A., soffermandosi sull’influenza del dialogo, in fasi successive, tra giudici ordinari e legislatore nazionale prima ed europeo poi, evidenzia come tale complessità determina la necessaria coesistenza tra interprete nazionale e giudice sovranazionale il cui precedente ha di fatto forza vincolante e comporta gravi casi di conflitto con la legislazione nazionale fino ad indurre un criterio di composizione non codificato e che include gerarchie non formali e circolarità non codificate.
[5] Pacifico, ormai, il principio per cui il giudice interno, oltre che la stessa pubblica amministrazione, hanno l’obbligo di disapplicare la normativa interna, ove la stessa risulti in contrasto con norme comunitarie ad efficacia diretta e di sollevare questioni di legittimità costituzionale, là dove il contrasto è con norme comunitarie ad efficacia non diretta (Corte Cost. 8 giugno 1984, n. 170).
[6] Sul tema del ridimensionamento della statualità determinato dalla globalizzazione ed internazionalizzazione dello Stato, R.BIN – G. PITRUZZELLA, Le fonti del diritto, Giappichelli, Torino, 2012.
[7] H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, p. 251 e ss.
[8] F. OST, Dalla piramide alla rete: un nuovo paradigma per la scienza giuridica? In M. Vogliotti (a cura di), Saggi sulla globalizzazione giuridica e il pluralismo normativo, Giappichelli, Torino, 2013.
[9] G. ZACCARIA, La comprensione del diritto, Laterza, 2012.
[10] G. FORIGLIO, Trasformazioni del diritto. Alla ricerca di nuovi equilibri nell’esperienza giuridica contemporanea, Giappichelli, Torino, 2017.
[11] G. BERTI, Diffusione della normatività e nuovo disordine delle fonti del diritto, in Jus, 2003.
[12] S. FORTUNATO, I principi contabili internazionali e le fonti del diritto, in Le fonti private del diritto commerciale (a cura di) V. DI CATALDO – P.M.SANFILIPPO, Giuffrè 2008.
[13] MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Utet, Torino, 1996. Con riferimento all’avversione del Montesquieu nei confronti della magistratura, per cui “Il potere giudiziario non deve essere attribuito ad un senato permanente, ma deve essere esercitato da persone scelte dal popolo, in determinati periodi dell’anno, secondo la maniera prescritta dalla legge, per formare un tribunale il quale rimanga in vita soltanto per il periodo che la necessità richiede. In questo modo il potere giudiziario, così terribile tra gli uomini, non essendo legato ad una determinata condizione, né ad a una determinata professione, diviene per così dire, invisibile, nullo. Non si hanno continuamente dei giudici davanti agli occhi; si teme la magistratura e non i magistrati” si veda M. BARBERIS, Il miglior diritto possibile, Scritti per Luigi Lombardi Vallauri, Cedam, Padova, 2016 richiamato da G. FORIGLIO op. cit. p. 91 e ss per chiedersi se, indipendentemente dalle preferenze per un potere specifico rispetto agli altri, detta divisione o distinzione comporti necessariamente un rapporto di collaborazione, di indipendenza o di supremazia di un potere o se sia possibile separarli quanto meno nella loro incidenza sull’attività normativa e dunque sul diritto.
[14] G. FORIGLIO, Trasformazioni del diritto. Alla ricerca di nuovi equilibri nell’esperienza giuridica contemporanea, Giappichelli, Torino, 2017, Cap. 2, par. 3, pp. 112 e ss.
[15] Con riferimento alla funzione nomofilattica della magistratura contabile, si richiama l’articolo 114 del Codice di giustizia contabile. La norma disciplina il deferimento da parte delle giurisdizioni d’appello (allo stato, non per contrasti verificatisi in primo grado, stante la fisiologia degli stessi e la loro idoneità a determinare un arricchimento delle varie opzioni ermeneutiche che la giurisprudenza è chiamata ad affrontare) alle Sezioni Riunite delle questioni di massima sia virtuali o potenziali) a cui vanno equiparate le soluzioni degli intervenuti contrasti di giurisprudenza, oltre che – in sede consultiva –il potere di deferimento riconosciuto al Presidente della Corte perché le stesse sezioni si pronuncino con orientamenti generali su questioni risolte in maniera difforme dalle sezioni regionali di controllo nonché sui casi che presentano una questione di massima di particolare importanza (articolo 17, comma 31 del DL 78/2009).
Di fondamentale rilevanza, poi, il potere nomofilattico riconosciuto ai sensi dell’art. 6, comma 4, d.l. n. 174/2012 alla sezione delle Autonomie, così come l’articolo 69, comma 2 del Codice. Tale disposizione, infatti, al fine di evitare distonie giudiziarie, verificatesi e già stigmatizzate, dispone l’obbligo di archiviazione per assenza di colpa grave quando l’azione amministrativa si è conformata al parere reso dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli enti locali nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi.
[16] M. BARBERIS, Contro il creazionismo giuridico. Il precedente giudiziale fra storia e teoria. In Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico odierno, 2015, 44, pp.100- 101.