Niente più responsabilità amministrativa per colpa grave?

MASSIMO PERIN, Le modifiche (o soppressione) della responsabilità amministrativa per colpa grave. Saranno utili? Probabilmente no.



MASSIMO PERIN
(Consigliere della Corte dei conti)

Le modifiche (o soppressione) della responsabilità amministrativa per colpa grave. Saranno utili? Probabilmente no



Il Governo in carica con il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, riguardante le misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale (GU n.178 del 16-7-2020 – Suppl. Ordinario n. 24), vigente dal 17 luglio 2020, ha inteso apportare modifiche al sistema pubblico delle responsabilità finanziarie riducendo sensibilmente gli spazi d’indagine delle Corte dei conti per i pregiudizi economici e finanziari patiti dai pubblici bilanci.

L’obiettivo di questa riforma, per ora limitata ad un anno (ma nulla esclude che possa essere prorogata o addirittura trasformata in una modifica strutturale) sarebbe stata, ascoltando le fonti governative, quella di superare la cd. paura della firma e la conseguente amministrazione difensiva che impedirebbe la realizzazione dei programmi e dei lavori pubblici.

L’amministrazione difensiva consentirebbe ai pubblici amministratori di non fare niente per evitare di incorrere nelle responsabilità penali (reato di abuso) e nelle responsabilità finanziarie (danno erariale).

La norma in questione è l’art. 21 sulla «Responsabilità erariale» il quale recita:

«1. All’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il primo periodo è inserito il seguente: “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso.”.

2. Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 luglio 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.».

Ebbene, al di là dell’evidente incostituzionalità della norma per contrasto con l’art. 28 della Costituzione, il quale stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti [1], si pone immediatamente all’attenzione dell’interprete la circostanza che se una mala gestione avviene per omissione, allora si incorre in responsabilità per colpa grave, se, invece, avviene per un’attività commissiva non si è più responsabili (!).

Pertanto, non si comprende proprio quale interesse pubblico e quale efficienza dell’amministrazione si voglia tutelare con siffatta riforma.

Eppure, sia l’art. 97 della Costituzione, sia l’art. 1 della legge n. 241 del 1990 indicano in modo chiaro cosa significhi il buon andamento della pubblica amministrazione.

Infatti, come stabilisce la menzionata norma l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario.

Cosa significa tutto questo? Significa che il “buon andamento” si è spostato da quello di andamento formalmente corretto a quello di andamento sostanzialmente buono.

L’attività amministrativa deve essere retta dai principi generali di economicità e di efficacia, oggi correntemente ritenuti principi di «costituzione materiale economica», con la conseguenza che la giurisprudenza si proietta verso posizioni che abbandonano la concezione di buon andamento inteso come «comportamento dell’amministrazione non macchiato da incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere», per verificare il corretto uso delle risorse pubbliche e il raggiungimento dell’utilità che si doveva conseguire con quelle risorse [2].

Seguendo questa impostazione (imposta anche a livello comunitario [3]) è necessario verificare i risultati effettivamente conseguiti dalle gestioni amministrative, tenendo conto anche dei costi sostenuti per il loro raggiungimento, dal momento che la lotta contro gli sprechi, l’irresponsabilità diffusa e il disordine amministrativo deve essere un obiettivo primario per un Paese che non vuole cedere al degrado, all’arroganza di chi esercita malamente il potere ricorrendo alla sistematica trasgressione delle regole anche attraverso l’esasperazione formalistica (e di comodo) dell’interpretazione normativa.

In questo scenario il legislatore governativo ha ritenuto che sia meglio garantire l’immunità a chi sbaglia invece di promuovere la buona amministrazione che, di certo, nasce quando la spesa pubblica non solo è controllata, ma anche quando esistono dei ragionevoli elementi di responsabilità per i gravi errori conseguenti a improvvide e scellerate decisioni amministrative [4].

Nella requisitoria del Procuratore regionale per il Lazio, in occasione del giudizio di parificazione sul rendiconto generale della Regione Lazio per l’esercizio finanziario del 2020 (https://www.corteconti.it/Download?id=cb106096-6a62-43f9-b173-0a803ac78ada), è scritto che a fronte della necessità di semplificare le procedure per far sì che la ripresa dell’economia (ancora con la pandemia in corso) sia la più rapida ed efficace possibile, non si riesce a capire cosa abbia a che fare con la semplificazione, l’eliminazione – ancorché circoscritta ad un periodo temporale e soltanto per i fatti commissivi – della colpa grave.

L’intuizione di introdurre siffatta norma risiederebbe che in un momento di grave emergenza, sia giusto limitare l’azione di responsabilità per danno erariale solo nei confronti di chi omette di fare in modo gravemente colpevole e non anche nei confronti di chi opera, chi agisce, chi non è inerte.

Come detto nella requisitoria in parola la riforma è una giustificazione assai debole e incongruente. Chi fa con imperizia, negligenza e imprudenza può produrre danni non solo ingenti, ma spesso permanenti e irreparabili.

A tal proposito, si può pensare alla costruzione di un’opera pubblica che, a causa di errori progettuali e/o in fase di esecuzione, resti incompiuta e inutilizzata [5].

Fattispecie di questo tipo ogni giorno si rinvengono sui media e le lamentale dei cittadini sono quasi sempre richiamate nei tanti esposti depositati presso le Procure della Repubblica e della Corte dei conti.

Invece, qual è la soluzione ai problemi dell’inefficienza amministrativa? La riduzione sensibile degli spazi alla giurisdizione di responsabilità, svuotandola proprio nel momento in cui giungeranno importanti risorse finanziarie dall’U.E. che finiranno sicuramente anche in tante opere inutili, la cui sanzione sarà l’aumento del debito pubblico e le pesanti misure che imporrà la stessa U.E.

Eppure, nel passato un grande giurista (Costantino Mortati) ebbe a dire «una delle più gravi iatture nel momento presente è data dalla mancanza di ogni controllo efficace sulle spese pubbliche. Il Parlamento, vista l’enormità delle spese che lo Stato oggi è costretto a sopportare, non è sempre in grado di effettuare quel controllo. Si può obiettare che neanche la Corte dei conti ha eseguito sempre soddisfacentemente il controllo sulle spese pubbliche; ma questa, a suo avviso, non è una ragione per negare l’importanza del controllo sulle spese pubbliche, anzi costituisce una ragione di più per rendere maggiormente efficace tale controllo e rafforzare il potere della Corte dei conti» [6].

Nondimeno, molti nuovi metodi di governo prediligono un sistema fondato sulla possibilità di avere maggiore libertà nell’uso delle pubbliche risorse, considerando questo necessario per essere efficienti di fronte alle sfide della società moderna che richiede tempi sempre più stretti per le risposte da offrire ai problemi che sorgono.

Questa esigenza di maggiore libertà non si comprende poi perché dovrebbe far venire meno i principi di responsabilità e di trasparenza [7], poiché la scelta gestoria dannosa, inefficace e di puro spreco del denaro pubblico, di certo non viene fatta con trasparenza e imparzialità.

Però quello che sfugge o è sfuggito al governo – legislatore è che lo svuotamento della responsabilità amministrativa, pervenendo alla quasi abolizione della colpa grave non sortirà gli effetti sperati, anzi nel tempo porterà alla paradossale situazione di indebolire fortemente le garanzie per i pubblici dipendenti.

Infatti, le Sezioni unite della Cassazione da qualche tempo sostengono [8] (giustamente) che l’azione di responsabilità per danno erariale e quella con la quale le amministrazioni interessate possono promuovere le ordinarie azioni civilistiche di responsabilità sono reciprocamente indipendenti, anche quando investano i medesimi fatti materiali: la prima è volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della p.a. e al corretto impiego delle risorse pubbliche, con funzione prevalentemente sanzionatoria; la seconda è finalizzata, invece, al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della singola amministrazione attrice. L’eventuale interferenza che può determinarsi tra tali giudizi pone esclusivamente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità (nonché di eventuale osservanza del principio del ne bis in idem), senza dar luogo a questione di giurisdizione.

Ebbene, cosa significa questo orientamento delle Sezioni unite? Significa semplicemente che l’azione di responsabilità può tranquillamente essere esercitata dinanzi ad ambedue le giurisdizioni, soltanto che le regole sono assai diverse, poiché innanzi al giudice ordinario non esistono le garanzie e le limitazioni di responsabilità che esistono nel processo contabile.

Pertanto, il dipendente pubblico di fronte al g.o. risponderà «dell’intero pregiudizio erariale a titolo di colpa normale e/o lieve» (non soltanto per il dolo), con il termine di prescrizione più lungo (10 anni) e con la trasmissibilità del danno ai propri eredi.

Inoltre, non esiste la possibilità che il danno possa essere preliminarmente contestato con l’invito a dedurre [9], ma il pubblico dipendente e/o amministratore si troverà un bel atto di citazione in giudizio per l’intero danno che spesso è anche milionario, senza alcuna possibilità di essere stato ascoltato da un magistrato prima dell’eventuale giudizio.

Poi una volta condannato, già in primo grado la sentenza sarà provvisoriamente esecutiva e sarà tenuto a versare all’amministrazione il risarcimento, per sospenderla deve far la richiesta al giudice dell’impugnazione chiedendo, appunto, di sospendere subito la provvisoria esecutività della sentenza se ci sono gravi pericoli e se il proprio diritto è manifestamente fondato, ma non è detto che il giudice dell’appello pervenga all’accoglimento della richiesta.

Qualcuno potrà obiettare che si tratta di un’ipotesi più rara rispetto a quella in cui ti chiama a giudizio il p.m. contabile, però non credo proprio che tale obiezione vada lontano, visto che con la politica dell’alternanza delle coalizioni, quando al Governo andrà il partito di colore diverso si può tranquillamente immaginare che non abbia alcuna remora a portare a giudizio gli esponenti del partito avverso, soprattutto per ragioni di risentimento politico.

Oltre a ciò, non si deve escludere che potranno essere gli stessi cittadini a portare a giudizio gli amministratori pubblici, perché danneggiati dalle scelte di gestione e questa è un’ipotesi assai probabile, perché in questo momento storico il risentimento popolare contro le classi politiche e governative è assai diffuso.

In questa ipotesi i cittadini sicuramente non vorranno essere risarciti con i soldi del bilancio pubblico, ma con quelli di chi ha adottato le scelte per loro dannose.

Non si può nemmeno escludere che uno scenario simile possa essere portato davanti anche al giudice amministrativo, quando si contestano le scelte illegittime dell’amministrazione (si pensi all’aggiudicazione dei contratti), dove le imprese danneggiate potrebbero anche chiedere i danni personalmente a quegli amministratori responsabili delle illegittimità della gara.

D’altra parte, è un principio generale che in presenza di un illecito, cioè della lesione di un interesse protetto dall’ordinamento per un soggetto che può essere tanto una persona fisica, quanto una persona giuridica, segue il risarcimento del danno.

Quando danneggiata è la persona giuridica pubblica nulla impedisce alla stessa persona giuridica di avviare l’azione restitutoria nei confronti degli amministratori pubblici, ma anche dipendenti per ottenere il risarcimento del danno patito a protezione dell’interesse particolare della singola amministrazione attrice.

Questo, piaccia o non piaccia è il pensiero delle Sezioni unite della Cassazione, ribadito di recente anche in un altro caso dove il giudice della legittimità (cfr. Corte di cassazione a sezioni unite (ordinanza n. 16722/2020), conferma la giurisdizione del giudice ordinario ai fini del ristoro delle somme illecitamente percepite dal dipendente in mancanza della preventiva autorizzazione della propria amministrazione a svolgere attività esterna, nonostante la fattispecie di danno fosse stata archiviata dalla Corte dei conti.

Quanto sopra ha avuto la semplice conseguenza che il dipendente pubblico che aveva svolto attività esterna senza la preventiva autorizzazione era stato assolto dalla Corte dei conti, ma condannato dal giudice ordinario e, in conseguenza di ciò, dovrà versare all’amministrazione tutte le somme ricevute in assenza di autorizzazione, oltre interessi e spese legali [10].

Le Sezioni unite affermano che nel giudizio contabile il ristoro del pregiudizio subito dalla p.a. non è completo e, inoltre, è pur sempre richiesto il dolo o la colpa grave da parte del dipendente o dell’amministratore che abbia agito in danno della propria p.a.

L’azione civile o penale proposta dalla p.a. è, invece, finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria e integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della singola amministrazione.

In ragione di ciò la riforma della colpa grave sarà inutile e maggiormente gravosa per amministratori e dipendenti pubblici che da ora in poi risponderanno dei danni arrecati davanti al giudice ordinario, dove la limitazione delle responsabilità ai soli danni “dolosamente voluti” si rivelerà inutile e superflua, perché estranea al sistema generale delle responsabilità civile e patrimoniali.

Davanti al giudice ordinario si è ancora tutti uguali e solo particolari categorie (ad es. i medici) godono di una qualche protezione in ragione della delicatezza del lavoro che svolgono e non è minimamente pensabile assimilare gli amministratori pubblici al personale sanitario, il quale anche mettendo a rischio la propria vita, cura le persone, così come le recenti situazioni della pandemia da corona virus insegnano.

Quel che spiegava la dottrina più attenta [11] è che l’amministrazione non può agire se non per mezzo delle persone fisiche preposte ai suoi uffici, è sempre l’atto o il fatto di una di queste che è la causa efficiente del danno, per cui un legislatore ragionevole e prudente deve indicare il punto di equilibrio per determinare la quota di responsabilità che può gravare su questo ovvero sulla pubblica amministrazione.

La previsione della responsabilità amministrativa alla sola colpa grave, come pure affermato dalla Corte costituzionale [12], era il punto di equilibrio che consentiva all’agente pubblico di operare con la necessaria serenità, ma questo non è bastato agli autori di questa riforma, volevano di più: volevano l’immunità.

Infatti, ipotizzare una responsabilità amministrativa solo per condotte dolosamente volute, equivale ad addossare al pubblico ministero contabile l’onere di una probatio diabolica che comporterà solamente la scelta di procedere ad archiviazioni indistinte su quasi tutte le segnalazioni di danno erariale, salvo quelle dove il danno segue a un’attività omissiva, la quale potrebbe pure essa non essere stata dolosamente voluta [13].

Ovviamente, come sopra scritto ed ipotizzato alla luce dei recenti orientamenti della Corte di cassazione, queste norme non serviranno a molto quando le amministrazioni più attente decideranno di agire contro i propri dipendenti incapaci per la restituzione dell’intero danno davanti alla giurisdizione ordinaria, e verso di essa non potranno essere adottate riforme di questo tipo, tenuto conto che nel giudizio civile la responsabilità è uguale per tutti.

D’altra parte, l’art. 28 della Costituzione è difficilmente superabile con una legislazione raffazzonata, perché esso ha avuto lo scopo di conferire una più efficiente tutela per i diritti dei cittadini (tra cui anche il diritto ad essere bene amministrati n.d.r.) di fronte ai comportamenti illeciti dei pubblici uffici, stabilendo che dagli stessi atti illeciti scaturisce, in ogni caso, una duplice responsabilità del dipendente e dell’ente. Lo spirito della norma fondamentale è quello di rendere più efficaci i freni inibitori contro l’impulso ad abusare del potere per favorire il senso di attenzione dei pubblici funzionari [14].

Ebbene, è indubitabile che la stesura di una norma di questo tipo libererà i freni inibitori, consentendo sprechi e gestioni amministrative deleterie per il pubblico bilancio, perché si potrà contare sull’impunità davanti alla Corte dei conti, ma non, come abbiamo visto, innanzi al giudice ordinario, dove, alla fine, molte fattispecie finiranno.

Ebbene in questo contesto vi è da dire che esistono in dottrina anche posizioni favorevoli a questa riforma [15], perché il limite della responsabilità contabile alla dimostrazione che il funzionario pubblico abbia agito con precisa volontà di provocare un evento dannoso, previsto dall’art. 21 D.L. n. 76 del 2020, ha il pregio di non escludere la responsabilità patrimoniale dalle scelte pubbliche, ma di rendere più difficile l’imputazione, cosicché non sia scoraggiato l’esercizio della discrezionalità amministrativa.

L’argine dovrebbe contrastare adeguatamente il meccanismo della c.d. amministrazione difensiva. Tale risultato appare rafforzato anche dall’opportuna revisione dell’art. 323, cod. pen., che imputa la responsabilità per abuso d’ufficio alla sola evenienza in cui il funzionario, chiamato ad applicare norme di legge senza margini di discrezionalità, abbia palesemente violato regole predeterminate di condotta.

Pertanto, la norma sarebbe una risposta all’inefficienza che segue alla cd. amministrazione difensiva (da cui deriva la paura della firma), dove i pubblici amministratori preferiscono astenersi dall’agire per evitare imputazioni di danno erariale o addirittura di natura penale per il reato di abuso.

Si tratta, invece, di motivazioni che non hanno riscontro obiettivo nella realtà dei fatti, perché gli autori delle riforma avrebbero dovuto fare una verifica sull’esistenza di pronunce di condanna della Corte dei conti (ma anche del giudice penale per il reato di abuso), dove dei bravi ed efficienti amministratori pubblici sono stati ingiustamente condannati patrimonialmente o anche penalmente, nonostante avessero portato nell’amministrazione risultati soddisfacenti e meritori, così come riconosciuto da organismi neutrali e anche dalle stesse comunità amministrate.

Riguardo queste impostazioni difensive della riforma sorge un dubbio più che fondato: ma un’impresa privata consentirebbe ai propri dipendenti e/o amministratori di commettere gravi errori senza incorrere in un’adeguata risposta sanzionatoria e/o risarcitoria?

Se per migliorare l’efficienza dell’amministrazione si guarda ai modelli privatistici, propri dell’impresa privata, esistono nell’impresa privata forme di immunità assimilabili a quella proposta con il decreto-legge?

Qualora esistessero qualcuno potrebbe indicarli?

Infatti, lo stesso Procuratore nazionale antimafia [16], nel corso dell’audizione in Parlamento sui temi di questo decreto di semplificazione ha evidenziato che le modifiche introdotte per il reato di abuso comporteranno una piena deresponsabilizzazione degli apparati pubblici che, di fatto, potranno violare le norme regolamentari utilizzando i poteri loro attribuiti per finalità private magari contrastanti con l’interesse pubblico.

Ebbene, come affermato dal Procuratore nazionale antimafia, i reati di abuso avvengono proprio quando le scelte discrezionali della p.a. non perseguono l’interesse pubblico, ma soltanto quello privato.

Il tutto poi sarebbe ulteriormente aggravato dalla circostanza che il decreto semplificazioni esclude la responsabilità erariale per le condotte gravemente colpose, limitandosi solo alle condotte dolose, così come indicate dalla norma.

Eppure, il giudice penale non è che individua il reato di abuso su ogni firma di provvedimento amministrativo, ma solo quando l’elemento soggettivo è integrato dalla coscienza e volontà della condotta e l’intenzionalità dell’evento, nel senso che il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto devono costituire l’obiettivo perseguito e non solo genericamente incluso nella sfera di volontà dell’agente [17].

Nella stessa misura la giurisprudenza della Corte dei conti è piena di fattispecie dove la colpa grave è eclatante [18], come quando un componente dell’organo di vigilanza e di controllo di un Consorzio pubblico, pur essendo a conoscenza del fatto che il compenso a lui spettante doveva essere determinato applicando il “minimo” previsto dalle tariffe di legge, perché così stabilito in una deliberazione assembleare, percepiva, invece, i compensi in misura superiore disattendendo quanto deliberato dall’assemblea.

Orbene, nonostante la giurisprudenza penale e contabile siano piene di fattispecie di reato e di pregiudizio erariale per condotte che si discostano gravemente da quanto disposto da leggi e regolamenti, il governo – legislatore, decide di intervenire con norme di favore per non sanzionare più i casi di cattiva amministrazione delle risorse pubbliche.

La cd. paura della firma non si risolve lasciando tutti liberi di amministrare malamente, ma come evidenzia dalla dottrina più attenta [19] è necessario pervenire a una seria ed efficiente semplificazione delle norme, oggi più che mai farraginose ed inutilmente complicate, spesso introdotte per accontentare qualcuno, ma non per migliorare l’amministrazione.

Se si vuole semplificare si deve agire sulle attribuzioni delle amministrazioni e sui procedimenti che devono essere chiari, capaci di realizzare in tempi brevi (il tempo è un costo sia per l’amministrazione sia per i privati) le aspettative dei cittadini e delle imprese.

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[1] L’ordinamento comunitario avrebbe anche imposto agli Stati dell’Unione il principio del diritto dei cittadini ad avere buone amministrazioni, circostanza questa poco presente nel nostro sistema amministrativo (e soprattutto politico), dove gli sprechi e la malamministrazione sono all’ordine del giorno e molto spesso per giochi politici di basso livello.

[2] Salvatore Giacchetti, Appalti di pubblici servizi e/o appalti pubblici di servizi? La legge n. 205 del 2000 gioca a dadi, articolo rinvenibile sul sito on line http://redazione.regione.campania.it/farecampania/scaffale_formativo/ARCHIVIO/2005%20Appalti%20e%20forniture%20di%20beni%20e%20servizi/GIACCHETTI.pdf .

[3] A questo proposito è sufficiente pensare alle molte difficoltà che sono emerse nei rapporti con l’U.E. per l’assegnazione di risorse all’Italia in occasione della pandemia da corona virus, dove (è inutile negarlo) i partner europei avevano (e ancora hanno) poca fiducia su come i nostri Governi avrebbero poi utilizzato quelle risorse. Sfiducia che nasce dai tantissimi sprechi e anche ruberie che di certo il Paese non può nascondere, ma anche dalle difficoltà normative esistenti nel sanzionare i responsabili.

[4] Cfr. W. J. BENNET nel Libro della Virtù (ed. TEA, Milano, 1999, pag. 160) afferma che «le persone responsabili sono anche persone mature che si fanno carico del proprio comportamento, che sono padrone delle proprie azioni e che rispondono per esse», il tutto per contrastare gli esempi quotidiani, dove quando le cose vanno male si trova sempre una scusa affermando genericamente «sono stati commessi errori» (da far ricadere su tutti) senza mai sapere dove, come e quando e da chi sono stati commessi questi errori! Vedi https://www.tealibri.it/libri/il-libro-delle-virtu-9788878186736 con la prefazione di Servio ZAVOLI.

[5] Senza dimenticare le tante opere pubbliche che hanno visto aumentare enormemente il loro costo grazie a riserve più o meno inventate, sia per l’assenza di una corretta programmazione, sia per le furbizie delle imprese proiettate all’aumento dei costi.

[6] Infatti, Costantino Mortati ricordava che la Corte dei conti trova origine nelle magistrature più remote costituite allo scopo di vigilare sulla gestione della finanza pubblica (Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1969, pag. 550, tomo I), principio questo fondamentale per la nascita sia dello Stato di diritto sia dello Stato democratico, perché i cittadini – contribuenti hanno il diritto di sapere come si utilizzano le risorse pubbliche che sono di tutti, così come hanno il diritto di avere la garanzia dell’esistenza di un organo imparziale e neutrale che vigili sul corretto uso delle stesse.

[7] Vedi in proposito le interessanti osservazioni di Sergio Mancusi nel commento «Il diritto d’accesso come diritto fondamentale a connotazione solidaristica», (note a margine dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2 aprile 2020), dove si evidenzia, appunto, che il Supremo Consesso ha attribuito al FOIA italiano, la particolare accezione di diritto fondamentale dell’individuo a connotazione solidaristica.

[8] Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili – ordinanza 4 ottobre 2019 n. 24859, alla pag. web http://www.lexitalia.it/a/2019/117377?hilite=%27ordinanza%27%2C%274%27%2C%27ottobre%27%2C%272019%27%2C%27n.%27%2C%2724859%27.

[9] Dove, appunto, l’intimato può rappresentare le proprie ragioni prima di un eventuale giudizio e, quando le argomentazioni difensive sono sufficienti e ragionevoli, ottenere anche l’archiviazione.

[10] Cfr. Incarichi, due vie per i recuperi – Delle somme indebitamente percepite dal dipendente, pag. web https://www.segretaricomunalivighenzi.it/archivio/2020/agosto/14-08-2020-incarichi-due-vie-per-i-recuperi-delle-somme-indebitamente-percepite-dal-dipendente.

[11] C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 1969 tomo I, pag. 590.

[12] Con l’ormai nota sentenza n. 371 del 20 novembre 1998, la Corte costituzionale aveva riconosciuto che la norma che prevedeva la limitazione della responsabilità alla colpa grave nasceva con l’intento di predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa. Nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano l’istituto qui in esame, la disposizione risponde, perciò, alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per i dipendenti e gli amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo.

[13] È indubbio poi che le fattispecie di danno erariale spesso presentano sia elementi commissivi, sia elementi omissivi e questo rappresenta bene che coloro che hanno ispirato la riforma in atto avevano ben poca conoscenza della materia e della giurisprudenza.

[14] Cfr. C. Mortati, pag. 591 e 592 cit.

[15] Prof. Fabio Giglioni sull’Attività conoscitiva in merito a d.l. 76/2020, del 2 agosto 2020 e Prof. Salvatore Cimini nel contributo scientifico al Senato della Repubblica, Commissioni Riunite I e VIII, del 2 agosto 2020, dove si augura, appunto, che la riforma diventi strutturale e che la norma sia applicabile a tutte le fattispecie di danno precedenti senza alcuna differenza tra le attività commissive (da non punire, se non in casi eccezionali) ed le attività omissive (per ora ancora astrattamente perseguibili). Inoltre, l’autore auspica anche che sia introdotta la prescrizione per il danno indiretto dal momento in cui è stato realizzato l’evento che ha causato il pregiudizio, senza dovere attendere una sentenza di condanna da parte del giudice ordinario o amministrativo. Quest’ultima proposta è irrealizzabile, perché significherebbe avviare un’azione di danno in assenza di qualsivoglia danno, visto che non c’è condanna definitiva per l’amministrazione.

[16] Dott. Federico Cafiero de Raho, Audizione del 27 luglio 2020 davanti alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato della Repubblica.

[17] Così Cass. penale Sez. 6, sentenza n. 12974 dell’8.01.2020. In questa fattispecie di reato un sindaco aveva illegittimamente sospeso l’attività di una discarica, nonostante la conclamata insussistenza dei presupposti e delle ragioni di urgenza, avendo questi agito essenzialmente per finalità ritorsive nei confronti del gestore della discarica. Ebbene, non si venga a dire che in queste fattispecie devono essere salvaguardati gli amministratori, perché in ogni caso curano con senso di responsabilità e dedizione l’interesse pubblico!

[18] Cfr. ex multis Corte dei conti, terza sezione centrale di appello, sentenza 94 del 22 giugno 2020.

[19] Salvatore Sfrecola, Il “danno erariale” quale alibi di un Governo incapace di semplificare, https://www.unsognoitaliano.eu/2020/08/19/il-danno-erariale-quale-alibi-di-un-governo-incapace-di-semplificare/.