FREE – Ammessa la benedizione pasquale nelle scuole

n. 2/2016 | 17 Febbraio 2016 | © Copyright | - Giurisprudenza, Istruzione pubblica | Torna indietro | Commenta More

TAR UMBRIA – sentenza 30 dicembre 2005 (ritiene pienamente legittima la delibera con la quale un Circolo didattico ha autorizzato la “benedizione pasquale” presso le scuole del Circolo, demandando ai consigli di interclasse e di intersezione di determinare le relative modalità); v. tuttavia in senso opposto di recente TAR Emilia Romagna – Bologna, sentenza 9 febbraio 2016, n. 166, con 13 documenti correlati.


Pubblichiamo la sentenza di seguito riportata perché, pur non essendo recente (risale infatti ad oltre 10 anni addietro), è tornata prepotentemente di attualità dopo la recente sentenza in argomento, di segno opposto, 9 febbraio 2016, n. 166 del T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, Sez. I (secondo cui è illegittima una delibera con la quale il Consiglio di un Istituto scolastico, su richiesta di alcuni parroci, ha concesso l’apertura dei locali scolastici per la Benedizione Pasquale Cattolica), pubblicata in questa Rivista, alla pag. http://www.lexitalia.it/a/2016/71893 con 13 documenti correlati.

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TAR UMBRIA – sentenza 30 dicembre 2005 n. 677 – Pres. Lignani, Est. Cardoni – Associazione 31 Ottobre per una scuola laica e pluralista ed altri (Avv. Siniscalco) c. Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ed altri (Avv.ra Stato) e con l’intervento ad opponendum di Massoli (Avv. Franchi) – (respinge).

1. Giustizia amministrativa – Procedimento giurisdizionale – Intervento ad opponendum – Non soggiace ad alcun termine – Possibilità di avanzare una richiesta di rinvio dell’udienza di merito – Ove l’intervento sia avvenuto nella sua imminenza – Sussiste.

2. Istruzione pubblica – Consiglio di circolo didattico – Deliberazione – Concessione dei locali del Circolo per la Benedizione Pasquale Cattolica – Legittimità.

1. Nel giudizio amministrativo l’intervento ad opponendum non soggiace ad alcun termine, come si desume anche dal fatto che il regolamento di procedura (r.d. n. 642/1907) all’art. 40 dispone che «l’intervento ha luogo nello stato in cui si trova la contestazione». Va ritenuto, semmai, che un intervento effettuato (come nella specie) nell’imminenza della discussione giustifichi una eventuale richiesta di rinvio nell’interesse delle altre parti (1).

2. E’ legittima la delibera del Consiglio di un Circolo didattico con la quale il Consiglio stesso – in forza dell’autonomia che gli compete ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 416/1974, ora riprodotto dall’art. 10 del t.u. n. 297/1994 – ha autorizzato la “benedizione pasquale” presso le scuole del Circolo, demandando ai Consigli di interclasse e di intersezione di determinare le relative modalità; la “benedizione pasquale” infatti non arreca all’ordinato svolgimento della didattica e della vita scolastica perturbazioni maggiori di quelle arrecate dalle innumerevoli iniziative denominabili (in senso lato e ge­ne­rico) “parascolastiche” che abitualmente e pacificamente vengono pro­gram­mate o autorizzate dagli organi di autonomia delle singole scuole – spesso anche senza che si ritenga necessaria una formale delibera (2).

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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 2002, n. 391, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/private/cds/cds4_2002-01-23-6.htm

(2) V. tuttavia in senso opposto T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, Sez. I, sentenza 9 febbraio 2016, n. 166, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/a/2016/71893

Ha osservato in particolare la sentenza in rassegna che occorre chiedersi se una (minima) sottrazione di tempo all’insegnamento ordinario, che sarebbe pienamente legittima o tollerabile se finalizzata a permettere la partecipazione degli alunni (o di parte di essi) ad una qualsivoglia attività, ad es., culturale, o sportiva, o anche sem­­pli­­ce­­mente ludica e ricreativa, divenga, invece, illegittima o in­tol­le­rabile se finalizzata a per­mettere la partecipazione degli alunni (o di parte di essi) ad una iniziativa di carattere religioso.

Posta la questione in questi termini, sembra inevitabile rispondere che il nostro ordinamento costituzionale non consente di assumere il carat­tere religioso di una attività, o comportamento, o manifestazione del pensiero, quale discriminante negativa – di tal che un atto possa diventare vietato o intollerabile solo perché espressione di una fede religiosa, laddove, se non avesse carattere religioso, a parità di ogni altra condi­zione sarebbe giudicato ammissibile e legittimo.

 Ciò si evince, fra l’altro, dall’art. 20 della Costituzione, a norma del quale «il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative (…) per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di atti­vità». E’ questo, chiaramente, il rifiuto di una discriminazione “in negativo” delle espressioni religiose in quanto tali.

 Vero è, semmai, che la partecipazione a qualunque rito religioso (nella scuola come altrove) non può essere imposta, ma deve essere libera. Così come deve essere garantita pari libertà e pari dignità alle diverse mani­festazioni religiose, come pure alla scelta di non prati­carne nessuna. E, ancora, si esige che chi richiede, per sé, il rispetto e la libertà di com­piere atti religiosi, sia reciprocamente disposto a riconoscere pari libertà e tribu­tare uguale rispetto alle manifestazioni altrui. Ma, una volta soddi­sfatti questi requisiti (reciprocità; non imposizione; etc.) una manife­sta­zio­ne religiosa non può godere, solo perché tale, di minori spazi di libertà e di minore rispetto di quelli che sono riconosciuti a manifestazioni di altro genere.

 Ora, nella delibera impugnata è esplicitamente ricordato che «la partecipazione degli alunni e dei docenti a tale iniziativa dovrà essere libera»; sicché sotto questo profilo non vi è questione. Si è già detto, inoltre, che al rito della benedizione pasquale è estranea ogni espressione di ostilità o di avversione verso i cultori di altre fedi (o di nessuna fede), sicché non si può dire che manchi il requisito del rispetto reciproco.

Non risulta nemmeno che la delibera del Consiglio di Circolo sia viziata da di­spa­rità di trattamento, come si direbbe ove fosse stato dimostrato che ai fedeli di altre confessioni non venga consentita uguale libertà di espres­sione, a parità delle altre condizioni. Infine, il Consiglio di Circolo ha de­man­­dato ai consigli di classe la determinazione delle modalità orga­nizza­tive di dettaglio (quali la scelta dell’orario, le attività alternative per i non par­te­cipanti, etc.), inclusa la facoltà (della quale, a quanto viene dedotto, qualche consiglio di classe si è avvalso) di non farne nulla: su questi ultimi aspetti vi sarebbe stato forse da discutere, ove mai le modalità concre­tamente prescelte fossero risultate lesive dei princìpi di libertà e di non discriminazione, ma in proposito i ricor­­renti non hanno formulato censure.

Infine, va ricordato che la libertà religiosa include la libertà di praticare e quella di non praticare; non sembra, invece, che includa un (supposto) diritto di esigere, in nome del rispetto delle convinzioni proprie, che altri si astenga dal manifestare e praticare le sue. Sarebbe, quest’ultima, la negazione e non l’affermazione della libertà religiosa.


sent. 30.12.2005 n. 677

R.G. 242/2002

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 242/2002, proposto da:

1) Associazione 31 Ottobre per una scuola laica e pluralista, in persona del legale rappresentante pro tempore;

2) Tavola Valdese, in persona del legale rappresentante pro tempore;

3) Chiesa Valdese di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore;

4) Francesco Giovanni SAGRIPANTI, Stefano ANGELINI, Fabrizio CIAPPI, Antonia Carmela VIOLI, Matilde BIA­GIOLI, Licia BOEMIO, Antonella GIACON, Fiorenza GIANNINI, i primi tre anche in rappre­sen­tanza legale dei rispettivi figli minorenni

tutti rappresentati e difesi dall’avv. Maria Siniscalco con domicilio eletto presso la stessa in Perugia, via Pennacchi, 7

contro

1) Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia e legalmente domiciliato presso la stessa in Perugia, via degli Offici, 14;

2) Circolo Didattico di Corciano, e 3) Consiglio di circolo di Corciano non costituiti

con intervento ad opponendum di

Mauro MASSOLI, rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Alberto Franchi, con domicilio eletto presso lo stesso in Perugia, via XX Settembre, 76

per l’annullamento

della delibera del Consiglio di circolo presso la Direzione didattica di Corciano, 14 marzo 2002, n. 11, con la quale il Consiglio ha autorizzato la “benedizione pasquale” presso le scuole del Circolo, demandando ai consigli di interclasse e di intersezione di determinare le relative modalità; e di tutti i provvedimenti connessi, consequenziali, etc., ivi compresa in particolare la circolare ministeriale 13 febbraio 2002, n. 13377/544/MS.

 Visto il ricorso con i relativi allegati;

 Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero;

 Visto l’atto d’intervento ad opponendum;

 Viste le memorie e gli atti tutti del giudizio;

 Data per letta, all’udienza del 7 dicembre 2005 la re­la­zione del Consigliere Cardoni e udite le parti come da verbale;

 Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

 1. Nella seduta del 13 marzo 2002, il Consiglio di circolo annesso alla Direzione didattica di Corciano ha deliberato di «autorizzare la benedizione pasquale delle scuole del Circolo [purché] prevista con anticipo e motivata, ed in ogni caso la partecipazione degli alunni e dei docenti a tale iniziativa dovrà essere libera; riservare le modalità organizzative ai Consigli di Intersezione e di Interclasse delle rispettive scuole del Circolo in conformità a quanto previsto dalla normativa vigente (…)».

 Con il ricorso in epigrafe, la delibera viene impugnata da numerosi soggetti diversamente titolati (esponenti istituzionali di una confessione non cattolica, genitori di alunni, insegnanti, una associazione privata, etc.).

 Resiste l’amministrazione scolastica.

 Ha spiegato, altresì, intervento ad opponendum un altro genitore, Mauro Massoli, che all’epoca dell’adozione dell’atto impugnato era presidente del Consiglio di circolo e si dichiara mandatario (ancorché, ovviamente, non in senso processualmente rilevante) di altri 224 genitori dei quali produce le firme.

 2. Occorre esaminare preliminarmente l’eccezione d’inam­mis­si­­bilità dell’intervento per tardività, sollevata in sede di discussione dal difensore dei ricorrenti.

 Il Collegio osserva che nel giudizio amministrativo l’intervento ad opponendum non soggiace ad alcun termine, come si desume anche dal fatto che il regolamento di procedura (r.d. n. 642/1907) all’art. 40 dispone che «l’intervento ha luogo nello stato in cui si trova la contestazione». Si ritiene, semmai, che un intervento effettuato (come nella specie) nell’im­mi­nenza della discussione giustifichi una eventuale richiesta di rinvio nell’interesse delle altre parti (Cons. Stato, sez. IV, 23/01/2002, n.391, e altre). Nel caso in esame, tuttavia, tale richiesta non è stata fatta.

 L’eccezione dunque dev’essere respinta.

 3. Nel merito, conviene innanzi tutto chiarire l’oggetto del contendere, o più precisamente puntualizzare in che cosa consista, di fatto, il rito della benedizione pasquale secondo la tradizione cattolica, e quali effetti materiali produca sull’attività e sulla vita scolastica il suo eventuale svolgimento all’interno di una scuola.

 A questi interrogativi è facile rispondere utilizzando le comuni conoscenze ed esperienze, trattandosi di pratica tradizionale diffusa presso la grande maggioranza della popolazione e che come tale si può presumere ben conosciuta anche dai non praticanti.

 La benedizione pasquale, nella tradizione cattolica, si ripete una volta all’anno (nel periodo prepasquale) ed è un rito caratterizzato dalla brevità e dalla semplicità; dura, solitamente, pochissimi minuti e non richiede particolari preparativi, né lascia tracce visibili.

 Per chi ne condivide lo spirito, esso ha il significato di una invo­cazione della presenza e della benedizione di Dio nei luoghi dove si vive e si lavora; per chi vuol praticarlo, dunque, questo semplice rito ha senso in quanto si svolga in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, co­munque, il medesimo senso) se fatto altrove; e ciò spiega il motivo per cui un rilevante numero di genitori, nella fattispecie, abbia espresso il desi­derio che esso si svolga nella scuola frequentata dai loro figli.

 Si può dare ugualmente per notorio e conosciuto – per quanto possa qui rilevare – che nel corso di questo breve rito non viene fatto o detto nulla che possa risultare sgradevole o offensivo per chi si trovi ad assi­stervi senza condividerne lo spirito (a meno che non si tratti di un intollerante, che si sente offeso per il solo fatto che altri professi convinzioni diverse dalle proprie). Altro si direbbe, invece, se il rito includesse, ad esempio, invocazioni alla divinità perché punisca con lo sterminio e atroci sofferenze gli infedeli e i nemici; invocazioni del genere giusta­men­te potrebbero disturbare anche chi non creda alla loro efficacia, ma non è questo il caso.

 4. Se questo è vero, ne consegue – prescindendo tempo­ra­nea­mente dalla specifica problematica inerente al carattere religioso della manifestazione – che la “benedizione pasquale” non arreca all’ordinato svolgimento della didattica e della vita scolastica perturbazioni maggiori di quelle arrecate dalle innumerevoli iniziative denominabili (in senso lato e ge­ne­rico) “parascolastiche” che abitualmente e pacificamente vengono pro­gram­mate o autorizzate dagli organi di autonomia delle singole scuole – spesso anche senza che si ritenga necessaria una formale delibera.

 Giuridicamente, in questo caso il Consiglio di Circolo ha inteso esercitare l’autonomia che gli compete in forza dell’art. 6 del d.lgs. n. 416/1974, ora riprodotto dall’art. 10 del t.u. n. 297/1994.

 Secondo detta normativa, al Consiglio di Circolo spetta, fra l’altro, deliberare in merito ai seguenti argomenti: «[omissis] c) adattamento del calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali; d) criteri generali per la programmazione educativa; e) criteri per la programmazione e l’at­tua­zione delle attività parascolastiche, interscolastiche, extra­sco­la­stiche, con particolare riguardo ai corsi di recupero e di sostegno, alle libere attività complementari, alle visite guidate e ai viaggi di istruzione; f) pro­mo­zione di contatti con altre scuole o istituti al fine di realizzare scambi di informazioni e di esperienze e di intraprendere eventuali ini­zia­tive di col­la­borazione; g) partecipazione del circolo o dell’istituto ad attività culturali, sportive e ricreative di particolare interesse educativo (…) ».

 Si può fare ricorso, ancora una volta, alle comuni conoscenze ed espe­rienze per affermare che l’art. 6 del d.lgs. n. 416/1974 è applicato, nella prassi “vivente”, in senso non certo restrittivo bensì estensivo o co­mun­que elastico e flessibile, quanto alla tipologia delle attività “para­sco­lastiche”, “extrascolastiche”, “complementari”, etc., che gli organi scola­­stici possono autonomamente programmare o autorizzare.

 Come pure rientra nelle comuni conoscenze ed esperienze, che dal 1974 (data della loro istituzione) ad oggi, gli organi collegiali hanno pro­gres­si­vamente aumentato, e non già diminuito, gli spazi della loro auto­nomia; ciò anche per effetto dell’evoluzione normativa, ma, indipen­den­temente da questa, anche per una evoluzione della prassi.

 In particolare, è sopravvenuto il d.P.R. n. 275/1999 (rego­lamento sull’autonomia scolastica) il cui art 4 dispone: «Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema (…) concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del suc­ces­so formativo».

 Sembra chiaro che il regolamento del 1999 si propone di ampliare la sfera dell’autonomia, ben oltre i confini (per quanto essi stessi non rigorosi) della normativa previgente.

 In particolare, nel regolamento del 1999 la frase «riconoscono e valorizzano le diversità» sta ad indicare che sono ammesse, anzi incorag­giate, anche le iniziative che si rivolgono, invece che alla generalità compatta degli allievi, a gruppi di essi, caratterizzati da specifici interessi o da appartenenze, ad es., etniche o culturali; in un clima di reciproca conoscenza, accettazione e rispetto (dei più verso i meno, e anche dei meno verso i più).

 5. Beninteso, gli organi dell’autonomia scolastica debbono darsi carico anche dell’esigenza – di per sé anzi prioritaria – di mantenere un certo ordine e una certa regolarità nello svolgimento dell’attività didatti­ca propriamente detta.

 Pertanto, anche la più apprezzabile delle iniziative “collaterali” (nel senso largo del termine, come detto sopra) dovrà essere scartata, qualora risulti incompatibile, sul piano organizzativo (per ragioni di durata, fre­quenza, complessità, etc.) con quella esigenza.

 Ma a questo serve, appunto, la discrezionalità degli organi dell’autonomia. In questo caso, il Consiglio di Circolo ha ritenuto, nella sua discrezionalità, che la manifestazione di cui si discute non sia tale da incidere significativamente sull’ordinato svolgimento della vita scolastica. Questa valutazione discrezionale appare, in sé, immune da censure – a parte la problematica specificamente inerente al carattere religioso della manifestazione, della quale ci si occuperà più avanti – stante quanto già detto riguardo alla brevità ed alla semplicità del rito, e a maggior ragione se si fa un confronto con le tante altre iniziative (talune anche di dubbio valore educativo) che, con il consenso degli organi scolastici, sottrag­gono tempo all’inse­gnamento ed allo studio.

 Per i profili sin qui esaminati, dunque, la delibera impugnata appare legittima.

 6. Ciò posto, si passa ora a verificare se in ragione del carattere religioso della manifestazione si debba giudicare diversamente.

 Che è quanto chiedersi se una (minima) sottrazione di tempo all’insegnamento ordinario, che sarebbe pienamente legittima o tollerabile se finalizzata a permettere la partecipazione degli alunni (o di parte di essi) ad una qualsivoglia attività, ad es., culturale, o sportiva, o anche sem­­pli­­ce­­mente ludica e ricreativa, divenga, invece, illegittima o in­tol­le­rabile se finalizzata a per­mettere la partecipazione degli alunni (o di parte di essi) ad una iniziativa di carattere religioso.

 Posta la questione in questi termini, sembra inevitabile rispondere che il nostro ordinamento costituzionale non consente di assumere il carat­tere religioso di una attività, o comportamento, o manifestazione del pensiero, quale discriminante negativa – di tal che un atto possa diventare vietato o intollerabile solo perché espressione di una fede religiosa, laddove, se non avesse carattere religioso, a parità di ogni altra condi­zione sarebbe giudicato ammissibile e legittimo.

 Ciò si evince, fra l’altro, dall’art. 20 della Costituzione, a norma del quale «il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative (…) per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di atti­vità». E’ questo, chiaramente, il rifiuto di una discriminazione “in negativo” delle espressioni religiose in quanto tali.

 Vero è, semmai, che la partecipazione a qualunque rito religioso (nella scuola come altrove) non può essere imposta, ma deve essere libera. Così come deve essere garantita pari libertà e pari dignità alle diverse mani­festazioni religiose, come pure alla scelta di non prati­carne nessuna. E, ancora, si esige che chi richiede, per sé, il rispetto e la libertà di com­piere atti religiosi, sia reciprocamente disposto a riconoscere pari libertà e tribu­tare uguale rispetto alle manifestazioni altrui. Ma, una volta soddi­sfatti questi requisiti (reciprocità; non imposizione; etc.) una manife­sta­zio­ne religiosa non può godere, solo perché tale, di minori spazi di libertà e di minore rispetto di quelli che sono riconosciuti a manifestazioni di altro genere.

 Ora, nella delibera impugnata è esplicitamente ricordato che «la partecipazione degli alunni e dei docenti a tale iniziativa dovrà essere libera»; sicché sotto questo profilo non vi è questione. Si è già detto, inoltre, che al rito della benedizione pasquale è estranea ogni espressione di ostilità o di avversione verso i cultori di altre fedi (o di nessuna fede), sicché non si può dire che manchi il requisito del rispetto reciproco. Non risulta nemmeno che la delibera del Consiglio di Circolo sia viziata da di­spa­rità di trattamento, come si direbbe ove fosse stato dimostrato che ai fedeli di altre confessioni non venga consentita uguale libertà di espres­sione, a parità delle altre condizioni. Infine, il Consiglio di Circolo ha de­man­­dato ai consigli di classe la determinazione delle modalità orga­nizza­tive di dettaglio (quali la scelta dell’orario, le attività alternative per i non par­te­cipanti, etc.), inclusa la facoltà (della quale, a quanto viene dedotto, qualche consiglio di classe si è avvalso) di non farne nulla: su questi ultimi aspetti vi sarebbe stato forse da discutere, ove mai le modalità concre­tamente prescelte fossero risultate lesive dei princìpi di libertà e di non discriminazione, ma in proposito i ricor­­renti non hanno formulato censure.

 Infine, va ricordato che la libertà religiosa include la libertà di praticare e quella di non praticare; non sembra, invece, che includa un (supposto) diritto di esigere, in nome del rispetto delle convinzioni proprie, che altri si astenga dal manifestare e praticare le sue. Sarebbe, quest’ultima, la negazione e non l’affermazione della libertà religiosa.

 7. Resta ancora da esaminare il motivo di ricorso riferito al difetto di motivazione. A questo proposito, pare sufficiente osservare che la motivazione della delibera va integrata, per relationem, con gli interventi nella discussione dell’organo collegiale; e con la richiesta pre­sen­tata da un congruo numero di famiglie. Richiesta alla quale il Consiglio di Circolo, in quanto organo per definizione rappresentativo, non poteva non prestare attenzione (sì da dover specificamente motivare, se mai, il rigetto della proposta, non il suo accoglimento).

 8. In conclusione, il ricorso va respinto. Si ravvisano, tuttavia, giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria rigetta il ricorso. Spese compensate.

 Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’autorità ammi­ni­strativa.

 Così deciso in Perugia il 7 dicembre 2005, dal Tribunale am­mi­ni­strativo regionale dell’Umbria, riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati:

1) Avv. Pier Giorgio Lignani, Presidente

2) Avv. Annibale Ferrari

3) Dr. Carlo Luigi Cardoni, rel. est.

 

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