Un vademecum per l’avvocato specialista

n. 1/2016 | 2 Gennaio 2016 | © Copyright | - Articoli e note, Professioni | Torna indietro | Commenta More

STEFANO BIGOLARO, Un vademecum per l’avvocato specialista.



STEFANO BIGOLARO

Un vademecum per l’avvocato specialista [1]



Caro collega che ti domandi se sia il caso di diventare specialista in qualche settore, mi permetto di inviarti un sintetico vademecum.

Lo stato dell’arte

C’è un regolamento: il dm 144/2015, che è già entrato in vigore (il 14 novembre scorso).

E ha una base legislativa, l’articolo 9 della legge professionale 247 del 2012.

C’è dunque una normativa vigente su come si consegue e si mantiene il titolo di avvocato specialista.

E’ un titolo conferito dal Consiglio nazionale forense che puoi conseguire in uno o al massimo due tra diciotto diversi settori di specializzazione (che vanno dal diritto successorio, al diritto dell’informatica, al diritto penale e amministrativo).

Il titolo non ti servirà, beninteso, per poter fare più cose di quelle che già ora puoi fare. Non c’è nessuna riserva per gli specialisti.

Però sarai incluso in un elenco di specialisti: hai visto mai…

È difficile che il giudice amministrativo fermi il sistema

Il regolamento è naturalmente un atto impugnabile avanti al Tar Lazio.

E naturalmente è stato impugnato, da più parti.

Non è stato sospeso, risulta fissato un merito a marzo.

Non contarci troppo però, che sia un giudice amministrativo a toglierti dall’imbarazzo della scelta liquidando tutto il sistema.

Questo è già avvenuto una volta, quando è stato annullato il regolamento sulle specializzazioni che nel 2010 il Consiglio nazionale forense aveva emanato senza alcuna base legislativa (e che poneva un discutibile discrimine tra chi avesse all’epoca più o meno di vent’anni di iscrizione all’albo degli avvocati).

Ma ora una base legislativa per le specializzazioni c’è. La sperequazione e’ meno evidente, e le censure proposte finiscono per riguardare il merito delle scelte compiute (ciò che non è un buon viatico per interessare il giudice amministrativo).

Più probabile, invece, è una modificazione del regolamento in questa prima fase, in esito ai confronti con le associazioni forensi e con tutti i soggetti coinvolti.

Due sono i binari

Per diventare specialista puoi scegliere tra la frequenza di percorsi formativi o la dimostrazione che hai una comprovata esperienza nel settore.

Quanto ai percorsi formativi, posso dirti che si articolano in 200 ore di didattica nel corso di due anni, con un esame scritto e uno orale al termine di ciascun anno.

Non so dirti però dove puoi andarli a fare, dal momento che la loro organizzazione richiede il coinvolgimento di una pluralità di soggetti (dal Consiglio nazionale forense ai Consigli dell’Ordine, alle Associazioni specialistiche riconosciute, alle Università), che dovranno produrre convenzioni, comitati scientifici e comitati di gestione, programmi, liste di docenti, modalità tecniche sullo svolgimento dei corsi.

Esistono già esperienze formative in corso, che potranno essere “sanate” e valere come percorsi formativi specialistici. Però mancano i presupposti, cioè la Commissione permanente prevista presso il Ministero e le “linee guida” che essa deve determinare.

Insomma, questo parte del sistema è tutta da inventare.

Non so dirti, naturalmente, se il settore specialistico che ti interessa avrà un percorso formativo vicino a casa tua oppure no, e neanche se sarà attivato.

Non chiedermi poi quanto tutto ciò ti verrà a costare. Posso dirti soltanto che dovrai provvedere alla copertura delle spese di funzionamento e docenza.

Non sto neppure a raccontarti qui di alcuni problemi di fondo – del tipo: come sarà garantita l’uniformità a livello nazionale dei corsi, o come devono essere formati i formatori – che sono troppo ampi per un vademecum, ma che qualcuno dovrà pur porsi.

I problemi della comprovata esperienza

Puoi diventare specialista, se sei iscritto all’albo da almeno otto anni, dimostrando di aver esercitato negli ultimi cinque anni in modo assiduo nel settore (o nei settori) in cui vuoi specializzarti.

Va subito detto che non è una regola transitoria, ma a regime: insomma, anche se non hai ora gli otto e i cinque anni, non importa; quando li raggiungerai potrai presentare la tua domanda (al tuo Ordine, che la trasmetterà al CNF),

Quanto agli ultimi cinque anni, devi dimostrare di aver trattato quindici incarichi professionali fiduciari per anno (che non devono avere ad oggetto le medesime questioni giuridiche: vale a dire, se ti occupi di una cosa soltanto, la conoscerai anche benissimo ma potresti avere un problema… ).

Non occorre siano giudizi; vanno bene anche le pratiche stragiudiziali documentabili.

Potresti pensare che quindici incarichi per anno negli ultimi cinque anni, nello specifico settore di attività, siano troppi; e in particolare che siano difficili da raggiungere per i giovani collaboratori di studi professionali più grandi, nei quali normalmente l’incarico è attribuito al titolare. E, in effetti, la considerazione di simili situazioni nel regolamento non c’è.

Devi poi considerare che, dopo che avrai documentato la comprovata esperienza, il Consiglio nazionale forense ti convocherà per sottoporti a un colloquio sulle materie del settore in cui chiedi di specializzarti.

Come funzioni il colloquio, e in particolare se esso sia un vero e proprio esame, non lo sa nessuno.

Certo è da domandarsi se il Consiglio nazionale forense abbia davvero una potenza organizzativa e una onniscienza tali da poter valutare tutti in tutte le specializzazioni.

Poiché la risposta è negativa, bisognerà trovare il modo di sbloccare il sistema (se no, è un collo di bottiglia). Ciò che potrebbe essere fatto prevedendo che il Consiglio nazionale forense, nell’espletare il colloquio, si valga delle Associazioni specialistiche riconosciute, le uniche che in ambito forense sono in grado di verificare l’effettiva preparazione professionale dei richiedenti settore per settore.

Se poi tu fossi professore universitario, ricercatore o dottore di ricerca, non pensare di esserne avvantaggiato, perché non hai nessuna agevolazione nel conseguimento del titolo. Ciò che presenta qualche aspetto paradossale: un professore universitario in una materia specialistica che documenti la sua comprovata esperienza professionale per aver esercitato in quella materia, deve comunque sottoporsi a un colloquio presso il Consiglio nazionale forense.

C’è una scadenza

Acquisito il titolo, devi sapere che ti scadrà dopo un triennio.

Non è infatti un titolo di studio, come tale acquisito una volta per sempre (come per i medici specialisti).

È una specie di “bollino” di qualità, che nasce fin dall’origine con una durata limitata.

Puoi rinnovarlo, e anche per il rinnovo avrai il doppio binario.

Quindi potrai dimostrare di aver esercitato nel triennio la tua attività di avvocato nel settore di specializzazione documentando i consueti quindici incarichi per anno (qui però il colloquio con il Consiglio nazionale forense non è previsto).

Oppure potrai partecipare a scuole o corsi di alta formazione nel settore di specializzazione, conseguendo 75 crediti professionali specialistici nel triennio e comunque almeno 25 per ciascun anno. Non chiedermi se tutti questi crediti ti varranno ai fini della formazione continua (doverosa per ogni avvocato, specialista o no), o se invece dovrai aggiungere ai crediti specialistici dei crediti generici. Lo so, la seconda sembrerebbe una follia; ma non dare per scontata la ragionevolezza.

Certo che tre anni sono davvero pochi. È vero che l’ordinamento cambia rapidamente, ma è difficile pensare che un avvocato divenuto specialista tre anni prima, tre anni dopo non sappia più come muoversi in quel settore.

Se sei un civilista, pensaci bene

Qualche valutazione va compiuta quanto all’individuazione e alla frammentazione dei settori di specializzazione.

In particolare, nel campo del diritto civile le partizioni sono numerose, e si va dal diritto delle relazioni familiari al diritto agrario, ai diritti reali, al diritto successorio, al diritto dell’esecuzione forzata.

Insomma, c’è disomogeneità, e questo rischia di enfatizzare una possibile conseguenza negativa della specializzazioni: se sono specialista in diritto successorio, chi deve farsi seguire in un divorzio potrebbe pensare che io sia in difficoltà con questioni che esulano della mia specializzazione.

Altri settori invece hanno una natura unitaria (diritto penale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto tributario). E forse quello che conta, nel dare identità e unitarietà a un settore, è che ci sia un proprio giudice di riferimento.

Il sistema, quindi, potrebbe anche avere una realizzazione differenziata, vedendo un più elevato numero di specialisti – rispetto agli avvocati “generici” – in certi settori, e un minor numero di specialisti in altri.

Un altro importante fattore di valorizzazione delle specializzazioni potrebbe essere il ruolo delle pubbliche amministrazioni, qualora ritenessero di considerare il titolo di specialista come criterio preferenziale nella scelta del legale (pur se il titolo non deve comunque costituire un requisito per poter ricevere incarichi dalla pubblica amministrazione).

Il discorso ti riguarda, in particolare, se ti occupi di diritto amministrativo, perché se il sistema va avanti rischi, seppure controvoglia, di dover diventare specialista per non precluderti, di fatto, una parte di mercato.

Ma a chi giova?

E qui arriviamo al punto fondamentale.

La necessità che la professione forense sia svolta da avvocati forniti di una competenza adeguata, in grado di assicurare la qualità delle loro prestazioni in relazione a un ordinamento sempre più stratificato e differenziato, risponde, prima ancora che a una regola deontologica, alla realtà delle cose.

Non dovresti mai accettare incarichi che non sei in grado di svolgere con adeguata competenza. E il dovere di essere fornito delle conoscenze “specialistiche” richieste dalle attività professionali che stai svolgendo sta nelle cose stesse; è un tuo dovere nei confronti del cliente e dei confronti degli altri colleghi.

Ma allora una disciplina così articolata, così burocratizzata, come quella ora posta del regolamento, a che serve se già i principi della professione impongono tutto ciò?

La risposta non può che stare nella tutela della clientela. Quando qualcuno si rivolge a un avvocato ha un’informazione in più se sa che quell’avvocato è particolarmente assiduo nel praticare in un certo settore (informazione in più che gli viene fornita dall’esistenza di un titolo “certificato” dal CNF). E può presumere una miglior competenza media in quel settore di chi è specialista rispetto a chi non lo sia.

A quest’interesse della clientela corrisponde, beninteso, anche un interesse degli avvocati.

Anche se non c’è alcuna riserva di cause a favore di chi sia specialista in quel settore, nei fatti c’è da presumere che le specializzazioni finiranno per ricondurre certi rami di attività a certe parti dell’avvocatura.

Insomma, una logica corporativa, che si giustifica solo per i contestuali effetti di tutela della clientela.

A ciò si aggiunge un “indotto” assai cospicuo che potrà derivare da un sistema che richiede corsi, scuole, docenti, comitati,… Ma anche questa complicata macchina burocratica (che certo darà da lavorare a un po’ di noi avvocati) ha una ragion d’essere se trova giustificazione nei benefici finali del cliente.

Ci sono poi le conseguenze a largo spettro sulla professione, che potrà cambiare con il passaggio da una indifferenziata quantità di avvocati, a un sistema in cui alcuni si differenziano per essere specialisti. Basti ad esempio pensare alla responsabilità di ciascuno di noi: i settori di attività specialistica potranno concretamente incidere sui costi delle polizze assicurative per l’attività professionale, cosicché chi è specialista in un certo settore (più esposto a rischi) potrebbe pagare polizze più alte di chi pratica in altri settori (come accade ora per i medici); e, magari, in prospettiva, chi è specialista in un certo settore potrebbe trovarsi sprovvisto di copertura assicurativa quando operi al di fuori di quel settore.

Insomma, ecco, non so che dirti. La tua scelta è individuale, ma la questione è generale; e se decidi di diventare specialista, avalli questo sistema (che speriamo, nel frattempo, possa essere migliorato). E questo sistema potrà avere effetti di grande portata per tutti noi e per i nostri clienti.

Il gioco varrà la candela?


[1] Il presente scritto è stato redatto sulla scorta di idee e spunti emersi nel convegno “La nuova disciplina delle specializzazioni forensi nella prospettiva dell’avvocato amministrativista”, organizzato dall’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti unitamente all’Unione nazionale degli avvocati amministrativisti a Padova, presso l’Auditorium San Gaetano, il 12.12.2015, relatori l’avv. Umberto Fantigrossi, l’avv. Nicola Creuso, l’avv. Lorenzo Locatelli, l’avv. prof. Francesco Volpe, l’avv. Franco Zambelli.

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