Una margherita con cinque petali anche per il Presidente della Corte dei Conti?

n. 12/2015 | 30 Dicembre 2015 | © Copyright | - Articoli e note, Giustizia contabile | Torna indietro | 1 commento More

VITTORIO RAELI, Sui criteri per la nomina del Presidente della Corte dei Conti.



VITTORIO RAELI (*)

Sui criteri per la nomina del Presidente della Corte dei Conti



Si è indubbiamente maturato uno strappo istituzionale nei rapporti tra Governo e Consiglio di Stato a proposito della recente vicenda della nomina del Presidente dell’organo di vertice della giustizia amministrativa, tenuto conto della prassi sin qui seguita dal Governo di rimettere in definitiva la designazione del Presidente del Consiglio di Stato al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, organo di autogoverno della magistratura amministrativa, ma si tratta di esito che ben poteva scaturire dalla normativa vigente.

Come è noto, infatti, l’art. 22 della legge n. 186 del 1982 stabilisce che il Presidente del Consiglio di Stato è nominato, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di presidenza.

Il sistema di nomina prevede, dunque, un semplice parere e, peraltro, neppure vincolante da parte dell’organo di autogoverno.

Ed è quanto vale anche per la nomina del presidente della Corte dei conti. L’articolo 1 della legge n. 202 del 2000 – che sostituisce l’art. 7 comma 2 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 – stabilisce che il Presidente della Corte dei conti è nominato, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Presidenza.

Orbene, per come sono formulate, entrambi le norme contrastano, in primo luogo, con il principio di indipendenza della funzione giurisdizionale (art. 101 Cost.).

Già agli albori del secolo scorso, F. Cammeo così scriveva: “Evidentemente l’indipendenza del giudice amministrativo è completa quando ad esso sia concessa una posizione che per metodo di nomina e stabilità nell’ufficio sia eguale a quella dei giudici ordinari” e alle sue considerazioni si associavano illustri studiosi del tempo (Calamandrei, Salandra, Scialoja e D’Amelio).

Là dove non è garantita l’indipendenza del giusdicente, non c’è giudice di sorta, né ordinario, né speciale, né sezione specializzata di organo giudiziario ordinario”, scriveva, inoltre, Andrioli pochi anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione e proprio in relazione alla problematica dell’indipendenza dei giudici speciali.

In merito all’assetto della magistratura, quale risulta dalla Carta costituzionale, è stato detto da autorevole dottrina che la distinzione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa (nella quale si ricomprende quella contabile) non deve in alcun modo riflettersi sulle garanzie di indipendenza, che devono essere eguali e che la Costituzione italiana riconosce e prevede una serie di giurisdizioni distinte tra loro per struttura, poteri e competenze, ma ammette un solo tipo di magistrato. Siamo, cioè, di fronte ad un concetto univoco di “magistrato” affermato con coerenza e sicurezza sul piano costituzionale. E – si è aggiunto – l’esistenza di una pluralità di giudici diversamente regolati quanto a status, garanzie esterne ed interne di indipendenza e posizione nell’ordinamento si pone in netto contrasto con la Costituzione.

L’indipendenza dei giudici, di tutti i giudici, non è un fine ma un mezzo posto a garanzia di un bene: la retta applicazione delle legge, bene insostituibile per l’intera comunità statale. Anche il solo sospetto della mancanza di indipendenza è in grado di far venire meno la fiducia del   cittadino negli organi giudiziari inducendogli il sospetto che la legge potrebbe non venire rettamente applicata da quel giudice.

Indipendenza della magistratura vuol dire, invero, tutela del libero convincimento, libertà di indagine, serenità di giudizio. In una parola, libertà di coscienza, nella quale risiede, come affermava Calamandrei, la più alta ed indiscutibile garanzia dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; e, sotto il profilo che ci interessa, non sono indifferenti i meccanismi predisposti in via legislativa per attuarlo.

Sono ampiamente noti gli orientamenti e le conclusioni della Corte costituzionale sul problema analogo delle nomine governative dei consiglieri di Stato e della Corte dei conti, che mirano a spostare il problema dell’indipendenza dal momento della formazione dell’organo giudicante a quello delle garanzie successive (essenzialmente l’inamovibilità), quasi che l’indipendenza esista a prescindere dai meccanismi concreti di realizzazione (v. sentenze n. 1 del 1967, n. 177 del 1973, n. 316 del 2004, n. 179 del 2005).

Bisogna qui mettere in rilievo, peraltro, che le norme costituzionali sulla giurisdizione non costituiscono, come si è efficacemente scritto, un mero “programma” da attuarsi a cura del legislatore, con ampia discrezionalità, ma si presentano “alla stregua di un corpo coerente di principi e criteri immediatamente validi ed applicabili” e, tra questi, il principio di indipendenza non consente che i giudici possano essere” scelti” dal potere esecutivo, giacchè in tal guisa si spezzerebbe quel rapporto esclusivo che il legislatore costituente ha voluto istituire tra il giudice e la legge, il quale non ammette in alcun modo la interferenza di altri poteri dello Stato, tra cui quello esecutivo.

Ed invero, di recente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 136 del 15 aprile 2011, ha salvato dalla dichiarazione di incostituzionalità l’art. 2, commi 1 e 2, della legge 14 marzo 2005, n. 41, i quali attribuiscono espressamente al Ministro della giustizia il potere di nomina del membro nazionale presso l’ Eurojust , che deve essere un magistrato, soltanto perchè le funzioni del membro nazionale presso l’Eurojust non sono riconducibili a quelle giudiziarie ( v. punto 5 dei Considerato in diritto) e non   perché deve essere comunque scelto nell’ambito di una rosa di candidati formata dal Csm.

Il potere di proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre, mina alla radice l’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti nei confronti del Governo, ai sensi dell’art. 100/3 Cost., nel suo significato di completa sottrazione al potere esecutivo della nomina degli organi di vertice dell’Istituto.

La resistenza al cambiamento può trovare spiegazione soltanto con l’idea che la “contiguità” funzionale delle magistrature speciali all’azione del potere esecutivo implichi necessariamente una qualche forma di legame organico con il medesimo potere, ma si tratta di atteggiamento che non ha più possibilità di avere diritto di cittadinanza alla luce del nuovo quadro istituzionale.

Né a confutare quanto sin qui osservato può valere l’argomento che fa leva sul parere del Consiglio di Presidenza, che deve essere sentito, per la semplice ragione che tale parere, pur obbligatorio, non è non vincolante per il Governo, il quale potrebbe, dunque, non dar corso ad una nomina ritenuta sgradita.

Il semplice pericolo che ciò possa avvenire in forza della norma di cui all’art. 1 della legge 202/2000 rende lecito dubitare della legittimità costituzionale della stessa.

L’attribuzione del potere di nomina in capo al Governo, anziché al Consiglio di presidenza, è tanto più grave, poi, nel caso della Corte dei conti, in considerazione della posizione ordinamentale della stessa e del suo campo di azione, nella veste di organo controllore dell’attività di governo (v. art. 3 legge 20 del 1994).

Garantire l’indipendenza dell’Istituto costituisce, dunque, una operazione “costituzionalmente necessitata” in forza dell’art. 100/3 Cost.

Il fatto, poi, che il Presidente della Corte dei conti sia anche il “vertice” dell’organo di autogoverno si riflette come ulteriore elemento di influenza, sia pure indiretta, del potere esecutivo sulla piena autonomia dell’ordine.

La nomina governativa si pone, quindi, come una anomalia da correggere e da eliminare, valorizzando il ruolo decisionale esclusivo del Consiglio di Presidenza.

Questi ed altri argomenti erano stati offerti alla attenzione della Corte costituzionale, investita della questione di costituzionalità sollevata in relazione all’ordinamento contabile dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia, che, con ordinanza n. 130 del 17 maggio 2012 la dichiarava inammissibile.

Il problema, però, permane ed è quello della illegittimità costituzionale della nomina governativa degli organi di vertice della magistratura speciale, anche perché il prossimo appuntamento sarà rappresentato dalla nomina del Presidente della Corte dei conti, in scadenza nel mese di giugno 2016.

Il precedente della nomina il 25 febbraio 2001 del Presidente Francesco Staderini, che fu l’unico nominativo indicato dal Governo al Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, perché rendesse il prescritto parere, come in effetti avvenne, non lascia sperare bene, alla luce del recente mutamento della prassi seguita per la nomina del Presidente del Consiglio di Stato, ma qui più che segnalare questo non si può fare altro, perché la responsabilità del corretto funzionamento delle magistrature speciali è delle Istituzioni, tra cui anche gli organi di autogoverno.

—————————————-

(*) Consigliere della Corte di Conti.


Documenti correlati:

GIOVANNI VIRGA, La margherita (con cinque petali) di Renzi e la nomina del nuovo Presidente del Consiglio di Stato, nel weblog LexItalia.it, pag. http://blog.lexitalia.it/?p=2987

Commenti (1)

Trackback URL | Comments RSS Feed

  1. Francesco Vergine ha detto:

    Bisogna che qualche controinteressato impugni la nomina e sollevi la questione di legittimità costituzionale delle norme in questione.

    Ma poi occorrerà adottare una nuova disciplina di legge che regoli la materia.

    Il parlamento avrà il coraggio di fare una scelta di vera indipendenza del giudice amministrativo e contabile?

    Francesco Vergine

Inserisci un commento