Responsabilità amministrativa e fattispecie sanzionatorie
VITTORIO RAELI, Il modello della responsabilità amministrativa come “clausola generale” e le fattispecie sanzionatorie.
VITTORIO RAELI (*)
Il modello della responsabilità amministrativa come
“clausola generale” e le fattispecie sanzionatorie
SOMMARIO: 1. Cenni generali – 2. Le teorie civilistiche – 3. Le teorie pubblicistico-sanzionatorie – 4. Conclusioni sulla natura della responsabilità amministrativa – 5. Recenti ipotesi di responsabilità di natura sanzionatoria – 6. Le fattispecie tipizzate di responsabilità – 7. I caratteri della responsabilità amministrativa: la personalità – 8. (segue) la parziarietà – 9. (segue) la intrasmissibilità agli eredi – Appendice bibliografica
1. Cenni generali.
La problematica della natura giuridica della responsabilità amministrativa ha occupato (e occupa) non poco dottrina e giurisprudenza.
Fin dall’origine, sono state prospettate in dottrina e nella giurisprudenza contabile due diverse ed alternative configurazioni della responsabilità amministrativa: l’una che, sulla scorta principalmente del potere riduttivo ne evidenzia il carattere sanzionatorio e sottolinea il profilo pubblicistico; l’altra che, invece, la considera come una specie, sia pure particolare, della comune responsabilità civile per danno. Analoghe oscillazioni si riscontrano nella giurisprudenza della Corte dei conti, anche se la concezione pubblicistica e sanzionatoria aveva finito col prevalere nell’immediato dopoguerra.
Solo agli inizi degli anni ’50 la giurisprudenza della Corte dei conti mutava indirizzo ed anche in dottrina si affacciavano nuove soluzioni interpretative. Si assiste, infatti, alla decisa presa di posizione della giurisprudenza a favore della concezione civilistica e della qualificazione come contrattuale della responsabilità amministrativa.
La prima decisone in tal senso fu quella della Sez. I, 4 luglio 1949 n. 32, che rappresenta la ” pietra miliare ” della costruzione della responsabilità amministrativa in senso contrattualistico. Secondo questa ricostruzione giurisprudenziale, la responsabilità amministrativa, che ha come presupposto il rapporto di servizio, si sostanzia nella violazione di obblighi specifici a detto rapporto. Essa trova, dunque, fondamento nell’inadempimento di un obbligo negoziale precostituito e, conseguentemente, viene qualificata come una comune responsabilità contrattuale. Queste diverse concezioni sulla natura della responsabilità amministrativa hanno caratterizzato l’evoluzione della giurisprudenza contabile.
2. Le teorie civilistiche.
La configurazione originaria della responsabilità amministrativa oscilla, in ordine cronologico, tra opinioni affermative della natura extracontrattuale e, in senso contrario, della natura contrattuale.
Come si è osservato in dottrina, fino agli anni ’40, la responsabilità amministrativa era stata assimilata dalla giurisprudenza a quella civile da fatto illecito, consistente nella violazione del neminem laedere, e la dottrina appariva uniforme nel ritenere questa responsabilità come responsabilità aquiliana degli amministratori e degli impiegati pubblici. La tesi extra-contattuale fondava l’analisi interpretativa sulla scorta del dato letterale espresso dall’ art.82 legge generale di contabilità di Stato (R.D. 18 novembre 1923 n. 2440). Poiché l’obbligazione risarcitoria è collegata all’esercizio delle funzioni, disgiunta da qualsiasi riferimento alla violazione degli obblighi di servizio, ciò sembrava sufficiente per affermare la natura extra-contrattuale della responsabilità amministrativa.
Negli anni ’50, come si è detto, si ebbe il mutamento di indirizzo giurisprudenziale – con il consenso della dottrina – in favore della natura contrattuale della responsabilità in esame.
E si tratta di un mutamento di indirizzo dovuto a ragioni squisitamente pratiche, in quanto la disciplina della responsabilità contrattuale è più favorevole al danneggiato rispetto alla disciplina della responsabilità extracontrattuale, sul piano della maggiore durata del termine di prescrizione (dieci anni anziché cinque) e del regime probatorio (inversione dell’onere della prova in relazione alla presunzione di colpa), anche se si è cercato di darne una giustificazione sul piano teorico in maniera più o meno convincente.
Con la decisione n. 32 del 15 dicembre 1949, infatti, la sezione I della Corte dei conti iniziò ad affermare che la responsabilità – sia contabile che amministrativa – derivasse da azioni od omissioni anche solo colpose di agenti e funzionari in genere nell’esercizio delle loro funzioni di servizio. In definitiva, si affermava che nell’uno e nell’altro caso il fatto colposo si configurasse quale violazione di vincoli ed obblighi precostituiti di servizio, ovvero semplicemente del rapporto contabile e la fonte dell’obbligazione che ne scaturiva sera riconducibile non al fatto illecito previsto dal diritto comune negli artt. 2043 ss. (per violazione del c.d. principio generale del neminem laedere) ma nella violazione degli obblighi connessi al rapporto di impiego e di servizio. A tali premesse si è ispirato l’orientamento giurisprudenziale – uniforme – almeno sino all’entrata in vigore della L. 142 del 1990 che ha espressamente qualificato la responsabilità amministrativa in termini di responsabilità contrattuale
Si è detto, in dottrina, che la transizione alle teorie contrattuali coincide con la sopravvenienza dello Statuto degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3) ed è giustificata dalla connessione dell’illecito con la violazione degli obblighi di servizio i quali sono precostituiti dal rapporto tipico di gestione.
Poiché l’art. 18 (D.P.R. cit.) stabilisce che ” l’impiegato è tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio ” sussiste il tratto caratteristico della contrattualità, che consiste nella inosservanza di doveri di comportamento più o meno specifici precostituiti e connessi al rapporto di servizio.
La tesi contrattualistica è stata, peraltro, criticata da una autorevole dottrina, secondo cui la responsabilità, sia amministrativa che contabile, si fonda non su un inadempimento o su un illecito, ma su un fatto dannoso, costituito dagli elementi della condotta (individuata nell’attività di una organizzazione) e dell’evento lesivo, caratterizzato come violazione del vincolo di destinazione dei beni pubblici a scopi pubblici
La prevalente giurisprudenza della Corte dei conti era, comunque, concorde nell’affermare la natura contrattuale e la funzione risarcitoria della responsabilità amministrativa, in quanto fondata sull’elemento costitutivo della diminuzione patrimoniale ingiustamente arrecata all’Erario, nelle forme del danno emergente e del lucro cessante, anche se vi sono state significative aperture sul versante del rapporto sussistente tra l’autore dell’illecito e l’amministrazione danneggiata (differente da quella cui appartiene il danneggiante). L’opzione in favore della natura contrattuale della responsabilità è ribadita anche dopo la entrata in vigore della Legge 8 giugno 1990 n. 142 e delle recenti riforme della giurisdizione contabile introdotte dalle Leggi n. 19 e n. 20 del 14 gennaio 1994.
E’ ricorrente, infatti, la massima giurisprudenziale, secondo cui l’articolo 58 della L. n. 142/1990 rinvia alle norme che disciplinano la responsabilità degli impiegati civili dello Stato, secondo le quali il dipendente è tenuto a risarcire all’amministrazione i danni derivanti da violazione degli obblighi di servizio, e, nel terzo comma, qualifica espressamente la responsabilità amministrativa come ” responsabilità per danni “, mentre di ” diritto al risarcimento del danno ” si parla nell’art. 1 della L n. 20/1994.
La natura contrattuale è stata riconosciuta anche dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 24 del 29 gennaio 1993, che affermato come ” la responsabilità amministrativa patrimoniale dei dipendenti pubblici ha natura contrattuale, presupponendo l’esistenza di un rapporto di servizio tra l’autore del danno e l’ente danneggiato, nonché la violazione dei doveri inerenti a detto rapporto “.
Nell’ambito del gruppo delle teorie ” civilistiche ” deve trovare sistemazione dogmatica anche l’opinione di recente avanzata circa la configurazione della responsabilità amministrativa come forma di responsabilità che, continuando ad essere compensativa o risarcitoria, viene definita come ” responsabilità civile o sui generis “.
Si sostiene che la responsabilità amministrativa non risponde né esclusivamente né prioritariamente a finalità meramente compensative o risarcitorie, e che assommi, come la comune responsabilità civile per colpa, funzioni sanzionatoria (del comportamento colpevole del danneggiante) e preventiva (inducendo la generalità dei soggetti a comportamenti diligenti). La differenza rispetto all’archetipo civilistico della responsabilità per colpa viene individuata nel rapporto (inverso) tra le medesime funzioni: fondamentale appare la funzione di prevenzione; strumentali le funzioni compensativa e sanzionatoria. Si aggiunge che se funzione fondamentale fosse l’integrale ristoro del danno non avrebbe senso né il carattere personale della responsabilità, né le limitazioni alla imputabilità con l’introduzione della regola della colpa grave, né il potere di riduzione dell’addebito, che hanno ragion d’essere in relazione alla funzione di prevenzione, collegata all’esigenza di garantire comportamenti diligenti ed efficienti.
3. Le teorie pubblicistico-sanzionatorie
Secondo la più recente dottrina, la responsabilità amministrativa ha natura pubblicistica e sanzionatoria.
Per i sostenitori della natura sanzionatoria della responsabilità la riforma della Corte dei conti attuata con le Leggi n. 19 e n. 20 del 19 gennaio 1994 sancisce la definitiva rottura con il modello dell’illecito civile (contrattuale o extra-contrattuale).
In una prima formulazione, orientata verso una concezione pubblicistica, si attribuisce un ruolo essenziale all’elemento della colpevolezza, intesa come atteggiamento antidoveroso della volontà, e alla espressione legislativa secondo la quale ” la Corte può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato ” (art. 52 del t.u. delle leggi sulla Corte dei conti), mettendosi in evidenza, dunque, che essa implica, in realtà, molto più che un potere di riduzione dell’addebito, implicando il potere del giudice di graduare la responsabilità in relazione alla gravità della colpa..
Si sostiene, quindi, che la responsabilità civile e la responsabilità amministrativa si differenziano profondamente nella loro struttura e nel loro funzionamento, in quanto:
1) fatti causativi della responsabilità civile possono essere l’atto illecito o l’inadempimento di una preesistente obbligazione, mentre nella responsabilità amministrativa ciò che viene in evidenza è soltanto il ” fatto dannoso “, cioè il fatto puro e semplice dell’essersi verificato un danno per lo Stato, prescindendo dal suo manifestarsi come illecito o come inadempimento;
2) la responsabilità civile fa scaturire dall’illecito o dall’inadempimento una obbligazione di risarcimento del danno,secondo il criterio delle conseguenze dirette ed immediate, mentre la responsabilità amministrativa considera tale danno come danno economico e non ancora risarcibile
3) a responsabilità civile assegna al giudice civile il compito di accertare l’esistenza della obbligazione risarcitoria, mentre la responsabilità amministrativa attribuisce al giudice contabile il compito di determinare il danno risarcibile sia nell’an che nel quantum ;
4) la responsabilità civile impone al giudice civile di individuare il danno risarcibile in base al criterio delle conseguenze dirette ed immediate di cui all’art. 1223 cod.civ., mentre la responsabilità amministrativa fa dipendere la risarcibilità del danno dall’esercizio dei poteri discrezionali ed equitativi del giudice contabile, il quale gradua la condanna sulla base della gravità della colpa;
5) la responsabilità civile prevede che lo stesso giudice civile, a seguito dell’accertamento del danno, condanni il debitore all’intero danno accertato, mentre la responsabilità amministrativa conferisce alla sentenza del giudice contabile la natura di una sentenza determinativa con effetti costitutivi.
Il dato centrale attorno al quale ruota la concezione sanzionatorio-pubblicistica è rappresentato dall’elemento della colpevolezza, che viene posto in primo piano, assegnando alla colpa, intesa come atteggiamento antidoveroso della volontà, un ruolo centrale e dominante rispetto a tutti gli altri elementi costitutivi della responsabilità e ponendosi l’accento sull’istituto del potere riduttivo, non più considerato come facoltà di ridurre secondo equità la misura del risarcimento del danno, bensì come potere di determinare in concreto la sanzione pecuniaria rappresentata dal risarcimento del danno, in relazione alla gravità della colpa del danneggiante.
Coerente alla concezione sanzionatoria è, infatti, il ritenere che con la responsabilità amministrativa si sanzioni il comportamento del responsabile, più che le conseguenze dello stesso.
In una seconda versione, a sostegno della tesi sanzionatoria, si fa leva soprattutto sulla esistenza del c.d. potere riduttivo, sulla attribuzione della giurisdizione ad un giudice speciale (Corte dei conti) e sulla officialità dell’azione, nonchè inoltre sulle novità introdotte dalle riforme degli anni ’90 ( personalità, in trasmissibilità, parziarietà, accentuazione del grado di colpa, irresponsabilità delle scelte politiche ), affermandosi che il profilo sanzionatorio e la finalità di prevenzione sono prevalenti e caratterizzanti nella responsabilità amministrativa e meramente accessori e secondari in quella civile, in cui prevale il profilo della restaurazione del patrimonio.
Secondo i sostenitori di tale tesi, nonostante il riferimento legislativo ai termini ” risarcire ” e ” risarcimento ” per individuare le conseguenze del comportamento illecito, la finalità sanzionatoria è perfettamente compatibile con la tecnica del risarcimento del danno, in quanto il risarcimento del danno costituisce soltanto lo strumento tecnico mediante il quale si determina la sanzione, che consiste nel risarcimento non integrale, ma solo della parte di danno fissata dal giudice nella sentenza di condanna.
Con ciò si vuol dire che, mentre nella responsabilità civile la misura del risarcimento è legata all’ammontare del danno cagionato, e non alla gravità della colpa, nella responsabilità amministrativa il collegamento tra sanzione risarcitoria e danno prodotto non è diretto, ma opera attraverso l’intermediazione del giudice, che trova nel danno soltanto il limite massimo della sanzione, potendosi ipotizzare soltanto che il giudice potrebbe non far uso del potere riduttivo, in considerazione della gravità della colpa o di altre circostanze, verificandosi in tal caso che il danno erariale cagionato rappresenterebbe il limite massimo entro cui il giudice, valutando circostanze soggettive ed oggettive atte a qualificare l’antigiuridicità e la colpevolezza, determinerebbe la sanzione pecuniaria cui assoggettare il dipendente. In definitiva, il danno nel suo intero ammontare costituirebbe il limite edittale massimo della sanzione pecuniaria rappresentata dalla misura del risarcimento del danno.
In questa linea interpretativa si colloca la sentenza n. 183/2007 della Corte costituzionale, seguita dall’omologa sentenza n. 184/2007, nonché dalla sentenza n. 272/2007.
La sentenza n. 183 del 2007 afferma che nel sistema previsto dalle leggi vigenti ” l’intero danno subito dall’Amministrazione, ed accertato secondo il principio delle conseguenze dirette ed immediate del fatto dannoso, non è di per sé risarcibile e costituisce soltanto il presupposto per il promuovimento da parte del pubblico ministero dell’azione di responsabilità amministrativa e contabile. Per determinare la risarcibilità del danno, occorre una valutazione discrezionale ed equitativa del giudice contabile, il quale, sulla base dell’intensità della colpa, intesa come grado di scostamento dalla regola che si doveva seguire nella fattispecie concreta, e di tutte le circostanze del caso, stabilisce quanta parte del danno subito debba essere addossato al convenuto, e debba pertanto essere considerato risarcibile…la relativa sentenza di condanna è pertanto determinativa e costitutiva del debito risarcitorio “.
La critica principale che deve muoversi alla concezione sanzionatoria è, comunque, che il termine sanzionatorio dice in realtà ben poco, in quanto anche il risarcimento del danno è una sanzione e, comunque, la misura della sanzione è correlata alla entità del danno; e, inoltre, che riecheggia in tale opzione interpretativa la distinzione tra ” Schuld ” ( debito ) e ” Haftung ” (responsabilità), secondo la ricostruzione della dottrina civilistica tedesca, che, peraltro, può ritenersi definitivamente superata in diritto civile.
Essa, infine, è stata ripudiata indirettamente dalla Corte di Cassazione, che ha osservato come ” Mentre ai fini della sanzione penale si imputa al reo il fatto-reato…ai fini della responsabilità civile o amministrativa ciò che si imputa è il danno e non il fatto in quanto tale ” (cfr. SS.UU., 20 giugno 2007, n. 14297).
4. Conclusioni sulla natura della responsabilità amministrativa.
In conclusione della rassegna delle varie teorie succedutesi intorno alla definizione della natura della responsabilità amministrativa, deve rilevarsi che l’introduzione di una specifica disciplina positiva dell’istituto, per effetto delle riforme a partire dagli anni ’90, comporta, in gran parte, l’intervenuta insussistenza delle ragioni che portavano ad assimilare la responsabilità amministrativa a quella civile onde mutuarne la disciplina di diritto comune.
Le disposizioni precedentemente in vigore, infatti, non fornivano alcuna indicazione sulla fattispecie della responsabilità amministrativa ed era inevitabile, pertanto, l’applicazione ad essa della disciplina di diritto comune dettata per la responsabilità civile, dandosi per scontato che la responsabilità amministrativa fosse nient’altro che una manifestazione della responsabilità civile, alla quale era ricondotta (o assimilata).
E tuttavia, gli sforzi operati (nel passato) dalla dottrina e dalla giurisprudenza per qualificare la responsabilità amministrativa presentano ancora validità all’interno del dibattito attuale sulla collocazione di tale figura di responsabilità nell’ambito delle forme di responsabilità conosciute dall’ordinamento, se pure fortemente ridimensionato dalla ” codificazione ” della disciplina ” speciale ” della responsabilità amministrativa che, però, non svuota di ogni concretezza sul piano degli effetti giuridici la disputa sulla matura della responsabilità amministrativa
La disputa sulla natura e sulla funzione della responsabilità amministrativa, invero, non ha valore solo teorico, per le inevitabili ricadute delle opzioni interpretative sul funzionamento degli istituti di diritto sostanziale e processuale.
Sotto quest’ultimo profilo, ad esempio, è da una determinata concezione della responsabilità amministrativa che si vuole dipenda l’attribuzione del potere di azione al Pubblico Ministero nel giudizio di responsabilità amministrativa e se ne derivano i connotati: l’attribuzione in via esclusiva del potere di azione e l’obbligatorietà del suo esercizio viene, così, vista quale risvolto del fatto che la responsabilità amministrativa sarebbe finalizzata non al mero risarcimento del danno cagionato ad un soggetto pubblico, ma soprattutto al corretto utilizzo delle risorse da parte degli agenti pubblici.
E’ evidente, inoltre, che, ove si assuma che la funzione essenziale della responsabilità amministrativa sia quella di garantire il buon andamento dell’azione amministrativa, è consequenziale ritenere che l’azione pubblica costituisca un elemento essenziale ed irrinunciabile, da conservare pur anche nella ipotesi dovesse venir meno la devoluzione del contenzioso ad un giudice speciale. Cosicché non indifferenti ne sono le conseguenze anche in questo caso sulla configurazione dell’azione pubblica.
Più in generale, la qualificazione come civilistica o come pubblicistica non ha un valore meramente nominalistico, in quanto, anche ammesso che la responsabilità amministrativa sia una forma di responsabilità sui generis, dotata di una propria codificazione, altro è considerarla disciplina derogatoria della responsabilità per danni, altro è considerarla disciplina specifica di una responsabilità pubblicistico-sanzionatoria. Si pensi alla clausola di salvaguardia di cui all’art. 26 del R.D. n. 1038/1933, a proposito dei rapporti tra processo civile e processo di responsabilità innanzi alla Corte dei conti.
Chiarito quale sia il valore delle ricostruzioni dottrinarie, è innegabile che l’indirizzo dottrinario (e giurisprudenziale) che considerava la responsabilità amministrativa alla stregua della responsabilità di diritto comune, attribuendole, nelle sue formulazioni più seguite, la natura contrattuale, è stato fortemente posto in crisi dalla riforma della giurisdizione contabile nonché dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Questa, infatti, con la sentenza n. 371 del 20 novembre 1978, prendendo atto delle novità legislative, ha parlato di ” un processo di nuova conformazione dell’istituto“, sottolineando che nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano l’istituto qui in esame, deve essere valutata positivamente la limitazione della responsabilità amministrativa ai soli casi di dolo e colpa grave, la cui finalità è quella di determinare quanto del rischio della attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, ” nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo “.
Di accentuazione dei profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori, inoltre, si parla nella sentenza n. 453 del 30 dicembre 1998.
In questa occasione, la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 1-quinquies della legge 20 del 1994, nella parte in cui limita, per le ipotesi di concorso, la responsabilità solidale ai soli soggetti che abbiano agito con dolo.
Di recente, la Corte costituzionale è tornata nuovamente ad occuparsi indirettamente della natura della responsabilità della responsabilità amministrativa, nella sentenza n. 183 del 12 giugno 2007, affermando che la disciplina della responsabilità amministrativa è tutta fondata sulla colpevolezza del danneggiante e, per converso, sulla graduazione della colpevolezza effettuata con sentenza determinativa con effetti costitutivi.
E’ evidente, pertanto, che la Corte costituzionale ha accolto, da ultimo, sia pure non espressamente, ma nella sostanza del pensiero, la tesi della natura sanzionatoria (v. infra) che è stata, peraltro, sostenuta in dottrina dal giudice costituzionale redattore della presente sentenza.
Particolare rilevanza, inoltre, si attribuisce, in dottrina, alla norma, anticipata dall’art. 58 della legge 142 del 1990, secondo cui la responsabilità è “personale” e “si estende agli eredi nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi” (art. 1, comma 1, L. 20/1994), che avvalorerebbe la natura sanzionatoria e quindi affittiva della responsabilità, giacchè se il modello fosse stato quello civilistico avrebbe dovuto trovare applicazione il principio generale della trasmissibilità dei rapporti giuridici. Si afferma, inoltre, che nelle responsabilità di diritto pubblico (penale e disciplinare ), dal carattere affittivo della sanzione discende naturalmente la personalità della stessa e la in trasmissibilità agli eredi ( in questo senso in termini generali per le sanzioni amministrative l’art. 7 della legge 689 del 1981).
L’accentuazione di tale profilo sanzionatorio non può, però, far venir meno il dato normativo che collega la responsabilità amministrativa al danno e alla obbligazione risarcitoria. Si è osservato, anzi, che il permanere della funzione risarcitoria non esclude che il risarcimento abbia in sé anche funzione sanzionatoria, e perciò di deterrenza, come del resto riconosciuto dalla Corte costituzionale con riguardo alla funzione sanzionatoria della responsabilità civile, a proposito del danno biologico.
Ciò che può dirsi, dunque, in sintonia con gli orientamenti che vanno maturando in ambiente giurisprudenziale e dottrinario, è soltanto che la responsabilità amministrativa costituisca una forma di responsabilità sui generis ovvero un istituto giuridico a sé stante, del tutto autonomo rispetto ad entrambe le figure di responsabilità civile, in quanto connotata da disciplina, giustificazione ed elementi di oggettiva peculiarità.
L’istituto giuridico della responsabilità amministrativa, cioè, si caratterizza per effetto della legislazione ’94-96 da lineamenti normativi propri, da una disciplina di legge puntuale dei propri elementi giuridici qualificanti l’istituto.
Si è osservato, infatti, che nella responsabilità amministrativa non è sufficiente la colpa (lieve) – come per la responsabilità civile – ma occorre la colpa grave e che la presenza del dolo è tutt’altro che irrilevante, perché fa venir meno una fondamentale norma attenuatrice della responsabilità – quella della esclusione della solidarietà passiva – che non trova riscontro nella responsabilità civile.
Il che ha fatto dire, nell’ambito di una visione unitaria dei caratteri propri della responsabilità amministrativa (personalità della responsabilità ed in trasmissibilità del relativo debito, durata quinquennale della prescrizione, superamento dell’ambito del rapporto di servizio, venir meno del dogma della solidarietà e limite della colpa grave), che non di specialità si tratti, ma di vera e propria autonoma configurazione della responsabilità amministrativa, individuata come genere a sé e connotata di elementi privatistici quanto di profili pubblicistici.
Sicchè, ormai, l’autonomia di detta disciplina normativa sostanziale rende legittimi gli interrogativi circa la funzione giuridica propria attribuita dall’ordinamento alla responsabilità amministrativa nel quadro delle responsabilità pubbliche.
E’ indubbio, infatti, che delle tre funzioni tipiche di qualsiasi responsabilità (patrimoniale, sanzionatoria e di prevenzione) quella che deve essere posta in risalto rispetto alle altre è proprio la funzione di prevenzione, con riferimento al buon andamento dell’amministrazione. Nella responsabilità amministrativa appare fondamentale, invero, la funzione di prevenzione, mentre strumentali sono le funzioni compensativa e sanzionatoria, perchè serve a garantire comportamenti degli agenti pubblici che siano diligenti e, allo stesso tempo, efficaci ed efficienti.
In ciò soltanto può cogliersi la distanza dal modello della responsabilità civile, caratterizzato anch’esso dalla presenza della funzione sanzionatoria (del comportamento colpevole del danneggiante) e preventiva (a scoraggiare comportamenti negligenti dei consociati), sebbene la funzione compensativa resti fondamentale, delineandosi un nuovo tipo di responsabilità, non riconducibile ai canoni ermeneutici civilistici, e nel quale il ricorso alle categorie civilistiche è temperato dalla contemporanea presenza di peculiari istituti e situazioni, come si è significativamente affermato nella giurisprudenza immediatamente successiva alla entrata in vigore della legge 20 del 1994.
A tale proposito, un importante ausilio sul piano interpretativo, deriva dalla sentenza della Corte costituzionale n. 371/1998 cit. – che ha dichiarato costituzionalmente legittima la limitazione della responsabilità a fatti ed omissioni commessi con dolo o colpa grave – nel nucleo essenziale della motivazione, nei seguenti passaggi logico-argomentativi:
1) la responsabilità amministrativo-contabile, quale istituto giuridico regolato nel diritto positivo, ha una sua connotazione intrinseca, rinvenibile nella “…combinazione di elementi restitutori e di deterrenza “;
2) all’interno di siffatto modello si innesta, con coerenza, la elevazione della soglia di intensità della colpevolezza, che ha come suo scopo specifico di determinare “…quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendent, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per i dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo “ (nello stesso senso: Corte costituzionale, n. 453/1998)
3) la norma innovativa sul grado di colpa ha un ambito di applicazione unitario, nel senso che vale, ovviamente, sia per la responsabilità amministrativa che per quella contabile.
5. Recenti ipotesi di responsabilità di natura sanzionatoria.
In alcune ipotesi è, comunque, il legislatore a configurare ipotesi di responsabilità di tipo sanzionatorio, di carattere personale o patrimoniale.
a) Il primo tipo di responsabilità si riferisce alle ipotesi di dissesto dei comuni e delle province, nel caso in cui questi non siano più in grado di garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero quando esistono nei confronti dell’ente crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa validamente far fronte. Questo tipo di responsabilità non esisteva nella formulazione iniziale del d.lg. 77 del 1975 ed è stata aggiunta dall’art. 8 del dlg. 342/1997 di attuazione della legge 127/1997 (ora trasfuso nell’art. 248 del nuovo t.u.e.l. n. 267/2000).
Il legislatore ha previsto delle “conseguenze aggiuntive” a quelle derivanti dalla condanna al risarcimento del danno secondo i consueti canoni. E’ prevista, infatti, una ” sanzione ” per gli amministratori che sono stati riconosciuti responsabili di danni da loro prodotti, con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario ove, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, ove si accerti che questo è diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato riconosciuto responsabile. Questa sanzione consiste nel divieto di ricoprire, per un periodo di cinque anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati.
Si discute, in dottrina, se la interdizione temporanea dai pubblici uffici, siccome prevista, vada considerata come “sanzione accessoria” (e automatica) alla condanna patrimoniale oppure se si tratti di due sanzioni autonome di una nuova figura di responsabilità composta, appunto, da due tipologie di sanzioni che manterrebbero la loro autonomia sul piano processuale, essendo la prima fondata sull’accertamento di azioni o omissioni, dolose o colpose, che hanno determinato o causato il dissesto, invece la seconda è fondata su elementi ulteriori da accertarsi.
Da ultimo, il D.lgs. 6 settembre 2011, n. 149 ha previsto (agli artt. 2 e 3) sanzioni di natura personale ed interdittiva a carico del presidente della giunta regionale dei funzionari regionali/revisori dei conti nei casi accertati dalla Corte dei conti di grave dissesto finanziario.
b) L’altro tipo di responsabilità, che si riferisce alla violazione del divieto di indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, è una responsabilità caratterizzata dalla sola sanzione a carattere patrimoniale. Un tipo di sanzione pecuniaria, pari ad un multiplo (da cinque a venti) della indennità di carica è, infatti, prevista dall’art. 30, comma 15, della legge 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003) a carico degli amministratori che hanno deliberato l’assunzione di mutui per spese diverse da quelle di investimento in violazione dell’art. 119 cost..
Si è detto, in dottrina, che la responsabilità in esame sembra configurata dal legislatore come forma di responsabilità oggettiva e formale, sganciata dalla dimostrazione di un danno ingiusto e dell’elemento soggettivo, in quanto volta a sanzionare la decisione in sé di ricorrere all’indebitamento per spese non di investimento. Infatti, da un lato il pregiudizio appare coincidere con il semplice ricorso all’indebitamento per spese non di investimento, a prescindere da una immediata e diretta lesione al patrimonio, dall’altra, anche l’elemento psicologico appare insito nella mera partecipazione, con voto favorevole, alla delibera del legislatore. Inoltre, si osserva che a confortare la natura sanzionatoria di tale tipo di responsabilità viene in rilievo il fatto che la sanzione pecuniaria è quantificata determinata dal legislatore, entro un minimo ed un massimo, con riferimento esclusivamente ad un elemento (indennità di carica) estraneo alla struttura dell’illecito, con ciò escludendosi qualsiasi valutazione degli effetti della condotta sul piano risarcitorio.
Su tale figura di “illecito tipizzato” sono intervenute di recente le Sezioni Riunite della Corte dei conti, a causa delle oscillazioni giurisprudenziali circa la verifica della sussistenza degli elementi costitutivi, discutendosi se fosse necessario per la sussistenza della responsabilità in esame, oltre alla condotta posta in essere in violazione del divieto dell’art. 119 cost., anche il danno, individuato nella lesione del bene-giuridico degli equilibri di bilancio, e la colpevolezza, nella configurazione minima della colpa grave, riconducendo tale ipotesi di responsabilità nell’alveo della clausola generale della comune responsabilità amministrativa con conseguente applicazione della relativa disciplina processuale e sostanziale comportante, da un lato, la necessità del contraddittorio preprocessuale, e, dall’altro, la necessità della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o colpa grave (sent. 27 dicembre 2007 n. 12/QM).
Secondo la dottrina costituiva ipotesi di vera e propria responsabilità amministrativa, sia pure singolare, quella di cui al comma 593 dell’art. 1 della L. 27 dicembre 2006, n. 296, che pone a carico dell’amministratore di società partecipata direttamente od indirettamente dallo Stato, a titolo di ” danno erariale “, una somma pari a dieci volte l’ammontare eccedente il tetto massimo consentito.
La norma è stata abrogata dal comma 43 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008 e sostituita con il nuovo testo di cui al comma 44, che estende l’ambito di applicazione della “sanzione”.
Degno di essere menzionato è, altresì, il comma 59 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008 che collega alla nullità del contratto di assicurazione stipulato dall’amministratore di ente pubblico per la copertura dei rischi connessi all’espletamento della carica e riguardanti la responsabilità per danno all’erario la “sanzione” del rimborso di una somma pari a dieci volte l’ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo.
Anche in ordine a suddetta fattispecie si pongono gli stessi interrogativi circa la natura “sanzionatoria” o meno della responsabilità ivi prevista.
E’ sicuramente di natura “sanzionatoria “, infine, la fattispecie di responsabilità relativa alla elusione del patto di stabilità, introdotta dagli artt. 20 del d.l. n. 98/2011 e 31 della L. n. 183/2011, essendo prevista,a carico degli amministratori, la sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennità di carica e la sanzione pecuniaria, a carico del responsabile del servizio economico-finanziario, fino a 3 mensilità del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali.
6. Le fattispecie tipizzate di responsabilità
Va preso atto, inoltre, della tendenza legislativa alla tipizzazione delle fattispecie di responsabilità, a partire dalla L. 24 dicembre 1993 n. 537. L’art. 3, comma 28, prevede, infatti, la responsabilità personale ” patrimoniale ” a carico di chi dispone le assunzioni effettuate in violazione di quanto stabilito nei commi da 5 a 27.
In materia di acquisti beni e servizi delle amministrazioni dello Stato, l’art. 26 della L. 23 dicembre 1999 n. 488 prevedeva, al 4° comma, che la stipulazione di un contratto in violazione delle convenzioni costituisse causa di responsabilità amministrativa e, ai fini della determinazione del danno erariale, si tenesse conto della differenza tra il prezzo indicato in convenzione e quello indicato in contratto; senonchè la legge 27 dicembre 2006, n. 296 ha disposto, all’art. 1, comma 209, l’abrogazione della norma in questione.
Anche l’ art. 24, comma 4, della L. 27 dicembre 2002 n. 289 prevedeva la responsabilità amministrativa per stipula di contratto di acquisto di beni e servizi in violazione degli obblighi di evidenza pubblica o delle convenzioni CONSIP, imputandola a carico del dipendente che ha sottoscritto il contratto, il quale risponde “a titolo personale” del danno, determinato tenendo conto della differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni anzidette e quello indicato in contratto.
La disciplina è stata modificata, negli anni successivi, ad opera della legge 24 dicembre 2003 n. 350 a seguito della quale è stato abrogato l’art. 24 della L. n. 289/2002.
Senonchè, il d.l. 12 luglio 2004 n. 168 (convertito nella L. 30 luglio 2004 n. 191) ha segnato un deciso cambiamento di rotta, rivalutando il ruolo della CONSIP, con il prevedere in particolare ( all’art. 1, comma 4) che i prezzi stabiliti nelle convenzioni costituiscano parametri di riferimento per la stipulazione di contratti in via autonoma da parte delle amministrazioni pubbliche e stabilendo che la violazione di detti principi determini responsabilità amministrativa, per il resto confermando i criteri di determinazione del danno risarcibile.
La L. 23 dicembre 2005 n. 266 (finanziaria per il 2006) all’art. 1, comma 22, ha confermato il richiamo ai parametri indicati dalle convenzioni CONSIP in materia contrattuale, qualora dal monitoraggio delle spese per beni e servizi emerga un andamento pregiudizievole al raggiungimento degli obiettivi indicati nel patto di stabilità e crescita, stabilendo la responsabilità a titolo personale del dipendente che ha sottoscritto il contratto per le obbligazioni eventualmente derivanti.
Lo stesso d.l. n. 168/2004, all’art. 1, ha previsto la responsabilità “erariale” per violazione della disciplina di regolamentazione di spese di missione e di rappresentanza ( comma 10 ) e la responsabilità ” erariale ” per violazione della disciplina di regolamentazione di incarichi a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente (comma 9).
Sempre nella stessa materia degli incarichi professionali e delle consulenze, l’ art. 1 comma 11, della L. 30 dicembre 2004 n. 311 (finanziaria 2005) ha previsto che l’affidamento di incarichi a terzi, in assenza dei presupposti previsti dalla legge (art. 7, commi 6 – 6 bis e 6 ter del D.lvo. 165/2001, come modificati dalla legge n. 248/2006) in materie per oggetti rientranti nelle competenza della struttura burocratica dell’ente, determina responsabilità erariale. Inoltre, il mancato rispetto dei limiti di spesa previsti dall’art. 1, comma 187, della L. 23 dicembre 2005 n. 266 per l’utilizzo di personale a tempo determinato o con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa determina responsabilità erariale.
La materia è stata nuovamente disciplinata dalla legge finanziaria 2008 (L. 24 dicembre 2007 n. 244): l’affidamento di incarichi e consulenze effettuato in violazione delle disposizioni regolamentari costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale (art. 1, comma 56).
Infine, la materia è stata recentemente integrata dalla L. 6 agosto 2008 n. 133 (” Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione” ) prevedendosi, in primo luogo, che la violazione delle disposizioni in tema di conferimento di consulenze nella pubblica amministrazione, con riguardo al ricorso a collaborazioni coordinate e continuative per lo svolgimento di attività ordinarie dell’ente, o all’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati, determina responsabilità del dirigente (art. 46 comma 1), nonchè la responsabilità erariale nel caso di violazione della disciplina legislativa e regolamentare in tema di consulenze negli enti locali (art. 46, comma 3).
La L. 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008 ) ha previsto altre ipotesi ” tipizzate ” di responsabilità amministrativa:
– l’abrogazione dell’arbitrato (art. 1, comma 18) determina la nullità delle clausole compromissorie e la responsabilità erariale per il semplice fatto della loro sottoscrizione (comma 19);
– il responsabile del procedimento (dei lavori pubblici) qualora ritardi gli adempimenti inerenti alla proposta di accordo bonario è responsabile sia sul piano disciplinare sia a titolo di danno erariale (art. 1, comma 23, che integra l’art. 240, comma 1, del codice contratti pubblici);
– in caso di risarcimento per prestazioni lavorative in violazione delle disposizioni imperative sull’impiego ed assunzione dei lavoratori, le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili qualora la violazione sia dovuta a titolo di dolo o colpa grave (art. 36, comma 6, D.lgs. n. 165/2001, come sostituito dall’art. 3, comma 79, L. n. 244/2007);
– la mancata pubblicazione sul sito internet dei contratti di consulenza con la P.A. determina la responsabilità erariale per la erogazione del compenso;
– l’utilizzazione dei lavoratori assunti con contratti di lavoro flessibile per fini diversi determina la responsabilità amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto (art. 36, comma 11, modificato, D.lg. n. 165/2001).
Da ultimo, all’elenco già cospicuo di fattispecie ” tipizzate ” la L. 8 agosto 2008, n. 133 ha aggiunto altre fattispecie :
– il ritardo nella comunicazione ai Comuni dei decessi di pensionati INPS determina la responsabilità, a titolo di danno erariale, del responsabile del procedimento, ove ne derivi pregiudizio ( art. 20, comma 13 );
– il mancato rispetto dei limiti di spesa originariamente previsti nella gestione del bilancio, anche a causa della mancata tempestiva adozione dei provvedimenti necessari ad evitare la esorbitanza della spesa, nonchè delle misure occorrenti per ricondurre la spesa nei limiti previsti (art. 60, comma 14) e il mancato rispetto del limite mensile del dodicesimo dello stanziamento nell’assunzione degli impegni di spesa ( art. 60, comma 15 ), determina la responsabilità ” contabile ” del funzionario responsabile.
Da segnalare, infine, le ipotesi di responsabilità previste dall’art. 20, comma 7, e dall’art. 28 del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, nella L. 28 gennaio 2009, n. 2):
– il ritardo riscontrato nella realizzazione degli interventi di competenza regionali collegati agli investimenti pubblici ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio e per le implicazioni di carattere occupazionale (cfr. art. 20,comma 7)
– la mancata escussione delle fideiussioni e polizze fideiussorie (art. 27, comma 2)
La tendenza normativa favorevole viepiù all’utilizzo dello strumento della tipizzazione-costruzione di fattispecie di responsabilità amministrativa si è di recente rafforzata.
Nell’anno 2009 sono state, infatti, previste ben dieci fattispecie per le quali è fatto obbligo di denuncia per il perseguimento delle relative responsabilità, spesso delineate con criteri oggettivi e formali, in ragione del fatto in sé, e nella logica del danno e della colpa in re ipsa, con non infondati dubbi di compatibilità costituzionale.
I nuovi casi meritevoli di essere segnalati sono:
1) La violazione dell’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con gli stanziamenti di bilancio al fine di garantire la tempestività dei pagamenti (art. 9, comma 2, D.L. n. 78/2009 conv. in L. n. 102/2009);
2) il mancato rispetto dei termini di trenta giorni per l’escussione delle polizze fideiussorie a prima richiesta superiori a 250 milioni di euro comporta l’assoggettamento al giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti (art. 28, comma 2 D.L. 29 novembre 2008 n. 185 conv. in L. n. 2 del 28 gennaio 2009);
3) va segnalato alla Corte dei Conti ogni ritardo riscontrato nella realizzazione di investimenti strategici ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità (art. 20, comma 7, D.L. 29 novembre 2008 n. 185 conv. in L. n. 2/2009);
4) la mancata individuazione delle unità di personale eccedente da parte del dirigente
responsabile è valutabile ai fini della responsabilità per danno erariale (art. 30, comma 1 bis, D.lg. n. 165/2001 introdotto dall’art. 50 D.lgs n. 150/2009);
5) nel caso di false attestazioni di presenza in servizio il lavoratore è tenuto a risarcire il danno patrimoniale per il periodo di mancata prestazione ed il danno all’immagine subiti dall’amministrazione (art. 55- quinquies D.lgs n. 165/2001 aggiunto dall’art. 68 D.lg. n. 150/2009);
6) la sentenza di accoglimento del ricorso su azione collettiva è comunicata alla Procura regionale della Corte dei conti per i casi in cui emergono profili di responsabilità erariale (art. 4, D.lgs 20 dicembre 2009, n. 198);
7) la sentenza di accoglimento del ricorso di ottemperanza a seguito di azione collettiva è comunicata alla Procura regionale della Corte dei conti per i casi in cui emergono profili di responsabilità erariale (art. 5, D.lgs 20 dicembre 2009, n. 198);
8) in caso di inadempimento degli obblighi di comunicazione in materia di beni patrimoniali inutilizzati dalle amministrazioni dello Stato, l’Agenzia del demanio ne effettua la segnalazione alla Corte dei conti (art. 2, comma 212, L. 23 dicembre 2009 n. 191);
9) sono previste sanzioni amministrative pecuniarie in caso di mancata comunicazione dei dati obbligatori da parte dei dirigenti responsabili delle amministrazioni interessate, commisurate ad una percentuale della loro retribuzione di risultato compresa tra un minimo del 2% e un massimo del 7% (art. 49, comma 1, lett. c, della legge di contabilità 31 dicembre 2009 n. 196);
10) il Presidente ed i componenti del Consiglio di presidenza della Corte dei rispondono, per i danni causati nell’esercizio delle proprie funzioni, soltanto nei casi di dolo o colpa grave (art. 11, comma 8, L. n. 15/2009).
Sempre nel 2009, con l’art. 4 del D.lgs. n. 198 è stata prevista la responsabilità erariale collegata all’accertamento, con sentenza, della violazione, della omissione e dell’inadempimento di cui all’art. 1 e nei casi di perdurante inottemperanza di una pubblica amministrazione.
L’elenco si è ulteriormente arricchito nel corso del 2010, in quanto il decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito nella L. 30 luglio 2010 n. 122, ha introdotto ben 7 ipotesi di responsabilità erariale con riferimento alle seguenti fattispecie:
1) erogazione di compensi o di gettoni di presenza superiori a 30 euro in favore di componenti di organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche (art. 6, comma 2);
2) mancata adozione dei provvedimenti di adeguamento statutario o di organizzazione previsti per la riduzione dei componenti degli organi di amministrazione e di revisione degli enti pubblici (anche economici) e degli organismi pubblici (anche con personalità giuridica di diritto privato) rispettivamente a cinque e a tre (art. 6, comma 5);
3) affidamento di incarichi che comporti una spesa superiore al 20 per cento di quella sostenuta nel 2009 (art. 6, comma 7);
4) missioni effettuate per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 (art. 6, comma 12)
5) attività di formazione per una spesa superiore al 50 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009 (art. 6, comma 13)
6) mancato rispetto dei limiti del 50 per cento relativi alla spesa sostenuta nell’anno 2009 per contratti di lavoro a tempo determinato, di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, di contratti di formazione lavoro, di altri rapporti formativi, di contratti di somministrazione di lavoro e di lavoro accessorio (art. 9, comma 28)
7) il pagamento di trattamenti economici di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità nonché il danno all’immagine (art. 10, comma 3)
Nel 2011, l’art. 10 del decreto-legge 31 maggio 2011, n. 70 – convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 2011, n. 110 – ha introdotto una nuova ipotesi di responsabilità erariale, che si riferisce al ritardo nella trasmissione all’indice nazionale delle anagrafi, ove ne derivi pregiudizio, a carico del responsabile del procedimento.
Dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 – convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111 – altre quattro fattispecie di danno all’erario sono state ricollegate:
– agli atti e ai contratti posti in essere in violazione delle disposizioni sui parametri contenute nell’art. 26, comma 3, della L. 23 dicembre 1999, n. 488 (art. 11);
– alla violazione degli obblighi di comunicazione stabiliti dall’art. 2, comma 222, della L. 23 dicembre 2009, n. 121 (art. 12);
– alla violazione delle disposizioni sulla determinazione dei compensi dei commissari degli enti dissestati (art. 15);
– alla elusione del patto di stabilità (art. 20).
Per quanto riguarda quest’ultima ipotesi, la L. 12 novembre 2011, n. 183 l’ha estesa anche agli enti locali (art. 31).
L’art. 1 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito nella L. 4 aprile 2012, n. 35, dispone che ” le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti “.
L’elenco delle fattispecie tipizzate si è arricchito nel periodo della legislazione di emergenza, tant’è che l’elenco si presenta piuttosto lungo:
– D.L. 22 giugno 2012, n.83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.134
Misure urgenti per la crescita del Paese (Art. 18, comma 5)
– D.L. 6 luglio 2012, n.95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.135
Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario (Artt. 1, commi 1 e 7 e 8; 3, commi 5 e 10; 5, commi 4 e 8;15, comma 13-lett. d))
– D.L. 2 marzo 2012, n.16, convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n.44
Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento (Art. 4-ter)
– L. 6 novembre 2012, n.190
Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione. (Art. 1, comma 12)
– L. 24 dicembre 2012, n. 228
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Art. 1, commi 141 e 146, 157 e 158)
– D.LGS. 14 marzo 2013, n.33
Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (Art. 46)
– D.L. 8 aprile 2013, n.35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n.64
Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento dei tributi del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (Artt. 1, comma 4; 8, lett. c; 10)
– D.LGS. 8 aprile 2013, n.39
Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n.190 (Artt. 15, comma 2, e 16, comma 2)
– D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98
Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia (Artt. 28, comma 7 ; 29)
– D.L. 31 agosto 2013, n.101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125
Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni (Art. 1, commi 3 e 7)
– L. 27 dicembre 2013, n. 147
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Art. 1, comma 549)
Non è dato cogliere, al momento, la vera finalità dell’opera legislativa di tipizzazione e la tecnica legislativa è la più varia.
In alcuni casi la tipizzazione cade sull’elemento oggettivo della condotta (” i contratti stipulati in violazione dell’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 e i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti a disposizione da Consip spa sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa “: art. 1, comma 1, d.l. n.95/2012) e viene fatta salva la responsabilità amministrativa (” L’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente o la mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili: art. 46, D.lgs. n.33/2013). In altri casi, la tipizzazione della condotta è ricavabile indirettamente per il tramite della segnalazione della notitia damni al P.M. contabile (“In caso di inadempimento dei predetti obblighi di comunicazione, l’agenzia del demanio effettua la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti “: art. 3, comma 10, d.l. n. 95/2012). In altri casi, ancora, la descrizione della fattispecie non sembra escludere la discrezionalità del giudice (” La violazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti”: art. 5, comma 4, d.l. n. 95/2012). In altri casi, infine, la tipizzazione cade sull’elemento oggettivo del danno («1-sexies. Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.”: comma aggiunto all’art. 1 della L. n. 20/1994 per effetto dell’art. 1, comma 62, L. n.190/2012).
Suscitano sicuramente perplessità i casi in cui la tipizzazione della fattispecie sembra escludere ogni spazio di discrezionalità del giudice con riferimento all’accertamento dell’elemento soggettivo e del danno (“la violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare e amministrativa per il dirigente responsabile “: art. 5, comma 8, d.l. n.95/2012).
Molto probabilmente, si è inteso accentuare la deterrenza della responsabilità amministrativa, additando le possibili conseguenze di una condotta violativa di regole di ordine imperativo.
Il pericolo di questa nuova tendenza normativa potrebbe essere dato, però, dal fatto che le ipotesi tipizzate si sottraggano alla disciplina generale ed ai criteri di imputazione propri di esse (dolo o colpa grave) per assumere una connotazione più oggettivata o aggravata, ancorando la responsabilità alla semplice violazione di legge e quindi basandola su una presunzione di colpevolezza e/o sul rischio della condotta antigiuridica, alla stregua del duplice criterio operante per la responsabilità di tipo civile in cui, ai casi riconducibili alla clausola generale del neminem laedere, si affiancano le altre ipotesi specifiche di responsabilità oggettiva e/o aggravata, con la conseguenza che il diverso criterio di imputazione potrebbe far assumere rilievo anche alla colpa lieve, se non addirittura prescinderne.
Un interpretazione più radicale che ritenesse giustificabile il maggior rigore di tali forme aggravate di responsabilità, in quanto finalizzate alla tutela del valore degli equilibri di bilancio, sarebbe nient’altro che una riedizione della c.d. responsabilità formale, che, secondo una definizione d’epoca (1911), ” scaturiva dalla semplice violazione formale delle norme relative alla gestione del bilancio, a prescindere dagli elementi della colpa e del danno” e che rimase in auge fino a quando la Corte costituzionale (sent. n. 72/1983) non ne decretò la fine, tenendo conto del diritto vivente a quei tempi: essendo la fattispecie tipizzata in alcuni suoi elementi, invero, si potrebbe pensare ad una nuova dimensione di un illecito basato, ad esempio, su un evento di pericolo (pericolo di danno) e non su una lesività effettiva, a meno che non si voglia leggere le nuove disposizioni in chiave preminentemente sanzionatoria.
Deve ricordarsi, però, sul punto la sentenza delle Sezioni Riunite n. 12/2007/QM, che applica anche a fattispecie sanzionatorie la limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave.
7. I caratteri della responsabilità amministrativa: la personalità.
L’art. 1 della legge n. 20 del 1994 stabilisce, come è noto, che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti è personale, generalizzando il disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 58 della L. 142/1990 (“La responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province è personale…”).
Non interessa, qui, prendere posizione sulla coerenza della natura ” personale ” della responsabilità amministrativa con la finalità “sanzionatoria” assegnata alla stessa da parte della dottrina, sul presupposto che la sanzione punitiva o affittiva è ” personale “, ma verificare la portata applicativa di tale principio, con riferimento al ventaglio di opinioni che sono state espresse in proposito.
Già sotto il vigore della norma contenuta nella legge n. 142/1990 si era sostenuto in dottrina la tesi secondo cui l’espressione legislativa acquisterebbe un significato precettivo autonomo, come affermazione della ammissibilità delle sole ipotesi di responsabilità per fatto proprio e, per converso, del divieto di giudicare qualcuno responsabile per fatto altrui. Da cui, la preclusione di fondare l’azione di responsabilità nei confronti, ad es., di un sindaco sul suo mero status di preposto e sovrintendente a tutti gli uffici comunali, in assenza di specifiche violazioni di obblighi concretatisi in un fatto omissivo o commissivo.
Tale opinione, invero, appare preferibile a quella secondo cui l’uso dell’espressione “personale” non sarebbe qualificante o addirittura integrerebbe una clausola di stile, in quanto è l’unica che conferisce un significato ad una espressione legislativa – la personalità – che altrimenti sarebbe ridondante, ed è da intendersi innanzitutto nel senso che ciascuno risponde per il fatto proprio, e non per fatto altrui.
Si ricollega a questa accezione della “personalità” la previsione della imputabilità dei componenti degli organi collegiali per le sole deliberazioni a cui hanno preso parte (art. 1, comma 1-ter, L. 20/1994).
Accanto a questa, che può definirsi come interpretazione minima del principio di personalità, secondo una terminologia mutuata dagli studiosi del diritto penale, ve ne è un’altra più pregnante, che fa riferimento all’aspetto soggettivo dell’illecito, consentendo così di bandire non soltanto la responsabilità per fatto altrui, ma anche qualsivoglia ipotesi di responsabilità per fatto incolpevole.
Vi è chi, in dottrina, ha ritenuto che rispetto alle persone giuridiche il principio consente di indirizzare l’azione di responsabilità anche nei confronti delle persone fisiche che di fatto operano per conto della società.
Secondo parte della dottrina, infine, la personalità esprime altresì l’esigenza di differenziare le posizioni dei soggetti ritenuti responsabili in modo da garantire che il peso della condanna venga fatto gravare, innanzitutto, su chi si è arricchito, illecitamente, a danno di una Pubblica Amministrazione, che può essere soddisfatta attraverso l’individuazione di una obbligazione principale ed una sussidiaria, con un preciso ordine di escussione fra le stesse (c.d. sussidiarietà), in quanto – si sostiene – lasciare che un soggetto risponda allo stesso modo di chi appare come il responsabile della appropriazione illecita equivale, sostanzialmente, a ritenerlo responsabile di un fatto altrui.
8. (Segue): la parziarietà.
Considerata come logico corollario della natura personale della responsabilità per danno all’erario, il principio di parziarietà è stato affermato, in termini generali, nel comma 1-quater dell’art. 1 L. 20/1994 (“Se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso”).
Il principio di parziarietà è speculare a quello della solidarietà.
Già la dottrina civilistica ha messo in evidenza come nelle obbligazioni parziarie ciascun debitore è obbligato nei limiti della propria quota (parziarietà passiva); ciascun creditore potrà pretendere esclusivamente la propria quota di credito (parziarietà attiva); mentre nelle obbligazioni solidali ogni creditore può pretendere l’intera prestazione dal debitore (solidarietà attiva) cosi come ogni debitore è tenuto ad eseguirla a richiesta del creditore (solidarietà passiva).
L’introduzione della norma in questione – per effetto della L. n. 639/1996 – non è una novità, perché già l’art. 82 della legge di contabilità generale dello Stato (n. 2440/1923) stabiliva: “Quando l’azione o l’omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha presa, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio”.
Eppure, per tutto il periodo anteriore alla entrata in vigore della L. n. 639/1996, la giurisprudenza contabile è rimasta ferma nel ritenere che il vincolo di solidarietà esiste tutte le volte che un evento dannoso si presenti come la risultante di azioni od omissioni colpose riferibili ad una pluralità di soggetti che, in modo più o meno diretto, sono intervenute nel suo determinismo causale, nel senso che, anche in presenza di una causa prossima dell’evento, questo non si sarebbe reso possibile senza il concorso di tutte e di ciascuna delle stesse.
E ciò, in quanto la richiamata norma di legge non avrebbe derogato né è inconciliabile con il principio della solidarietà, che ne costituisce anzi l’indispensabile presupposto, limitandosi la stessa a fissare l’obbligo del giudice di rapportare la responsabilità di ogni compartecipe alla parte avuta nella causazione dell’evento, chiamato a definire compiutamente e d’ufficio gli effetti del vincolo solidale che astringe le diverse condotte, ai fini della determinazione della somma dovuta da ciascun condebitore nei rapporti interni, con la formula ” fino alla concorrenza di….”.
E’ proprio per evitare qualsiasi dubbio interpretativo che il legislatore del ’96 ha fatto seguire alla affermazione della regola della parziarietà la precisazione che la solidarietà dell’obbligazione risarcitoria è limitata ai casi di illecito arricchimento e di dolo (comma 1-quinquies), superando la precedente formulazione del decreto-legge 28 giugno 1995 n. 248 ( non convertito ), ritenuta in dottrina “irriguardosa” nei confronti del giudice contabile, secondo cui “E’ interdetto al giudice della Corte dei conti l’utilizzo del principio della solidarietà passiva” e aggiungendo ai casi di illecito arricchimento – che figuravano già nel decreto legge n. 353/1995 – anche le ipotesi di dolo.
Si è cercato, in dottrina, di trovare una giustificazione alla predetta limitazione, affermando che la ragione della soluzione sta nel fatto che, a seguito della generalizzazione della colpa grave quale criterio di imputazione delle fattispecie di responsabilità amministrativa, sarebbe stato non coerente chiamare a rispondere coloro nel cui comportamento sono rinvenibili gli elementi del dolo o della colpa grave anche della parte di danno imputabile agli agenti che avevano concorso, anche se solo a titolo di colpa lieve, alla sua causazione, venendo meno uno degli elementi della solidarietà, e cioè la pluralità di soggetti obbligati per l’intero;
La reale portata innovativa della disposizione è stata colta dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 453 del 1998, con la quale è stata dichiarata la infondatezza della questione sollevata con riferimento alla limitazione della solidarietà passiva, nella quale si osserva che di fronte ad un panorama giurisprudenziale abbastanza consolidato nel senso di ritenere che la parziarietà riguardasse soltanto il rapporto interno fra condebitori, operando la solidarietà passiva nel rapporto tra ente pubblico danneggiato e corresponsabili, il legislatore, nel ribadire come regola generale il principio di parziarietà, individua, espressamente, nei casi di dolo o di illecito arricchimento le ipotesi derogatorie in cui più soggetti corresponsabili restano legati dal vincolo della solidarietà passiva. Restano, peraltro, non disciplinate dalla norma limitativa in questione le ipotesi di concorso tra condotte dolose e condotte gravemente colpose e tra queste ultime e le ipotesi di illecito arricchimento.
Relativamente a tali fattispecie, la giurisprudenza prevalente, formatasi prima della entrata in vigore della legge n. 639/1996, affermava che l’obbligazione nei confronti dell’erario dell’autore di illecite appropriazioni riveste carattere principale rispetto a quella di altri pubblici dipendenti, avente carattere secondario, colpevoli soltanto di omessa attività di controllo, obbligazione, quest’ultima, che deve considerarsi sussidiaria rispetto alla prima e suscettibile, quindi, di concretizzarsi soltanto nel caso che l’escussione del responsabile principale resti in tutto o in parte infruttuosa, evidentemente preoccupata di evitare generalizzazioni ed equiparazioni che avrebbero posto sullo stesso piano condotte di ben differente peso, passibili invece di corrispondente addebito.
Tale orientamento giurisprudenziale ha trovato autorevole avallo nella sentenza della Corte costituzionale n. 453/1998 cit. e conferma negli sviluppi giurisprudenziali successivi, a partire dalla sentenza delle Sezioni Riunite n. 4/QM del 19 gennaio 1999, nella quale si afferma che la differente efficienza causale che va riconosciuta alla partecipazione di chi agisce con dolo ed il differente peso che è stato attribuito alla obbligazione che fa carico all’autore che abbia tenuto un comportamento doloso richiedono anche una differenziazione delle modalità realizzative del ripristino del patrimonio pubblico offeso. Manca nella norma di cui al comma 1-ter ogni accenno alla regola della parziarietà nella ipotesi di responsabilità per danni derivanti da deliberazione adottata da organi collegiali.
Ad un iniziale orientamento affermativo in ordine alla solidarietà, sulla base dell’argomento secondo cui l’organo collegiale non esprime volontà distinte di più persone ma una solo volontà unitaria ed inscindibile, è prevalso l’indirizzo giurisprudenziale favorevole all’opposto principio della parziarietà espresso dalla sentenza delle Sezioni Riunite n. 15 del 27 maggio 1999, sul presupposto che, se si esamina nella sua struttura interna, l’atto collegiale è il risultato del concorso di più condotte singole, costituite dalle espressioni di voto favorevole, che costituiscono atti a sé stanti dotati di autonomia strutturale, dovendo essere apprezzati nella loro individualità.
9. (segue) la intrasmissibilità agli eredi
Considerato ulteriore corollario della natura personale della responsabilità amministrativa, il principio di intrasmissibilità della obbligazione risarcitoria agli eredi è stato affermato, inizialmente, in termini assoluti, con riferimento ai dipendenti ed amministratori degli enti locali (art. 58 legge 142 del 1990), sebbene riferito impropriamente alla responsabilità, e ben presto esteso ai dipendenti ed amministratori delle regioni, delle U.S.L. e degli enti ospedalieri disciolti, sia pure attenuato con la previsione della trasmissibilità del debito nei limiti dell’arricchimento (art. 1 decreto-legge 27 agosto 1993 n. 324, convertito nella legge 27 ottobre 1993, n. 423).
Si suole dire che è chiamato a rispondere del danno erariale unicamente il responsabile del danno, considerata l’impossibilità o estrema difficoltà per gli eredi di difendersi in relazione alla contestazione di un danno erariale
Si ritiene, sia in giurisprudenza sia in dottrina, che quella della intrasmissibilità rappresenti una connotazione propria della responsabilità amministrativa, a proposito della quale non è più il caso di parlare di deroga al sistema civilistico che stabilisce il principio della devoluzione all’erede del patrimonio del defunto e, con esso, della successione nella totalità dei rapporti attivi e passivi che facevano capo al de cuius (artt. 752 e 754 c.c.).
In materia, la Corte di cassazione (a Sezioni Unite) ha affermato che la disciplina complessivamente dettata dall’art. 1 della legge n. 20 del 1994 non introduce delle ” deroghe” al sistema civilistico, trattandosi invece di una specifica scelta legislativa in merito alla normativa disciplinatrice della responsabilità amministrativa
Sin qui l’accordo, in quanto le opinioni divergono in ordine alle ricadute del principio sulla natura della responsabilità amministrativa, sostenendosi da una parte che questa caratteristica (insieme a quella della personalità, v. supra) non può spiegarsi altrimenti che con il riconoscimento della natura sanzionatoria della responsabilità e dall’altra, invece, che l’affermazione legislativa non è tale da snaturare l’istituto, che tradizionalmente viene considerato appartenente al novero delle responsabilità patrimoniali.
Una parte della dottrina si spinge più oltre, affermando che la regola della in trasmissibilità, che era propria del diritto romano, non riguarda la struttura del rapporto, ma una vicenda di questo, cioè l’estinzione della obbligazione per il decesso dell’obbligato (salvo l’indebito arricchimento degli eredi). La regola della intrasmissibilità non è, però, assoluta, un quanto il “debito” si trasmette agli eredi – ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 20 del 1994 – nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi.
Si è detto in proposito, nella dottrina giuscontabilistica – e l’osservazione coglie nel giusto – che, a seguito della limitazione della trasmissibilità del “debito” ai soli casi di illeciti arricchimenti, si è venuto a configurare sul piano legislativo un doppio regime delle obbligazioni risarcitorie, caratterizzato, da una parte, dalla ( parziarietà e ) intrasmissibilità per via ereditaria delle obbligazioni riferibili ad illeciti colposi e, per converso, dalla (solidarietà e) trasmissibilità riferibili ad illeciti dolosi. Le deroghe al regime della intrasmissibilità della obbligazione risarcitoria sono state inquadrate dalla dottrina nell’ambito del principio generale del divieto dell’arricchimento senza giusta causa, espresso dal brocardo nemo locupletari possunt cum aliena jactura, tant’è che non è sufficiente l’illecito arricchimento del dante causa ma è necessario anche che questo si sia trasferito a vantaggio dell’erede con la successione.
Sul punto, peraltro, la giurisprudenza è incline ad affermare che per quanto riguarda l’indebito arricchimento degli eredi la legge porrebbe una presunzione juris tantum che esso sia conseguente a quello del loro dante causa, nel senso di dare non per scontato ma come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, che dall’arricchimento del dante causa derivi l’arricchimento degli eredi. Detto altrimenti: se sussiste l’illecito arricchimento del de cuius si presume che gli eredi si siano indebitamente arricchiti
Tale soluzione è stata criticata dalla dottrina, in quanto si risolve in definitiva in una inversione dell’onere della prova, che non è prevista da alcuna espressa norma in proposito, dappoichè è a carico dell’erede l’onere di provare che nessun vantaggio egli abbia conseguito per effetto dell’illecito arricchimento del dante causa.
Una questione che ha riflessi di ordine processuale è se la azione nei confronti degli eredi si configuri come prosecuzione dell’azione di responsabilità iniziata contro il dante causa o come una azione nuova e diversa rispetto a quella già proposta, qualificata come azione di indebito arricchimento. In quest’ultimo caso, il decesso del responsabile in corso di giudizio innanzi alla Corte dei conti darebbe luogo non all’interruzione dello stesso e alla riassunzione nei confronti degli eredi innanzi alla Corte dei conti, ma alla sua estinzione, con eventuale nuova proposizione di altra azione, da esercitare davanti al giudice ordinario.
Sul punto, ha avuto occasione di pronunciarsi la Corte di Cassazione, in sede di regolamento della giurisdizione, affermando, sulla base di argomenti testuali, che trattandosi del medesimo debito, identico deve essere il regime processuale dello stesso, sia in capo all’autore dell’illecito, sia a quello degli eredi, respingendo la ricostruzione dell’obbligazione degli eredi secondo il modello dell’indebito di diritto comune, con devoluzione della materia alla giurisdizione del giudice ordinario, e, quindi, affermando la giurisdizione della Corte dei conti. Per i giudizi definiti con sentenza passata in giudicato, è stata sostenuta nella giurisprudenza di merito (Trib. Udine, 25 gennaio 2007) la tesi della trasmissibilità, in quanto, qualora il decesso del pubblico dipendente e la relativa apertura della successione mortis causa siano intervenuti dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato il fatto causativo di danno erariale, l’obbligazione risarcitoria deve considerarsi già sorta in capo all’agente responsabile e già rientrante nel suo patrimonio.
Pronunce contrastanti sono state emesse dai giudici contabili in ordine alla trasmissibilità agli eredi del debito per il danno all’immagine che ne sia derivato. La soluzione negativa, sebbene da taluno criticata in dottrina, appare preferibile, non potendosi ritenere verificato, per tale profilo, un arricchimento del dante causa quale diretta conseguenza del pregiudizio sofferto dall’amministrazione lesa.
(*) Consigliere della Corte dei conti.
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