Turn over negli EE.LL. dopo la manovra finanziaria

R. NOBILE, Le conseguenze della recente manovra finanziaria sul turn-over del personale nei Comuni e nelle Province*.



RICCARDO NOBILE*

Le conseguenze della recente manovra finanziaria sul turn-over del personale nei Comuni e nelle Province



1. Introduzione.

Sia pure con alterne fortune, il legislatore ci ha abituato ad azioni penetranti in materia di controllo della spesa di personale. La sede usuale nella quale intervenire è di regola la cosiddetta “legge finanziaria”. Da qualche tempo ad essa si affianca con continuità la manovra estiva di correzione dei conti pubblici. Le ragioni dell’intervento del legislatore sono chiare: l’indebitamento del sistema paese – al quale concorrono in modo non trascurabile gli enti locali territoriali – deve essere mantenuto sotto constante controllo, adottando le appropriate misure di contenimento e di regolazione. Soprattutto per evitare il consolidarsi di spese correnti che si stabilizzano nel tempo, rendendo disagevole garantire che il rapporto fra ricchezza prodotta e spesa del sistema paese possa vulnerare il rispetto del patto di stabilità e crescita che vincola l’Italia all’Unione Europea.

Ciò è accaduto puntualmente proprio con l’art. 14, comma 7 del D.L. 31/5/2010, n. 78, disposizione assoggettata ad un intervento di maquillage normativo, pur non essendo estranea a puntualizzazioni e precisazioni da parte della Legge di conversione 30/7/2010, n. 122.

La lettura della novella legislativa non lascia scampo. Le pubbliche amministrazioni non possono ignorarne la portata. Perché la sua formulazione non ammette letture peregrine. Anzi, obbliga al rigore, logica conseguenza della ratio legis. Ossia della finalità sottesa al D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122. La quale deve indurre ad un’ermeneutica tutta orientata al conseguimento del risparmio di spesa. Sicché, nel dubbio, l’interprete deve volgersi nella direzione voluta dal legislatore: il contenimento e la morigerazione della spesa di personale. Non può infatti sfuggire che la spesa di personale stabilizza spesa corrente e finisce col determinare irrigidimento del bilancio di previsione e col ridurre il saldo di virtuosità del singolo ente locale territoriale.

2. Province e Comuni assoggettati al patto di stabilità e crescita.

L’art. 14, comma 7 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122 ha riscritto l’art. 1, comma 557 della Legge 27/12/2006, n. 296, aggiungendovi gli artt. 557 bis e 557 ter e rideterminando i contenti di una norma-chiave in materia di patto di stabilità e crescita per i comuni e per le province. Per giunta, imponendo una specifica sanzione in caso mancata osservanza del precetto: il divieto di assunzione a qualunque titolo. Penalizzazione ordinamentale prima non prevista.

Ecco perché per gli enti locali tenuti al concorso al patto di stabilità e crescita è d’obbligo ridurre le spese di personale. Obbligo che è stato bene esplicitato dalla Corte dei conti – Sezione autonomie nella deliberazione 21/12010, n. 3/SEZAUT/2010/QMIG, dalla quali si evince con chiarezza il parametro cui fare riferimento nell’an e nel quantum secondo modalità caratterizzate da continuità e progressività. Paradigma che “non può non essere rappresentato dalla omologa voce di spesa dell’anno immediatamente precedente, in quanto, dall’interpretazione sistematica delle leggi finanziarie succedutesi a partire dal 2007, emerge la volontà del legislatore di incentivare un meccanismo volto a realizzare una riduzione strutturale della spesa per il personale in termini progressivi e costanti. E’ovvio che, per garantire la confrontabilità dei dati nei vari anni di riferimento, è necessaria la comparazione di aggregati omogenei, con le medesime voci di inclusione ed esclusione“.

Se il rigore è d’obbligo, occorre tuttavia stabilire con certezza se il suo conseguimento è di immediata operatività ovvero è destinato ad operare nel triennio in cui si articola il bilancio poliennale. Ossia in quel lasso temporale al quale le leggi finanziarie ed i relativi correttivi balneari ci hanno ormai abituato a ragionare da tempo.

Ecco il testo finale della disposizione: “l‘articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni è sostituito dai seguenti: «557. Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, con azioni da modulare nell’ambito della propria autonomia e rivolte, in termini di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento: a) riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile; b) razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con l’obiettivo di ridurre l’incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico; c) contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali. 557-bis. Ai fini dell’applicazione del comma 557, costituiscono spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale di cui all’articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonchè per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente. 557-ter. In caso di mancato rispetto del comma 557, si applica il divieto di cui all’articolo 76, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»“.

Alla novella legislativa segue in modo del tutto conseguenziale il successivo comma 8. Il quale coerentemente dispone l’abrogazione espressa dell’art. 76, commi 1, 2 e 5 del D.L. 25/6/2008, n. 112, convertito, con modificazioni nella Legge 6/8/2008, n. 133, evitando la presenza sempre insidiosa di duplicazioni normative.

Il nuovo assetto regolativo nei termini tratteggiati riguarda i soli enti locali tenuti al rispetto del patto di stabilità e crescita, ossia le province ed i comuni con popolazione anagrafica superiore ai 5.000 abitati, come ricorda l’art. 14, comma 1 del D.L. 31/5/2010, n. 78, convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122. Per comprenderne la portata è di sicuro aiuto ripercorrere lo sviluppo storico della normativa in subiecta materia.

L’art. 1, comma 557 della Legge 27/12/2006, n. 296 è giunto alla sua quarta riformulazione. Il primo testo, infatti, è stato riscritto dall’art. 3, comma 119 della Legge 24/12/2007, n. 244 per essere rimodificato dall’art. 76, comma 1 del D.L. 25/6/2008, n. 112, convertito con modificazione nella Legge 6/8/2008, n. 133, ora sostituito per tabulas.

La norma è sempre stata orientata a determinare atteggiamenti virtuosi in materia di risparmio della spesa di personale. E tuttavia, ancóra nell’ultima delle sue precedenti versioni erano ammesse deroghe. Ne è un esempio il riferimento all’art. 19, comma 8 della Legge 28/12/2001, n. 448. Eccone il testo, al quale faceva espresso rinvio proprio l’art. 1, comma 557 della Legge 27/12/2006, n. 296 nelle sue precedenti versioni: “a decorrere dall’anno 2002 gli organi di revisione contabile degli enti locali di cui all’articolo 2 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, accertano che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione complessiva della spesa di cui all’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate“.

Oggi nulla di tutto ciò è piú pensabile. Ed infatti, il punto 3 dell’art. 1, comma 557 della Legge 27/12/2006, n. 296 nel testo sostituito dal novello art. 557 ter introdotto dall’art. 14, comma 7 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito con modificazioni nella Legge 30/7/2010, n. 122 prevede che “in caso di mancato rispetto della presente norma, si applica il divieto di cui all’art. 76, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133“. La conseguenza è chiara: in caso di mancato rispetto della norma, la sanzione ordinamentale prevista è il divieto di procedere ad assunzioni: “in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno nell’esercizio precedente è fatto divieto agli enti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione“.

Di qui una prima conclusione: la novella legislativa non ammette oggi alcuna forma di deroga. Dunque, il mancato rispetto dell’art. 1, comma 557 della Legge 27/12/2006, n. 296 nel testo riscritto dalla nuova fonte di regolazione non lascia scampo: il divieto di assunzione si impone con la forza di una vera e propria sanzione ordinamentale.

Ma dopo tutto, che cosa prescrive la norma, e che ámbito temporale di applicazione ha?

Prima di tutto, è bene fare riferimento al testo della disposizione normativa. Ciò che colpisce l’interprete è il riferimento in negativo agli “oneri relativi ai rinnovi contrattuali“. Il perché è presto detto: l’art. 9, comma 17 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122 ha congelato ex lege i rinnovi contrattuali per il triennio 2010, 2011 e 2012. Dal che se ne desume che il riferimento de quo non può che riguardare il piú modesto art. 9, comma 4 della medesima fonte di regolazione. E anche in questo caso, la criotecnica seguíta dal legislatore non lascia scampo agli incrementi di spesa, imponendo recuperi dal 30/6/2010 per la parte eccedente. I quali, peraltro, non dovrebbero interessare il comparto di contrattazione in ragione dei contenuti della certificazione della Corte dei conti preventivamente alla definitiva sottoscrizione dell’ultimo contratto collettivo nazionale.

Vero è che la disposizione si cimenta con formule ellittiche riferendosi ad “ambiti prioritari di intervento” piuttosto che ad “azioni da modulare nell’ambito della propria autonomia e rivolte, in termini di principio“. La sostanza però non cambia: la norma in esame è di immediata applicazione ossia opera a partire dal 31/5/2010, data di pubblicazione del D.L. 31/5/2010, n. 78. La tesi è corroborata da tre elementi testuali. Il primo: la sua violazione è sanzionata esplicitamente. Il secondo: gli oneri contrattuali esclusi dal computo della spesa di personale sono quelli che possono soggiungere fino al 31/12/2010, ossia quelli indicati dall’art. 9, comma 4 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122. Il terzo: la ratio legis sottesa alla riforma dell’articolato normativo impone scelte immediate per evitare da súbito incrementi di spesa. Con la conseguenza di imporre in analogo modo la rimodulazione del programmi triennali di fabbisogno di personale che andassero in direzione contraria.

Risolto il problema dell’efficacia immediata della norma, non resta che investigare quali sono le azioni a disposizione degli enti locali per conseguire l’obiettivo di attuare il “contenimento della dinamica retributiva e occupazionale“. Che, nel linguaggio del legislatore significa semplicemente “ridurre la spesa di personale” nell’accezione stipulativamente indicata dal successivo art. 1, comma 557 bis riscritto dall’art. 14, comma 7 del D.L. 31/5/2010 n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122. Norma secondo cui “costituiscono spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione continuata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale di cui all’articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente“.

Ecco di séguito le azioni a disposizione degli enti locali. Non senza dimenticare che per il legislatore esse sono a contenuto meramente esemplificativo, giacché operano “in termini di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento“. Come dire: il legislatore índica tre strade, a contenuto prioritario, non impedendo – anzi, forse auspicando – che gli enti locali possano intraprenderne di concorrenti.

La prima: la “riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile“. Dunque, la spesa per il personale deve essere ridotta attraverso non meno di due azioni.

In primo luogo, diminuendo il ricorso al lavoro flessibile. Che il legislatore lo preveda è cosa piú che doverosa. Tutte le funzioni stabili dell’ente locale devono essere gestite con personale stabilmente strutturato nel contingente della singola pubblica amministrazione a sua volta calato in una dotazione organica realmente calibrata al reale fabbisogno. Il che significa attenzione all’organizzazione. La quale non è certo cosa da dilettanti. Ce lo rammenta la giurisprudenza nomofilattica della Corte dei conti, cui non resta che fare rinvio per comprendere rettamente la portata del principio ed il correlativo assetto sanzionatorio. Fra le molte si possono rammentare le sentenze della Sezione giurisdizionale per il Lazio 25/9/2000, n. 1545/2000, della Sezione II giurisdizionale centrale 22/4/2002, n. 137, della Sezione giurisdizionale per la Liguria 6/11/2003, n. 912, della Sezione giurisdizionale per l’Abruzzo 1/3/2005, n. 188, della Sezione giurisdizionale per l’Abruzzo 23/12/2005, n. 820, della Sezione giurisdizionale per la Toscana 12/9/2006, n. 505, della Sezione giurisdizionale per l’Abruzzo 26/6/2006, n. 596 e della Sezione giurisdizionale per la Lombardia 24/3/2009, n. 165 e della Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Sicilia 29/3/2010, n. 101, restando alle piú significative anche in relazione all’impatto massdediatico ed esse riservato.

In secondo luogo, le assunzioni a fronte delle cessazioni dal servizio devono essere assoggettate a riduzione. Ciò significa che prima di assumere occorre aver dimostrato l’effettiva necessità del relativo fabbisogno assunzionale. Come dire: prima di assumere, deve essere attuata una seria azione di reingegnerizzazione del processi (Business Process Reengineering) con contestuale analisi dei flussi delle attività dell’ente locale ed attivazione dei programmi di miglioramento continuo della performance individuale ed organizzativa. La quale – occorre dirlo con estrema chiarezza – è una vera e propria precondizione di legittimità del programma triennale del fabbisogno di personale e della determinazione della dotazione organica. La notazione è chiara e come tale va accolta. Un valido puntello interpretativo-applicativo è offerto dall’art. 76, comma 7 del D.L. 25/6/2008, n. 112, convertito, con modificazioni nella Legge 6/8/2008, n. 133, nel testo modificato dall’art. 14, comma 9 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122: “È fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente“. Norma che si applica a decorrere dal 1° gennaio 2011, con riferimento alle cessazioni verificatesi nell’anno 2010.

Va da sé che gli enti locali che già da ora attestano le proprie spese di personale nell’accezione prima evidenziata oltre il limite del 40% delle spese correnti – il paradigma era prima attestato al 50% – incorrono da súbito nel blocco del turn-over. La norma è di immediata applicazione, anche perché se cosí non fosse e l’ente eccedesse il limite proporzionale del 40% che lega le spese di personale alle spese correnti, allora diverrebbe logicamente impossibile garantire il rientro nei limiti normativamente previsti per il 2011.

D’altro canto, è innegabile che la disposizione normativa in esame è composta da due proposizioni ben distinte fra loro, ciascuna delle quali è lessicalmente e logicamente autonoma rispetto all’altra: la prima pone un paradigma percentuale che è índice di virtuosità dell’ente; la seconda consente, verificata la relativa condizione sospensiva di ammissibilità, di procedere a nuove assunzioni nel rispetto di un differente parametro percentuale, il cui termine di riferimento è costituito non dalle cessazioni avvenute, ma del costo delle nuove assunzioni rispetto al costo complessivo delle cessazioni dal servizio avvenute nell’anno precedente.

Proprio per questi motivi, enti virtuosi possono procedere a nuove assunzioni nella percentuale del 20% del costo delle cessazioni, tenendo presente che sono considerate nuove assunzioni anche le mobilità esterne in entrata, le reinternalizzazioni, l’utilizzazione di personale in convenzione ed in generale qualunque forma di ingresso all’impiego a tempo indeterminato alle dipendenze e sotto la direzione dell’ente locale nell’accezione indicata dall’art. 2094 c.c. Curiosamente sono tali per gli enti locali anche i trattenimenti in servizio. Ciò in quanto per questi non è riprodotta, né estensibile analogicamente il combinato disposto degli artt. 16, comma 1 del D.Lgs. 30/12/1992, n. 503 – riferito ai soli dipendenti delle amministrazioni civili dello stato – e dell’art. 72, commi 7, 8, 9 e 10 del D.L. 25/6/2008 n. 112 convertito nella Legge 6/8/2008 n. 133, cui fa rinvio l’art. 9, comma 31 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122.

La norma che percentualizza il turn-over è di dubbia compatibilità costituzionale. Non può infatti sfuggire che la Corte costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi su una vicenda simile e precisamente sulle sorti dell’art. 3, comma 60 della Legge 24/12/2003, n. 350, nella parte in cui prevedeva che le assunzioni a tempo indeterminato dovessero “essere contenute […] entro percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dell’anno 2003“. In questa vicenda il giudice delle leggi con sentenza 17/12/2004, n. 390 ha avuto agio ad evidenziare che la norma de qua non si limitava ad enunciare un mero principio di coordinamento della finanza pubblica, ma poneva un ben preciso limite paradigmatico e di dettaglio. Limite che, proprio perché specifico e puntuale, si risolveva in una “indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area [organizzazione della propria struttura amministrativa] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri […] ed obiettivi […] ma non imporre nel dettaglio gli strumenti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi“.

La seconda: la “razionalizzazione e [lo] snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con l’obiettivo di ridurre l’incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico“. Qui il messaggio è chiaro: accorpare è d’obbligo; notomizzare è un vero e proprio non sense organizzativo. Le funzioni amministrative devono essere gestite per comparti omogenei, riducendo i centri di responsabilità. A maggior ragione, diminuendo il numero dei dirigenti. Il concetto non è nuovo: ce lo ricordano sia la Legge 4/3/2009, n. 15, sia il D.Lgs. 27/10/2009, n. 150. I dirigenti devono gestire, ma soprattutto devono saper organizzare i fattori della produzione, ossia della filiera dei processi di erogazione dei servizî. E qui deve essere ricordato che le organizzazioni pubbliche sono pagate con i soldi del cittadino-utente tramite il prelievo fiscale. Ogni commento si spreca. Proprio come ogni spreco si commenta da sé.

La terza: “contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali“. I costi della contrattazione collettiva decentrata integrativa devono essere ridotti. Ciò significa che gli enti locali devono agire sulla parte variabile del fondo di produttività per garantire una progressiva riduzione dei relativi costi. Il messaggio è chiaro: la produttività deve passare non necessariamente attraverso la valorizzazione del salario accessorio. Di qui una prima conseguenza: l’incrementazione del fondo variabile attraverso il ricorso all’art. 15, comma 2 ed all’art. 15, comma 5 del c.c.n.l. 1/4/1999 non pare piú ammissibile per contrasto con la ratio legis dell’art. 1, comma 557 della Legge 27/12/2006, n. 296, nel testo modificato dall’art. 14, comma 7 del D.L. 31/5/2010, n. 78 e mantenuto in sede di conversione.

La conclusione che si può ragionevolmente trarre è ovvia: gli artt. 557, 557 bis e 557 ter continuano a considerare elemento autenticamente baricentrico il corretto esercizio della potestà organizzativa degli enti locali. Ecco perché essi sono chiamati a garantire il controllo delle dinamiche retributive attraverso un attento presidio delle loro organizzazioni. Qui vogliamo rammentare che il concetto di organizzazione è roba per palati fini. Ce lo ricorda l’étimo del termine. Il quale ci rimanda ad Aristotele ed alle sue investigazioni dei rapporti fra logica e linguaggio della scienza: organon e logos. Il tutto con l’intermediazione del lavoro: ergon.

L’organizzazione è uno strumento per garantire il conseguimento di fini. Che qui sono il sia la realizzazione del programma generale di mandato ex art. 46, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000, n. 267, sia e soprattutto soddisfacimento dei bisogni del cittadino-utente o, per essere piú pregnanti, della persona nell’accezione indicata dall’art 2 Cost. da leggere in combinato disposto con il suo successivo art. 97. La quale è sia portatrice di bisogni che l’ente locale deve soddisfare, sia il soggetto che paga i costi dell’organizzazione e che, come tale, è titolare di veri e proprî diritti fondamentali a contenuto esistenziale all’ottenimento di servizî realmente economici. Ecco che con queste premesse tutto il discorso acquista tratti autenticamente nobili e di alta levatura. I quali aiutano a comprendere il senso dei sacrificî cui tutti siamo chiamati nei momenti di crisi.

3. Comuni non assoggettati al patto di stabilità e crescita.

Considerazioni del tutto analoghe valgono per gli enti esentati dal patto di stabilità, anch’essi toccati da vicino dalla recente normativa sul contenimento delle spese di personale. Dunque, anche i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti devono cimentarsi con il problema della loro riduzione. Essi sono gravati dalla normativa in modo differente. Perché per loro non vale il riferimento all’art. 1, comma 557 della Legge 27/12/2006, n. 296 nel testo riformulato dall’art. 14, comma 7 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122.

La normativa che li riguarda viene da lontano. Il suo baricentro è costituito dall’art. 1, comma 562 della Legge 27/12/2006, n. 296. Eccone il testo: “per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2004. Gli enti di cui al primo periodo possono procedere all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, ivi compreso il personale di cui al comma 558“.

Anche in questo caso, la disposizione legislativa è stata oggetto di intervento modificativo del legislatore. Il quale vi ha provveduto con l’art. 3, comma 121 della Legge 24/12/2007, n. 244, prevedendo sensibili correttivi. La disposizione che ne è risultata faceva riferimento alla possibilità di eccedere il contingente prima delineato, chiamando in causa il loro revisore unico per impegnarlo nei termini previsti dall’art.19, comma 8 della Legge 28/12/2001, n. 448: “a decorrere dall’anno 2002 gli organi di revisione contabile degli enti locali di cui all’articolo 2 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, accertano che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione complessiva della spesa di cui all’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate“.

Tale ultima norma non è stata abrogata in termini espliciti. Piuttosto il legislatore ha preferito intervenire con la solita tecnica di crioterapia ibernativa: semplicemente congelandola.

Per comprendere gli ésiti di un tale modus operandi è sufficiente rammentare la nuova veste assunta dall’art. 1, comma 562 della Legge 27/12/2006, n. 296 dopo l’intervento correttivo attuato con l’art. 3, comma 121 della Legge 24/12/2007, n. 244. Anche in questo caso, è bene riportare il testo della disposizione normativa: “per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2004. Gli enti di cui al primo periodo possono procedere all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, ivi compreso il personale di cui al comma 558. Eventuali deroghe ai sensi dell’art. 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, devono comunque assicurare il rispetto delle seguenti condizioni: a) che il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non sia superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell’accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario, ridotto del 15 per cento; b) che il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non superi quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto, ridotto del 20 per cento“.

Su di essa si è abbattuta la scure dell’art. 14, comma 10 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122. La norma ha risolto tranchantement il problema, intervenendo sul terzo periodo dell’art. 1, comma 562 della Legge 27/12/2006, n. 296. E lo ha fatto eliminando la possibilità di ricorrere al correttivo previsto dal piú volte richiamato art. 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448. Il prodotto dell’intervento ablativo del legislatore è dunque avvenuto per sottrazione. La disposizione attualmente in vigore è di piú esili contenuti rispetto a quella originariamente prevista.

I comuni esentati dal rispetto del patto di stabilità possono assicurarsi il turn-over in modo ridotto semplicemente avvalendosi di quel che resta loro: “per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2004. Gli enti di cui al primo periodo possono procedere all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, ivi compreso il personale di cui al comma 558“.

Ecco dunque i limiti in cui i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti attualmente incorrono, non senza osservare che il riferimento al costo dei rinnovi contrattuali vale qui per quel che può contare, stante il congelamento della contrattazione collettiva nazionale di comparto per gli anni 2011, 2012 e 2013. Cui si aggiunge l’obbligo di recuperare a partire dal 1/6/2010 le eccedenze dei rinnovi che riguardano il biennio 2008-2009 qualora i relativi aumenti retributivi oltrepassino il 3,2%: proprio come dispone per tutti l’art. 9, comma 4 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122. Evenienza che non pare interessare il comparto delle autonomie locali in considerazione dei contenuti della certificazione di compatibilità resa dalla Corte dei conti nel corso della procedura dell’ultimo rinnovo contrattuale occorso.

Il primo: per gli enti in questione il turn-over è limitato quantitativamente alle cessazioni dei rapporti a tempo indeterminato occorse nell’anno precedente. Si tratta di un limite “per teste”, a prescindere dal livello di inquadramento del personale cessato. Esso è intrinsecamente chiaro, talché non val la pena di soffermarvisi.

Il secondo: la spesa complessiva di personale conseguente all’assunzione non deve eccedere l’importo desunto dalla consuntivazione dell’esercizio 2004, proprio come per gli enti vincolati al rispetto del patto di stabilità il riferimento è alla rendicontazione dell’esercizio precedente. E qui occorre prestare attenzione alla disaggregazione degli addendi. Un utile riferimento è costituito dal principio affermato dall’art. 14, comma 7 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122, per il quale “costituiscono spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione continuata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale di cui all’articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente“. Anche in questo caso occorre tener presente che sono considerate nuove assunzioni anche le mobilità esterne in entrata, le reinternalizzazioni, i trattenimenti in servizio, l’utilizzazione di personale in convenzione ed in generale qualunque forma di ingresso all’impiego a tempo indeterminato alle dipendenze e sotto la direzione dell’ente locale nell’accezione indicata dall’art. 2094 c.c.

Il terzo: la spesa complessiva di personale non deve comunque eccedere il 40% della spesa corrente in esercizio per l’anno al quale la nuova assunzione è riferita, limite che decorre dal 31/5/2010 per tutte le pubbliche amministrazioni per le ragioni che sono state evidenziate in precedenza.

Da notare che i limiti appena tratteggiati interessano anche i comuni con un contingente di personale in servizio inferiore alle dieci unità. Ciò si desume dall’eliminazione generalizzata della clausola eccettuativa prevista originariamente prevista dall’art. 3, comma 121 della Legge 24/12/2007, n. 244.

Anche per i comuni esentati dal rispetto del patto di stabilità il D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122 non lascia scampo. Tali enti, come tutte le pubbliche amministrazioni devono affrontare il problema della razionalizzazione della loro organizzazione. Per la quale il legislatore ha previsto un utile apporto da tempo caldeggiato dai piú avveduti: la gestione associata delle funzioni in ámbiti territoriali ottimali. Se ne occupa l’art. 14, commi 28, 29 e 30 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella Legge 30/7/2010, n. 122, l’ultimo dei quali grava le Regioni di una specifica responsabilità ed incombenza: determinare “la dimensione territoriale ottimale per lo svolgimento delle funzioni fondamentali di cui all’articolo 21, comma 3 della legge 5 maggio 2009, n. 42 secondo i principi di economicità, di efficienza e di riduzione delle spese“. Il tutto facendo salvo quanto disposto dal suo precedente comma 28.

Ecco un buon modo per evitare che i cosiddetti “comuni polvere” siano avviati a sicura estinzione per asfissia.

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(*) Segretario Generale della Provincia di Monza e della Brianza.

(Un ringraziamento particolare va alla dott.sa Anna De Carli, Funzionario della Provincia di Monza e della Brianza, per alcuni spunti di riflessione forniti)


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