Il danno da perdita di chances nel giudizio amministrativo

LUIGI VIOLA, Il danno da perdita di chances nel giudizio amministrativo dopo le nuove sentenze di “San Martino” della Corte di Cassazione*.



LUIGI VIOLA (*)

Il danno da perdita di chances nel giudizio amministrativo
dopo le nuove sentenze di “San Martino” della Corte di Cassazione



SOMMARIO: 1. L’emersione dal danno da perdita di chances anche nel giudizio amministrativo. 2. Chances vere, chances false e a metà. 3. Il dilemma alla base di tutto: tutto o niente o almeno qualcosa? 4. La conferma da parte delle sentenze di “San Martino” e le nuove incertezze. 5. Verso una compresenza di due modelli?

1. L’emersione dal danno da perdita di chances anche nel giudizio amministrativo.

Come ampiamente noto, la “rivoluzione” della materia della responsabilità della p.a. derivata dall’intervento di Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500 [1] ha importato l’emersione di problematiche nuove [2] (come, ad es., quella relativa al danno non patrimoniale, progressivamente emerso anche in ambito amministrativo) e la complessiva necessità di rimeditare l’assetto della materia (che al momento di intervento della sentenza appariva ormai stratificato) in termini nuovi e sempre più in sintonia con l’evoluzione della “parallela” sistematica del risarcimento del danno in ambito civilistico.

Con tutta evidenza, si tratta della storia anche del danno da perdita di chances che, dopo alcune iniziali opposizioni [3], ha cominciato a “filtrare” progressivamente anche in ambito amministrativo, soprattutto facendo leva sulle indiscutibili (e, probabilmente, anche ineliminabili) difficoltà del giudizio prognostico in materia di spettanza del bene della vita richiamato dal famoso punto 9 di Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500; difficoltà spesso tanto elevate da costringere il danneggiato ad una lunga attesa (accompagnata dalle ben note iniziative giurisdizionali “sollecitatorie” e/o sostitutive, come il giudizio di ottemperanza) fino al momento in cui la spettanza del bene della vita e la conseguenziale responsabilità risarcitoria vengano ad essere accertate, in qualche modo, dalla stessa amministrazione procedente: «nel lungo periodo l’amministrazione stessa dovrà pure provvedere legittimamente sulla domanda, ad un certo punto la situazione della spettanza si chiarirà al di fuori di ogni attività del giudice, che non sia l’annullamento, eventualmente ripetuto, degli atti illegittimi che via via l’amministrazione assuma. Ne consegue che, nella generalità dei casi, per accertare il diritto al risarcimento del danno il giudice (ma ovviamente in realtà sul piano sostanziale la parte interessata) dovrebbe attendere l’esito ultimo dell’azione amministrativa, sino a quando ad un certo punto il provvedimento richiesto gli verrà o legittimamente negato – il che in sostanza comporta che il provvedimento non spettava, e dunque il non averlo ottenuto non costituisce danno ingiusto – oppure gli verrà assegnato, con la conseguenza che l’interessato, riconosciuta finalmente la spettanza, avrà diritto al ristoro degli eventuali danni prodotti dal ritardo del rilascio del provvedimento [4]».

Più che sul filo del “giudizio di spettanza” di cui al punto n. 9 di Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500, il legame con il risarcimento da perdita di chances si è pertanto sviluppato sulle insufficienze del detto giudizio e sulle conseguenziali difficoltà di pervenire ad un giudizio prognostico conclusivo ad opera del giudice in presenza di poteri discrezionali o nelle procedure concorsuali in cui sia completamente mancata l’indizione della gara; nel corso degli anni, è risultato pertanto sempre più evidente come esistesse (o dovesse esistere) «una via per pervenire ad una differente soluzione e/o ricostruzione sistematica della questione» e come il giudice amministrativo fosse sempre più convinto «della necessità di doversi allontanare, sul punto, dalle linee interpretative indicate dalla Sezioni Unite della Cassazione per ricorrere, piuttosto, al concetto della perdita della chance o del danno da ritardo nell’adozione del provvedimento [5]».

Già a partire dal dicembre del 1999, hanno pertanto cominciato ad emergere, nella giurisprudenza dei T.A.R., decisioni [6] che hanno prospettato il ricorso, sia pure senza prendere posizione sui temi centrali del nesso di causalità e della quantificazione dell’obbligazione risarcitoria, alla tecnica del risarcimento da perdita di chances nella materia dei contratti pubblici; anche a livello di Consiglio di Stato è poi possibile rintracciare, almeno a partire dal 2001 [7], una giurisprudenza tesa ad affermare la risarcibilità, in linea di principio, del danno da perdita di chances nelle ipotesi in cui «non è possibile una valutazione prognostica e virtuale sull’esito di una gara che non c’è mai stata», sia pure in un contesto in cui il risarcimento per equivalente non veniva poi accordato, essendo ancora possibile il risarcimento in forma specifica mediante rinnovazione della gara.

Nel 2006 [8], la giurisprudenza del Consiglio di Stato, registrava poi una decisione [9] che, sulla base di una perspicua ricostruzione della materia, concedeva il risarcimento da perdita di chances in una procedura di gara, ritenendo raggiunta la prova di «una elevata probabilità di aggiudicarsi l’appalto», in ragione del minimo divario di punti tra l’aggiudicataria e la ricorrente; particolarmente interessante risulta la motivazione della decisione, basata anche sulla rilevazione dei possibili effetti disfunzionali del “giudizio di spettanza”: «il giudizio sulla spettanza ossifica eccessivamente, in tali casi, l’azione amministrativa e posticipa irragionevolmente le possibilità di ottenere il risarcimento, costringendo il giudice a pronunciare una sentenza di inammissibilità dell’azione risarcitoria per difetto di presupposti e rimettendo in moto l’azione amministrativa, che, nel riesercizio del potere, si presenta paradossalmente scissa fra necessità di ottemperare al giudicato e timore di ingenerare i presupposti per l’esperimento dell’azione di danni [10]».

Tra alti e bassi, siamo pertanto in presenza di un processo di progressiva emersione del risarcimento da perdita di chances nel diritto amministrativo [11] che si evidenzia già pochi mesi dopo l’intervento di Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500, per arrivare ai giorni nostri.

In sostanziale linea con una delle costanti del dibattito in materia, si è però finora parlato di risarcimento da perdita di chances senza definire in maniera precisa l’istituto; il prosieguo del nostro discorso ha pertanto necessità di una preliminare definizione dell’istituto come tratteggiato dalla giurisprudenza civilistica (e poi amministrativistica) in materia.

2. Chances vere, chances false e a metà.

Come ampiamente noto, la tecnica del risarcimento da perdita di chances [12] nasce, in ambito civilistico, in Francia [13], per poi estendersi ai paesi anglosassoni ed anche all’Italia; in particolare, emerge nell’ambito italiano in una particolare vicenda (relativa ad alcuni lavoratori avviati numericamente dall’ufficio di collocamento e non ammessi all’espletamento delle prove preliminari all’assunzione) definitivamente decisa da una storica decisione della Sezione Lavoro della Corte di cassazione, nel senso della risarcibilità della «perdita della possibilità di conseguire un risultato utile, possibilità esistente nei loro patrimoni al momento in cui hanno subito il comportamento illecito dell’azienda e la lesione del diritto [14]».

Per quello che riguarda l’aspetto definitorio, si sono spesso utilizzate (e si utilizzano) definizioni abbastanza generiche che definiscono il «danno da perdita di chance …. come la perdita di un’occasione favorevole o, il danno da perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale che consiste – in termini fenomenologici – nel venir meno per l’appunto di una ragionevole probabilità di raggiungere un risultato auspicato o di evitarne uno non desiderato [15]»; nelle opere più recenti non mancano però autori che preferiscono non dettare una propria definizione, limitandosi ad utilizzare, ai fini definitori, la differenza tra chance al singolare, che «assumerebbe un significato prossimo ai termini alea o rischio» e chances al plurale che indicherebbe «la probabilità con cui un evento può presentarsi in una serie di casi [16]».

Quello che è certo è che si tratta di una giurisprudenza che «ha usato, e continua ad usare, questa categoria della chance in modo largamente indiscriminato o – forse più esattamente – in modo essenzialmente empirico» e che spesso utilizza la categoria della chance per ridire in modo nuovo cose da tempo conosciute sotto le nomenclature del lucro cessante, del danno reddituale o delle conseguenze ulteriori e che, sotto tali nomenclature, non sembravano, per lo più, proporre al sistema della responsabilità (tanto contrattuale che aquiliana) questioni particolarmente controverse, se non per aspetti che concernevano il …profilo della quantificazione del danno» [17].

Conseguenza di questo empirismo e dell’affastellamento di concetti diversi è poi il sostanziale spostamento delle vere e proprie problematiche definitorie, dall’individuazione generale della categoria della chance, alla delineazione di due diverse tipologie di chance, caratterizzate da una sistematica praticamente opposta e simmetrica [18] e sintetizzate in due diverse “tesi” sulla consistenza della chance.

La prima impostazione è costituita dalla tesi cd. eziologica o della «falsa chance [19]» che identifica la chance «con un “bene astratto” e futuro, ossia un bene che il danneggiato avrebbe probabilmente ottenuto se non vi fosse stato il comportamento illecito altrui, appunto un’occasione persa»; la chance «si configurerebbe (pertanto) come un mezzo per dimostrare in modo meno rigoroso, ove sia particolarmente difficile fornire la prova, il nesso intercorrente tra la condotta illecita e l’evento [20]».

In questa logica, la chance viene pertanto riportata nell’ambito del lucro cessante e non del danno emergente, e viene ad integrare, oltre ad una particolare tipologia del cd. “danno futuro”, anche un sostanziale «escamotage per superare le difficoltà dell’accertamento del nesso di causa in ordine ad un evento finale auspicato dal danneggiato [21]».

All’interno di questo orientamento, non mancano pertanto decisioni che inseriscono espressamente la definizione della chance risarcibile all’interno della problematica più generale del nesso causale, istituendo una “scala decrescente” che parte dalla causalità rigorosa dei giudizi penali per poi arrivare alla «causalità civile “ordinaria”, attestata sul versante della probabilità relativa (o “variabile”), caratterizzata, specie in ipotesi di reato commissivo, dall’accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale….(ed obbediente) alla logica del “più probabile che non”» ed al successivo livello (l’ultimo della scala) costituito dalla «causalità da perdita di chance, attestata tout court sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato …., da intendersi, rettamente, non come mancato conseguimento di un risultato soltanto possibile, bensì come sacrificio della possibilità di conseguirlo, inteso tale aspettativa … come “bene”, come diritto attuale, autonomo e diverso rispetto a quello alla salute [22]».

In buona sostanza, si tratta pertanto di una tesi che attribuisce alla chance il ruolo (tutto sommato limitato) di sostanziale alleggerimento delle regole in materia di prova del nesso causale, imposto da esigenze di politica del diritto (in buona sostanza, le difficoltà probatorie presenti in determinate materie e la necessità di attribuire tutela ad interessi che risulterebbero, in mancanza, esclusi dalla tutela risarcitoria), ma che continua a seguire le movenze di una sistematica che si muove prevalentemente all’interno delle teorie della causalità.

Del tutto diversa l’impostazione della cd. tesi ontologica (o, nella versione di François Chabas, della «vera chance») che, al contrario, identifica la chance con un «un bene che esiste nel patrimonio del danneggiato e che va risarcito quale danno attuale da tenere distinto, ….dal bene finale che l’interessato aspira a ottenere o a conservare [23]»; in questo caso, il danno sarà pertanto da riportare alle categorie del danno attuale e del danno emergente [24] ed il danneggiato dovrà provare, sotto il profilo causale, la lesione della chance, «nella sua effettiva consistenza e nella sua derivazione causale dal comportamento del danneggiante [25]» e non la probabilità del cd. danno finale.

Una sistematica in cui, «in pratica, evento di danno e conseguenze dannose astrattamente risarcibili coincidono, poiché altro è la perdita di chance intesa come danno, in sé, risarcibile, quale è quella di cui qui si discute; altro è il danno da perdita di chance, quale conseguenza dannosa risarcibile di un diverso evento di danno, dato dalla lesione di altro bene giuridico, quale ad esempio …. il diritto alla salute. In questa seconda accezione, la perdita di chance rileva soltanto sotto il profilo della consequenzialità immediata e diretta ex articolo 1223 c.c., rispetto alla lesione, già accertata come causalmente connessa alla condotta dell’agente, dell’integrità psico- fisica; nella prima accezione la perdita di chance è, in sé, danno evento causalmente connesso alla condotta dell’agente [26]».

Da tenere presente ai fini che ci occupano è poi la stessa origine storica della tesi cd. ontologica espressamente riportata al momento in cui «il quadro cambia, ….quando, sullo scorcio del secolo appena trascorso, la responsabilità si apre a due fenomenologie di pregiudizi che, fino a quel momento, l’avevano investita in modo abbastanza marginale: la responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie (ma anche, più in generale, dei professionisti) per i pregiudizi subiti dai pazienti (o clienti) e la responsabilità della Pubblica Amministrazione per il danno causato ai privati dal proprio agire provvedimentale illegittimo [27]».

Siamo pertanto in presenza di due sistematiche simmetricamente opposte in cui la probabilità di conseguire il risultato sperato o di mantenere il bene della vita, «nella prospettiva ontologica, una volta dimostrato il fatto illecito, l’evento e il nesso di causalità, … incide sulla quantificazione del danno da perdita di chance e non sulla prova della sua esistenza, mentre nella prospettiva eziologica la probabilità rileva già nell’indagine sull’esistenza del danno, ossia “per poter assumere la natura di bene giuridico rilevante” [28]»; in questa seconda prospettiva a base eziologica appare pertanto inevitabile l’apertura di un “terzo fronte” relativo alla rilevanza del nesso eziologico sul piano probabilistico ovvero ad una problematica che ha spesso trovato espressione in modelli giurisprudenziali orientati per il risarcimento esclusivamente della «chance la cui probabilità di conseguimento del risultato finale utile …. sia superiore al 50% [29]».

Un panorama giurisprudenziale essenzialmente polarizzato quindi su due opposte tesi ricostruttive, ma che spesso ammette “ibridazioni” ed evidenzia possibili “terze tesi”.

In questa prospettiva, non è, infatti, mancato chi ha ritenuto di poter individuare, nella giurisprudenza civile in materia di responsabilità medica o concorsi, una «terza via ermeneutica (c.d. tesi intermedia) … basata sulla distinzione tra perdita del bene futuro e perdita di chance, considerati due beni giuridici diversi, in relazione a ciascuno dei quali va accertato in via autonoma il nesso causale. Il danno futuro derivante dalla definitiva perdita, a causa del comportamento altrui, del bene ultimo avuto di mira è risarcito quale lucro cessante, la chance in senso stretto, intesa quale lesione della possibilità di raggiungere il risultato sperato, è, invece, risarcita come danno emergente [30]»; in questo caso e come sarà successivamente chiarito, più che di una «terza via ermeneutica» siamo però in presenza della prospettazione in giudizio di due domande risarcitorie, in realtà, riferite a due differenti beni della vita, che di una figura “ibrida” e unitaria, risultante dalla combinazione delle due diverse tesi.

Anche in ambito amministrativo, la progressiva recezione della teoria del risarcimento da perdita di chances ha finito con l’evidenziare la dicotomia tra tesi eziologica e tesi ontologica già emersa in sede civile [31]; anche in questo caso, non è però mancata l’emersione di terze tesi.

È il caso, ad esempio, della «terza posizione mediana» richiamata da Ingegnatti che, «al fine di superare l’ impasse tra chance risarcibile e chance irrisarcibile, …(ha riconosciuto) la risarcibilità del danno in presenza di una effettiva probabilità di riuscita; probabilità che non necessariamente deve essere fornita in termini di certezza o prossimi alla certezza, ma che può essere anche medio-bassa, rapportata al singolo caso concreto, in chiave di probabilità logica (più probabile che non) volta a far ritenere che il ricorrente avesse una seria possibilità di conseguire il bene della vita anelato [32]»; o, ancora, del «terzo orientamento intermedio» di Giagnoni che «riconosce espressamente l’autonomia della chance quale bene giuridico a sé stante facente parte del patrimonio del danneggiato (teoria ontologica), ma ritiene di poter risarcire esclusivamente la chance la cui probabilità di conseguimento del risultato finale utile (l’aggiudicazione) sia superiore al 50% [33]».

Al di là di ogni considerazione in ordine alla riuscita delle “ibridazioni” sopra richiamate ed alla coerenza interna dei diversi orientamenti, risulta immediatamente evidente come la presenza degli orientamenti intermedi sopra richiamati confermi, piuttosto che confutare, la rilevazione iniziale in ordine alla natura estremamente empirica della costruzione giurisprudenziale ed alla sostanziale eterogeneità dei contenuti versati nel contenitore del risarcimento da perdita di chances.

Un primo tentativo di mettere ordine nella materia è stato operato dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato che, con un’ordinanza abbastanza recente [34], ha sollecitato l’Adunanza plenaria a prendere posizione sulla «dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 Cod. civ., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio. La teoria eziologica intende invece la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante».

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato [35] ha però restituito gli atti alla Sezione ex art. 99, 1° comma c.p.a., ritenendo che la questione fosse già stata parzialmente decisa, per effetto della «fissazione con sentenza della consistenza della chance di aggiudicazione mediante gara ….nella misura del 20% , (fissazione che) da una parte potrebbe far ritenere in qualche modo già effettuata, implicitamente, una opzione per uno dei metodi – ontologico o eziologico – utilizzati dalla giurisprudenza e, dall’altra, potrebbe porre un problema di coerenza tra l’affermazione, nei sensi sopra esposti, della consistenza della chance e la questione della risarcibilità della medesima, apparendo i due profili, sopra indicati, strettamente correlati [36]».

Al di là di ogni considerazione in ordine alla correttezza o meno della soluzione processuale posta a base dell’ordinanza dell’Adunanza plenaria [37], risulta di immediata evidenza come la querelle in ordine alla consistenza della perdita di chances risarcibile ed alla necessità di aderire alla tesi eziologica o alla tesi ontologica sia sempre all’ordine del giorno e meriti ulteriori approfondimenti e, certamente, anche ulteriori sottoposizioni all’Adunanza plenaria.

In termini generali, è poi assolutamente evidente come l’intera problematica abbia seguito uno strano itinerario concettuale; ci si è, infatti, innamorati del risarcimento da perdita di chances ed imbarcati nella querelle tra tesi eziologica e ontologica, cercando di desumere argomentazioni favorevoli alla propria tesi dagli elementi più disparati (compresa l’etimologia [38]), senza prima definire la sostanza e i limiti precisi della figura.

Ne è risultato un dibattito abbastanza strano in cui tutti ritengono necessario aderire all’una o all’altra impostazione (che corrisponderebbe alla “vera” essenza della chance), dimenticandosi che non esiste una definizione della chance e che tutto deriva da una giurisprudenza molto empirica e che incasella argomentazioni e tecniche spesso molto differenti.

Piuttosto che insistere nel dibattito astratto sull’essenza della “vera” chance, risulta pertanto più proficua e interessante (almeno ad avviso di chi scrive) l’analisi di alcune caratteristiche e contenuti degli orientamenti giurisprudenziali spesso riportati all’etichetta del risarcimento da perdita di chances; solo in questo modo sarà, infatti, possibile «superare il carattere fondamentalmente empirico che la nozione di chance ancora presenta [39]» e cercare di procedere ad una sistematizzazione di una materia che definire magmatica è, forse, limitativo.

3. Il dilemma alla base di tutto: tutto o niente o almeno qualcosa?

Una recente dottrina ha riportato l’attenzione su quello che, in verità, era sotto gli occhi di tutti, ovvero che «il diritto della responsabilità civile segue tendenzialmente la regola del “tutto o niente”. Se il danneggiato prova il nesso causale ottiene il risarcimento per intero, se non lo prova non ottiene alcunché [40]»; ed in effetti, si tratta di un’impostazione d’origine anglosassone assai risalente che «si regge sull’argomento per cui un limite rigido è necessario per garantire la certezza del diritto, ma soprattutto risulta essere una conseguenza logica dell’onere probatorio: o il giudice ritiene il fatto provato o non lo ritiene tale, tertium non datur. Conseguentemente il risarcimento è intero o non è affatto [41]».

A ben guardare, anche il “giudizio di spettanza” di cui al già richiamato punto n. 9 di Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500 si mantiene all’interno della logica del “tutto o niente”, richiedendo che, in ipotesi di interessi pretensivi, la concessione del risarcimento debba necessariamente passare attraverso l’accertamento, secondo un giudizio prognostico, della spettanza integrale del bene della vita posto a base dell’intera vicenda; la dottrina civilistica ha pertanto riconosciuto che, ove ci si trovi in presenza di poteri vincolati ed il giudizio di spettanza sia ancora possibile, «non si hanno da dare numeri statistici, ma si ha, invece, da effettuare – sempreché, si badi, sia giuridicamente ammissibile… quel che la giurisprudenza, soprattutto amministrativa, chiama giudizio prognostico, ossia si ha da riprodurre in via – per così dire – simulata (o incidentale) il procedimento, amministrativo o giudiziario illegittimamente esperito sulla base delle norme che al tempo in cui era stato esperito regolavano la fattispecie e di quel che ci si sarebbe dovuto attendere dall’applicazione della loro interpretazione prevalente [42]».

Le cose ovviamente si complicano nell’ipotesi in cui «il giudice ha margini di apprezzamento della probabilità del nesso causale e dunque arriva a ritenere, ad esempio, come probabile l’esistenza di tale nesso (o, meglio, più probabile che no)»; in questi casi, anche se «la valutazione è di tipo probabilistico, il giudice è (infatti) costretto ad ammettere o a negare per intero il risarcimento, come se il nesso causale fosse accertato (o negato) con certezza [43]».

Inutile negare però come si tratti di un procedimento logico fondato sulla «preponderance of evidence [44] » che lascia più di un’amarezza in capo agli operatori ed allo stesso giudice: «in realtà, è (infatti) problematico dire di una probabilità che oscilla, ammettiamolo tra il 40% ed il 60% che equivale ad una certezza assoluta, vale a dire negare o ammettere completamente il risarcimento»; ancora più problematico è ammettere «che se il danneggiato dimostra che con una probabilità del 50% più uno è stata la condotta del danneggiante ad aver causato il danno, (e) lucra il risarcimento dell’intero pregiudizio, ma se invece risulta probabile che il danneggiante abbia causato il danno solo al 49% allora il danneggiato non ottiene alcunché di risarcimento [45]».

Inutile pertanto negare come, «sotto un profilo di politica del diritto, … se si ritiene raggiunta una probabilità del 51%, concedere l’integrale risarcimento significa sovraindennizzare la vittima e viceversa [46]».

Pur con tutti i dubbi e le insoddisfazioni del caso, risulta però evidente come il ricorso al famoso limite del 50% più 1 risulti, in un certo senso, necessario per mantenere uniti il principio del “tutto o niente” (come già detto, geneticamente derivante dal principio dell’onere della prova) ed il ricorso al criterio probabilistico che risulta indubbiamente necessario soprattutto nelle nuove fattispecie di danno (come ad es., in ambito sanitario e/o ambientale) caratterizzate da evidenti difficoltà nella ricostruzione dei relativi processi eziologici [47]; in questa prospettiva, riconoscere ad un fattore che ha solo il 50% più 1 di probabilità di causare un evento il ruolo di causa dello stesso, pur essendo facilmente contestabile sul piano logico, viene sostanzialmente ad integrare una di quelle finzioni che abbondano in ambito giuridico e che, secondo alcune impostazioni, ne costituiscono l’essenza [48].

Per quello che riguarda la giurisprudenza, a partire dalla sentenza 16 ottobre 2007, n. 21619 [49] della Terza Sezione Civile, anche la Corte di Cassazione ha cominciato a familiarizzarsi e ad utilizzare modelli di ricostruzione del nesso causale fondati sul principio del «più probabile che non, efficace e felice espressione, in chiave civilistica, del criterio/ragionamento probatorio della “probabilità logica” … poi ribadito costantemente dalla stessa Cassazione [50]».

L’insoddisfazione per le possibili incongruenze del ricorso al criterio del «più probabile che non» nella versione meccanicistica richiamata alle pagine precedenti è però rimasta ed ha trovato espressione, nel corso degli anni, in modelli di sentenza orientati a temperare il ricorso al criterio puramente statistico/probabilistico del 50% più 1 con il ricorso ad un criterio di «probabilità logica o baconiana», teso a bilanciare il ricorso alla probabilità statistica con «le evidenze processuali …. (in modo tale da ricondurne) il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto [51]»; ed è stata proprio quest’impostazione “mediana” ad essere stata recepita dalle tre decisioni della Corte di Cassazione a Sezioni Unite [52] che hanno operato il (probabilmente definitivo) passaggio all’applicazione della regola causale del «più probabile che non», in una versione che praticamente non considera più indispensabile il ricorso al “feticcio” probabilistico del 50% più 1.

Al di là del temperamento sopra individuato, un’altra parte della giurisprudenza ha preferito seguire un’altra strada ed ha cominciato ad utilizzare modelli di sentenza, in un certo senso, più radicali e fondati sull’espediente di «fare astrazione dal danno effettivo (la morte, ad esempio, del paziente), sostituendolo con un diminutivo astratto (la perdita di chance di sopravvivere)»; espediente che permette di «evitare gli effetti rigorosi del “tutto o niente”» e «garantire il risarcimento anche nei casi in cui non è raggiunta la prova (rectius il grado di prova richiesto) del nesso causale [53]».

Un modello sostanzialmente opposto rispetto a quello del “tutto o niente” sopra richiamato e che è stato sintetizzato, nel titolo del paragrafo, nella locuzione “almeno qualcosa”; la naturale graduabilità della chance permette, infatti, di concedere al danneggiato un risarcimento che risulta del tutto alieno da soglie di rilevanza (il famoso 50% più 1 della regola del “tutto o niente”) e può pertanto essere quantificato in proporzione della perdita di chances intercorsa; non a caso, si tratta di un criterio che, nell’esperienza del diritto amministrativo francese, viene riportato ad una «logique proportionnelle [54]» fondamentalmente opposta alla «logique du tout ou rien».

Con tutta evidenza, si tratta di un’impostazione che, almeno in linea di principio ed in mancanza delle precisazioni concettuali più oltre richiamate, suscita più di una perplessità sotto il profilo dell’ammissione di una qualche forma di responsabilità parziaria per una causalità incerta (come già detto, sostanzialmente contrastante con il principio dell’onere della prova), dell’aumento dei costi per il danneggiato [55] e delle problematiche connesse [56]; proprio per questo, hanno cominciato ad affacciarsi in dottrina, soprattutto negli ultimi anni, tesi orientate verso una sostanziale delimitazione delle fattispecie trattabili secondo la «logique proportionnelle» sopra richiamata.

Tutto ruota intorno alla necessità logica di costruire la chance come bene autonomo: «se la chance è un’entità autonoma, vuol dire che è il riferimento di un autonomo interesse, che è quello di non vedersi lesa una certa probabilità. E questo interesse deve conservare, come del resto declama la giurisprudenza, una sua autonomia rispetto a quello leso dal danno finale; così che l’interesse a non perdere la probabilità di guarire deve essere distinto da quello a non subire una definitiva lesione della salute»; «l’autonomia della chance, ossia la sua dimensione di bene autonomo (la giurisprudenza italiana usa il termine “entità”) significa innanzitutto autonomia dal bene finale, così che la perdita di una chance di guarire è di suo un danno, a prescindere da come il danno finale (la mancata guarigione) si atteggerà alla fine, ed anche a prescindere dalla circostanza se sarà o meno imputabile al medico [57]».

Ai fini della giustificazione dell’utilità del ricorso al danno da perdita di chances, risulta pertanto indispensabile l’individuazione di una posizione soggettiva che non costituisca un sostanziale “doppione”, formulato in termini probabilistici e sostanzialmente indistinti [58], dell’interesse finale, ma che possa mantenere una sua autonomia, pur in un contesto che (del tutto ovviamente) non può non evidenziare una certa contiguità con il bene finale ed una qualche difficoltà definitoria.

Del resto, la ricerca sopra richiamata appare del tutto naturale e necessitata in un contesto in cui «la perdita della chance è di natura essenzialmente normativa: si riferisce piuttosto a diritti e norme che non a causalità e fatti [59]» e costruire giuridicamente la chance come entità giuridicamente e patrimonialmente autonoma non vuol dire affatto riempire «un vuoto giuridico … ciò che vi è – o che potrebbe esservi – sembra costituire un quid giuridico, distinto e autonomo dal risultato finale, e dunque un quid che, già in quanto tale, potrebbe essere idoneo ad attivare la tutela risarcitoria e divenire, segnatamente, oggetto distinto del giudizio di “ingiustizia” [60]».

In buona sostanza, bisogna pertanto passare dalle tematiche della causalità che hanno segnato l’origine della costruzione giurisprudenziale, alla problematica normativa dell’individuazione di una posizione soggettiva risarcibile, caratterizzata da una sua autonomia rispetto al bene finale da cui ha, indubbiamente, avuto origine e con la quale continua a mantenere legami sotto il profilo effettuale (inutile rilevare, infatti, come tra la probabilità di guarire ed il diritto alla vita o alla salute intercorrano nessi sostanziali che rendono non agevole la ricerca dell’autonomia della chance); siamo pertanto in presenza sempre di una finzione giuridica nel senso prospettato da Yan Thomas, ma di una finzione giuridica che, a differenza dell’ipotesi precedente, incide sul bene oggetto di tutela risarcitoria, piuttosto che sul nesso causale, venendo a determinare una sostanziale «reificazione [61]» della chance.

Per effetto di questo processo di riconoscimento/creazione di un nuovo bene giuridico, il ricorso alla perdita di chances non «configura affatto, come viceversa sostengono alcuni suoi detrattori, un’attenuazione del criterio probabilistico del “più probabile che non”: infatti…..non ricorre alcun rapporto di contiguità tra, da un lato, il concetto della “probabilità” causale (e le incertezze associate a questo versante) e, dall’altro lato, la nozione di “possibilità” del verificarsi di un risultato sperato (e le incertezze che accompagnano tale possibilità) [62]».

In questa prospettiva sostanzialistica, il migliore (se non unico) criterio individuato dalla dottrina privatistica per individuare le fattispecie suscettibili di sistematizzazione in termini di chance è quello in cui la «teoria della perdita di chance può trovare applicazione soltanto se è impossibile stabilire una linea di causalità tra la condotta ed il danno finale, ossia solo se il danno finale è incerto. Se invece il danno finale è accertato come riferibile alla condotta del convenuto, allora il giudice deve risarcire integralmente il danno e non fare questione di chance [63]»; diversamente opinando, il ricorso alla perdita di chances tenderebbe, infatti, a ritornare a quello che era probabilmente all’inizio, ovvero una deviazione dalle regole del “tutto o niente” di dubbia giustificazione e che rischia di porre immotivatamente in crisi una sistematica ormai consolidata.

Ne deriva la necessità di limitare la costruzione giurisprudenziale del danno da perdita di chances a «quello che, stipulativamente, si può dire un danno ipotetico, ossia una situazione ove non si sa e non si può oggettivamente sapere, se un risultato vantaggioso si sarebbe o meno verificato, giacché solo a questa condizione si può immaginare che sia stata preclusa una “mera possibilità” …. (stando pertanto attenti a che) non si verta, invece, nel diverso problema dell’esperimento infruttuoso del sistema delle presunzioni (che richiederebbe di riconoscere che, semplicemente, l’attore ha mancato la prova della sussistenza del danno)»; in buona sostanza, quindi solo delle fattispecie in cui sia presente una qualche forma di «incertezza ontologica del risultato… (= ove non si danno già in astratto conoscenze sufficienti ad affermare che senza l’inadempimento o l’interferenza illecita il risultato favorevole si sarebbe con certezza verificato) [64]».

Con tutta evidenza, fuoriescono pertanto «dal novero delle chances in senso proprio (= in quanto identificative di un peculiare tipo di problema) e dal trattamento giuridico loro proprio tutte quelle fattispecie ove l’occorrenza del risultato non si prospetti come – per così dire – ontologicamente inverificabile» e la nuova posizione soggettiva trova un campo privilegiato di applicazione nelle fattispecie in cui sia massicciamente presente «una ontologica incertezza circa quel che sarebbe avvenuto in assenza della condotta illecita e questa incertezza possa prospettarsi come preclusione dell’aspettativa di un risultato favorevole dalla cui rilevanza dipenda lo stesso insorgere della responsabilità», come, ad esempio, in ambito sanitario e nel vasto campo «delle aspettative deluse per l’impedita partecipazione ad, o lo scorretto espletamento di, un procedimento (principalmente) di carattere amministrativo o giudiziario [65]».

L’autonomia teorica ed operativa della chance sembra, infatti «a prima vista inconfutabile quando si verta nel campo delle aspettative dipendenti da procedimenti giudiziari e, soprattutto, amministrativi, dove non è difficile rinvenire normative che disciplinano le relative procedure ed i comportamenti di chi è chiamato ad implementarle …. che …. sembrano proiettare la loro doverosità anche verso l’esterno (e cioè anche verso soggetti che, a differenza di giudici, commissari ecc., non sono direttamente deputati ad esperire tali procedure)…. (in maniera tale da attribuire al destinatario del procedimento la pretesa ad) un “bene della vita” che si possa ritenere gli “spetti” e la cui lesione lo abiliti alla tutela aquiliana [66]».

Nella materia amministrativa, la distinzione è pertanto tra due diverse situazioni: «la prima … ricorre quando la decisione, con la quale il procedimento è destinato a concludersi e dalla quale dipende l’eventuale vantaggio del danneggiato, è affidata a parametri rigidi (ad es.: un concorso a titoli con punteggi fissi o una gara d’appalto a ribasso d’asta) o a criteri giuridici (ad es.: la disciplina di un procedimento amministrativo o una controversia giudiziaria) o a c.d. discrezionalità tecniche (ad es.: una gara d’appalto da aggiudicare sulla base di calcoli costi/benefici). La seconda situazione, invece, ricorre quando la decisione è affidata a parametri di c.d. discrezionalità politica o a criteri di c.d. puro merito o a prove d’esame (ineseguite dal danneggiato e irripetibili nelle condizioni di eguaglianza richieste dal procedimento competitivo) [67]».

Solo nel secondo gruppo di fattispecie, appare, infatti, presente quell’«irresolubile incertezza empirica» riconducibile alla teoria della perdita di chances come autonomo bene risarcibile sopra richiamata, mentre il primo gruppo appare riportabile ad una serie di «fattispecie ove, invece, si prospetta una risolubile incertezza giuridica, che, proprio in ragione della accertabilità della spettanza di quel che il provvedimento si lamenta abbia fatto mancare, si lasciano ricondurre piuttosto al diverso problema della illecita privazione del risultato dovuto [68]».

In buona sostanza, si tratta dell’impostazione recepita anche dalla più recente giurisprudenza della Terza Sezione della Corte di Cassazione che, sulla base di una ricostruzione non dissimile da quella proposta in queste pagine, ha rilevato come, «qualora l’evento di danno sia costituito non da una possibilità – sinonimo di incertezza del risultato sperato – ma dal (mancato) risultato stesso (nel caso di specie, la perdita anticipata della vita), non …(sia) lecito discorrere di chance perduta, bensì di altro e diverso evento di danno, senza che l’equivoco lessicale costituito, in tal caso, dalla sua ricostruzione in termini di “possibilità” possa indurre a conclusioni diverse» e concluso per l’ammissibilità del risarcimento della perdita di chances solo in presenza di «un evento di danno incerto: le conclusioni della CTU risultano, cioè, espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all’eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo [69]»; si è pertanto sostanzialmente completata una trasformazione che ha spostato il punto focale della problematica dall’aspetto causale (in tutti e due i casi, ricostruito sulla base della regola del “più probabile che non”) all’evento di danno individuato, in un caso, nell’accertato pregiudizio del conseguimento del “bene della vita” posto a base della vicenda e, nell’altro, nell’« insanabile incertezza» in ordine alla possibilità di conseguire il bene.

Una nuova prospettiva che tende a considerare sostanzialmente «fuorviante la distinzione tra chance cd. “ontologica” e chance “eziologica”, volta che la seconda delle predette definizioni sovrappone inammissibilmente la dimensione della causalità con quella dell’evento di danno, mentre la prima evoca una impredicabile fattispecie di danno in re ipsa che prescinde del tutto dall’esistenza e dalla prova di un danno risarcibile. Indagine che andrà, come di consueto, condotta alla luce del criterio civilistico del “più probabile che non” [70]»; la tendenza del sistema è pertanto sempre verso una dicotomia che appare però diversamente orientata rispetto all’ormai “classica” distinzione tra teoria eziologica e teoria ontologica.

4. La conferma da parte delle sentenze di “San Martino” e le nuove incertezze.

Come ampiamente noto, nel novembre 2019, la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha depositato un “pacchetto” di dieci sentenze in materia di responsabilità sanitaria (in particolare, si tratta delle sentenze dalla n. 28985 alla 28994) che, per l’ampiezza dei temi complessivamente trattati e la (casuale o voluta?) pubblicazione il giorno di San Martino [71], sono state immediatamente “etichettate” in termini di «nuovo decalogo di San Martino [72]»; all’interno di questo “pacchetto”, risulta di indubbio interesse, ai fini che ci occupano, Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993 [73], specificamente dedicata al tema del danno da perdita di chances.

Al di là (forse) dell’iniziale citazione da John Maynard Keynes [74], risulta evidente come si tratti di «pronuncia …. (che) non reca particolari elementi di novità a livello di doctrine della perdita di chance, pur essendo apprezzabile per la rassegna operata [75]».

L’impianto generale della decisione è, infatti, sempre quello della già citata Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 che viene sostanzialmente recepita, sia per quello che riguarda la critica del «paralogismo in cui talvolta incorre la giurisprudenza di legittimità e di merito, oltre che parte della dottrina specialistica, … costituito dalla “contrazione” (che si risolve in una vera e propria elisione in parte qua) dell’analisi degli elementi destinati ad integrare diacronicamente la fattispecie dell’illecito, sovrapponendosi, da un canto, l’accertamento dell’elemento causale a quello dell’evento di danno (a cagione dell’equivocità del lessico usato per definire la chance), ed errandosi poi nell’identificazione stessa di quell’evento, sovente ricondotto al concetto di chance pur non avendone, di essa – specie in tema di responsabilità sanitaria – carattere alcuno [76]», che per quello che riguarda l’approdo finale che individua l’essenza stessa del danno da perdita di chances in una lesione che «ripete … il suo autonomo fondamento (e la autonomia del conseguente petitum processuale) in ragione della incertezza sull’anticipazione dell’evento morte [77]».

Del pari confermata risulta poi la sostanziale inutilità di continuare ad insistere sulla dicotomia tra tesi ontologica ed eziologica, ovvero su una distinzione ormai “evaporata” e che «appare sovente motivo di confusione concettuale e applicativa… volta che quest’ultima sovrappone inammissibilmente la dimensione della causalità con quella dell’evento di danno, mentre la prima evoca una impredicabile fattispecie di danno in re ipsa che prescinde del tutto dall’esistenza e dalla prova di un danno-conseguenza risarcibile [78]».

Siamo pertanto in presenza di una sentenza non particolarmente innovativa e che sostanzialmente ripete il proprio impianto concettuale dalla precedente Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 (sicuramente, più importante sotto il profilo della storia dell’istituto); impossibile però non rilevare come gran parte dell’importanza di Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993 risieda proprio nell’immissione, nel “nuovo decalogo di San Martino”, della sistematica di Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 in materia di danno da perdita di chances [79].

Per certi versi, l’impostazione di Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993 potrebbe però ingenerare qualche incertezza ricostruttiva non necessaria e che poteva pertanto essere evitata.

In particolare, il riferimento è ai punti della motivazione che, sviluppando una serie di accenni già presenti in Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 (in una forma sostanzialmente embrionale e non sviluppata), hanno proposto una sostanziale identificazione tra la lettura in termini causali del danno da perdita di chances e l’adozione di un «modello “patrimonialistico” della chance» che si presenterebbe inadatto a risolvere le diverse problematiche del danno non patrimoniale, che si muove, ovviamente, sul diverso «piano non patrimoniale, sebbene appiano tracciabili le linee di talune coordinate comuni [80]».

In questa prospettiva, viene proposta una sostanzialmente inedita distinzione tra chance patrimoniale/pretensiva (che risulterebbe caratteristica anche del diritto amministrativo) e chance non patrimoniale/non pretensiva che sarebbe caratteristica della materia della responsabilità sanitaria: «la chance patrimoniale presenta, in apparenza, le stimmate dell’interesse pretensivo (mutuando tale figura dalla dottrina amministrativa, sia pur soltanto in parte qua, attese le evidenti differenze morfologiche tra l’interesse legittimo e la chance: mentre il primo incarna l’aspirazione – e la pretesa – alla legittimità dell’azione amministrativa e preesiste, dunque, all’azione amministrativa stessa, la chance viene in rilievo quando essa è stata perduta e cioè quando l’attività amministrativa, ormai esauritasi, è irrimediabilmente viziata e il vizio ha cagionato un danno risarcibile), e cioè postula la preesistenza di una situazione “positiva”, i.e. di un quid su cui andrà ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante impedendone la possibile evoluzione migliorativa (il partecipante ad un concorso è portatore di conoscenze e preparazione che preesistono all’intervento “soppressivo” del preposto all’esame; l’azienda che prende parte ad una gara ad evidenza pubblica è portatrice di professionalità e strutture operative che preesistono all’intervento “eliminativo” dell’ente pubblico che ha bandito la gara per poi impedirne illegittimamente la partecipazione)…La chance “non pretensiva”, rappresentata anch’essa (e segnatamente nel sottosistema della responsabilità sanitaria), sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente, diverge strutturalmente dalla prima, volta che l’apparire del sanitario sulla scena della vicenda patologica lamentata dal paziente coincide sincronicamente con la creazione di una chance, prima ancora che con la sua (eventuale) cancellazione colpevole, e si innesta su di una preesistente situazione “non favorevole” (una situazione, cioè, patologica) rispetto alla quale non può in alcun modo rinvenirsi un quid inteso come “un pregresso positivo”, e positivamente identificabile ex ante (il paziente è portatore di una condizione di salute che, prima dell’intervento del medico, rappresenta un pejus, e non un quid in positivo, sul piano della chance, allo stato inesistente senza l’intervento medico) [81]».

Con tutta evidenza, si tratta di una formulazione che già non brilla per chiarezza e che si segue con una certa difficoltà; per di più, si tratta di impostazione che non può reggere alla critica radicale della dottrina che ha individuato nell’argomentazione «forse l’unico punto “debole” o, comunque, discutibile della sentenza ……Infatti, nella realtà fenomenologica le chance, a prescindere dal fatto che concernano beni patrimoniali o non patrimoniali, si reggono sempre su delle preesistenze positive del soggetto danneggiato: una persona affetta da una patologia può affermarsi privata, per effetto di una sequela di eventi imputabile a prestazioni sanitarie, di chance di sopravvivere, laddove presenti delle condizioni psicofisiche idonee a permettergli di rimanere in vita. Al contempo “preesistenze negative” possono associarsi anche alla perdita di “chance patrimoniali”: si pensi, per esempio, ad un imprenditore, il quale, già in piena crisi economica (dunque con una “preesistenza negativa”), sia vittima di un bando truccato oppure venga danneggiato dalla negligenza di un suo consulente, così perdendo la possibilità di risollevare le sue sorti [82]».

Del resto, l’esperienza concreta del diritto amministrativo evidenzia come interessi pretensivi possano radicarsi su situazioni fattuali ampiamente caratterizzate dalle «preesistenze negative» valorizzate da Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993 (basti, al proposito, pensare, oltre all’esempio valorizzato da Marco Bona, a chi richieda il classico alloggio di E.R.P. o una sovvenzione, necessaria per ovviare ad una situazione di bisogno); in buona sostanza, il campo degli interessi pretensivi e ben più complesso e caratterizzato da «preesistenze negative» rispetto a quanto prospettato da Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993 che, evidentemente, risulta “tarata” su una serie di esempi (il partecipante ad un concorso ben preparato e l’azienda con una buona professionalità che partecipino ad una gara per migliorare la propria posizione, ma che non siano “afflitti” da particolari situazioni di bisogno) che non esauriscono certo il campo degli interessi pretensivi e che, per di più, appaiono caratterizzati da una sostanziale “inversione” del tradizionale ordine ricostruttivo che presiede alla distinzione tra interessi pretensivi e oppositivi [83].

Ove la distinzione sopra richiamata trovasse utilizzazione solo ai fini dell’evidenziazione del (necessario) maggior ricorso a criteri equitativi di liquidazione nell’ipotesi di chances non patrimoniali [84], non vi sarebbero particolari problemi a continuare ad utilizzarla, pur trattandosi di impostazione sostanzialmente non condivisibile in termini logici e fattuali [85]; ove, al contrario, la frettolosa affermazione sopra richiamata dovesse dare vita ad una nuova dicotomia tra chances pretensive suscettibili di necessaria considerazione solo nei termini causali della “vecchia” tesi eziologica e chances non pretensive (non presenti nel diritto amministrativo, ma solo in quello sanitario?) suscettibili di considerazione in termini di lesione di un bene/chance autonomo [86], l’intera problematica farebbe sostanzialmente un salto indietro e il nuovo intervento della Terza Sezione della Corte di Cassazione non sarebbe per nulla positivo.

In questo caso, sarebbe pertanto meglio tornare al quadro concettuale richiamato al § precedente [87] senza le ulteriori aggiunte del “decalogo di San Martino” che sarebbero ben poco utili in ambito amministrativo; a conclusione del discorso è però necessario ritornare ancora al diritto amministrativo, per applicare il nuovo strumentario concettuale richiamato ai due §§ precedenti ai modelli di sentenza utilizzati dai giudici amministrativi.

5. Verso una compresenza di due modelli?

Valutate nell’ottica tratteggiata ai due §§ precedenti, le sentenze riportate alla cd. tesi eziologica dalla già citata Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118, si dimostrano prevalentemente (non mancano, infatti, anche decisioni di incerta ricostruzione o più motivatamente riportabili alla tesi opposta) caratterizzate da soluzioni giurisprudenziali che, in realtà, non risarciscono per nulla un bene della vita/chance autonomo, ma lo stesso interesse “finale” avuto di mira dal danneggiato, utilizzando la famosa soglia del 50% più 1 di possibilità di conseguirlo, ovvero da modelli di sentenza che possono essere agevolmente giustificati dall’applicazione del normale modello causale, nella versione logico/probabilistica richiamata al § 3; in buona sostanza, quello che conta è, infatti, quella «preponderance of evidence» che appare del tutto organica alla logica del “tutto o niente” e non può essere ritenuta significativa del ricorso all’opposta logica definita, in queste pagine, come dell’”almeno qualcosa”.

La conclusione può poi essere estesa anche ai modelli di sentenza che prevedono criteri di prevalenza causale fondati sulla minima differenza di punti tra i due concorrenti [88] e, quindi, su un grado elevato di probabilità logica stimato empiricamente dal giudice senza un sostanziale ricorso alla valutazione statistica; in ambito civilistico è stato, infatti, esattamente rilevato come, in molte fattispecie di danno, risulti pienamente legittimo (se non necessitato) il ricorso alla categoria della “probabilità estimativa” che cerca di contemperare tutti i fatti estrinseci e intrinseci del caso singolo (spesso, se non sempre, maggiori di quelli considerati nei modelli matematici o statistici) [89] e si tratta, in buona sostanza, di nient’altro che di quel criterio che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definito come della «probabilità logica o baconiana [90]» e che viene a temperare, con gli elementi del caso concreto, gli eccessi del ricorso al criterio probabilistico del 50% più 1.

Alla fine, siamo pertanto in presenza di modelli di sentenza in cui “vince la tesi più probabile” e, soprattutto, chi vince prende tutto (ovvero, l’intero equivalente monetario del bene della vita avuto di mira); in buona sostanza, una rilettura del giudizio di spettanza di cui al punto n. 9 di Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500, nei termini probabilistici sempre più spesso utilizzati dalla giurisprudenza che debba affrontare problematiche causali di complessa o incerta ricostruzione.

Al di là dell’opposizione manifestata da una parte della dottrina [91], sembra pertanto che l’iniziale incompatibilità tra giudizio di spettanza e adozione di modelli di causalità a sfondo probabilistico prospettata negli anni immediatamente successivi a Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500 abbia successivamente lasciato il passo a modelli di sentenza che sostanzialmente coniugano le due sistematiche; del resto, almeno a chi scrive, sembra che non sussistano particolari ostacoli a “rileggere” nei termini della causalità probabilistica il giudizio di spettanza in materia di interessi pretensivi, partendo dalla principale considerazione relativa al fatto che Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500 risulta essere intervenuta in un momento in cui non si era ancora verificata quella svolta verso l’utilizzazione del criterio del “più probabile che non” evidenziatasi nella giurisprudenza della Corte di Cassazione a partire dal 2007.

Si può certamente dissentire dall’utilizzazione del riferimento alla perdita di chances per giustificare un orientamento che è, in realtà, fondato sulla preponderanza causale riferita al risultato finale (e che quindi costituisce, in buona sostanza, l’opposto della figura della “vera” chance, per come tratteggiata al § precedente); ma se si vuole continuare a definire questo indirizzo nei termini finora utilizzati di teoria della chance eziologica (così andando di contrario avviso rispetto alla scelta sistematica, certo non vincolante, operata da Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641), si può tranquillamente continuare a farlo, rimanendo comunque fissato ed indiscusso che, nella fattispecie, non ricorrono per nulla i requisiti costitutivi della “vera” chance nel senso sopra delineato, vale a dire, la natura di posizione sostanziale autonoma rispetto al bene della vita finale (in questo caso, chance e bene della vita finale non possono, infatti, non identificarsi) e la conseguenziale attribuzione al danneggiato dell’equivalente monetario del bene leso, in proporzione alle chances e non per l’intero.

Se si vuole pervenire ad una nuova definizione terminologica che tenga conto dell’abbandono delle tesi eziologica e ontologica prospettato da Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 (e da Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993), merita certamente approvazione, ad avviso di chi scrive, la soluzione dottrinale che, utilizzando la distinzione tra causalità materiale (ovvero tra la condotta o l’omissione del danneggiato e la lesione della sfera del danneggiato) e causalità giuridica (ovvero tra il fatto lesivo e le conseguenze pregiudizievoli, ovvero i cd. danni/conseguenza [92]), ha coniato la definizione di «causalità da perdita di chance», riferendola alla «privazione di chance quale dimensione d’analisi (o “strumento”) per l’imputazione, sul piano della causalità materiale, della responsabilità civile [93]»; in questa prospettiva, il riferimento alla chance non fuoriesce pertanto dal territorio della causalità materiale e viene ad integrare un sostanziale modo per dimostrare la derivazione di un certo evento da una condotta, secondo i criteri logico/probabilistici sopra richiamati (ad es. l’omessa aggiudicazione dell’appalto, per effetto di una certa violazione della normativa di gara).

Sotto il profilo sostanziale, la critica maggiore che è possibile fare alla tipologia di decisioni riportabili al modello della «causalità da perdita di chance» risulta poi indubbiamente costituita dal ricorso probabilmente eccessivo al “feticcio” del 50% più 1 che, come già rilevato, risulta ormai temperato, in ambito civilistico, dal più duttile utilizzo del criterio della «probabilità logica o baconiana» richiamato da Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, nn. 582, 583 e 584 che sostanzialmente arricchisce il processo causale di una serie di fattori specifici del caso singolo, non sempre considerati dalle serie statistiche.

Venendo al secondo gruppo di sentenze riportate da Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118 all’opposta categoria della tesi ontologica, appare abbastanza semplice rilevare come si tratti, in realtà, solo di decisioni relative a fattispecie di mancata indizione della gara, ovvero ad ipotesi in cui, per effetto del «mancato rispetto degli obblighi di evidenza pubblica (o di pubblicità e trasparenza) non è possibile formulare una prognosi sull’esito di una procedura comparativa in effetti mai svolta e … tale impossibilità non può ridondare in danno del soggetto leso dall’altrui illegittimità, per cui la chance di cui lo stesso soggetto è portatore deve essere ristorata nella sua obiettiva consistenza, a prescindere dalla verifica probabilistica in ordine all’ipotetico esito della gara [94]».

Almeno questa parte della giurisprudenza appare pertanto fondata su quell’«ontologica incertezza circa quel che sarebbe avvenuto in assenza della condotta illecita [95]» che, come già rilevato al § 3, costituisce l’essenza della “vera” chance e giustifica il riconoscimento della natura di posizione sostanziale autonoma rispetto al bene della vita finale (in questo caso, la possibilità di partecipare e risultare aggiudicatario della procedura e non la spettanza dell’aggiudicazione) e la conseguenziale attribuzione dell’equivalente monetario del bene leso, in proporzione alle chances e non per l’intero; siamo pertanto in presenza di un’elaborazione concettuale perfettamente in linea con la sistematica di Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 e Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993 e con l’importanza decisiva attribuita, ai fini dell’ammissibilità della risarcibilità della perdita di chances, all’«insanabile incertezza» in ordine alla possibilità di conseguire il bene della vita.

Anche in questo caso, si potrebbe benissimo continuare ad utilizzare (in barba a Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 e Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993) la categoria definitoria della cd. tesi ontologica; ove si volesse utilizzare una diversa definizione, si prospetta decisivo il ricorso alla tesi dottrinale sopra richiamata che, lavorando sulla distinzione tra causalità materiale e causalità giuridica, ha ritenuto di poter parlare di «perdita di chance quale particolare pregiudizio-conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) naturalisticamente inteso, che rilevabile sul piano della causalità giuridica, consegue alla lesione di un certo bene della vita [96]», ovvero di un particolare danno-conseguenza che deriverebbe da un fatto illecito o dall’inadempimento.

In sostanza, siamo quindi sempre in presenza di una dicotomia tra la «causalità da perdita di chance», attinente alle problematiche di cd. causalità materiale (e che servirebbe a risolvere le problematiche in ordine alla dipendenza dell’evento lesivo dall’azione o omissione attraverso il sempre più massiccio ricorso al criterio del “più probabile che non”) e danno da «perdita di chance» (se si vuole, in senso proprio) che invece attiene al diverso territorio della cd. causalità giuridica e serve ad ascrivere ad un certo evento (in una prospettiva quindi giuridica e non fattuale) la lesione di un particolare bene, non costituito dal bene finale, ma dalla semplice possibilità di conseguirlo in un territorio caratterizzato da quell’«insanabile incertezza» valorizzato da Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 e Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993.

Con riferimento a questa seconda categoria è però necessaria un’ulteriore precisazione definitoria.

Molto spesso è, infatti, riportata alla cd. tesi ontologica (oggi al danno da «perdita di chance» in senso proprio) almeno una decisione che ha risarcito in termini di perdita di chances di tipo oppositivo (una sostanziale rarità, visto che, nella maggior parte dei casi, si verte sempre in materia di interessi pretensivi) una lesione derivante dalla revoca dell’aggiudicazione di una gara in assenza della comunicazione di inizio procedimento: «nel caso di specie, … l’amministrazione, omettendo di dare l’avviso di avvio del procedimento, ha frustrato la chance dell’appellante di rimanere aggiudicataria e conseguentemente a tale possibilità deve essere ancorato il risarcimento [97]».

Anche a questo proposito, può però essere richiamata la dottrina civilistica che, con riferimento all’ambito sanitario, ha rilevato come non possano trovare considerazione in termini di perdita di chances (come in alcuni casi giudiziari francesi) le violazioni di obblighi (nel caso della responsabilità medica, l’omessa informazione del paziente) che, nell’elaborazione giurisprudenziale italiana, sono ormai considerati oggetto di «un diritto autonomo, costruito in maniera tale da poter garantire la migliore tutela possibile del paziente»; in questo caso, non «è …(infatti) ben chiaro dove stia la chance…In realtà, l’omessa informazione fa perdere non una chance di scegliere, una mera probabilità, ma lede l’effettivo ed attuale diritto di scegliere [98]».

Anche in ambito amministrativo, sono poi state prospettate ricostruzioni che tendono ad evidenziare, nella lesione degli interessi procedimentali, «un’aspettativa al provvedimento finale positivo e … un’aspettativa al rispetto delle regole procedimentali [99]» e che, quindi, sostanzialmente propendono per una ricostruzione della fattispecie in termini dualistici e di autonomia tra le due violazioni; del resto, non è sempre e comunque evidente ed automatico che la violazione delle garanzie procedimentali e l’impossibilità di difendersi nel procedimento abbiano determinato anche quell’incertezza ontologica del risultato dell’azione amministrativa che costituisce l’essenza della perdita di chances.

Una delle ulteriori difficoltà della materia è pertanto data dalla necessità (e spesso difficoltà) di differenziare la perdita di chances da altre figure (l’obbligo di informazione del paziente in ambito sanitario; gli interessi procedimentali, in ambito amministrativo) di nuovo conio e che, per di più, stanno sostanzialmente emergendo in giurisprudenza nel medesimo periodo ed in stretta concomitanza; anche con riferimento a questo versante, appare pertanto necessaria, ad avviso di chi scrive, una chiarificazione concettuale ed una delimitazione dei confini rispettivi delle due diverse figure.

Discorso completamente diverso è poi quello relativo alla possibilità di riportare alla lesione degli interessi procedimentali anche l’ulteriore danno-conseguenza, equitativamente risarcibile e considerabile in termini di perdita di chances in senso proprio [100], derivante dalla compressione delle facoltà procedimentali (dall’impossibilità di scegliere consapevolmente a seguito della violazione degli obblighi di informazione del paziente, nella responsabilità medica) e dall’impossibilità di partecipare utilmente derivante dalla violazione; siamo pertanto sostanzialmente lontani dalla quasi automaticità prospettata da C.G.A. sez. giurisd., 12 dicembre 2013, n. 929 e l’eventuale concessione di un risarcimento da perdita di chances non potrà limitarsi alla constatazione della violazione procedimentale, apparendo, al contrario, necessarie una serie di ulteriori valutazioni di causalità giuridica in ordine alla sussistenza di quell’«insanabile incertezza» originata dalla violazione procedimentale che potrebbe eventualmente legittimare la risarcibilità della perdita di chances come bene autonomo ed alla conseguenziale possibilità di ravvisare nella vicenda delle chances risarcibili in via autonoma [101].

La (lunga) ricostruzione proposta in queste pagine permette (forse) di chiarire alcune cose in un territorio certamente molto articolato e tormentato da una serie di fraintendimenti; ad avviso di chi scrive, rimane da affrontare almeno un fraintendimento che potrebbe assumere una certa importanza e cercare di proporne una chiarificazione.

In particolare, si tratta di una circostanza che emerge, per così dire, “in filigrana” dai richiami alla dottrina ed alla giurisprudenza civilistiche sopra riportate, ma che tuttavia tende sempre di più ad assumere una chiarezza decisiva ed immediatamente rilevabile.

Come già ricordato, il dibattito relativo alla perdita di chances in ambito amministrativo è partito da una singolare inversione concettuale costituita dall’aver “sposato” la tecnica senza particolari approfondimenti concettuali e dalla successiva polarizzazione del dibattito sulla querelle tra la tesi eziologica e la tesi ontologica; in buona sostanza, il dibattito si è tutto giocato (e si gioca) sulla ricerca della “vera” tesi sulla perdita di chances e sulla necessità, quindi, di optare per una o l’altra ricostruzione.

Ed in effetti, anche Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118 ha chiesto all’Adunanza plenaria di prendere, in sostanza, posizione, per l’una e l’altra tesi, ritenuta più “esatta” e più “vera” dell’altra; tutto si è pertanto mosso in una prospettiva di alternatività tra le due tesi, cercando di pervenire ad una chiarificazione concettuale basata sull’opzione definitiva per una o per l’altra delle due ricostruzioni.

Al contrario, la ricostruzione proposta in queste pagine si presenta fondata sulla compresenza e non sull’alternatività delle due tecniche di risarcimento che non tendono ad escludersi definitivamente, ma a convivere in uno strumentario di tutela articolato che, a seconda delle fattispecie, tende ad utilizzare una o l’altra delle ricostruzioni.

Del resto, sarebbe molto facile immaginare i possibili effetti disfunzionali che sarebbero potuti derivare dall’opzione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato per l’una o l’altra tesi; ove avesse prevalso la tesi eziologica o della «causalità da perdita di chance», (che, in realtà, ha molto poco, se non niente, a che fare con la “vera” perdita di chances) sarebbero rimaste probabilmente senza tutela risarcitoria alcune fattispecie (ad es. gli affidamenti in violazione degli obblighi di evidenza pubblica e/o di pubblicità) che, in realtà, molto ben si addicono all’opposta tesi; ove avesse prevalso la tesi ontologica o del danno da «perdita di chance» in senso proprio, si sarebbero risarcite in termini di perdita di chances fattispecie in cui è, in realtà, possibile la ricostruzione della spettanza del bene della vita (anche utilizzando la tecnica probabilistica del “più probabile che non”) e che, quindi, meriterebbero di spuntare l’interezza dell’equivalente monetario del bene della vita sperato e non solo quella frazione attribuibile secondo la tecnica della perdita di chances.

Con tutta evidenza, non sarebbe stato pertanto il migliore dei mondi possibili.

Alla luce delle considerazioni sopra richiamate, la restituzione degli atti alla Sezione ex art. 99, 1° comma c.p.a. operata da Cons. Stato, Ad. plen. 11 maggio 2018, n. 7 sembra pertanto assumere un valore che va al di là della vicenda concreta (indubbiamente caratterizzata da un vincolo derivante da una precedente sentenza non definitiva) e che ben si sposa con quanto ritenuto in queste pagine; la questione non è, infatti, optare per una delle due tesi, ma individuare quale delle due tecniche (forse inevitabilmente, destinate a convivere ancora per molto tempo) applicare ad una vicenda concreta; non esiste pertanto una tesi “più giusta” dell’altra in astratto, ma solo una tecnica che è “più giusta” dell’altra con riferimento ad una certa fattispecie concreta.

L’approdo finale di quanto sostenuto in queste pagine è pertanto un sistema che rimane inevitabilmente dualistico ed in cui solo l’analisi della fattispecie concreta può permettere l’individuazione dell’unica tecnica di tutela “giusta” ed adatta a meglio risolvere il conflitto di interessi nato dalla vicenda; una compresenza di due diversi sistemi che non è pertanto possibile risolvere e semplificare in astratto, neanche attraverso il ricorso al criterio della materia, spesso proposto dalla dottrina [102] per risolvere la problematica.

Il «mobile bosco di Birnam» creato da Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500 è pertanto molto più complicato e articolato di quanto si era pensato all’origine e sono presenti sicuramente molti “alberi” nuovi, appartenenti a specie differenti e non sempre facilmente incasellabili nelle tipologie più utilizzate nel dibattito civilistico in materia di azione risarcitoria.

L’eccessiva polarizzazione del dibattito sulla querelle tra le due diverse tesi ha poi portato, almeno ad avviso di chi scrive, all’accumulazione di un sostanziale ritardo nell’approfondimento delle vere questioni che possono originarsi dalla compresenza delle due tecniche di tutela e dalla necessità di dover individuare, nelle diverse materie, la sussistenza di quell’«incertezza ontologica del risultato» che giustifica, nella prospettazione fornita in queste pagine, il riconoscimento di una tutela secondo la tecnica della perdita di chances.

Con riferimento alla perdita di chances, tutto è pertanto ancora in movimento nella materia della responsabilità civile della p.a., a partire dalla delimitazione delle due diverse tecniche di tutela sopra richiamate, per arrivare alla necessaria coordinazione con la lesione degli interessi procedimentali ed all’individuazione delle fattispecie effettivamente ricostruibili in termini di perdita di chances in senso proprio [103].

Alcune problematiche risultano già sostanzialmente risolte (o agevolmente risolvibili) alla luce della “parallela” evoluzione della giurisprudenza civile.

È il caso, ad esempio, del possibile rischio paventato da una parte della dottrina che il ricorso alla tecnica del risarcimento da perdita di chances possa trovare ostacolo nella possibile concessione di risarcimenti con «valore prossimo allo zero …. con il rischio di favorire azioni bagatellari o emulative [104]».

A parte l’inattualità della preoccupazione in un sistema caratterizzato da altissimi costi di giudizio che scoraggiano la proposizione di azioni bagatellari [105], appare, al proposito, ampiamente condivisibile e del tutto risolutiva la precisazione emersa in dottrina [106] in ordine alla possibilità per il giudice di escludere il risarcimento in ipotesi di «possibilità di conseguire il risultato finale …basse o molto basse… in applicazione del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.» ed in sostanziale applicazione del riferimento alla «selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, …(anche attraverso) un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell’interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell’interesse che il comportamento lesivo dell’autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell’interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell’autore della condotta, in ragione della sua prevalenza» previsto dal punto n. 8 di Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500 e, per quello che riguarda il danno non patrimoniale, del sostanzialmente analogo riferimento presente in Cass., civ., S.U., 11 novembre 2008 n. 26972 ad una «soglia minima [107]» del pregiudizio risarcibile.

E si tratta proprio dell’impostazione recepita da Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993 che ha espressamente rilevato, con riferimento al danno non patrimoniale da perdita di chances, come «per integrare gli estremi del danno risarcibile, la perdita di chance (giusta l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte in tema di danno non patrimoniale: Sez. U n. 26792 del 11/11/2008) dovrà peraltro attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà, consistenza, rispetto ai quali il valore statistico/percentuale – se in concreto accertabile – potrà costituire al più criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto, onde distinguere la concreta possibilità dalla mera speranza (la sottrazione di un biglietto della lotteria appare irrilevante a fini risarcitori) [108]».

Ancora molto lavoro c’è poi da fare con riferimento alle problematiche più propriamente processuali.

A questo proposito, un primo orientamento [109] ha ritenuto di poter trasfondere il processo sostanziale di autonomizzazione della chance in una sostanziale diversità delle domande giudiziali relative al danno da lesione del bene finale rispetto al danno da perdita di chances, con le intuibili negative conseguenze, ove il risarcimento sia stato chiesto con riferimento all’uno e non all’altro bene; un secondo orientamento decisamente più favorevole ai danneggiati ha ritenuto di poter considerare la concessione del risarcimento da perdita di chances in termini di «riduzione dell’originaria domanda di risarcimento dell’intero pregiudizio assunto, da una parte essa non determina una mutatio libelli e dall’altra tale riduzione può essere effettuata direttamente anche dal giudice, pur in difetto di esplicita richiesta della parte in tal senso riduttiva [110]».

Pur nella consapevolezza dell’autonomia tra i due beni giuridici in discorso, appare però decisamente preferibile l’ulteriore tesi emersa in dottrina [111] ed in giurisprudenza che tende ad evitare eccessi formalistici e che ha prospettato la sostanziale unità della domanda di risarcimento del danno, con conseguente impossibilità di «considerare come una domanda diversa, l’invocazione del danno da perdita di chance, essendo tale perdita solo una componente dell’unico diritto al risarcimento del danno insorto dall’illecito e bastando la formulazione con cui nella domanda si chieda il risarcimento di tutti i danni a comprenderlo, altro essendo il problema dell’individuazione e, quindi, dell’allegazione dei fatti costitutivi di questa tipologia di danni, che, evidentemente, possono e debbono essere specificamente allegati nell’atto introduttivo, ma anche, in una situazione di incertezza, emergere dall’espletamento dell’istruzione, specie se avvenuta mediante consulenza tecnica [112]».

Probabilmente si tratta di una delle (tante) problematiche che occorrerà affrontare anche in ambito amministrativo e che appare a chi scrive preferibile risolvere nel senso antiformalistico prospettato da Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2017, n. 12597.

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(*) Consigliere del T.A.R. Toscana. Professore a contratto di diritto sportivo presso l’Università degli Studi di Udine

[1] In Foro it., 1999, I, 2487, con note di Palmieri e Pardolesi; Foro it., 1999, I, 3201, con note di Fracchia, Romano, Scoditti e R. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità; Giorn. dir. amm., 1999, 832, con nota di L. Torchia, La risarcibilità degli interessi legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di Birnam; Nuovo dir., 1999, 691, con nota di Finucci; Contratti, 1999, 869, con nota di Moscarini; Giust. civ., 1999, I, 2261, con nota di Morelli; Urb. e appalti, 1999, 1067, con nota di M. Protto, È crollato il muro della irrisarcibilità delle lesioni di interessi legittimi: una svolta epocale?; T.A.R.., 1999, II, 225, con nota di Bonanni; Arch. civ., 1999, 1107; Danno e resp., 1999, 965, con note di Carbone, Monateri, Palmieri, Pardolesi, Ponzanelli e Roppo; Corriere giur., 1999, 1367, con note di Di Majo e Mariconda; Gius, 1999, 2760, con nota di Berruti; Rass. giur. energia elettrica, 1999, 433; Nuove autonomie, 1999, 563, con nota di Scaglione; Gazzetta giur., 1999, fasc. 35, 42; Guida al dir., 1999, fasc. 31, 36, con note di Mezzacapo, Caruso, De Paola e Finocchiaro; Dir. e pratica societá, 1999, fasc. 21, 65; Ammin. it., 1999, 1399; Dir. pubbl., 1999, 463, con note di Orsi Battaglini e Marzuoli; Rass. amm. sic., 1999, 9; per un recente tentativo di operare un primo bilancio delle innovazioni derivate dalla storica decisione della Corte di Cassazione nell’ultimo ventennio, si veda V. Neri, Ripensare la sentenza n. 500/1999 a venti anni dalla sua pubblicazione, in Urb. e appalti, 2019, 610 e ss.

[2] Molto plastica è, al proposito, la rilevazione di uno dei primi commenti a Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500 che ha paragonato la materia della responsabilità civile della p.a. al mobile bosco di Birnam del Macbeth: «la foresta pietrificata dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi si è trasformata nel mobile bosco di Birnam: tutto è in movimento, dalla ridefinizione delle situazioni soggettive ai criteri di riparto della giurisdizione, dalle frontiere del danno ingiusto alle tecniche di sindacato e di tutela giurisdizionale» (L. Torchia, La risarcibilità degli interessi legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di Birnam, cit., 849).

[3] Per la ricostruzione del rapporto di incontro/scontro tra Cass. civ. S.U. 22 luglio 1999, n. 500 e il danno da perdita di chances, impossibile in questa sede, si rinvia al primo paragrafo di L. Viola, Il danno da perdita di chances a vent’anni da Cass. n. 500/1999, in Urb. e appalti, 2020, 2, 182; sulla problematica, si vedano anche V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, ibidem, 2018, 294, L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, ivi, 2018, 364 e V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, in B. Marchetti e M. Renna, La giuridificazione, A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana-Studi), Firenze, Firenze University Press, 2016 (III volume dell’opera L. Ferrara e D. Sorace (a cura di), A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana-Studi), 79.

[4] G. Falcon, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. proc. amm., 2001, 16.

[5] D. Vaiano, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2002, 217.

[6] La prima è, probabilmente, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 23 dicembre 1999, n. 5049, in Foro it., 2000, III, 198, con note di Carrozza e Fracchia; Urb. e appalti, 2000, 309 e 553, con nota di Robaldo; Giust. civ., 2000, I, 1573, con nota di Cacciavillani; Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1999, 1466 e 2000, 415, con nota di Leone; Guida al dir., 2000, fasc. 4, 104; Danno e resp., 2000, 310, con nota di Carbone; Corriere giur., 2000, 391, con nota di Di Majo.

[7] Cons. Stato Sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 553, in Urb. e appalti, 2002, 6, 700, con nota di A. Susca, Il risarcimento del danno da perdita di chance. Già nei primi mesi del 2002, la giurisprudenza del Consiglio di Stato registrava un’altra decisione (Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686, in Dir. e Formazione, 2002, 691; Appalti Urbanistica Edilizia, 2002, 587; Foro amm. CDS, 2002, 453) che affermava, in linea di principio, la risarcibilità del danno da perdita di chances, sia pure in un contesto che vedeva il rigetto dell’azione risarcitoria per difetto di prova di una possibilità concreta di aggiudicarsi la gara maggiore del 50%; sostanzialmente analoghi impostazione ed esito di Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945 (in Urb. e appalti, 2003, 1071, con nota di Manganaro; Cons. Stato, 2003, I, 915; Riv. giur. edilizia, 2003, I, 1009; Giust. civ., 2003, I, 1949, con nota di Stella Richter; Guida al dir., 2003, fasc. 21, 75, con nota di Caruso).

[8] Almeno stando alla rassegna di giurisprudenza sulla Risarcibilità del danno da perdita di chance nel diritto amministrativo, a cura di S. Ingegnatti, in Giur. it., 2015, 11, 2508.

[9] Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, in Giorn. dir. amm., 2007, 2, 174 con nota di F. Cortese, Evidenza pubblica, potere amministrativo e risarcimento del danno da perdita di chance; Urb. e appalti, 2006, 1355; Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2006, 686.

[10] Cons. Stato Sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 553, cit.; per una critica alla rilevazione in ordine all’ossificazione dell’azione amministrativa, si veda F. Cortese, Evidenza pubblica, potere amministrativo e risarcimento del danno da perdita di chance, cit.

[11] La dottrina sul risarcimento da perdita di chances nel diritto amministrativo è già notevole; senza alcuna pretesa di completezza, si vedano, oltre alle opere già citate nel testo: I. Pagani, Il risarcimento della perdita di chance nelle gare per affidamenti pubblici, in Giur. it., 2018, 1173; P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, in Resp. civ. e prev., 2018, 1620; L. Di Giovanni, Brevi riflessioni sulla dubbia esistenza della chance nel settore dei contratti pubblici, in Urb. e appalti, 2017, 6, 778; S. R. Masera, Il nesso di causalità per il risarcimento della chance perduta, in Urb. e appalti, 2015, 227; F. Trimarchi Banfi, La chance nel diritto amministrativo, in Dir. proc. amm., 2015, 873; O.M. Caputo, La perdita di chance ontologica approda nelle aule della giustizia amministrativa, in Urb. e appalti, 2015, 706; G. Vercillo, La tutela della chance. Profili di diritto amministrativo, Napoli, Editoriale scientifica, 2012; M. Bonomi, La perdita di chance quale danno risarcibile in via autonoma a seguito di illegittimo comportamento della p.a., in Nuova giur. civ. comm., 2011, 4, 10306; F. Trimarchi Banfi, La responsabilità civile per l’esercizio della funzione amministrativa. Questioni attuali, Torino, Giappichelli, 2009, 73; R. Garofoli, La tutela risarcitoria, in M.A. Sandulli, R. De Nictolis e R. Garofoli (a cura di) Trattato sui contratti pubblici, VI, Il contenzioso, Milano, 2008, 4090; L. Medina Alcoz, Dal dogma dell’infallibilità dello stato alla teoria della perdita di «chance»: l’evoluzione della responsabilità civile da provvedimento nell’ordinamento italiano (1865-1999), in Dir. regione, 2005, 361; P. Siracusano, Ruolo creativo del giudice e principio di legalità nella responsabilità civile da illegittimo esercizio del potere discrezionale, in Dir. pubbl., 2003, 533, 564; F. Trimarchi Banfi, L’ingiustizia del danno da lesione di interessi legittimi, in Dir. proc. amm., 2001, 632.

[12] La bibliografia sul danno da perdita di chances in ambito civilistico è ormai sterminata; si è pertanto scelto di limitare le citazioni alle opere specificamente richiamate nel testo; si vedano pertanto: G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, Torino, Giappichelli, 2019; M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, Milano, Giuffrè-Francis Lefebvre, 2018; G. E. Napoli, La perdita di chance nella responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 2018, 52; R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, in Nuova giur. civ., 2018, 1684; M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, in Europa e dir. privato, 2011, 945; S. Mazzamuto, Il danno da perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale, in Europa e dir. privato, 2010, 49.

[13] Precisamente nel 1877 (L. Medina Alcoz, Dal dogma dell’infallibilità dello stato alla teoria della perdita di «chance»: l’evoluzione della responsabilità civile da provvedimento nell’ordinamento italiano (1865-1999), cit., 439), per poi consolidarsi definitivamente nel 1932 (F. Chabas, La perdita di chance nel diritto francese della responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 1996, 227).

[14] Cass. civ., sez. lav., 19 novembre 1983, n. 6906, in Giur. comm., 1983, II, 85; Società, 1983, 627; Riv. not., 1983, 1016; Giur. it., 1983, I, 1, 1166; Giur. comm., 1983, II, 851; Foro it., 1984, I, 459; Giust. civ., 1984, I, 1841, con nota di E. Cappagli, Perdita di una «chance» e risarcibilità del danno per ritardo nella procedura di assunzione che richiama la sentenza di primo grado (Pret. Roma, 27 marzo 1977, in Resp. civ. e prev., 1978, 304) emessa nella vicenda che ha dato origine all’orientamento giurisprudenziale e rileva come la prima prospettazione della chance risarcibile emersa in giurisprudenza fosse riportabile alla cd. tesi ontologica e non all’opposta tesi eziologica poi prevalsa negli anni successivi (in questo senso, si veda anche V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, cit., 74).

[15] Così V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit. 293 che richiama le due definizioni di C.M. Bianca, Diritto civile – vol. V: La responsabilità, II ed., Milano, Giuffrè, Milano, 2012, 179 e S. Mazzamuto, Il danno da perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale, cit., 49; non molto diversa è la definizione di M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit. § 1 in termini di «aspettativa di un risultato favorevole futuro ed incerto».

[16] In questo senso, si veda G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 1, § 1 (citazioni dall’edizione digitale).

[17] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 1 e 2 che rileva ulteriormente come questo sia proprio «il guaio di questa giurisprudenza».

[18] Giustamente, O.M. Caputo, La perdita di chance ontologica approda nelle aule della giustizia amministrativa, cit., § 3 rileva come la «dicotomia concettuale all’interno della categoria giuridica» abbia assunto una consistenza «oramai frattale».

[19] In questo senso, si veda F. Chabas, La perdita di chance nel diritto francese della responsabilità civile, cit., 230 che rileva come «sulla perdita di chance vi è una teoria falsa ed una vera… che cos’è la perdita di chance: una forma particolare di pregiudizio .. e che cosa non è: una semplice possibilità di nesso causale».

[20] V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 296

[21] Citazione sempre da V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 296 che sintetizza, assai efficacemente, le definizioni proposte in dottrina e giurisprudenza.

[22] Cass. civ, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619, in Danno e resp., 2008, 1, 43 con nota di Pucella; Corr. giur., 2008, 1, 35, con nota di Bona; per una diversa interpretazione della sentenza, si veda però M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit.

[23]V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit. 296

[24] Per una critica all’inquadramento completo del danno da perdita di chances nelle categorie dell’aspettativa, del danno attuale e del danno emergente, si vedano però, da ultimo, G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 1, § 5 e 6 e G. E. Napoli, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., § 7; con riferimento alla qualificazione della chance in termini di danno attuale, R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit., § 6 rileva come si tratti pur sempre di una sorta di «”strabismo divergente” cui la chance (nella sua tradizionale lettura) costringe – perché è danno attuale ma proiettato in prospettiva, in ragione dell’esito atteso».

[25] V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 296

[26] Si veda Cass. civ, sez. III, 27 marzo 2014, n. 7195 (in Foro it., 2014, I, 2137, con nota di Palmieri e Pardolesi; Corriere giur., 2014, 1077, con nota di M. Bona, Causalità da perdita di chance e lost years: nessuna soglia minima per la tutela risarcitoria delle possibilità di sopravvivenza), spesso considerata paradigmatica della cd. tesi ontologica.

[27] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 1 che così continua: «entrambe queste fenomenologie, infatti, prospettano tipi di problemi, che, da un lato, sembrano enfatizzare l’eventualità di divergenze tra aspettative e risultati specificamente evocata dal concetto di chance e che, dall’altro, investono direttamente il piano preliminare dell’an debeatur e che, proprio su tale piano, appaiono, nella concettualità consueta della responsabilità, di soluzione tutt’altro che scontata».

[28] V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit. 297; M. Bona, Causalità da perdita di chance e lost years: nessuna soglia minima per la tutela risarcitoria delle possibilità di sopravvivenza), cit. § 3 rileva come, per le decisioni riportate alla tesi cd. ontologica, «non è dato escludere tale nesso a fronte di chance statisticamente minori del 50% , atteso che la misura percentuale (od altrimenti espressa di queste rileva ai diversi fini della quantificazione del danno, cioè della determinazione delle singole conseguenze risarcibili e delle loro rispettive entità».

[29] L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit., 368.

[30] V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, cit., 74; per un esempio in giurisprudenza, si veda Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400, in Corriere giur., 2004, 1010, con nota di Viti; Dir. e giustizia, 2004, fasc. 14, 38, con nota di Rossetti; Resp. civ., 2004, 1040, con nota di Citarella; Cass. pen., 2004, 2537, con nota di D’Alessandro; Contratti, 2004, 1091, con nota di Lisi.

[31] Si vedano, al proposito, la rassegna di giurisprudenza sulla Risarcibilità del danno da perdita di chance nel diritto amministrativo, a cura di S. Ingegnatti, cit. e gli accurati scritti di V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit. e L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit.

[32] Risarcibilità del danno da perdita di chance nel diritto amministrativo, a cura di S. Ingegnatti, cit. che cita Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323 cit. che rileva plasticamente come il parametro del 50%, «non …(abbia) valore assoluto anche perché secondo la scienza statistica il grado di possibilità qualificabile come probabilità presenta una soglia costitutiva variabile da determinare caso per caso sulla base del concreto assetto della situazione esaminata».

[33] L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit., 368 che cita Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2017, n. 2740 e sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3147 (tutte e due consultabili in www.giustizia-amministrativa.it).

[34] Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118 (in Foro amm., 2018, 1, 13; Resp. civ. e prev. 2018, 5, 1614, con nota di P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit.; Urb. e appalti, 2018, 351, con nota di L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit.; Giur. it., 2018, 1173, con nota di I. Pagani, Il risarcimento della perdita di chance nelle gare per affidamenti pubblici, cit.), cui si rinvia per un’ulteriore rassegna della giurisprudenza in materia.

[35] Con l’ordinanza 11 maggio 2018, n. 7, in Foro it., 2018, 12, 3, 638; Resp. civ. e prev. 2018, 5, 1617, con nota di P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit.

[36] La vicenda che ha originato la rimessione all’Adunanza plenaria si è poi conclusa con Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 2018, n. 7117 (in www.giustizia-amministrativa.it) che ha seguito il filo argomentativo dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, confermando l’obbligazione risarcitoria, sulla base della «percentuale di aggiudicazione del 20% vantata» dalla danneggiata, precedentemente accertata con sentenza non definitiva.

[37] Pienamente condivisa da chi scrive e da Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit., 362, ma velatamente contestata da P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit. § 1 che ha rilevato come «l’Adunanza Plenaria … (abbia deciso) di non decidere».

[38] È il caso di Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, cit., che ha ritenuto di poter desumere argomentazioni favorevoli alla tesi eziologica dalla stessa etimologia del termine chance: «la parola chance deriva, etimologicamente, dall’espressione latina cadentia, che sta ad indicare il cadere dei dadi, e significa “buona probabilità di riuscita”. Si tratta, dunque, di una situazione, teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio e caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza. In particolare, trasponendo tale definizione in ambito giuridico, si può rilevare che, affinché un’occasione possa acquisire rilevanza giuridica, ossia ricevere tutela da parte dell’ordinamento, è necessario che sussista “una consistente possibilità di successo, onde evitare che diventino ristorabili anche mere possibilità statisticamente non significative” (Consiglio di Stato sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686)». M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., nota 58 desume però argomentazioni favorevoli alla sua tesi ontologica sempre dallo stesso ricorso all’etimologia, in un senso completamente differente: «come si sa, il termine chance viene dal latino cadentia e si riferisce alla “caduta dei dadi”. È, perciò, insito in tale radice semantica che una chance ci sia finché i dadi non siano stati gettati e che la sua perdita si possa dare solo quando i dadi siano stati tratti e il gioco si sia così concluso». Se si vuole proprio continuare con l’argomentazione etimologica, è opinione di chi scrive che occorrerebbe considerare il fatto che il termine perviene a noi attraverso la mediazione dal francese in cui chance può significare, sia fortuna che possibilità (nello stesso senso, si veda M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 28 che esattamente rileva: «nella lingua italiana “chance” può anche significare “occasione” e “probabilità”. In Francia si ha pure un altro significato “fortuna”»); anche a livello etimologico, si ripropone pertanto la dicotomia sopra tratteggiata.

[39] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 3.

[40] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3; P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit., § 4 rileva come anche la giurisprudenza amministrativa francese, in alcune fattispecie, utilizzi la «logique du tout ou rien» e M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 9 richiama l’analoga definizione anglosassone di «all-or-nothing».

[41] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3.

[42] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7.

[43] Citazioni da G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3 e 9 che ulteriormente rileva come «il giudizio volg(a) dunque dalla probabilità alla certezza» e come, in buona sostanza, «vinc(a) la tesi più probabile». L’essenza del meccanismo è ben compresa da F. Trimarchi Banfi, L’ingiustizia del danno da lesione di interessi legittimi, cit., § 3 che rileva come, «applicato all’indagine sul nesso di causalità, il giudizio ipotetico simula un corso di cose depurato da variabili casuali e ridotto entro lo schema astratto della razionalità e, a queste condizioni, esso intende rispondere ad una domanda che ammette soltanto l’alternativa sì/no: ….se si possa affermare l’esistenza di nesso causale tra la condotta e l’evento. La probabilità della quale si parla con riferimento al giudizio ipotetico circa l’efficienza causale del fatto antigiuridico, opera come certezza, nel senso che le conseguenze che vengono tratte dal fatto “probabile” non sono diverse da quelle che verrebbero tratte dal fatto certo».

[44] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 15 e 17.

[45] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3; ancora più efficace è M. Bona, Causalità da perdita di chance e lost years: nessuna soglia minima per la tutela risarcitoria delle possibilità di sopravvivenza cit., che richiama la rilevazione di molti «common lawyers» secondo la quale, in materia di sopravvivenza, «anche chance inferiori al 50% continuano a rappresentare un valore per il quale una persona sarebbe disposta a pagare», pur continuando a rimanere irrilevanti in ambito risarcitorio.

[46] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3.

[47] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 3, § 3 rileva, molto plasticamente, come il ricorso al criterio statistico assuma l’ineliminabile funzione di «includere l’ignoto nel calcolo giuridico, al fine di meglio amministrarlo»; anche R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit., § 1 rileva come «la regola civilistica del “più probabile che non” costituisc(a) un esempio mirabile: essa non maschera l’incertezza – che, anzi, è premessa indispensabile della sua applicazione – ma argina l’effetto deleterio che da essa deriva».

[48] Il riferimento è ovviamente a Y. Thomas, Fictio legis, Macerata, Quodlibet, 2011, 17; per l’applicazione delle categorie elaborate nell’articolo di Yan Thomas (uscito in Francia nel 1995) al diritto amministrativo, si rinvia al classico B. Latour, La fabrique du droit. Une ethnographie du Conseil d’Ėtat, Paris, La Découverte/Poche, 2002, 68.

[49] Già citata alla nota 22.

[50] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 11.

[51] Citazioni da M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 16.

[52] Si tratta delle ampiamente note Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, nn. 582 (in Resp. civ., 2008, 688, con nota di Dragone; Giur. it., 2008, 2192; Ragiusan, 2009, 299, 203; Giust. civ., 2009, I, 2532), 583 e 584 (Giur. it., 2008, 1115; Ragiusan, 2009, fasc. 301, 199; Giust. civ., 2009, I, 2531; Foro it., 2008, I, 451, con nota di Palmieri).

[53] Citazioni sempre da G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3, 2 e di nuovo 3; sulla stessa linea concettuale, R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit., § 1 rileva come entri «qui in gioco l’idea, frutto di adattamento di processi stocastici a generalizzazioni proprie del senso comune, che “possedere” delle probabilità, delle chances appunto, rappresenti un valore distinto dal dato percentuale espressivo della probabilità stessa».

[54] P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit., § 4 che rileva come la «logique proportionnelle» sia utilizzata dal giudice amministrativo francese nei casi di responsabilità sanitaria (in quel sistema, di competenza del giudice amministrativo, ove si tratti di strutture pubbliche) in luogo della diversa logica «du tout ou rien», utilizzata nel contenzioso dei contratti pubblici e dei concorsi.

[55] Una parte della dottrina ha ritenuto di poter però evidenziare anche una prospettiva opposta, paventando il pericolo che un ricorso massiccio alla tecnica del danno da perdita di chances «possa condurre con maggior frequenza a risarcire solo parzialmente situazioni di danno che, applicandosi il tradizionale modello “all-or-nothing”, si sono risolte con risarcimenti integrali» (M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 49).

[56] Per l’approfondimento delle relative problematiche, impossibile in questa sede, si rinvia a G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit. e M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit.

[57]Citazioni sempre da G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 1 e 5.

[58] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7 rileva giustamente come, in questa formulazione, la nozione di perdita di chances risulti «empirica perché ravvisa la ricorrenza di una chance ovunque possa assumersi in un qualche modo ed in qualsiasi misura che il risultato, di cui l’attore lamenta la mancanza, non possa dirsi del tutto certo…(e) giuridicamente indistinta perché non muove da una adeguata messa a fuoco dello specifico tipo di problema che solo talune fattispecie, a differenza di altre, propongono al sistema della responsabilità, tanto contrattuale che aquiliana».

[59] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 5.

[60] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 1 e 7 ove si rileva aggiuntivamente come «la questione che sotto questa (impropria) etichetta si propone non concerne un problema di fatto suscettibile esclusivamente di esiti ontologicamente incerti e dunque solo apprezzabili sul piano statistico o su quello della comune ragionevolezza, ma un problema giuridico al quale l’ordinamento, in linea di principio, pretende non solo di poter dare sempre risposta ma anche di darvi una ed una sola soluzione».

[61] Il termine è utilizzato da R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit., § 5 (che sottolinea altresì come si tratti di una creazione giurisprudenziale non irreversibile) e O.M. Caputo, La perdita di chance ontologica approda nelle aule della giustizia amministrativa, cit.; ad avviso di chi scrive, il riferimento alla «reificazione» può essere mantenuto, ma con la necessaria precisazione che si tratta di un processo che non ha niente a che vedere con i rapporti interpersonali (come nella teoria marxiana), ma semplicemente con la trasformazione in bene giuridico autonomo della probabilità di conseguimento di un bene della vita (ovvero di un elemento del rapporto causale).

[62] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 43 rileva come «la “causalità da perdita di chance” non costituisc(a) in alcun modo un sotto-livello “soft” o “attenuato” oppure “debole” della “causalità ordinaria”, cioè una diversa e più blanda interpretazione/applicazione da parte del magistrato, delle percentuali statistiche di guarigione o di sopravvivenza/mortalità –si noti bene- con riferimento al medesimo evento di danno, come diversamente opinato dalla dottrina che non condivide la “loss of chance”» e conclude per l’impossibilità di seguire le ricostruzioni (come quella di Cass. civ, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619, cit.) che concepiscono i «rapporti tra certezza, probabilità e possibilità/chance secondo una scala discendente o, comunque, sulla base di rapporti gerarchici».

[63] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 5.

[64] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 3. Anche D. Vaiano, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, cit., 224 ha rilevato come «la c.d. perdita della chance sia storicamente sorta proprio a causa degli ostacoli che si incontrano – ancora una volta – sul piano probatorio allorché si tratta di dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra un evento contrario al diritto ed il venir meno di possibilità favorevoli», anche se poi ha ritenuto di poter concludere (a pag. 235) per l’inutilità dell’«”ambigua figura” sulla base «semplicemente (di) una più attenta riflessione sul rapporto di causalità esistente tra l’impedimento preliminare ed il danno finale arrecato alla posizione di interesse protetta dall’ordinamento» (nello stesso senso, sembra orientata anche F. Trimarchi Banfi, La responsabilità civile per l’esercizio della funzione amministrativa. Questioni attuali, cit., 79); a chi scrive sembra però che sia proprio la più attenta riflessione sulle difficoltà di dimostrare il nesso causale esposta in queste pagine a giustificare l’utilità del ricorso alla perdita di chances in ambito amministrativo.

[65] Citazioni sempre da M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 3 e 6.

[66] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 6.

[67] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7.

[68] Citazioni da M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7; per quello che riguarda il versante amministrativo, risulta attestato su posizioni sostanzialmente analoghe anche F. Cortese, Evidenza pubblica, potere amministrativo e risarcimento del danno da perdita di chance, cit. quando rileva conclusivamente come, «a ben vedere … il risarcimento della perdita di chance si può predicare soltanto laddove sia storicamente accertato che il seguito del procedimento amministrativo non possa condurre il danneggiato al concreto soddisfacimento della pretesa».

[69] Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 (in Foro it., 2018, I, 1579, con note di Pardolesi e Tessone; Nuova giur. civ., 2018, 1285, con nota di Gareffa; Corriere giur., 2018, 904, con nota di Tassone; Guida al dir., 2018, fasc. 19, 33, con nota di Martini) punti 3.9.1 e 4.e della motivazione (che così continua: «tale possibilità – i.e. tale incertezza eventistica (la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta) – sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta – se provato il nesso causale (certo ovvero “più probabile che non”), tra la condotta e l’evento incerto (la possibilità perduta) nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza»; per una critica all’impianto generale della sentenza, si rinvia a R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit.

[70] Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641, cit., punto 3.8.1.

[71] Il riferimento è ovviamente alle sentenze “gemelle” delle Sezioni Unite in materia danno non patrimoniale pubblicate il giorno di San Martino del 2008 (Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 2697 (in Resp. e risarcimento, 2008, fasc. 11, 14, con note di Rodolfi e Martini; Dir. e giur., 2008, 526, con nota di Procida Mirabelli Di Lauro; Nuova giur. civ., 2009, I, 102, con note di Bargelli, Di Marzio e Cendon; Mass. giur. lav., 2009, 49, con note di Vallebona e Bianchi D’Urso; Assicurazioni, 2008, II, 2, 439, con note di Gussoni e Rossetti; Nuova giur. civ., 2009, I, 102, con note di Navarretta e Ponzanelli; Immobili & dir., 2009, fasc. 1, 36, con nota di Celeste; Riv. giur. lav., 2009, II, 74, con nota Fabbri; Mass. giur. lav., 2009, 49, con nota di Cinque; Danno e resp., 2009, 279, con nota di Gazzara; Giur. it., 2009, 317, con nota di Tomarchio; Dir. famiglia, 2009, 73, con nota di Gazzoni; Dir. ed economia assicuraz., 2008, 821, con nota di Hazan; Danno e resp., 2009, 19, con note di Landini e Sganga; Giur. it., 2009, 61 e 1380, con nota di Vizioli; Ragiusan, 2009, fasc. 299, 212; Corriere giur., 2009, 48; Famiglia e dir., 2009, 113, con nota di Facci; Riv. it. medicina legale, 2009, 451, con note di Barni, Fiori e Bona; Danno e resp., 2009, 19, con nota di Procida Mirabelli Di Lauro; Giust. civ., 2009, I, 913, con nota di Rossetti; Rass. dir. civ., 2009, 499, con note di Perlingieri e Tescione; Assicurazioni, 2008, II, 2, 439, con note di Gussoni e Rossetti; Resp. civ. e prev., 2009, 38, con note di Monateri e Navarretta; Riv. Neldiritto, 2009, 38, con nota di Navarretta; Riv. dir. civ., 2009, II, 97, con nota di Busnelli; La responsabilità civile, 2009, 4, con note di Franzoni, Zaccaria e Bilotta; Assicurazioni, 2009, II, 2, 216, con nota di Pompei; Riv. it. medicina legale, 2009, 179, con nota di Buzzi; Dir. mercato lav., 2008, 254, con note di Marchese e Molé; Lavoro e prev. oggi, 2009, 679, con nota di Colucci; Dir. comunitario scambi internaz., 2009, 793, con nota di Viglianisi Ferraro; Riv. dir. comm., 2009, II, 43, con nota di Scotti); trattandosi di interventi, nel caso del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e, nel 2019 della Terza Sezione, la simmetria tra i “due decaloghi” non è pertanto perfetta.

[72] Per una prima esposizione dei diversi contenuti delle dieci decisioni, si veda S. Corso, Il nuovo “decalogo di San Martino”, in www.federalismi.it- Osservatorio di diritto sanitario, 2020, 2.

[73] Vedila in Giust. civ. Mass., 2019; Ridare.it, 7 gennaio 2020, con nota di M. Bona, Causalità da perdita di chance ed anticipazione della morte: il decalogo riassuntivo della Cassazione del “San Martino II”; Guida al diritto 2019, 49-50, e 2020, 1, 149.

[74] «La delicatezza e la complessità della questione della perdita di chance trova la sua sintesi più felice nel pensiero di un celebre filosofo ed economista, il quale, dopo aver premesso come “the natural interpretation of “chance” is subjective“, definirà poi la chance come “the measure of our ignorance“» (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993, cit., p. 1); S. Corso, Il nuovo “decalogo di San Martino”, cit., 16 rileva come si tratti di citazione tratta da A Treatise on Probability.

[75] M. Bona, Causalità da perdita di chance ed anticipazione della morte: il decalogo riassuntivo della Cassazione del “San Martino II”, cit.

[76] Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993, cit., p. 8 che critica, al successivo p. 9, la lettura della chance in senso causale proposta dalla già citata Cass. civ, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619.

[77] Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993, cit., pp. 13, 16 e 18 (in cui si chiarisce che «l’incertezza del risultato, va ribadito, è destinata ad incidere non sulla analisi del nesso causale, ma sulla identificazione del danno, poiché la possibilità perduta di un risultato sperato (nella quale si sostanzia la chance) è la qualificazione/identificazione di un danno risarcibile a seguito della lesione di una situazione soggettiva rilevante (comunque afferente al diritto alla salute), e non della relazione causale tra condotta ed evento, che si presuppone risolta positivamente prima e a prescindere dall’analisi dell’evento lamentato come fonte di danno»).

[78] Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993, cit., p. 10.

[79] Del tutto esattamente, M. Bona, Causalità da perdita di chance ed anticipazione della morte: il decalogo riassuntivo della Cassazione del “San Martino II”, cit. rileva come oggi «la vera questione, che si pone sul piano pratico, riguarda il livello di comprensione di questa doctrine, così come elaborata dalla Suprema corte, non solo da parte di magistrati ed avvocati, ma anche in seno alla medicina legale, la quale è chiamata a giocare un ruolo importante nell’evidenziazione dei dati che possono supportare la sussistenza o meno di questa prospettiva causale».

[80] Citazioni da Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993, cit., p. 4.

[81] Citazioni da Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993, cit., pp. 5 e 6.

[82] M. Bona, Causalità da perdita di chance ed anticipazione della morte: il decalogo riassuntivo della Cassazione del “San Martino II”, cit.

[83] Per certi versi, il breve accenno di Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993 sopra richiamato pare, infatti, porre in crisi la stessa distinzione tra interessi pretensivi e oppositivi; anche negli interessi pretensivi il patrimonio di conoscenze dell’esaminando o dell’impresa partecipante alla gara sarebbe, infatti leso dall’«intervento “soppressivo”» della p.a., in una logica, quindi, sostanzialmente non dissimile da quella propria degli interessi oppositivi.

[84] Come al successivo punto 7 di Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993, cit.: «oltre che sul piano concettuale, la distinzione rileva anche su quello degli effetti (i.e., sull’aspetto risarcitorio), dovendo il giudice di merito inevitabilmente tener conto, in una dimensione strettamente equitativa, di tale diversità nella liquidazione del danno. Se, difatti, in sede di accertamento del valore di una chance patrimoniale è spesso possibile il riferimento a valori oggettivi (il giudice amministrativo, in alcune sue passate decisioni, ha adottato il parametro del 10% del valore dell’appalto all’atto del riconoscimento di una perdita di chance di vittoria da parte dell’impresa illegittimamente esclusa), diverso sarà il criterio di liquidazione da adottare per la perdita di una chance a carattere non patrimoniale, rispetto alla quale il risarcimento non potrà essere proporzionale al risultato perduto, ma commisurato, in via equitativa, alla possibilità perduta di realizzarlo».

[85] In questa prospettiva, risulterebbe condivisibile la conclusione di chi ha preferito leggere la decisione in termini di una rilettura della chance non patrimoniale dell’istituto «sulla base di argomenti volti a delineare uno statuto della chance a vocazione più inclusiva, in quanto incidente sugli stessi presupposti concettuali dell’istituto, e, quindi, capace di attrarre nell’orbita anche la “chance patrimoniale”» (E. Vincenti, La sentenza n. 500/1999 fra vecchie e nuove categorie nella materia risarcitoria, in www.giustizia-amministrativa.it; si tratta dell’intervento al convegno «A 20 anni dalla sentenza n. 500/1999: attività amministrativa e risarcimento del danno» svoltosi in Consiglio di Stato il 16 dicembre 2019).

[86] In questi termini sembra orientato S. Corso, Il nuovo “decalogo di San Martino”, cit., 16 che rileva come «la chance patrimoniale, postulando la preesistenza di una situazione positiva, cioè un qualcosa su cui andrà a incidere negativamente il comportamento del danneggiante, ricalca la fisionomia dell’interesse pretensivo, concetto proprio del diritto amministrativo. Diversamente, nell’ambito sanitario, è «l’apparire del sanitario sulla scena» che crea la chance, essendo la situazione del paziente sfavorevole, per questo si parla qui di chance non pretensiva».

[87] In questo senso, si veda anche M. Bona, Causalità da perdita di chance ed anticipazione della morte: il decalogo riassuntivo della Cassazione del “San Martino II”, cit.

[88] Come Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, cit.

[89] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 3, § 8; a questo proposito, risulta ancora attuale l’insegnamento di Niklas Luhmann: «il calcolo della probabilità costruisce una realtà fittizia che ha poco a che fare con la realtà reale» (N. Luhmann, Pericolo oppure rischio, solidarietà oppure conflitto, in Id., Il rischio dell’assicurazione contro i pericoli, a cura di A. Cevolini, Roma, Armando 2013; citazione dall’edizione digitale).

[90] Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, nn. 582, 583 e 584 cit.

[91] È questa sostanzialmente la posizione di M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7 che riferisce il giudizio di spettanza solo alle ipotesi di poteri vincolati; la posizione della giurisprudenza sembra però più avanzata e fondata su una rilettura del giudizio di spettanza in termini probabilistici estensibili anche a valutazioni discrezionali, purché sussista una ragionevole probabilità di concludere, anche in termini puramente probabilistici (50% più 1) o logico/baconiani, per la spettanza del bene della vita.

[92] Al proposito, si rinvia a M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 5 e ss., C. Salvi, La responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 1998, 171 e G. Giannini e M. Pogliani, Le responsabilità da illecito civile. Assicuratore, magistrato, produttore, professionista, Milano, Giuffrè, 1996, 19; anche in ambito amministrativo, l’importanza della distinzione era stata percepita da F. Trimarchi Banfi, L’ingiustizia del danno da lesione di interessi legittimi, cit., che non ha successivamente sviluppato l’argomentazione.

[93] Citazioni da M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 31 e ss.

[94] Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118, cit., punto VI.5.

[95] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 3 e 6.

[96] Citazioni da M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 31 e ss.

[97] Si tratta di C.G.A. sez. giurisd., 12 dicembre 2013, n. 929, in Urb. e appalti, 2014, 6, 691 ss., con nota di Commandatore; www.Lexitalia.it, con nota di Nicotra; Giur. it., 2014, 6, 1476 ss., con nota di Meale; Foro amm C.d.S. 2013, 12, 3556.

[98] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 6; in senso praticamente analogo, si veda anche M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 38 e ss., con ampie citazioni della giurisprudenza più recente (tra cui Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2018, n. 7248, in Diritto & Giustizia, 2018, 26 marzo, con nota di Savoia; Guida al diritto, 2018, 18, 73, con nota di Piselli; Foro it., 2018, 7-8, I, 2401, con nota di Caputi; Rass. dir. farmaceutico, 2018, 4, 783).

[99] V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, cit., 84.

[100] Si riporta all’ambito amministrativo l’impostazione della problematica di Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 39, formulata con riferimento alla responsabilità medica.

[101] Per un’impostazione sostanzialmente analoga, si veda, nella materia della responsabilità sanitaria, la parte finale della già citata Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993.

[102] È il caso di L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit., 371 che propende per l’accoglimento della nozione ontologica di chance solo «nello specifico settore dei contratti pubblici», per superare le ristrettezze di tutela che derivano dall’opzione per la tesi eziologica con riferimento alle ipotesi in cui sia del tutto mancata la procedura di gara; ristrettezze che contrasterebbero, secondo la sua prospettazione, con i vincoli derivanti dalle direttive in materia.

[103] Ad es., nella materia dei contratti pubblici, risulta ancora da approfondire e da chiarire il ruolo da attribuire alla possibilità di riavviare il procedimento di aggiudicazione. Bisogna concludere per l’impossibilità di utilizzare, in questo caso, la tecnica del risarcimento da perdita di chances «perché in casi del genere non è ancora definitivamente compromessa la possibilità di ottenere l’utilità finale» (V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 300) o è possibile utilizzare più agevoli meccanismi a base probabilistica (fondati sul famoso 50% più 1) o logico-estimativa (come quello utilizzato da Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, cit.)?

[104] F. Trimarchi Banfi, La chance nel diritto amministrativo, cit., § 3.

[105] A questo proposito, si rinvia a L. Viola, Introduzione breve all’analisi economica della responsabilità civile della pubblica amministrazione, in Giurisd, amm., 2006, II, 331; Id., Giurisdizione condizionata e azione risarcitoria nei confronti della p.a: le incertezze della Corte costituzionale, ivi, 2008, 219; F. Saitta, Appunti preliminari per un’analisi economica del processo amministrativo, in A.I.P.D.A. (Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo), Analisi economica e diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2007, 285 e ss.; B. Raganelli, Efficacia della giustizia amministrativa e pienezza della tutela, Torino, Giappichelli, 2012, 80 e ss.

[106] V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 298; nello stesso senso, si veda il più recente Id., Ripensare la sentenza n. 500/1999 a venti anni dalla sua pubblicazione, cit., 624, nota 61, con riferimento alla giurisprudenza più recente.

[107] Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, cit.

[108] Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993, cit., p. 8.

[109] Inaugurato da Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400, cit., punto 5.1. («nella fattispecie gli attori hanno domandato esclusivamente il risarcimento del danno per la morte del loro congiunto, conseguente ad assunto errore diagnostico ed omesso intervento chirurgico») e continuato da Cass. civ. sez. III, 29 novembre 2012, n. 21245 (in Ragiusan, 2013, 354-356, 263; Foro it., 2013, 2, I, 499, con nota di Palmieri; Diritto & Giustizia, 2012, 30 novembre, con nota di Di Michele) e dalle più volte citate Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641 e Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28993.

[110] Cass. civ, sez. III, 14 giugno 2011, n. 12961, in Resp. civ. e prev., 2011, 10, 2039, con nota di Miotto; Diritto & Giustizia, 2011, 18 giugno, con nota di Ferrario; Ragiusan, 2012, 335-336-337, 198; Guida al diritto, 2011, 38, 80.

[111] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 88 e ss.

[112] Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2017, n. 12597, in Rass. dir. farmaceutico, 2017, 6, 1216; Diritto & Giustizia, 2017, 22 maggio, con nota di Marotta; Guida al diritto, 2017, 43, 56; in precedenza, si veda Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2015, n. 7193, in Diritto & Giustizia 2015, 13 aprile.