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n. 2/2014 | 11 Febbraio 2014 | © Copyright | - Articoli e note, Pubblico impiego | Torna indietro More

VITO TENORE, Riflessioni sul rapporto di lavoro del personale amministrativo non magistratuale del Consiglio Superiore della Magistratura…


VITO TENORE
(Consigliere della Corte dei Conti
– Professore di diritto
del lavoro pubblico presso la SNA
– Scuola Nazionale di Amministrazione)

Riflessioni sul rapporto di lavoro del personale amministrativo non magistratuale del Consiglio Superiore della Magistratura: applicazione del D.lgs. n. 165 del 2001 e reclutamento con doverosa previa mobilità rispetto ai concorsi


SOMMARIO: 1. Il C.S.M. quale pubblica amministrazione. – 2. Riflessi della natura amministrativa delle funzioni del C.S.M.. Le fonti lavoristiche del proprio personale privatizzato: il d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165. – 3. Sulla pacifica applicabilità della mobilità ex art. 30, d.lgs. n. 165 al personale privatizzato del C.S.M. – 4. Annullamento di concorsi non preceduti da mobilità: sviluppi risarcitori e di danno erariale.

1. Il C.S.M. quale pubblica amministrazione.

Può considerarsi pacifico sul piano sistematico, alla luce della giurisprudenza anche costituzionale intervenuta, che il Consiglio Superiore della Magistratura [1] non sia un organo costituzionale [2], ma, al pari del CNEL (art.99 cost.), del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e del Consiglio Supremo di Difesa, un organo di rilevanza costituzionale [3], il quale, ex art. 104 e105 cost. e in base alla l.24 marzo 1958 ed al d.P.R.16 settembre 1958 n.916,  svolge le sue funzioni tramite personale magistratuale fuori ruolo (componenti togati del Consiglio, Segretario Generale, addetti alle Commissioni e agli Uffici), tramite taluni “laici” (vice presidente del C.S.M. e componenti non togati) e tramite personale amministrativo di ruolo (istituito con l’art.1 del d.lgs. 14 febbraio 2000 n.37) o comandato da altre amministrazioni: il personale magistratuale rientra tra le categorie “non privatizzate” di cui all’art.3, d.lgs.31 marzo 2001 n.165 (già decreto n.29 del 1993), mentre il personale amministrativo non magistratuale rientra tra le categorie “privatizzate” di cui all’art.2, co.2 e 3, del d.lgs. n. 165 citato.

Tutte le tipologie di lavoro presso la P.A. presenti nel nostro ordinamento sono normate, nei loro principi fondamentali, nel  predetto decreto legislativo n.165, emblematicamente intitolato “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e, come tale, disciplina-base per tutti i lavoratori pubblici e linea guida anche per gli ordinamenti autonomi degli organi costituzionali.

Fatti salvi i dipendenti degli organi costituzionali, non esiste dunque un “tertium genus” di dipendenti pubblici: o si rientra tra le categorie privatizzate o, eccezionalmente, tra quelle “non privatizzate”, che rappresentano un numerus clausus tassativamente enunciato dall’art.3, d.lgs. n.165, il quale  annovera il personale magistratuale (ordinario, amministrativo, contabile, militare), ma non il personale amministrativo ausiliario di dette categorie, ovvero il personale amministrativo in servizio presso il Ministero della Giustizia, i Tar ed il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, i Tribunali militari, e, dunque, non comprende anche quello in servizio presso gli organi di autogoverno delle varie magistrature: il CSM, il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa e di quella Contabile, il Consiglio Superiore della magistratura militare.

Le controversie lavoristiche di tutto il personale pubblico sono parimenti normate dal d.lgs. n.165: quelle del personale magistratuale in generale, e dunque anche di quello in servizio presso il C.S.M., sono notoriamente devolute al complesso Tar-Consiglio di Stato in sede di giurisdizione esclusiva (art.63, co.4, d.lgs. n.165), mentre quelle del personale “privatizzato, e, dunque anche del personale amministrativo del C.S.M. (di ruolo o in comando) e di tutti gli organi di autogoverno delle varie magistrature, sono attribuite al giudice ordinario del lavoro ex art.63, co.1 del d.lgs. n.165 cit. [4], salvo la materia dei concorsi, notoriamente devoluta al g.a. anche per le carriere privatizzate in base all’art.63, co.4, d.lgs. n.165.

Le controversie, infine, avverso i provvedimenti del C.S.M., sia con riferimento al personale dei magistrati italiani “amministrati” (es. assunzioni, promozioni, conferimento di incarichi, trasferimenti, collocamento in ruolo o fuori ruolo etc.), sia con riferimento a gare, concorsi, accesso agli atti, sono devolute, come accade per ogni pubblica amministrazione, alla cognizione del giudice amministrativo, trattandosi di atti amministrativi, taluni rientrati nella materia lavoristica (giurisdizione esclusiva del g.a.) altri in quella di legittimità del g.a.  E tale univoca sottoposizione del C.S.M. al giudice [5] si estende anche alla fase esecutiva sia ordinaria (quella del c.p.c.) che amministrativa (tramite commissario ad acta, sovente utilizzato dal giudice amministrativo a fronte di delibere consiliari elusive di giudicato [6]), a riprova della pacifica natura amministrativa del Consiglio e della sua piena riconducibilità alla nozione di “pubblica amministrazione.”

In conclusione, sia i magistrati fuori ruolo presso il C.S.M. che il personale amministrativo “depubblicizzato” ausiliario, operano, con status e referenti lavoristici distinti, all’interno di una “pubblica amministrazione”, quale è ontologicamente il Consiglio Superiore della Magistratura, il cui personale, soprattutto quello privatizzato,  trova quale basilare referente normativo, per gli istituti portanti del lavoro pubblico, sostanziali e processuali, il d.lgs. n.165 del 2001 [7], di cui il regolamento del personale approvato il 24 luglio 2001 dovrebbe essere mera attuazione e adattamento alle peculiarità funzionali del C.S.M.

La nozione di pubblica amministrazione (e di organizzazione amministrativa [8]), a cui è riconducibile anche un organo avente valenza costituzionale, quale il C.S.M., in quanto espleta funzioni oggettivamente e soggettivamente amministrative (adottando provvedimenti governo della magistratura oltre che di gestione dei propri beni e del proprio personale), è notoriamente complessa, ma secondo condivisibili approdi, la stessa è definibile come quell’insieme di organismi, assoggettati a quel complesso di regole che è il diritto amministrativo,  caratterizzati, in esecuzione o in base alla legge, dal provvedere alla cura  concreta di interessi pubblici attraverso atti autoritativi di imperio tesi alla cura di interessi individuati dalla legge come interessi della collettività. Le pubbliche amministrazioni sono “organizzazioni amministrative” ovvero soggetti e strutture che svolgono attività di pubblica amministrazione esercitando funzione organizzativa dei pubblici poteri.

Tale definizione è agevolmente applicabile anche al C.S.M.: in quest’ultima nozione rientrano infatti, in virtù del chiarissimo art.1, co.2 del d.lgs. n.165 del 2001 “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi comprese….le. amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo…. tutti gli enti pubblici non economici nazionali” ed il C.S.M. è appunto amministrazione “ausiliaria” dello Stato o, in ogni caso, un ente pubblico non economico nazionale !

Del resto le disposizioni di tale basilare testo normativo, avente l’emblematico titolo di “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, in base all’art.1, co.1, “disciplinano l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, senza eccezione alcuna. La chiara terminologia usata dal legislatore non consente dunque di sottrarre alla sua portata applicativa nessuna pubblica amministrazione statale (o meno), quale è, ad esempio, il C.S.M., ancorchè avente rilevanza costituzionale per i fini istituzionali (governo della Magistratura), in quanto detti fini sono pur sempre perseguiti tramite uomini e donne, magistrati e amministrativi, legati alla P.A. da rapporto di pubblico impiego, normato dai precetti del d.lgs. n.165 del 2001, che testualmente “costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione” (art.1, co.3, d.lgs. n.165) e “costituiscono disposizioni a carattere imperativo” (art.2, co.2).

Né va trascurato che il C.S.M. rientra tra le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato ex art. 1, co.3, l.n.196 del 2009 di cui all’elenco ISTAT in G.U. 30 settembre 2013 n.229, segno inequivoco della natura di “pubblica amministrazione” dell’organo di autogoverno della magistratura e che lo stesso art.4 del d.lgs. 14 febbraio 2000 n.37 (istitutivo del ruolo del personale amministrativo della segreteria e dell’ufficio studi e documentazione del Consiglio superiore della magistratura) estende al personale del C.S.M. “le disposizioni relative al trattamento di previdenza e di assistenza del personale della pubblica amministrazione comparto Ministeri”.

Dalla portata soggettiva di applicazione generalizzata e diretta del d.lgs. n.165 a tutti gli enti pubblici possono ragionevolmente ritenersi sottratti solo “gli organi costituzionali” in senso stretto (Camera, Senato, Corte costituzionale, Presidenza della Repubblica) [9], i cui apparati serventi sono “organi burocratici pubblici” [10] non facenti parte della pubblica amministrazione e connotati per Costituzione (art.64 cost.) e per legge da “riserva di regolamento” [11] e da “autodichia” [12]: la sottoposizione a contrattazione collettiva e alle leggi sul lavoro privato ai sensi dell’art.2 del d.lgs. n.165 del 2001 comprometterebbe drasticamente la sovranità degli organi costituzionali [13], organi necessari, indefettibili ed idonei ad individuare l’organizzazione politica di un determinato momento storico e caratterizzati altresì, per legge, da autodichia, non spettante invece ad organi di mera rilevanza costituzionale (quale è il C.S.M.). Tali organi costituzionali tuttavia, essendo pur sempre organismi pubblici, non sono totalmente avulsi dalla normativa di carattere generale statale, soprattutto se ponga principi fondamentali o di ordine pubblico [14]: pertanto i loro regolamenti del personale, che hanno natura di normazione primaria riservata (Camera, Senato, Corte Costituzionale)  o hanno rango di d.P.R. (Presidenza della Repubblica: v. d.P.R. 18 giugno 1985 n.74), vengono periodicamente adeguati alle sopravvenienze normative del restante pubblico impiego o ne richiamano taluni istituti, al pari di quanto accade nelle Autorità indipendenti (es.Banca d’Italia).

Gli organi di mera “rilevanza costituzionale” (nozione in verità assai fluida [15]) non possono essere invece sottratti a tale normativa-base in assenza di una deroga costituzionale o legislativa e in considerazione della natura meramente secondaria dei propri eventuali regolamenti del personale o dei CCNL: applicano difatti pacificamente il d.lgs. n.165 sia il CNEL, sia il Consiglio di Stato, sia la Corte dei conti, sia il Consiglio supremo di difesa. Anche il Ministero della Giustizia (menzionato, unico tra i Ministeri, dall’art.110 cost.), applica pacificamente al proprio personale il d.lgs. n.165 anche in relazione ai suoi profili applicativi attraverso i CCNL.

Parimenti applicato, da sempre, è il regime del d.lgs. n.165 (e, in precedenza, quello del decreto n.29 del 1993) al personale amministrativo in servizio specificamente presso gli organi di autogoverno (omologhi del C.S.M.) delle magistrature speciali, aventi notoriamente rilevanza costituzionale: Corte dei Conti, Tar-Consiglio di Stato, Magistratura militare.

2. Riflessi della natura amministrativa delle funzioni del C.S.M. Le fonti lavoristiche del proprio personale privatizzato: il d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165.

Giunti alla lineare conclusione che il C.S.M. sia una pubblica amministrazione per le funzioni oggettivamente e soggettivamente amministrative svolte [16], occorre ribadire che ogni  P.A. sottostà alla Carta costituzionale ed alle fonti legislative nazionali, potendosi solo riconoscere a qualsiasi ente (e non solo al C.S.M.) una autonomia normativa regolamentare di fonte secondaria (quale è, ad esempio un regolamento interno del personale o quello di amministrazione e contabilità [17]), come tale sottordinata alla legge e rispettosa della stessa: il Regolamento di disciplina del personale del C.S.M. approvato il 24 luglio 2001 è dunque fonte secondaria e recessiva rispetto alla legge.

Parimenti sottostanno alla legge i contratti collettivi nazionali e decentrati, come opportunamente riaffermato dall’art.2, co.2 del d.lgs. n.165 del 2001 novellato dal decreto Brunetta n.150 del 2009, che consente deroghe da parte della contrattazione collettiva alla legge (e dunque ai precetti del d.lgs. n.165) solo se autorizzate dalla legge stessa.

Ancor più evidente in qualsiasi ente pubblico, e dunque anche presso il C.S.M., è la sottordinazione, rispetto alla legge ed alle fonti secondarie, delle “circolari”, meri strumenti interpretativi interni, non rientranti tecnicamente tra le fonti del diritto e meramente attuative ed esplicative delle norme (primarie e secondarie), anche se in talune amministrazioni assumono indebitamente e “di fatto” una portata autoreferenziale e una natura “antropomorfa” quasi …….sovracostituzionale.

Alcuna valenza nella gerarchia delle fonti assumono infine le “risposte a quesiti” o  i “pareri” (tecnici o giuridici) resi da organi interni o esterni dell’ente (e dunque anche quelli dell’ufficio studi del C.S.M.) su alcune delicate questioni istituzionali, gestionali o organizzative, essendo notoriamente i pareri, sebbene spesso autorevolmente redatti, atti amministrativi infraprocedimentali, privi (di regola) di immediata lesività e come tali non impugnabili, e di regola (salvo espressa previsione contraria) non vincolanti per l’amministrazione attiva decidente.

Può dunque concludersi che qualsiasi pubblica amministrazione, ancorchè svolga funzioni di valenza costituzionale come il C.S.M., sottostà alla legge, alla gerarchia delle fonti ed agli organi giurisdizionali, senza potersi sottrarre a tale basilare principio di civiltà giuridica.

Lo stesso Ministero della Giustizia, unico ad essere menzionato nella Carta costituzionale (art.110), sottostà, come qualsiasi ente pubblico, alla gerarchia delle fonti ed il suo personale amministrativo sottostà inequivocabilmente al d.lgs. n.165 del 2001 ed alla contrattazione collettiva nazionale, a riprova che la valenza costituzionale dei fini istituzionali di un ente (C.S.M. o Ministero della Giustizia) non consente né giustifica deroghe alla gerarchia delle fonti e alle norme base sul pubblico impiego. Ed analoghe considerazioni valgono per il CNEL e per tutti gli altri organi di rilevanza costituzionale, ai quale si applica pacificamente il d.lgs. n.165 del 2001, a cui si adegua doverosamente il CCNL del relativo personale (vedasi il CCNL 2006-2009 Ministeri e CCNL Enti art. 70 d.lgs. 165/2001) [18].

Del resto, come ben chiarito dalla Corte costituzionale con la nota sentenza 15 settembre 1995 n. 435 [19], con specifico riferimento alla rivendicata  autonomia del C.S.M.,  “È evidente, in primo luogo, che tutti i soggetti di diritto, ivi compresi gli organi di rilevanza costituzionale, sono egualmente tenuti al rispetto della legge. Coerentemente, per quanto qui rileva, il principio di legalità dell’azione amministrativa (artt. 97, 98 e 28 Cost.), unitamente al principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24, 101, 103 e 113 Cost.), se da una lato affermano l’indipendenza dell’amministrazione, dall’altro comportano esplicitamente l’assoggettamento dell’amministrazione medesima a tutti i vincoli posti dagli organi legittimati a creare diritto, fra i quali, evidentemente, gli organi giurisdizionali. In breve, la Costituzione accoglie il principio in base al quale il potere dell’amministrazione merita tutela solo sul presupposto della legittimità del suo esercizio, demandando agli organi di giustizia il potere di sindacato – pieno, ai sensi del secondo comma dell’art. 113 della Costituzione – sull’esistenza di tale presupposto. A ciò si aggiunga che il contenuto tipico della pronuncia giurisdizionale è proprio quello di esprimere la volontà concreta della legge o, più esattamente, la “normativa per il caso concreto” (come si è felicemente precisato in dottrina) che deve essere attuata nella vicenda sottoposta a giudizio”.

Tale indirizzo costituzionale è confermato da univoca giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha più volte ribadito che “la speciale posizione costituzionale del C.S.M. non lo esonera dal rispetto del principio di legalità e che, pertanto, tale organo è tenuto all’osservanza delle leggi che disciplinano lo status dei magistrati anche in considerazione della riserva di legge statale sancita dall’art. 108 comma 1 Cost” [20] e che “il principio di legalità deve ispirare l’azione anche degli organi di rilevanza costituzionale come il C.S.M., la cui speciale posizione istituzionale non costituisce valida ragione di esonero….. In altri termini il C.S.M., grazie alla sua peculiare configurazione costituzionale, può legittimamente ed in taluni casi doverosamente integrare gli spazi vuoti lasciati dall’ordinamento, ma non può, in ossequio al principio di legalità e per rispettare il canone costituzionale…..andare contro univoche disposizioni legislative”. [21]

Tale univoco orientamento è stato confermato dal Supremo giudice amministrativo, che dà assolutamente per scontata la natura di pubblica amministrazione del CSM e la natura amministrativa dei suoi provvedimenti in relazione all’attività amministrativa dei membri del CSM, ammettendo la possibilità della ricusazione di un componente del CSM a fronte di un procedimento amministrativo (non sottratto all’art.49 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n.3, c.d. t.u.imp.civ.Stato) [22], alla applicabilità della l. 7 agosto 1990 n.241 (ivi compreso l’accesso agli atti) anche ai procedimenti amministrativi del CSM [23], all’incidenza degli atti del CSM sulla organizzazione degli uffici del P.M. [24]

Se dunque il C.S.M. è una pubblica amministrazione che espleta funzioni oggettivamente amministrative, allo stesso, secondo univoca giurisprudenza, si applicano le regole generali del vigente ordinamento sulla attività pubblicistica e privatistica della p.a., ovvero le leggi sul procedimento amministrativo e l’accesso agli atti (l. n.241 del 1990), sulla tutela della privacy (d.lgs. n.196 del 2003), sui contratti pubblici (d.lgs.n.163 del 2006), sulla anticorruzione (l. n.190 del 2012), sulle autocertificazioni (d.P.R. 445 del 2000), sul pubblico impiego (d.lgs. n.165 del 2001) etc.

Adattando tali basilari coordinate ai profili lavoristici del personale in servizio presso il C.S.M., mentre i Magistrati, pur rinvenendo nel d.lgs. n.165 del 2001 basilari referenti che confermano l’applicabilità di molti precetti del decreto legislativo anche alle carriere magistratuali (si pensi all’art.53 in materia di incompatibilità e di incarichi [25], o all’art.63 in materia di controversie di lavoro), hanno una compiuta regolamentazione del proprio status lavoristico nell’Ordinamento giudiziario in considerazione della valenza costituzionale delle funzioni svolte, il personale amministrativo del comparto Giustizia (nel quale rientra in senso lato anche quello operante presso il C.S.M.), che è notoriamente “privatizzato” e non svolge compiti di valenza costituzionale, sottostà, lavorando in una pubblica amministrazione, alle norme generali sul pubblico impiego sancite dal d.lgs. n.165 del 2001 ed ha pacificamente quale giudice dei propri contenziosi il giudice ordinario del lavoro.

La peculiarità del C.S.M. rispetto ad altre pubbliche amministrazioni è data dal fatto che i precetti normativi lavoristici di base, ovvero quelli del d.lgs. n.165 del 2001, non sono completati da un contratto collettivo nazionale ex art.40, d.lgs. n.165 che dettagli i diritti e gli obblighi dei lavoratori e le relazioni sindacali, ma da un “Regolamento di disciplina del personale”, fonte secondaria, adottato il 24 luglio 2001 dallo stesso C.S.M. ai sensi dell’art.13, co.1, l. 28 luglio 1999 n.266 e dell’art.2, d.lgs. 14 febbraio 2000 n.37 (quest’ultimo poi abrogato dall’art.5, co.7, l. 30 luglio 2007 n.111).

Tuttavia, la presenza di un ruolo organico autonomo distinto da quello del Ministero della Giustizia (mero atto strutturale di organizzazione interna avente natura di atto amministrativo generale attuativo dell’art.1, d.lgs. 14 febbraio 2000 n.37) e di un regolamento del personale (anch’esso atto amministrativo generale di regolamentazione interna attuativo dell’art.13, co.1, l. n.266 del 1999 e dell’art.2, d.lgs.n.37 del 2000) non snaturano né smentiscono la natura di “pubblica amministrazione” del C.S.M., né escludono l’ossequio alla gerarchia delle fonti da parte dei propri atti amministrativi, ancorchè regolamentari o generali, i quali sottostanno alla legge e, dunque, anche al d.lgs. n.165 del 2001, applicabile a “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi comprese….le. amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo” (art.1, co.2 del d.lgs. n.165 del 2001) e i cui precetti, si ripete, “costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione” (art.1, co.3, d.lgs. n.165) e “costituiscono disposizioni a carattere imperativo” (art. 2, co. 2).

In altre parole, sia che la fonte attuativa dei precetti del d.lgs. n.165 sia un contratto collettivo nazionale di natura negoziale (come accade per i Ministeri, gli enti locali o gli enti pubblici), sia che si tratti di un regolamento interno di natura  amministrativa (come accade per il C.S.M. con il regolamento 24 luglio 2001), nulla cambia in punto di gerarchia delle fonti: sia il CCNL (in base al novellato art.2, co.2 e 3-bis, d.lgs. n.165) sia il regolamento interno (in base alla gerarchia delle fonti) devono rispettare i principi portanti della preminente fonte legislativa, ovvero i precetti “imperativi” del d.lgs. n.165 del 2001.

3. Sulla pacifica applicabilità della mobilità ex art. 30, d.lgs. n. 165 al personale privatizzato del C.S.M.

Dal raggiunto approdo favorevole alla piena operatività del d.lgs. n. 165 del 2001 per il personale amministrativo non magistratuale del C.S.M. (e di alcuni principi-base anche al personale magistratuale, v. sopra) in quanto trattasi di dipendenti “privatizzati” di una pubblica amministrazione, discende la doverosa applicazione, tra le varie norme, anche dell’art.30 statuente, in materia di assunzione di personale per qualsiasi amministrazione, la previa e doverosa attivazione delle procedure di mobilità orizzontale [26] prima di procedere al reclutamento tramite concorso pubblico.

L’art.30, al comma 2-bis, sancisce testualmente che “Le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell’area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento assicurando la necessaria neutralità finanziaria”.

La norma richiamata, come è ben chiaro a chi conosca la legislazione lavoristica degli ultimi anni, è espressiva di un basilare principio generale di finanza pubblica, rispondente ad evidenti e necessarie esigenze di contrazione dei costi e dei tempi, quelli di un concorso, ben più oneroso e durevole rispetto alla più snella mobilità.

La mobilità, come è noto, permette all’amministrazione di assumere personale che già ha ricoperto il posto vacante o comunque ha già conseguito la stessa qualifica presso altre amministrazioni. Questo comporta la possibilità di acquisire personale già formato e con esperienza nel ruolo, situazione che comporta un’immediata operatività ed un risparmio di spesa. In secondo luogo, l’ordinamento del pubblico impiego prevede una preferenza legale per il passaggio di personale tra amministrazioni rispetto alle nuove assunzioni, per ottenere una più razionale distribuzione delle risorse tra le amministrazioni pubbliche nonché economie di spesa di personale complessivamente intesa, dal momento che consente una stabilità dei livelli occupazionali nel settore pubblico. Oltre all’art. 30, d.lgs. n.165 del 2001 anche l’art. 39 co. 3 della legge 27 dicembre 1997 n. 449 stabilisce per tutte le pubbliche amministrazioni (senza eccezioni per il C.S.M.) che “le assunzioni restano comunque subordinate all’indisponibilità di personale da trasferire secondo le vigenti procedure di mobilità“. Da ultimo l’art. 1 comma 47 della legge n.311 del 2004 prevede che “in vigenza di disposizioni che stabiliscono un regime di limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato, sono consentiti trasferimenti per mobilità, anche intercompartimentale, tra amministrazioni sottoposte al regime di limitazione, nel rispetto delle disposizioni sulle dotazioni organiche e, per gli enti locali, purché abbiano rispettato il patto di stabilità interno per l’anno precedente“.

Il previo esperimento di procedure di trasferimento mediante mobilità da altre amministrazioni, prima di indire gli eventuali concorsi pubblici per la copertura dei posti disponibili è stata da sempre un’opzione privilegiata dalle PP.AA., non trattandosi di un istituto previsto nell’esclusivo interesse dell’amministrazione, ma di uno strumento di reclutamento in grado di prevalere sul concorso pubblico perché considerato idoneo a garantire economie di spesa ed utilizzare i dipendenti nel modo più razionale, evitando di effettuare nuove assunzioni quando sia possibile riallocare diversamente i dipendenti non più indispensabili in un determinato ente o comparto.

Né va dimenticato il ruolo della mobilità nell’attuale contesto normativo ed istituzionale di contenimento della spesa: “la mobilità consente l’acquisizione di personale già formato, l’immediata operatività delle scelte, l’assorbimento di eventuale personale eccedentario ed i risparmi di spesa conseguenti” [27].

Come univocamente rimarcato da tutta la giurisprudenza ad oggi intervenuta, la doverosità della previa mobilità anteriormente al concorso rappresenta dunque regola generale per tutte le amministrazioni, comprese quelle Regionali [28] e l’inosservanza della stessa comporta l’annullamento di eventuali procedure concorsuali bandite senza il previo espletamento della mobilità, come statuito da un lapidario indirizzo del giudice amministrativo.

Ne discende un quadro normativo di assoluto favore per il passaggio di personale tra amministrazioni rispetto all’assunzione di nuovo personale, che non può non riverberarsi oltre che sui nuovi concorsi, anche sul rapporto tra ricerca di personale mediante mobilità volontaria e scorrimento delle graduatorie: addirittura la giurisprudenza ha dato prevalenza alla mobilità ex art.30 cit. rispetto allo scorrimento di graduatorie aperte, statuendo che sebbene lo scorrimento della graduatoria costituisca l’ordinaria modalità di reclutamento del personale da parte delle amministrazioni, giacché favorisce — rispetto all’indizione di un nuovo concorso — il contenimento della spesa pubblica, esso ė destinato a recedere, venendone meno la ratio, dinanzi alla possibilità di indire procedure di mobilità; il quadro normativo vigente (art. 30, d.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, art. 39 comma 3, l. n. 449 del 27 dicembre 1997, art. 1 comma 47, l. n. 311 del 30 dicembre 2004), infatti, privilegia il passaggio di personale tra amministrazioni rispetto all’assunzione di nuovo personale [29].

Lo stesso C.S.M. ha del resto più volte, nei primi anni del 2000, fatto doverosa applicazione di tale specifica norma, assorbendo nel proprio ruolo numerosi dipendenti del Ministero della Giustizia (con il consenso della Direzione Generale del Personale) da anni comandati presso l’organo di autogoverno ai sensi dell’art.30, d.lgs. n.165, valorizzando così l’economicità della mobilità rispetto al concorso e la pregressa esperienza specifica posseduta dagli interessati (e non certo da neo-assunti) in anni di servizio pregresso in comando, basilare requisito e titolo preferenziale previsto dall’art.30, co.2-bis cit.

Lo stesso art.5, co.4 del d.lgs. 14 febbraio 2000 n.37 istitutivo del ruolo del personale di segreteria del C.S.M., sancisce che il Consiglio può “coprire i posti ……..mediante passaggio diretto di dipendenti di amministrazioni pubbliche a norma dell’art. 33 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modifiche” (oggi art.30, d.lgs. n.165  del 2001), istituto dunque previsto come attuabile dalla stessa normativa settoriale del Consiglio.

Ed anche il d.P.C.M. 20 dicembre 2001 (Rideterminazione delle dotazioni organiche del personale dell’Amministrazione giudiziaria), all’art.1, co.2, nel sancire che  “Il Consiglio superiore della magistratura, al termine delle procedure di valutazione di cui all’art. 5, comma 2, del decreto legislativo 14 febbraio 2000, n. 37 e, fino al primo completamento dell’organico del proprio personale, all’esito delle procedure concorsuali pubbliche, nonché di quelle che comunque comportano la copertura di un posto di ruolo, comunica al Ministero della giustizia il numero e le posizioni economico-funzionali coperti”, ben tiene conto, nel parlare, in modo volutamente ampio, di procedure che comunque comportano la copertura di un posto di ruolo, di possibili reclutamenti diversi dal concorso, ovvero la mobilità prevista da fonte primaria, ovvero dall’art.30, d.lgs. n.165 del 2001 (già art.33, d.lgs. n.29 del 1993).

In evidente contraddizione con tale corretta assunzione del personale con la previa mobilità, il C.S.M., nei pareri n.149 del 17 maggio 2005 e 255 del 15 luglio 2005 dell’Ufficio Studi, ribaditi nel più recente parere n.156 del 3 maggio 2012, ha invece ritenuto che “il Consiglio superiore, per la particolare posizione che assume nell’ordinamento generale ed in ragione della specificità delle fonti che disciplinano il rapporto di lavoro del suo personale, resti sottratto sia al divieto di nuove assunzioni, che alla possibilità di essere destinatario delle procedure di mobilità attivate nel settore delle pubbliche amministrazioni”, sul presupposto che “il C.S.M., al pari delle altre istituzioni o organi indipendenti, specie se di rilevanza costituzionale, non fa parte delle amministrazioni pubbliche menzionate dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165” e che “con riguardo specificatamente agli altri enti ed organi pubblici statali menzionati nel cit. art. 1, può osservarsi che tra essi non può essere ricompreso il Consiglio superiore della magistratura, che nell’ambito dell’ordinamento giuridico assume, com’è noto, una posizione non solo di rilievo costituzionale ma anche di sostanziale autonomia e quindi di separatezza rispetto alle Amministrazioni dello Stato [30]. Ed invero se un elemento unitario può essere colto nell’elenco degli enti ed organi amministrativi contenuto della predetta disposizione, esso va senz’altro individuato nella loro diretta o indiretta riferibilità allo nozione di Stato-amministrazione, intesa in contrapposizione al concetto di Stato-ordinamento. La formula <Amministrazioni dello Stato> va in sostanza identificata con l’intero universo delle pubbliche amministrazioni statali in senso soggettivo, ossia (con) la totalità degli organi statali che formano il potere esecutivo ed hanno il proprio vertice nel Governo.

A sostegno di tale tesi, il predetto parere n.156 del 2012 cita poi l’art.5, co.1 del Regolamento di disciplina del personale, secondo cui “il personale del ruolo organico della segreteria e dell’ufficio studi del CSM viene assunto con concorso pubblico, per titoli ed esami” e dell’art. 12, comma 1, secondo cui “l’accesso alle posizioni iniziali delle due aree avviene mediante la procedura di cui al titolo II del presente Regolamento”.

Gli argomenti addotti dall’Ufficio studi a conforto della propria tesi restrittiva non appaiono affatto convincenti.

La tesi propugnata in tale parere si fonda sostanzialmente sulla non riconducibilità del C.S.M. alla nozione di “pubbliche amministrazioni” o “amministrazioni dello Stato” o di “ente pubblico nazionale” di cui all’art.1, co.2 del d.lgs. n.165 del 2001, in considerazione del suo rilievo costituzionale, ma anche di sostanziale autonomia e quindi di separatezza rispetto alle Amministrazioni dello Stato.

E’ agevole replicare, in primo luogo, che né l’art.1, del d.lgs. n.165, né qualsiasi altra norma dell’ordinamento vigente escludono testualmente il Consiglio dalle “Amministrazioni dello Stato” o dagli “enti pubblici nazionali” a cui è diretto il predetto decreto legislativo n.165, emblematicamente intitolato “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e, come tale, norma base per tutti i lavoratori pubblici, tant’è che i suoi precetti testualmente “costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione” (art.1, co.3, d.lgs. n.165) e “costituiscono disposizioni a carattere imperativo” (art.2, co.2). Il dato testuale, di portata generale, smentisce dunque la asserita non applicabilità del d.lgs. n.165 al personale del C.S.M.

In secondo luogo, sul piano logico-sistematico, la innegabile rilevanza costituzionale del C.S.M. (più che la sua “autonomia ed indipendenza”, da riconoscere certamente, ex art.101 cost., al singolo Magistrato nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali o requirenti,  ma non certo, nella accezione costituzionale del concetto,  al suo organo di autogestione amministrativa e non giurisdizionale, quanto meno per i suoi compiti di gestione del personale amministrativo privatizzato [31]) non ne snatura la sua ontologica natura giuridica di “pubblica amministrazione”, come tale sottoposta alla legge (ergo alla gerarchia delle fonti) ed al giudice amministrativo in caso di adozione di provvedimenti illegittimi attuativi dell’esercizio di tali funzioni di rilevanza costituzionale.

Né è possibile ritenere che vi sia una immedesimazione tra le funzioni costituzionali del C.S.M. e i suoi dipendenti amministrativi di supporto e che questi ultimi mutuino la natura dal primo: si effettuerebbe una trasposizione logica che non ha alcun fondamento.

In altre parole, come già in precedenza rimarcato, qualsiasi pubblica amministrazione, dalla più piccola ASL sino alla Presidenza del Consiglio, svolge funzioni di rilevanza costituzionale in quanto tese a tutelare principi scolpiti nella Costituzione, ma non per questo “scopo costituzionalment leggi (o per lo meno a principi portanti delle stesse) dettate per qualsiasi amministrazione pubblica: se il C.S.M. tutela l’indipendenza della magistratura, una azienda ospedaliera tutela la salute, una istituzione scolastica tutela l’istruzione, il Ministero del lavoro tutela il lavoratore ed il lavoro, i Ministeri della Difesa e dell’Interno tutelano la sicurezza della Nazione e quella pubblica, il Ministero dell’ambiente tutela l’ambiente in cui viviamo etc etc. Persino la polizia mortuaria dei Comuni, gli istituti zooprofilattici, le Ipab, le Iacp e l’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine tutelano valori di pregnanza costituzionale !

Tuttavia l’espletamento di fini costituzionali, più o meno evidenti e tutti di pari dignità, non giustifica la sottrazione del relativo personale al regime lavoristico generale statuito dal d.lgs. n.165 del 2001: si giungerebbe ad una anarchia normativa frutto della rivendicazione da parte di centinaia di enti di uno scopo istituzionale di rilevanza costituzionale che giustificherebbe autonome regolamentazioni lavoristiche.

Del resto, come già in precedenza rimarcato, applicano pacificamente il d.lgs. n.165 sia il CNEL (organo di rilevanza costituzionale ex art.99 cost.) [32], sia tutti i restanti organi di rilevanza costituzionale ( Corte dei conti, Consiglio Supremo di Difesa), sia, infine, il Ministero della Giustizia (menzionato, unico tra i Ministeri, dall’art.110 cost. per la valenza dei suoi fini istituzionali).

In altre parole, salvo che per gli organi costituzionali in senso stretto (Camere, Corte Costituzionale e Presidenza della Repubblica: v. sopra parag.1), non vi è alcun ostacolo logico, testuale o costituzionale a ritenere che le finalità di rilevanza costituzionale di una singola pubblica amministrazione siano ben coordinabili e convivano con la regolamentazione unitaria dei suoi dipendenti secondo le comuni regole del d.lgs. n.165 del 2001.

Del resto, se fosse vero quello che l’assiomatico parere n.156 del 2012 dell’Ufficio Studi del dello stesso Ufficio), dovrebbe coerentemente ritenersi che anche altri campi di intervento del C.S.M. sarebbero sottratti alla normativa generale vigente per tutte le pubbliche amministrazioni. Pertanto i provvedimenti del C.S.M. in materia di assegnazione di incarichi, trasferimenti, gare, appalti, concorsi, autorizzazioni, accesso agli atti, dovrebbero avere una autoregolamentazione con un…..Regolamento interno e, magari con un proprio giudice interno ! Ma l’ordinamento non avalla tale conclusione, seccamente smentita da decine di sentenze della magistratura amministrativa, che rettamente riconducono il C.S.M., sebbene svolga compiti di valenza costituzionale, nell’alveo delle ordinarie “pubbliche amministrazioni”, autrici di atti amministrativi (o di determine datoriali di natura privatistica, per gli atti di gestione del personale privatizzato) impugnabili davanti al giudice.

Non essendoci inoltre sul piano processuale alcuna autodichia (come ad esempio per i dipendenti delle Camere, della Consulta e della Presidenza della Repubblica, per espressa previsione di legge), specularmente non può esserci una autonomia-autarchia sulle norme sostanziali applicabili al proprio personale.

L’autonomia riconosciuta dalla legge al C.S.M. nella normazione del proprio personale è infatti limitata alla redazione di una mera fonte secondaria, cioè regolamentare, che deve convivere, rispettandola, con la normativa primaria, quale il d.lgs. n.165 del 2001, che prevede, tra l’altro, l’istituto della mobilità quale pilastro centrale di reclutamento del personale per basilari esigenze di finanza pubblica (risparmio di spesa).

Parimenti privo di valenza logica è dunque l’ulteriore argomento sostenuto, ad adiuvandum, nel cennato parere n.156 del 2012 dell’Ufficio Studi del C.S.M. per sottrarre quest’ultimo ai dettami del d.lgs. n.165, ovvero l’art.5, co.1 del Regolamento di disciplina del personale approvato il 24 luglio 2001, secondo cui “il personale del ruolo organico della segreteria e dell’ufficio studi del CSM viene assunto con concorso pubblico, per titoli ed esami” e dell’art. 12, comma 1, secondo cui “l’accesso alle posizioni iniziali delle due aree avviene mediante la procedura di cui al titolo II del presente Regolamento”.

E’ agevole replicare che le disposizioni suddette si limitano a ribadire settorialmente, per  il personale del C.S.M., un principio generale del pubblico impiego da sempre vigente, ovvero quello della assunzione “di regola” tramite concorso, statuito in via generale dall’art.97 della Costituzione, dal d.P.R.9 maggio 1994 n. 487 e dall’art.35 del d.lgs. n.165 [33]. Ma tale regola convive con il principio del previo esperimento della mobilità orizzontale statuita, come principio generale del pubblico impiego, dall’art.30 del d.lgs. n.165 del 2001 (e in precedenza dall’art.33 del d.lgs. n.29 del 1993), ritenuto legislativamente prevalente rispetto al concorso  in quanto espressivo del basilare principio di spending review, avente valenza costituzionale.

Né va poi dimenticato che il Regolamento del personale del C.S.M. è un mero atto amministrativo generale e, come tale, sottostà alla legge e, dunque, al d.lgs. n.165 del 2001 i cui precetti basilari (e quello sulla previa mobilità lo è) prevalgono su norme regolamentari in contrasto con la lettera e con lo spirito del referente primario del pubblico dipendente: il d.lgs. n.165. Potrebbe anzi fondatamente prospettarsi una parziale illegittimità (da far valere, in punto di interesse a ricorrere,  in un eventuale contenzioso occasionato dalla impugnativa di un bando di concorso che pretermetta la previa mobilità) del regolamento del personale del CSM nella parte in cui non prevede la mobilità quale istituto che deve doverosamente precedere il concorso.

Del resto, persino presso gli organi costituzionali (Camere, Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale) è assolutamente pacifico che attraverso i regolamenti interni non possono consentirsi deroghe nell’ordinamento particolare alla normativa statale qualora si tratti di norme di ordine pubblico o di principi fondamentali [34].

Si evidenzia come lo stesso C.S.M. avesse in passato condiviso queste conclusioni: si legge infatti nel più oculato parere dell’Ufficio Studi approvato nella seduta Consiliare del 28 marzo 1996 [35] che “Pare questa, inoltre, la sede per sottolineare una ulteriore problematica destinata ad emergere dopo la formazione del ruolo autonomo. Il rapporto di servizio del personale, pur instaurato direttamente nel confronti del C.S.M., continuerà ad essere regolato dalla normativa del d.lgs. 3.2.93 n. 29 che detta la nuova disciplina del pubblico impiego: normativa di generale applicazione, derogabile solo nei casi specificamente individuati, tra i quali allo stato non rientra il rapporto di servizio con il C.S.M.. il rapporto dovrebbe, pertanto, essere assoggettato alla disciplina della contrattazione collettiva, e potrebbe essere regolato dal Consiglio nei limiti concessi dallo stesso d.lgs. n. 29/93, grazie alla potestà normativa regolamentare sopra esaminata. Diversamente avviene per gli organi costituzionali partecipi del potere sovrano dello Stato (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Camera dei Deputati e Senato della Repubblica), che instaurano con gli addetti ai loro apparati un rapporto di impiego regolato da regolamenti che costituiscono espressione del potere di autonomia normativa. Tale potere di normazione trova fondamento nell’autonomia (in senso lato) che caratterizza tali organi e trova riscontro direttamente nelle norme della Costituzione. La diversa condizione normativa comporterà per il Consiglio Superiore della Magistratura una serie di problemi non secondari, quali la definizione della posizione del Consiglio stesso nell’ambito dell’attività di contrattazione e la individuazione della disciplina collettiva applicabile al rapporto di lavoro dei suoi dipendenti, che allo stato non trovano definizione in sede legislativa e cui dovrebbe essere data una risposta in sede normativa”.

Non è dato comprendere sulla base di quali nuovi argomenti legislativi o giurisprudenziali l’Ufficio Studi del C.S.M. abbia successivamente mutato il proprio orientamento, in quanto i referenti normativi dal 1996 ad oggi sono rimasti i medesimi e parimenti immutate sono rimaste le funzioni “di rilevanza costituzionale” del Consiglio, ben conciliabili con l’osservanza dei precetti del d.lgs. n.165 del 2001.

4. Annullamento di concorsi non preceduti da mobilità: sviluppi risarcitori e di danno erariale.

Si rileva in conclusione  come l’inosservanza del principio generale  dell’art.30, co.2-bis, d.lgs. n.165 sulla previa mobilità, ha portato e potrà ancora portare a contenziosi nascenti dall’impugnativa di bandi di concorso non preceduti dal doveroso bando di mobilità.

L’esito vittorioso di tali ricorsi pare scontato alla luce degli univoci precedenti giurisprudenziali in materia [36], senza dubbio identici a quello che potrebbe insorgere presso il C.S.M.-pubblica amministrazione.

Orbene, l’annullamento da parte del giudice amministrativo di una procedura concorsuale per questo grave ma evidente vizio di mancata previa attivazione della mobilità, configurante “violazione di legge” e nel contempo “eccesso di potere per irragionevolezza” (stanti le pregresse applicazioni dell’art.30, d.lgs. n.165 fatte dallo stesso C.S.M. per taluni dipendenti), esporrebbe l’amministrazione banditrice di un illegittimo concorso esterno a sopportare costi sia per le spese connesse alla procedura di gara (redazione e pubblicazione di bando, nolo di locali, indennità ai commissari, dispiego di attività amministrativa interna etc.), sia per eventuali azioni risarcitorie ben intentabili sia dai numerosi concorrenti che abbiano inutilmente sopportato costi per partecipare alla procedura viziata e annullata per inescusabile colpa dell’amministrazione (costi per mezzi di trasporto, per vitto e alloggio, danni non patrimoniali da patimento e da stress etc.), sia dagli aspiranti alla mobilità volontaria, lesi nella loro legittima aspettativa (rectius diritto) alla assunzione ai sensi dell’art.30, co.2-bis, d.lgs. n.165, soprattutto se avessero comprovate chance di vittoria nelle graduatorie della pretermessa procedura di mobilità in quanto già da anni in comando presso l’ente interessato al reclutamento, titolo prioritario da valorizzare doverosamente nei bandi di mobilità, come statuito dal cennato art.30, co.2-bis che impone “in via prioritaria, l’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale”.

Orbene, tali evidenti e rilevanti danni sopportati e risarciti a terzi dall’amministrazione che violi il precetto dell’art.30, co.2-bis, esporrebbero le singole persone fisiche che deliberassero l’indizione della procedura concorsuale senza rispettare la previa procedura di mobilità ad una azione di rivalsa della Procura della Corte dei Conti per danno erariale [37], assai evidente nella sua sussistenza materiale, al pari dell’elemento psicologico della colpa grave da “ignoranza inescusabile” di un dato normativo chiaro ed inequivoco (l’art.30, co.2-bis, d.lgs. n.165 del 2001) e di una giurisprudenza marmorea nello statuire che  la mobilità “deve” (e non “può”) precedere l’indizione di un concorso.  Tale “ignoranza inescusabile” risulterebbe vieppiù imbarazzante qualora a violare il precetto fosse un “Olimpo di giuristi” quale è il C.S.M., che vanta un Ufficio Studi di primario spessore tecnico ed un organo collegiale deliberante composto da giuristi di chiara fama e di eclettica estrazione professionale (magistrati, avvocati, professori universitari ordinari).


[1] Sul C.S.M. e le sue funzioni la bibliografia è assai vasta. E’ dunque sufficiente il rinvio a CASO, Magistrati e Avvocati dello Stato, vol. I, in CARINCI-TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, Trattato in 5 volumi, Milano, 2007; VIETTI (a cura di), Codice dell’ordinamento giudiziario, Egea, 2013; GRAZIANO, Ordinamento giudiziario, Roma, 2013; PIANA-VAUCHEZ, Il Consiglio Superiore della Magistratura. Le istituzioni pubbliche in Italia, Bologna, 2012; DI FEDERICO, (a cura di), Ordinamento giudiziario: uffici giudiziari, CSM e governo della magistratura, Padova, 2012; POMODORO, Manuale di ordinamento giudiziario, Torino, 2012; SCAPARONE, L’ordinamento giudiziario, Torino, 2012; CARCANO (a cura di) Ordinamento giudiziario: organizzazione e profili processuali, Milano, 2009; FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, Padova, 2009; VERDE, L’ordinamento giudiziario, Milano, 2003; ZANON, BIONDI, Diritto costituzionale dell’ordine giudiziario,  Milano, 2002; MAZZAMUTO, Il C.S.M. Aspetti costituzionali e prospettive di riforma, Torino, 2001; BRUTI LIBERATI, PEPINO, Autogoverno o controllo della magistratura? Il modello italiano di Consiglio superiore, Milano, 1998.

[2] Secondo la migliore dottrina, gli organi costituzionali sono quegli organi necessari e indefettibili dello Stato, previsti dalla Costituzione della Repubblica Italiana, le cui funzioni fondamentali e organizzazione sono da essa direttamente disciplinate. Essi si trovano in posizione di reciproca parità e prendono parte alla cosiddetta funzione politica, cioè partecipano direttamente alle finalità perseguite dallo stato e indicate nella Costituzione. Essi sono il Presidente della Repubblica, la Camera, il Senato e la Corte Costituzionale. Poiché tali organi sono direttamente disciplinati dalla Costituzione, ogni loro modifica è una modifica costituzionale e quindi necessita della approvazione di una legge di revisione della Costituzione. La loro stessa esistenza costituisce però un limite alla revisione della Costituzione. Il Corpo elettorale è considerato l’organo costituzionale originario, in quanto l’art. 1 sancisce che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Tuttavia non è considerato nella lista degli Organi costituzionali in quanto il Corpo Elettorale elegge il Parlamento che lo rappresenta fino alle successive elezioni.

[3] Gli organi di rilievo costituzionale, secondo un prevalente indirizzo, sono quegli organi previsti dalla Costituzione della Repubblica Italiana, ma da essa non direttamente disciplinati nelle funzioni. Sono organi di rilievo costituzionale: il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio supremo di difesa. Al contrario degli organi costituzionali, gli organi di rilievo costituzionale non prendono parte alla cd. funzione politica, quindi non partecipano direttamente alle finalità perseguite dallo Stato e indicate nella Costituzione, ma sono d’ausilio alla realizzazione di quei fini. Gli organi di rilievo costituzionale contribuiscono a determinare l’ordinamento democratico e sono anche detti organi ausiliari. Ma, a differenza degli organi costituzionali, non sono indefettibili, potendo anche essere soppressi con legge di revisione della Costituzione. Pur essendo previsti ed elencati dalla Costituzione, essa rinvia alla legge ordinaria la disciplina della loro organizzazione, delle loro strutture e delle rispettive funzioni.

[4] E’ principio pacifico che In tema di lavoro pubblico privatizzato, la cognizione delle controversie relative a rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è devoluta, in linea generale, alla giurisdizione del giudice ordinario, ad eccezione dei rapporti alle dipendenze delle Amministrazioni indicate dall’art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001. Ne consegue che, con riferimento al rapporto lavorativo alle dipendenze del C.S.M., le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, non rientrando tale Amministrazione tra quelle previste dal citato art. 3 e non contenendo la normativa di settore alcuna specifica contraria disposizione (in terminis, per il personale delle autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Cass., sez. un., 6 luglio 2011 n.14830, in Foro amm. -C.d.S., 2011, 7-8, 2300 e, per il personale del garante della privacy Cass., sez. un., 16 novembre 2009 n. 24185, in Giust.civ.Mass, 2009, 11, 1598).

[5] Come statuito dall’art.17, co.2, l. n.195 del 1958. Sul punto C. cost., 15 settembre 1995 n.435, in Giur.it., 1997, I, 104 e 174.

[6] Sul punto C. cost., 8 settembre 1995 n.419, in Foro It., 1995, I, 2461.

[7] Sull’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. n.165 del 2001 v. TURSI, L’ambito oggettivo di applicazione, in CARINCI-D’ANTONA, Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Commentario, tomo I, Milano, 2000, 55 ss.; SORDI, I confini della giurisdizione ordinaria nelle controversie di pubblico impiego, in Arg,dir.lav., 1999, 171; L. FOGLIA, Commento all’art.1, d.lgs. n. 165, in AMOROSO, DI CERBO, FIORILLO, MARESCA, Il diritto del lavoro, III, Il lavoro pubblico, Milano, 2004, 9 ss., che univocamente escludono dalla portata soggettiva del decreto n.165 (un tempo decreto n.29 del 1993) solo “gli organi costituzionali”, in quanto non facenti parte della pubblica amministrazione e in considerazione della possibile lesione della loro sovranità ed autodichia da parte della contrattazione collettiva e delle leggi sul lavoro subordinato privato. Sul punto v. gli studi citati nelle successive note.

[8] Sulla nozione di organizzazione amministrativa FRANCHINI, L’organizzazione, in CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, I, Diritto amministrativo generale, tomo primo, Milano, 2000, 210 ss.

[9] La tesi è condivisa da TURSI, L’ambito di applicazione della riforma: le pubbliche amministrazioni, in CARINCI-ZOPPOLI (a cura di), Commentario Diritto del lavoro, V  Il lavoro nelle PP.AA., Padova, 2004, 26.

Sui profili lavoristici di tali peculiari carriere presso organi costituzionali v. CARINCI-TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, vol.IV Autorità indipendenti ed organi costituzionali, Trattato in 5 volumi, Milano, 2009; D’ORTA-GARELLA (a cura di) Le Amministrazioni degli organi costituzionali, Roma, 1997; MINUTOLI, Il rapporto d’impiego con gli organi costituzionali tra autonomia dell’organo e tutela del dipendente, in Foro amm., 1995, 785; FOGLIA, Rapporti di lavoro con gli organi costituzionali, in Enc.Giur.Treccani, Roma, 1991; FRAGOLA, Gli impiegati degli Organi costituzionali, in Cons.Stato, 1997, I, 115; MIRABELLI, Relazione al Convegno su “I dipendenti degli Organi costituzionali – Status e tutela giurisdizionale”, atti del Convegno, Ed. Camera dei Deputati, Roma, 1991, 17; PALADIN, Sulla materia dei “Regolamenti presidenziali” disciplinanti il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, in Riv. trim. dir.pubb., 1991, 1071; STANCATI, Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, in Enc.diritto, Milano, 1989, vol. XLI; OCCHIOCUPO, Autodichia, in Enc.giur.Treccani, Roma, 1988 vol. IV; OCCHIOCUPO, Presidenza della Repubblica, in Enc.giur. Treccani, Roma, 1988, vol. XXIV; ALLARA,  La struttura della Presidenza della Repubblica, Milano, 1974.

[10] Tale definizione è di NAVILLI, Il personale degli apparati serventi delle assemblee parlamentari, in CARINCI-TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, cit., vol.IV, 180 ss., che richiama l’accurato studio di D’ORTA, Funzioni e natura giuridica degli apparati degli organi costituzionali, in D’ORTA-GARELLA (a cura di) Le Amministrazioni degli organi costituzionali, Roma, 1997, 123 ss., il quale ritiene che al di sotto degli organi costituzionali e al di fuori degli organi giurisdizionali, esistono non solo le “pubbliche amministrazioni” ma anche altri tipi di organizzazioni pubbliche, quali, ad esempio, gli apparati serventi degli organi costituzionali  che presentano peculiarità organizzative e funzionali assolute, legate all’autonomia costituzionale degli organi da cui tali apparati dipendono: da qui l’inapplicabilità diretta delle norme dettate per il pubblico impiego privatizzato e non.

[11] La legge n.1077 del 1948, legge ordinaria istitutiva del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, stabilisce in materia di personale, che il Segretario Generale “propone al Presidente della Repubblica l’approvazione del regolamento interno e dei provvedimenti relativi al personale” (art. 3, comma 3) e che “lo stato giuridico ed economico e gli organici del personale addetto alla Presidenza sono stabiliti con decreto del Presidente della Repubblica” (art. 4, comma 1); che “alle spese….per tutto il personale dipendente dal Segretariato si provvede con legge speciale” (art. 4, comma 2). E’ dunque evidente che la formazione del personale avviene con d.P.R. e con legge (da considerare speciali rispetto al d.lgs. n.165 del 2001) e non con mero regolamento avente natura di atto amministrativo (quale è quello del personale del C.S.M.). Per Camera e Senato è l’art.64 cost.  a dare valenza primaria ai regolamenti parlamentari, quale quello dei servizi e del personale.

[12] In realtà l’autodichia riconosciuta alle Camere ed alla Corte Costituzionale non era invece riconosciuta, sino al recente revirement delle Sezioni Unite della Cassazione, alla Presidenza della Repubblica a seguito di autorevoli sentenze ostative delle sezioni unite (Cass., sez.un., 5 agosto 1975 n.2979, id., 10 maggio 1988 n.3422; id., 17 dicembre 1998 n.12614), tutte però anteriori alla creazione con d.P.R. 24 luglio 1996 n. 81/N di un organo giudicante interno alla Presidenza articolato in doppio grado di giudizio e che, nel silenzio regolamentare sul punto e in base ai principi generali sui ricorsi amministrativi (e sul divieto di istituzione di giudici speciali), doveva essere inteso come organo amministrativo aggiuntivo alla giustizia ordinaria. Dopo l’istituzione, con fonte normativa, di tale organo, le sezioni unite della Cassazione, con la storica sentenza 17 marzo 2010 n. 6529 (in Foro it., 2011, 4, I, 1206, con nota di D’AURIA e in Foro.amm.-C.d.S., fasc.7-8, 2010, 1406, con nota di MONZANI), hanno però riconosciuto l’autodichia della Presidenza della Repubblica, statuendo il difetto assoluto di giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie lavoristiche del personale, demandate in via dunque esclusiva a tale novello “giudice speciale”.  La giurisdizione domestica sussiste invece  nelle controversie di impiego dei dipendenti delle Camere in virtù dei regolamenti minori di cui si sono munite nell’esercizio del potere regolamentare loro attribuito dall’art.64 Cost., co.1. Sul punto NAVILLI, Il personale degli apparati serventi delle assemblee parlamentari, in CARINCI-TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, cit., vol. IV, 225 ss Tali regolamenti sfuggono al sindacato del giudice (C cost., 23 maggio 1985 n. 154, in Giur. Cost., 1985, I, 1078 ss.) come la Cassazione ha avuto modo di rammentare in più occasioni (Cass., sez. un., 27 luglio 2004, n. 14085, in Giust. civ., 2005, I, 679, con nota di MOROZZO DELLA ROCCA; Cass., sez. un., 19 novembre 2002, n. 16267, ivi, 2003, I, 2429, con nota di BASILICA, Il punto delle sezioni unite sulla c.d. giurisdizione « domestica » del Senato; Cass., sez. un., 27 maggio 1999, n. 317, in Foro it., 2000, I, 2673, id.  sez. un. n. 11019 del 2004). Consimile giurisdizione domestica vige nei confronti dei dipendenti della Corte costituzionale, fondata sul disposto della legge costituzionale n. 1 del 1953 e dell’attuativo art.14, co.3 della l. n. 87 del 1953 e della l.n. 265 del 1958 ed esercitata attraverso le norme poste dal regolamento in quel quadro adottato.

[13] Nel senso della assoluta indipendenza degli organi posti ai vertici dello Stato v. C. cost., 26 giugno 1970, n. 110, in Giur. cost., 1970, 1202 ss; C. cost., 10 luglio 1981, n. 129, in Giur. cost., 1981, 1281 ss.; C.cost., 22 ottobre 1975, n. 231, ivi, 1975, 1342 ss.

[14] Sul punto MIRABELLI, La Presidenza della Repubblica, in CARINCI-TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, cit., vol. IV, 124, il quale, richiama la pronuncia del Collegio di Appello del Segretariato Generale della Presidenza 26 maggio 1998 n.2 che, pur ricordando che l’art.143 del regolamento del personale sancisce che, per quanto non contemplato dal Regolamento, “possono” essere recepite le norme del personale civile dello Stato, afferma che non possono consentirsi deroghe nell’ordinamento particolare alla normativa statale qualora si tratti di norme di ordine pubblico o di principi fondamentali.

Anche per la Corte costituzionale i regolamenti dei servizi e degli uffici succedutisi negli anni (adottati ai sensi dell’art.14, co.1 della l.11 marzo 1953 n.87), sino al regolamento approvato il 10 febbraio 1984, si sono sempre adeguati alla normativa nazionale dei dipendenti dello Stato sopravvenuta adeguandola alle esigenze del proprio personale, o la hanno addirittura testualmente richiamata (un tempo il d.P.R. n. 3 del 1957) quale norma di chiusura: sul punto ARCANGELI, Il personale della Corte costituzionale, in  CARINCI-TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, cit., vol. IV, 144.

Infine anche i regolamenti delle Camere su servizi e personale si rifanno agli istituti portanti del pubblico impiego “in generale”: si veda l’analitica analisi fatta da NAVILLI, Il personale degli apparati serventi delle assemblee parlamentari, in CARINCI-TENORE (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, cit., vol. IV, 201 ss.

[15] Sono tecnicamente Organi di rilievo costituzionale: il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio supremo di difesa, stante la loro espressa previsione in Costituzione. A ben riflettere tuttavia, qualsiasi pubblica amministrazione, dalla più piccola ASL sino alla Presidenza del Consiglio, svolge oggettivamente funzioni di rilevanza costituzionale in quanto tese a tutelare principi scolpiti nella Costituzione, ma non per questo “scopo costituzionalmente orientato” si può giustificare la sottrazione a leggi (quali il d.lgs n.165 del 2001) dettate per qualsiasi amministrazione pubblica: se il C.S.M. tutela l’indipendenza della magistratura, una azienda ospedaliera tutela la salute, una istituzione scolastica tutela l’istruzione, il Ministero del lavoro tutela il lavoratore ed il lavoro, i Ministeri della Difesa e dell’Interno tutelano la sicurezza della Nazione e quella pubblica, il Ministero dell’ambiente tutela l’ambiente in cui viviamo etc. etc. Persino la polizia mortuaria dei Comuni, gli istituti zooprofilattici, le Ipab, le Iacp e l’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine tutelano valori di pregnanza costituzionale.

[16] Tesi condivisa da CASO, Magistrati e Avvocati dello Stato, cit., 87.

[17] Sulla pacifica natura di fonte secondaria dei regolamenti del C.S.M. v. CASO, Magistrati e Avvocati dello Stato, cit., 88.

[18] La normativa legislativa e contrattuale del CNEL è rinvenibile nel sito http://www.cnel.it/622.

[19] C.cost., 15 settembre 1995 n.435, in Foro amm., 1996, 6, in Giust.civ., 1995, I,2867, con osservazioni di ANNUNZIATA e in Foro it., 1995, I, 2641.

[20] Così Cons. St., sez. IV, 2 novembre 2004 n.5274/ord., id., sez. IV, 30 luglio 2003, n. 4406, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it .

[21] Cons. St., sez. IV, 22 marzo 2005 n.1144, in Foro it., 2005, III, 342; cfr. negli esatti termini, Cons. St., sez. IV, 5 novembre 2004, n. 5274/ord.; id., sez. IV, 30 luglio 2003, n. 4406, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.

[22] Cons. St., sez. IV, 3 giugno 2011 n. 3587, ivi. Anche  in passato il Consiglio di Stato, sul presupposto che il CSM svolga attività amministrativa, ha affermato che anche nei confronti dei suoi componenti in sede deliberante possono valere le cause di astensione individuate ai sensi dell’art.49, d.P.R. n.3 del 1957  (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2006, n. 1035; id., 7 marzo 2005, n. 867).

[23] Cons. St., sez. IV, 14 aprile 2010 n.2093, ivi, che ribadisce un univoco indirizzo secondo il quale  “a) il diritto di accesso può essere esercitato anche quando si tratti di atti amministrativi di natura organizzativa posta in essere da un organo di autogoverno di una magistratura, che risultino connessi all’esercizio delle funzioni giudiziarie; b) la legge n. 241 del 1990 e il Codice n. 196 del 1993 non hanno introdotto ‘zone franche’ ove non rilevi il principio di trasparenza dell’azione amministrativa, attuativo dei valori espressi dall’art. 97 della Costituzione (Ad. Plen., 24 giugno 1999, n. 16), applicabile anche per l’attività degli ‘organi dell’amministrazione della giustizia’ (Corte Cost., 18 gennaio 1989, n. 18; Corte Cost., 7 maggio 1982, n. 86)”.

[24] Cons. St., sez. IV, 22 marzo 2005 n.1144, in Foro it., 2005, III, 342 secondo cui “In altri termini il C.S.M., grazie alla sua peculiare configurazione costituzionale, può legittimamente ed in taluni casi doverosamente integrare gli spazi vuoti lasciati dall’ordinamento, ma non può, in ossequio al principio di legalità e per rispettare il canone costituzionale che vuole il giudice (ed il p.m.) sottoposto soltanto alla legge (art. 101 Cost.), andare contro univoche disposizioni legislative”<.

[25] Sulla piena applicabilità dell’art.53, d.lgs. n.165 del 2001 in materia di regime autorizzatorio degli incarichi conferiti da terzi a magistrati ordinari, cfr. Cons. St., sez. IV, 2 novembre 2004 n.5274/ord., in www.giustizia-amministrativa.it, che testualmente afferma: “la speciale posizione costituzionale del C.S.M. non lo esonera dal rispetto del principio di legalità e che, pertanto, tale organo è tenuto all’osservanza delle leggi che disciplinano lo status dei magistrati anche in considerazione della riserva di legge statale sancita dall’art. 108 comma 1 Cost. (cfr. negli esatti termini Sez. IV, 30 luglio 2003, n. 4406)”. Sull’argomento, di recente, APICELLA, Gli incarichi extragiudiziari di magistrati ed avvocati dello Stato, in MATTARELLA-PELLISSERO, La legge anticorruzione, Torino 2013, 327, nt. 17, anche per le indicazioni bibliografiche.

[26] Sulla mobilità v. TENORE (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, Roma, Epc libri, 2011, 178 ss.; SORDI, voce Mobilità, IV) Pubblico impiego privatizzato, in Enc. giur. Treccani, 2.

[27] La frase virgolettata è desunta da Cons.St., sez. I, 7 dicembre 2012 n. 5217, in Giust.civ., 2013, f.1.

[28] Tra le tante, da ultimo Cons.St., sez. V, 17 gennaio 2014 n. 178; Tar Campania, Napoli, sez. V, 17 settembre 2012 n.3886; Tar Lombardia, Brescia, 16 giugno 2008, n. 645, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.

[29] Così Tar Sardegna, 26 giugno 2013 n.478, in Foro amm. -T.A.R., 2013, 6, 2162; Tar Campania, Napoli, sez. V, 4 maggio 2012 n.2059, in www.giustizia-amministrativa.it. In terminis Cons.St., sez.III, 5 giugno 2012 n.3308, in Giust. civ., 2013, II, 1, 252. Ha chiarito inoltre la giurisprudenza che “la preferenza normativa per la mobilità volontaria comporti l’inesistenza di un obbligo di motivazione in merito a tale scelta rispetto a quella dello scorrimento della graduatoria, trattandosi di scegliere tra la redistribuzione delle risorse umane tra le pubbliche amministrazioni rispetto all’aumento del personale mediante nuove assunzioni” (così, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sentenza 21 settembre 2011, n. 2250; cfr. anche, nel medesimo senso, Cons. Stato, sez. I, parere 7 dicembre 2012, n. 5217). Da ciò consegue che, laddove l’Amministrazione decida di indire una procedura di mobilità volontaria, in alternativa allo scorrimento della graduatoria, essa esercita un potere discrezionale che, stante il favor legislativo per tale opzione, non deve essere specificamente motivato.

In senso contrario, per la prevalenza dello scorrimento delle graduatorie rispetto alla mobilità v. Cons. St., sez. V, 31 luglio 2013 n.4329, in Giust.civ., 2013, 1, I, 241.

Per una congrua posizione mediana Cons. St., sez. V, 31 luglio 2012, n. 4329 e Cons. St., sez. V, 17 gennaio 2014 n. 178 che hanno affermato l’estraneità della modalità di assunzione per scorrimento della graduatoria di concorso già espletato rispetto alla fattispecie delineata dal comma 2-bis dell’art.30, d.lgs. 165/2001. Da ciò non deriva un obbligo per l’amministrazione di utilizzare lo scorrimento, ma la presenza di una residua discrezionalità in capo alla p.a., che deve motivare, qualora utilizzi la mobilità volontaria invece di scorrere. Tra l’utilizzo dello scorrimento della graduatoria e quello della mobilità volontaria il legislatore ha, quindi, dato preferenza al primo metodo, poiché a fronte dell’idoneità di entrambi di consentire il reperimento di personale professionalmente qualificato, la mobilità volontaria esige di una nuova procedura, che comporta un dispendio di tempo e di risorse. Ciò non toglie che l’amministrazione, adeguatamente motivando, possa comunque farvi ricorso, piuttosto che scorrere la graduatoria.

[30] Il parere richiama C.cost.,  14 maggio 1968, n. 44, secondo cui il C.S.M. “non è parte della pubblica amministrazione (in quanto rimane estraneo al complesso organizzativo che fa capo direttamente.. al Governo dello Stato..) “; si veda anche la successiva sentenza n. 148 del 3 giugno 1983.

[31] Al C.S.M. è sicuramente riconosciuta “autonomia” organizzativa, statutaria, regolamentare, contabile e finanziaria, ma non certo una autonomia normativa, in quanto i propri atti amministrativi non possono derogare a legge, né possono introdurre norme rilevanti per il sistema generali delle fonti: sul concetto di autonomia nell’organizzazione amministrativa v. FRANCHINI, L’organizzazione, in CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, I, Diritto amministrativo generale, tomo primo, Milano, 2000,  313 ss.

[32] Si veda la normativa concernente il CNEL in http://www.cnel.it/622.

[33] Sul reclutamento concorsuale v. BUSICO-TENORE, La disciplina giuridica dei concorsi nel pubblico impiego, Milano, 2006; TENORE (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, Roma, Epc libri, 2011, 105 ss.

[34] Vedasi la giurisprudenza interna della Presidenza della Repubblica citata nella precedente nota 10 e gli indirizzi analoghi seguiti negli altri Organi costituzionali.

[35] Tale accurato parere si poneva in linea con la pregressa relazione 380/95 del medesimo Ufficio che testualmente affermava che “il personale in servizio presso il Consiglio è soggetto alla normativa applicabile a tutti i pubblici dipendenti e, quindi, anche alla regolamentazione pattizia del rapporto, nei limiti previsti dal d.lgs. n.29/93”.

[36] Da ultimo Cons.St., sez. V, 17 gennaio 2014 n.178; Tar Campania, Napoli, sez. V, 17 settembre 2012 n.3886, Tar Lazio, Roma, 2012 n.611, in www.giustizia-amministrativa.it.

[37] Sulla responsabilità amministrativo-contabile del pubblico dipendente e sulla colpa grave da ignoranza inescusabile v. TENORE (a cura di), La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2013, 26 ss.; sulla responsabilità amministrativo-contabile dei magistrati, soprattutto nell’esercizio di funzioni amministrative (quali la votazione in una delibera in un organo collegiale consiliare) e non giurisdizionali v. TENORE, La responsabilità amministrativo-contabile del magistrato, in FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, 2010, 470 ss.