FREE – Danni da atti corruttivi (il cd. “sistema Sesto”)
CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE LOMBARDIA – sentenza 27 luglio 2015*, con commento di MASSIMO PERIN, Nei fatti corruttivi presso l’amministrazione il disservizio arrecato comprime anche il principio di eguaglianza tra i cittadini e il buon andamento dell’amministrazione.
CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE LOMBARDIA – sentenza 27 luglio 2015 n. 135 – Presidente Galtieri, Rel. Atelli – Procura regionale c. N.S. (Avv.ti Chiesa e Guercio) P.M. Cerioni – Comune di Sesto San Giovanni interveniente (Avv. Borasi e Brambilla Pisoni).
1. Giudizio di responsabilità amministrativa – Giurisdizione contabile – Intervento dell’amministrazione danneggiata nel processo contabile – Intervento adesivo dipendente – Consentito – Tutela degli interessi patrimoniali ed esponenziali della comunità locale – Consentita.
2. Giudizio di responsabilità amministrativa – Giurisdizione contabile – Sentenza penale di patteggiamento ex art. 444 del codice di p.p. – Fonte di prova soggetta al libero apprezzamento del giudice – Tacita ammissione di colpevolezza – Sussiste –
3. Giudizio di responsabilità amministrativa – Giurisdizione contabile – Dipendente pubblico responsabile del reato di corruzione – Atteggiamento psicologico del dolo – Sussiste – Riflesso nell’esecuzione delle azioni produttive di danno patrimoniale – Sussiste.
4. Giudizio di responsabilità amministrativa – Giurisdizione contabile – Danno da disservizio – Pregiudizio erariale pari oneri sostenuti dall’amministrazione danneggiata per svolgimento verifiche e indagini di organismi speciali – Spesa per verifiche e ispezioni – Spesa da addebitare al responsabile del danno pubblico – Addebito pari al 30% del totale delle spese sostenute dall’amministrazione – Conformità al principio di proporzionalità Sussiste.
5. Giudizio di responsabilità amministrativa – Giurisdizione contabile – Danno all’immagine pubblica – Entità del danno all’immagine – Pari al doppio della somma di denaro di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.
1. Nel processo contabile di responsabilità amministrativa è consentito solo l’intervento adesivo dipendente, giacché esso non amplia il “thema decidendum”, poiché in presenza di un interesse qualificato e concreto, è ammesso solo l’intervento “ad adiuvandum” dell’azione obbligatoria del P.M. contabile, in quanto diretto a tutelare gli interessi patrimoniali e reputazionali della comunità locale e del relativo ente esponenziale, lesi dai comportamenti illeciti dei propri dipendenti.
2. Nel processo contabile di responsabilità amministrativa la sentenza penale di patteggiamento, ex art. 444 c.p.p., pur non facendo stato nei giudizi civili e amministrativi, costituisce – unitamente agli atti del relativo fascicolo – una fonte di cognizione soggetta al libero apprezzamento del giudice in ordine agli effetti dell’accertamento penale nei giudizi restitutori e da risarcimento di danno, tenuto conto che il patteggiamento della pena dalla giurisprudenza è equiparata ad una “tacita ammissione di colpevolezza”, perché dopo la modifica dell’art. 445 c.p.p. da parte dell’art. 2 L. 27 marzo 2001, n. 97, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti è assimilata a un elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tal efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, e il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione.
3. Il dipendente pubblico responsabile del reato di corruzione versa nell’atteggiamento psicologico del dolo anche nell’esecuzione delle azioni produttive di danno perseguite in sede di responsabilità amministrativa.
4. Il danno da disservizio è un pregiudizio erariale che coincide con gli oneri sostenuti dall’amministrazione danneggiata per lo svolgimento delle verifiche e delle indagini da parte di organismi speciali (es. commissioni ad hoc), la cui spesa deve essere addebitata al responsabile del danno pubblico, in conformità al principio di proporzionalità, nella misura pari al 30% del totale delle spese sostenute dall’amministrazione medesima, laddove, naturalmente, l’ipotesi di addebito in cui essa sia esitata in sede amministrativa trovi conforto nella conseguente ipotesi accusatoria elevata dalla Procura regionale (1).
5. In forza della c.d. legge Severino (n. 190/2012), è stata introdotta un’importante innovazione in tema di danno all’immagine della pubblica amministrazione, dove l’entità di questo pregiudizio che deriva dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione, accertato con sentenza passata in giudicato, si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente (2).
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(1) La sentenza ha poi specificato che fra le possibili declinazioni del danno da disservizio perseguibile dinanzi alla Corte v’è anche quella, avente pari dignità rispetto alle altre, che prende la forma di un’intenzionale discriminazione da parte del pubblico funzionario fra le pratiche da istruire, a seconda che si tratti di questioni o affari considerati, secondo personalistici (e come tali inammissibili) punti di vista, “maggiori” o “minori”, oppure la forma della necessitata concentrazione dell’attenzione (come nella specie accaduto durante le operazioni di revisione compiute in costanza di operatività della Commissione d’indagine di cui si è detto) sulle pratiche già istruite dalla persona sotto inchiesta, e come tali indiziate di essere state essere pure gestite in modo irregolare, piuttosto che su quelle nuove (la cui istruttoria si trova per conseguenza a subire degli evitabili rallentamenti).
In questi casi è calpestato il principio dell’ordine naturale di trattazione delle istanze dell’utenza, secondo cioè l’ordine di arrivo, principio derivante dal superiore principio di eguaglianza/imparzialità dei cittadini-utenti di cui all’art. 3 Cost., e da quello di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., salve, ovviamente, le diversificate necessità di completamento dell’istruttoria che possono nei singoli casi influire anche incisivamente sui tempi di conclusione di ciascun procedimento.
(2) La sentenza ha evidenziato che il Legislatore ha inteso forfetizzare il danno all’immagine da risarcire presumendolo pari al doppio “della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”, fermo restando che l’importo della tangente percepita non può costituire limite assoluto al potere-dovere del giudice di tenere conto della particolarità del caso concreto, onde evitare il rischio che una meccanica applicazione di esso si traduca in un risarcimento non proporzionato alla entità della lesione subita dall’amministrazione.
Commento di
MASSIMO PERIN
(Consigliere della Corte dei conti)
Nei fatti corruttivi presso l’amministrazione il disservizio arrecato comprime anche il principio di eguaglianza tra i cittadini e il buon andamento dell’amministrazione
La sentenza in oggetto riguarda le vicende del danno collettivo erariale conseguente ai noti fatti criminosi per i quali i media coniarono il termine “Sistema Sesto”[1], poi entrato nel linguaggio comune, quale sinonimo di vasta e diffusa illegalità con mercimonio di pubbliche funzioni.
I fatti illeciti, sia penalmente, sia patrimonialmente, riguardavano la gestione delle attività produttive e quelle dell’edilizia, con riferimento all’accertamento e alla commissione di diversi episodi di corruzione sull’attuazione di operazioni immobiliari, come il rilascio di permessi di costruire e varianti di destinazione d’uso o in sanatoria.
È ben noto che il settore urbanistico, gestito dagli enti locali, sia un settore particolarmente delicato, dove per l’ampiezza degli interessi economici, le occasioni di corruzione non mancano di certo, agevolate anche da una legislazione non sempre coerente, che ha avvantaggiato le politiche di sanatoria in danno della legalità e del corretto sviluppo urbanistico dei territori.
Ora, nel caso specifico, gli accertamenti dei reati di corruttela trovavano conferma sia dal punto di vista penale (la convenuta aveva patteggiato ex art. 444 c.p.p.), sia dal punto di vista disciplinare (la convenuta era stata licenziata dal posto di lavoro) e, di conseguenza, non sussistevano dubbi sull’atteggiamento doloso della responsabile dei danni patrimoniali conseguenti alle condotte illecite perseguite dalla Procura regionale della Corte dei conti.
In particolare, le due voci di danno perseguite erano il pregiudizio finanziario da disservizio e quello per il danno reputazionale del Comune o danno all’immagine pubblica.
Il danno da disservizio è in istituto pretorio, individuato dalla giurisprudenza contabile, che presuppone lo svolgimento di un servizio pubblico che non ha raggiunto la qualità e l’utilità per le quali erano impiegate le risorse finanziarie dell’amministrazione.
Esso consiste nell’effetto dannoso causato all’amministrazione e all’organizzazione dal comportamento illecito del dipendente e/o dell’amministratore pubblico, perché non è stata conseguita la legalità dell’azione amministrativa pubblica, con conseguente inefficacia o inefficienza della stessa.
Poiché il costo del funzionamento dell’amministrazione ricade sui bilanci pubblici e, dunque, sui contribuenti è evidente che si è in presenza di uno spreco di risorse.
Ovviamente, la parte pubblica nell’azione di danno deve sempre fornire una prova, anche indiziaria, del disservizio[2] (Corte dei conti, Sezione Lazio, n. 80 del 2 febbraio 2015).
Ora, nella fattispecie esaminata dai giudici della Lombardia, emergeva che il danno da disservizio coincideva con gli oneri sostenuti dall’amministrazione danneggiata per lo svolgimento delle verifiche e delle indagini da parte di organismi speciali sugli atti amministrativi gestiti e adottati dalla funzionaria coinvolta negli atti illeciti.
Questa spesa, come indica la sentenza, deve essere addebitata alla responsabile del danno pubblico in parola.
Le Sezione ha poi indicato la quantificazione del pregiudizio nella misura del 30% del totale delle spese sostenute dall’amministrazione medesima, in conformità al principio di proporzionalità, dove la misura sanzionatoria applicata non deve essere tale da gravare in maniera eccessiva sull’interessato.
Per questi motivi, la Sezione giudicante escludeva la configurabilità del pregiudizio in parola per quanto atteneva sia agli oneri connessi al procedimento disciplinare svolto dall’ente locale a carico della responsabile, sia a quelli connessi alla volontaria richiesta, da parte dell’amministrazione danneggiata, di pareri legali sulla fattispecie.
Pertanto, il collegio addebitava (richiamando il principio costituzionale di proporzionalità, operante anche in materia di finanza pubblica, come definito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 2015) l’importo delle spese implicate dalle verifiche e/o indagini nella predetta misura.
Nell’occasione la Sezione Lombardia aggiungeva che il danno da disservizio compromette anche il principio di eguaglianza/imparzialità dei cittadini-utenti di cui all’art. 3 Costituzione e quello di buon andamento di cui all’art. 97 della Carta fondamentale[3], perché i comportamenti delittuosi non solo pregiudicano il regolare andamento degli uffici per la violazione della legalità, ma favoriscono sempre qualcuno in danno di altri.
È necessario poi ricordare che il disservizio nell’amministrazione compromette la trasparenza dei comportamenti e delle gestioni pubbliche; pertanto, sanzionare patrimonialmente questo danno è utile per il contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione.
Ovviamente, la misura del 30% applicata in questa decisione non può essere interpretata come un possibile “sconto” ai responsabili di comportamenti illeciti, prevalentemente di corruzione, dove è stata strumentalizzata la funzione pubblica per ottenere vantaggi personali e patrimoniali.
Ebbene, il pregiudizio da disservizio si aggiunge alla misura degli altri danni finanziari contestati ai responsabili dei fenomeni corruttivi, fenomeni dove notoriamente al malaffare si aggiunge lo spreco delle pubbliche risorse (cfr. Michele Oricchio, Corte dei conti e fenomeni corruttivi, nel sistema multilivello del Governo, in Rivista Corte dei conti, pag. 445, n. 5/6 del 2014).
In questa fattispecie la persona convenuta è stata anche condannata al risarcimento per la lesione all’immagine pubblica dell’amministrazione con il richiamo alla nuova disciplina legislativa introdotta con la legge Severino (n. 190/2012), dove l’entità del pregiudizio susseguente alla commissione di un reato contro la pubblica amministrazione, accertato con sentenza passata in giudicato, si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.
Questa presunzione comporta l’equivalenza del danno erariale al doppio delle somme di denaro o di altri valori illecitamente percepiti (così Corte dei conti Sezione II centrale di appello, n. 489 del 25 luglio 2013).
Anche qui il giudice riteneva, nella propria motivazione che il danno in parola non è forfetizzato tout court, perché l’importo della tangente percepita non può costituire limite assoluto al potere-dovere del giudice di tenere conto della particolarità del caso concreto, onde evitare il rischio che una meccanica applicazione di esso si traduca in un risarcimento non proporzionato all’entità della lesione subita dall’amministrazione (con richiamo alla propria giurisprudenza della Sezione Lombardia, con la sentenza n. 63/2015).
Dovendo, comunque, esaminare nel concreto la fattispecie delittuosa per i suoi riflessi patrimonialmente negativi per l’amministrazione, il Collegio ha dovuto tenere in conto l’ampio risalto mediatico, con conseguente clamor fori c.d. esterno, della qualifica apicale nell’ente di appartenenza posseduta dalla convenuta e del notevole disvalore sociale della condotta amministrativa illecita.
Il danno all’immagine pubblica è risarcibile solo in seguito alla commissione di reati posti in essere da soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione, accertati con sentenza definitiva.
Il danno all’immagine della pubblica amministrazione si configura come danno patrimoniale da “perdita di immagine” di tipo contrattuale, avente natura di danno – conseguenza, la cui prova può essere fornita anche per presunzioni e mediante ilo ricorso a nozioni di comune esperienza (così Corte di Cassazione, Sezione III penale del 12 dicembre 2013).
Questo danno è la conseguenza della grave perdita del prestigio e del grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta ed è suscettibile di valutazione sotto il profilo della spesa necessaria per il ripristino del bene giuridico leso (così sempre Cassazione Sezione III penale, cit.).
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[1] Espressione che riguardava i noti fatti criminosi corruttivi avvenuti presso il Comune di Sesto San Giovanni. Ovviamente, responsabili dei fatti illeciti erano anche altre persone, oltre la convenuta in quest’azione di danno pubblico. Cfr. https://ilsistemasesto.wordpress.com/, di cui al libro “Il sistema sesto storie di tangenti nell’ex Stalingrado d’Italia”.
[2] Il danno da disservizio è, ontologicamente, pregiudizio patrimoniale, esso presuppone che sia provata una distorsione dell’azione pubblica rispetto al fine cui l’azione stessa deve essere indirizzata, con conseguente dispendio di denaro pubblico; l’ipotesi di responsabilità amministrativo contabile per danno da disservizio deve essere adeguatamente provata, ai sensi dell’art. 2697 c.c. in tutti i suoi elementi costitutivi, esso rappresenta, appunto, un pregiudizio effettivo, concreto e attuale, che coincide con il maggiore costo dell’attività amministrativa, nella misura in cui questa si riveli inutile, così Corte dei conti, Sezione III giurisdizionale Centrale d’appello, sentenza 22 luglio 2013, pag. http://www.lexitalia.it/a/2013/7153.
[3] È sempre bene ricordare che per la dottrina più attenta «oggi il buon andamento è essenzialmente quello migliore sotto il profilo dell’economicità e dell’efficacia, e se quindi il corretto esercizio della funzione amministrativa è non solo e non tanto quello formalmente (e cioè giuridicamente) ineccepibile ma anche e soprattutto quello sostanzialmente migliore (e cioè quello più economico e più efficace)», così S. Giacchetti, Appalti di pubblici servizi e/o appalti pubblici di servizi? La legge n. 205 del 2000 gioca a dadi, alla pag. https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/wcm/idc/groups/public/documents/document/mdax/nze1/~edisp/intra_064167.htm.
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Documenti correlati:
BRUNO DI GIACOMO RUSSO, La responsabilità della Pubblica Amministrazione da disservizio, pag.http://www.lexitalia.it/a/2013/7675
LUCA BUSCEMA, La responsabilità erariale dei pubblici dipendenti in conseguenza della violazione dei principi costituzionali di buon andamento, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, pag. http://www.lexitalia.it/a/2013/6986
MASSIMO PERIN, Danno da disservizio e disorganizzazione nell’amministrazione, pag. http://www.lexitalia.it/a/2013/5396
OLIMPIA SCOPELLITI, La nuova configurazione di danno erariale per lesione all’immagine della pubblica amministrazione a seguito del cd. “Lodo Bernardo”. Prospettive di giurisprudenza ragionata e ulteriori spunti di riflessione, pag. http://www.lexitalia.it/a/2012/2706.
IVONE CACCIAVILLANI, La legittimazione all’azione risarcitoria per danno all’immagine nel “lodo Bernardo”, pag. http://www.lexitalia.it/a/2010/44085
PASQUALE MONEA, Tutela del prestigio e dell’immagine della Pubblica Amministrazione: verso una “tipizzazione” dell’illecito?, pag. http://www.lexitalia.it/a/2014/11405
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 28070 del registro di segreteria ad istanza della Procura regionale per la Lombardia contro:
Nicoletta Sostaro (C.F. SST NLT 59B 65H 771W) residente in comune di Sesto San Giovanni (MI) alla via Isonzo n. 4, rappresentata e difesa dagli avvocati Micaela Chiesa e Francesca Guercio e presso lo studio dell’avv. Chiesa è elettivamente domiciliata, in Milano, Corso di Porta Vittoria n. 47.
VISTI: il r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 26; il r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; il d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla l. 14 gennaio 1994, n. 19; la l. 14 gennaio 1994, n. 20; il d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito dalla l. 20 dicembre 1996, n. 639; il c.p.c., artt. 131, 132 e 133.
VISTO l’atto introduttivo.
LETTI gli atti e i documenti di causa.
UDITI, nella pubblica udienza del 18.2.2015, il relatore Cons. Massimiliano Atelli, il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Fabrizio Cerioni, gli Avvocati Francesca Guercio e Micaela Chiesa per la convenuta e l’Avvocato Francesco Borasi in sostituzione dell’Avvocato G. Brambilla Pisoni per l’interveniente Comune di Sesto San Giovanni.
Ritenuto in
FATTO
Con atto di citazione depositato in data 9.6.2014, la Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale ha convenuto in giudizio la Sig.ra Sostaro per ivi sentirla condannare al pagamento, in favore del Comune di Sesto San Giovanni, dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificati in misura complessiva pari ad euro 436.039,84, da imputarsi, oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio a causa del danno erariale arrecato così articolato:
• danno da disservizio, quantificato dalla Procura sulla scorta della stima operata dal Comune di Sesto San Giovanni (all’esito dell’istituzione di una Commissione consiliare speciale costituita per fare luce sulle conseguenze ‘amministrative’ dei fatti illeciti accertati, al fine di assumere eventuali iniziative recuperatorio e/o riparatorie) in funzione delle spese sostenute per ripristinare la funzionalità del servizio attribuito dalla legge allo Sportello Unico, per un importo totale ritenuto imputabile alla Sig.ra Sostaro pari ad euro 150.000,00;
• danno patrimoniale diretto cagionato al datore di lavoro pubblico, per la mancata corrispondenza tra la retribuzione percepita e la prestazione lavorativa effettivamente svolta, in ragione dell’ammesso svolgimento di un’attività extralavorativa incompatibile ai sensi dell’art. 53 del D.lgs. 165/2001, e della costante distrazione di energie lavorative da destinare alle incombenze dell’ufficio, in favore della realizzazione di fattispecie penalmente rilevanti, ai danni del Comune di Sesto San Giovanni e della collettività; siffatta posta di danno è determinata, in via equitativa (art.1226 c.c.), in una somma pari al 20% dello stipendio percepito nel periodo di riferimento (2007-2010) e, dunque, in misura non inferiore ad euro 40.039,84;
• danno all’immagine, quantificato in una somma corrispondente al doppio delle somme ed utilità percepite quale prezzo dei reati commessi – pari a euro 123.000 (come accertato nella sentenza penale) – e, perciò in misura pari ad euro 246.000,00, muovendo dalla considerazione che il recente art. 1, co. 62, della legge n. 190/2012, abbia introdotto una disposizione interpretativa di carattere processuale, come tale applicabile anche ai fatti in corso di accertamento (cfr. Corte dei conti, Sez. Puglia, 6 novembre 2013, n. 1488; Corte dei conti, Sez. Lombardia, 14 marzo 2014, n. 47).
L’esercizio dell’azione erariale nei confronti della Sig.ra Sostaro traeva occasione dalla richiesta trasmissione alla Procura regionale presso questa Corte, da parte del Tribunale di Monza, della sentenza di patteggiamento n. 792/2012 Reg. Sent., pronunciata il 29 ottobre 2012 e divenuta irrevocabile in data 28 dicembre 2012, con la quale era stata accertata la commissione di diversi episodi di corruzione che avevano visto coinvolta, tra gli altri, la Sig.ra SOSTARO, nella sua qualità di Responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia e le Attività produttive del Comune di Sesto San Giovanni (MI).
In particolare, la citata sentenza ha applicato alla Sig.ra SOSTARO, considerate le attenuanti generiche e lo sconto di pena derivante dalla scelta del rito, la sanzione della reclusione di anni uno e mesi otto, con confisca del prezzo del reato di euro 100.000, per i seguenti delitti:
G) delitto previsto e punito dagli articoli 81, 110, 319, 321 del codice penale, perché, “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso……quale Responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia e le Attività Produttive del Comune di Sesto San Giovanni e dunque quale Pubblico Ufficiale”, in tempi diversi, si accordava con Marco Magni, quale professionista/imprenditore interessato all’attuazione di varie operazioni immobiliari, per il versamento di somme di denaro – effettivamente corrisposte per un ammontare non inferiore a euro 50.000,00 – quale corrispettivo per il “rilascio di permessi di costruire anche in variante di destinazione d’uso o in sanatoria, per numerose costruzioni ed in particolare per gli interventi edilizi di Viale Gramsci (attraverso la società Chiara 2002), via Lacerra (attraverso la società Lacerra Immobiliare), Via Pisa (attraverso Complex S.r.l.), Via Luini (attraverso la società 2M Costruzioni), Viale Matteotti 404 (attraverso Concordia Immobiliare), Viale Casiraghi (attraverso la società Domus 4), Via Luini 219 (attraverso la Società Immobiliare Sanfilippo e Irte Costruzioni Immobili) e Via Pisa (con il committente Basile Aldo), in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza propri del Pubblico Ufficiale”; reati commessi in Sesto San Giovanni dal 2006 al 2010;
H) delitto previsto e punito dagli articoli 81, 110, 319, 321 del codice penale, perché, “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, nella sua qualità di Responsabile dello sportello unico per l’edilizia e attività produttive del Comune di Sesto San Giovanni e, dunque, quale pubblico ufficiale”, si accordava con Giuseppe Pasini, imprenditore interessato all’attuazione del Piano Integrato di Intervento sull’area E. Marelli, per il versamento di una somma di denaro contante per euro 30.000/00 circa, nonché per la remissione del debito contratto per l’acquisto di un immobile dallo stesso Pasini, pari ad euro 43.000,00 “quale corrispettivo al predetto pubblico ufficiale” al fine di:
– “in generale, per la soluzione dei problemi legati all’attività di costruttore di Pasini nel Comune di Sesto San Giovanni;
– in particolare, per la valutazione istruttoria ed approvazione dei progetti collegati alle pratiche edilizie denominate NEXITY (per la sistemazione plani-volumetrica dell’ex progetto Banca Intesa, all’uopo riadattato per NEXITY), CENTRO EDILMARELLI S.r.l. (per le opere di urbanizzazione secondaria) ed ALSTOM (con riferimento all’arretramento degli spazi utilizzabili all’interno dell’edificio per limitare gli spazi con divieto di permanenza di persone), in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza propri del Pubblico Ufficiale”.
In buona sostanza, il GIP del Tribunale di Monza ha condannato la Sig.ra SOSTARO, ex art.444 c.p.p., alla pena anzidetta, per il comportamento, illecito e foriero di rilevanti danni, patrimoniali e non patrimoniale, a carico del Comune di Sesto San Giovanni, consistito nell’esame agevolato delle pratiche edilizie degli imprenditori disposti a pagare per tali agevolazioni, rispetto agli altri, “illeciti compensi” e la conseguente cagionata e tollerata inosservanza delle regole edilizie contenute nella legge urbanistica nei piani regolatori e attuativi (nei confronti degli stessi).
In questo contesto, secondo la Procura erariale, i numerosi atti d’indagine compiuti in sede penale evidenzierebbero, senza ombra di dubbio, il ruolo propulsivo e attuativo della Sig.ra Sostaro nell’ambito del sistema illecito volto al compiacente rilascio di autorizzazioni edilizie e permessi di costruire, dapprima definito dalla stampa (anche in considerazione degli altri illeciti commessi pure da altri esponenti dell’amministrazione comunale sestese), come “Sistema Sesto”, e poi entrato nel linguaggio comune quale sinonimo di vasta e diffusa illegalità con mercimonio di pubbliche funzioni.
I documenti presenti nel fascicolo del processo penale, le risultanze delle intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché le copiose e circostanziate notizie di stampa e le dichiarazioni rilasciate dal Segretario comunale di Sesto San Giovanni e dagli altri funzionari e dipendenti dell’ente sentiti dal PM contabile nel corso dell’accesso diretto effettuato in data 7.11.2013, forniscono, ad avviso della Procura attrice, ampia prova del comportamento delittuoso, assolutamente contrario agli obblighi di servizio, posto in essere dalla convenuta, durante il periodo in cui ha ricoperto il predetto ruolo di responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia e le Attività produttive. Emergerebbe, cioé, in modo incontrovertibile, la responsabilità della Sig.ra SOSTARO nell’ideazione e nell’attuazione del meccanismo volto al mercimonio delle pubbliche funzioni in cambio di denaro, come sopra descritto, da cui è derivata la sua responsabilità penale e quella amministrativa per i danni cagionati al Comune di Sesto San Giovanni. E la correttezza dell’impianto accusatorio sarebbe confermata, sempre ad avviso della Procura erariale, anche dalla piena confessione resa dalla stessa Sig.ra SOSTARO nell’interrogatorio contenuto nel parallelo procedimento a carico di Di Caterina e altri e dalle indagini condotte dalla Procura di Milano, nell’ambito dello stesso procedimento.
Di qui, l’addebito di responsabilità per i danni da disservizio, da interruzione del sinallagma contrattuale e all’immagine, come sopra descritti e quantificati, attesa, ad avviso della Procura regionale, l’incontestabilità del rapporto di causalità tra i fatti illeciti della dipendente e l’evento dannoso, la sussistenza, all’epoca dei fatti causativi dei danni in discorso, del rapporto di impiego della Sig.ra SOSTARO con il Comune di Sesto San Giovanni, e, quanto all’elemento soggettivo, l’accertamento della realizzazione del delitto di corruzione ex art. 319 c.p., quindi del dolo nell’esecuzione delle azioni produttive di danno.
Quanto alla valenza probatoria della citata sentenza n. 792/2012, la Procura fa notare che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., pur non costituendo un accertamento giudiziale incontrovertibile con efficacia di giudicato nei giudizi civili o amministrativi di danno (a differenza delle sentenze dibattimentali; cfr. artt. 445, comma 1-bis, e 651 c.p.p.), è pacificamente ritenuta, da una consolidata giurisprudenza contabile, una decisione valutabile dal giudice contabile – nell’esercizio della propria autonomia valutativa dei fatti posti a fondamento della statuizione dell’organo penale – quale specifico e univoco elemento di prova della commissione dei fatti contestati all’imputato, senza necessità di riscontri esterni, qualora il convenuto, non abbia allegato o dedotto le ragioni per cui, benché innocente, abbia in concreto ritenuto di avvalersi del “patteggiamento”.
Nella loro materialità, per quanto in atti, i reati contestati alla Sig.ra SOSTARO sono stati perpetrati, ad avviso della Procura erariale, non solo attraverso la materiale percezione di somme in contanti o a mezzo bonifici sui suoi conti correnti, ma anche attraverso la richiesta di versamento agli imprenditori privati facenti parte dell’illecito sodalizio dei c.d. “oneri conglobati”. In pratica, attraverso la configurazione di una voce di costo fittizia denominata appunto “oneri conglobati” – che veniva posta a carico delle società che gestivano le iniziative immobiliari -, non previsti da alcuna legge urbanistica o regolamento comunale, veniva creata la provvista necessaria a remunerare la Sig.ra SOSTARO e l’Assessore all’Edilizia privata e al Bilancio del Comune di Sesto San Giovanni, Sig. Pasqualino DI LEVA
Quanto all’accordo con Marco Magni, quale professionista/imprenditore interessato all’attuazione – in forma “preferenziale” rispetto al resto dell’utenza – di varie operazioni immobiliari, riguardo al versamento di somme di denaro quale corrispettivo per il “rilascio di permessi di costruire anche in variante di destinazione d’uso o in sanatoria, per numerose costruzioni…”, come emerge dall’informativa del 10 gennaio 2011, n. 218/2008/PG della Sezione di P.G. della Guardia di Finanza operante presso la Procura della Repubblica di Milano, “… La società inglese SHORELAKE Ltd. avrebbe fittiziamente venduto all’arch. Magni dei progetti immobiliari falsi già predisposti e trasmessi dall’Architetto, il quale, così facendo ha creato un meccanismo di false fatturazioni allo scopo di costituire fondi neri all’estero. MAGNI avrebbe, poi, utilizzato tali disponibilità finanziarie per eseguire pagamenti illeciti in favore di pubblici ufficiali ed, in particolare, dirigenti del Comune di Sesto San Giovanni, tra cui l’Assessore all’Edilizia Pasqualino DI LEVA e la sua collaboratrice, dirigente dello Sportello Unico per l’Edilizia, Nicoletta SOSTARO”.
Per gli stessi fatti, in data 11 aprile 2012, il Comune di Sesto San Giovanni, con nota numero 29505, chiedeva a questa Procura “…l’apertura di un procedimento nei confronti della Sig.ra Nicoletta Sostaro per responsabilità al fine di ottenere un titolo esecutivo per il recupero dell’importo di € 95.000/00 dovuto a questa amministrazione ai sensi dell’art. 53, comma 7, del dec. leg.vo 165/2001”. Tale richiesta era motivata dal fatto che: “…secondo notizie comparse nel mese di ottobre 2011 sui quotidiani, sui siti web e da notizie dei telegiornali la stessa avrebbe dichiarato di aver svolto attività di consulenza in favore dell’Arch. Marco Magni e dell’imprenditore Giuseppe Pasini”. Di talché l’Amministrazione comunale, con nota n. 84240 del 19 ottobre 2011, aveva contestato alla dipendente lo svolgimento di un’attività extralavorativa incompatibile ai sensi del citato art. 53 del D.lgs. 165/2001, a causa delle dichiarazioni rese dalla sig.ra SOSTARO in data 17 ottobre 2011 al P.M. penale, in sede di indagini preliminari, ex artt. 64, 141 bis, 364 e 374 c.p.p.
A seguito delle vicende delittuose di cui sopra il Comune di Sesto San Giovanni, con provvedimento direttoriale n. 11326 in data 10.2.2012, irrogava alla Sig.ra SOSTARO la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso a far tempo dal 16 febbraio 2012 e, con provvedimento del successivo 14 febbraio, le chiedeva la restituzione, entro 15 giorni, della somma di € 95.000,00 per avere svolto attività extralavorativa retribuita non autorizzata.
Per completezza, va evidenziato che alla Procura attrice non consta, ad oggi, che la sig.ra SOSTARO abbia provveduto a ristorare il Comune di Sesto San Giovanni di somme a titolo risarcitorio alcuno.
Con memoria depositata in data 29.12.2014 si costituiva la Sig.ra SOSTARO, deducendo che:
• nelle notizie a mezzo stampa, nel processo penale e nel provvedimento disciplinare alla convenuta sarebbe stato contestato essenzialmente di avere svolto attività extralavorativa non autorizzata, percependo corrispettivi per tali attività non autorizzate, e non anche ipotesi di corruzione o contiguità con le grandi vicende che hanno interessato ed interessano la stampa e le aule penali;
• che solo questo potendosi addebitarle, dal momento che essa ha restituito tutte le somme percepite a titolo di corrispettivo per consulenze non autorizzate (e restituendole anzi in misura eccedente l’accertato dalle stesse richieste Comunali), ne deriverebbe l’estinzione del danno erariale correlato, come dispone l’art. 53 comma 7 bis, del d.lgs. n. 165/2001, testo vigente;
• non essendosi opposta alla sanzione del licenziamento, avrebbe interrotto qualsivoglia danno potesse derivare al Comune di Sesto dalla sua permanenza in organico, ed in primis il danno d’immagine, che sarebbe pertanto oggi privo del requisito dell’attualità e concretezza;
• il danno da disservizio che sarebbe stato subito dall’ente per la disfunzione dello Sportello Unico non sarebbe provato né in sede penale né in sede amministrativa;
• anche il danno per la distrazione delle sue energie lavorative non risulterebbe provato, risultando al contrario provata la costante presenza in ufficio della Sig.ra Sostaro, né sarebbe provata una flessione della sua attività professionale, la quale fra l’altro si risolverebbe in una duplicazione della precedente pretesa posta di danno;
• quanto al danno di immagine, la sua rilevanza sarebbe smentita dalla stampa, oltre che dai contenuti dei provvedimenti disciplinari e della sentenza di patteggiamento;
• infine, la mancata considerazione, da parte della Procura attrice, della asserita intervenuta corresponsione all’ente locale da parte della Sig.ra Sostaro di euro 100.000,00, somma eccedente la richiesta risarcitoria del Comune di Sesto, a titolo di restituzione di corrispettivi per le attività extralavorative non autorizzate.
Più in dettaglio, la difesa della Sig.ra Sostaro contesta che:
• il versamento di un assegno di 43 mila euro sul conto della Sig.ra Sostaro da parte dell’imprenditore Pasini, sarebbe sì un favore, ma comunque esulante dall’ambito lavorativo, tant’è che poi la convenuta lo avrebbe restituito al Pasini stesso;
• deve escludersi un rapporto preferenziale, di tipo illecito, con l’arch. Magni, a discapito del resto dell’utenza, traendo la familiarità fra i due in occasione dalla circostanza di fatto che l’arch. Magni nel periodo 2007-2010 ha presentato molti progetti in Comune di Sesto e nel fatto che in un comune di queste dimensioni, il rapporto tra professionisti operanti nel territorio e funzionari amministrativi è diretto, e l’arch. Magni, ad esempio, è stato componente della Commissione edilizia quale esperto ambientale, il che avrebbe comunque comportato una certa frequentazione, anche amichevole, tra uffici, amministrazione e professionisti, pur sempre nel rispetto delle leggi;
• il provvedimento finale di rilascio del titolo edilizio era sì firmato dal responsabile del SUE ma solo in esito alle istruttorie, verifiche, accertamenti, determinazioni, degli uffici competenti, fermo restando che la Sig.ra Sostaro era solo un funzionario, la cui attività era vigilata da un Dirigente oltre che da un Assessore e dal Segretario Comunale;
• del resto, in sede penale sarebbero stati contestati esclusivamente accordi fra la Sig.ra Sostaro e l’Arch. Magni e fra la Sig.ra Sostaro e il Sig. Pasini, con un oggetto ben determinato, che la Sostaro ascrive a comportamenti non illeciti, come sopra descritti;
• inoltre, dalle dichiarazioni di Pasini (verbale di interrogatorio del 4.11.2011, n. 1057) emerge che la Sig.ra Sostaro era sottoposta alle disposizioni dell’assessore Di Leva, che “eseguiva senza discutere”, il che, ad avviso della difesa, varrebbe ad escludere qualsivoglia ruolo decisionale e/o propulsivo dell’interessata, ponendosi la stessa, nell’ambito dell’organigramma comunale, come mero interfaccia unitaria nei confronti degli utenti;
• quanto al preteso danno da disservizio, negli anni correnti tra il 2007 e il 2010, presi a riferimento per stabilirne, il Comune di Sesto è stato interessato da poco meno di 780 pratiche edilizie-urbanistiche; quelle, invece, contestate alla convenuta sarebbero all’incirca poco più di dieci se si considerano quelle esaminate dal CTU incaricato nel processo penale dal PM Mapelli, mentre 15 sarebbero quelle fatte oggetto di riesame per ‘giustificare’ la quantificazione del danno da disservizio; di queste 15 pratiche, 7 sarebbero state istruite da tecnico diverso dalla Sig.ra Sostaro;
• sempre riguardo al danno da disservizio contestato, la giurisprudenza citata dalla Procura attrice riguarderebbe fattispecie di ben altro genere rispetto a quella per cui è causa, riferendosi, ad esempio, ad incarichi non portati a termine, a periodi di astensione dal lavoro, ad omissione delle funzioni istituzionali, e simili;
• ancora con riferimento al danno da disservizio, le consulenze che la signora Sostaro ha ammesso di avere prestato, come risulterebbe provato dai documenti del fascicolo penale, sarebbero state svolte tutte al di fuori dell’orario lavorativo, e non risulta né sarebbe stato dimostrato che dette prestazioni abbiano concretamente arrecato un qualche effettivo disservizio alla collettività amministrata;
• la spesa sostenuta dal Comune di Sesto “per ripristinare la funzionalità del servizio attribuito dalla legge allo Sportello Unico”, quantificata in euro 488.993,48, sarebbe abnorme, non correlata ad alcun intervento di “ripristino” bensì a spese inutili e non necessarie, e quindi certamente discrezionali, atteso che, fra l’altro, il Comune ha provveduto al riesame di pratiche edilizie già rilasciate, senza avere dimostrato che dalle stesse fossero discesi danni o responsabilità per l’amministrazione comunale (per conseguenza, fra l’altro, in nessun modo potrebbero essere imputati alla stessa i costi correlati alla inutile quanto incongrua decisione di organizzare un gruppo di lavoro, composto da esponenti politici, per esaminare pratiche la cui valutazione rientrava, ove si fosse rivelata opportuna o necessaria, negli ordinari compiti e competenze del soggetto subentrato alla Sig.ra Sostaro ovvero negli ordinari compiti e competenze dei responsabili dei singoli procedimenti o dei settori via via competenti);
• l’elencazione di omesse attività (in totale, 12) che sarebbe sintomatica, secondo la Procura erariale, del presunto disservizio, sulla scorta della consulenza tecnica esperita nel processo penale, nonché della documentazione fornita dal Comune di Sesto, non dimostrerebbe in realtà alcunché, atteso che questi documenti non conterrebbero simili contestazioni, e i c.d. disservizi oggetto di contestazione, peraltro estremamente generica, sarebbero comuni a moltissimi Comuni e non particolarmente significativi; di fondo, resterebbe mancante la prova della loro concreta incidenza, a fronte del gran numero di procedimenti seguiti, e dell’effettiva produzione di danni specifici;
• del resto, insiste la difesa, non risulterebbero assenze ingiustificate dall’ufficio, malattie, assenteismo, flessione della produttività rispetto ai precedenti anni, ovvero aumento dell’arretrato o dei tempi di gestione delle pratiche, lamentele dell’utenza, diffide, ricorsi, ecc., in misura anomala rispetto ad altri settori, ad altri comuni con analoghe caratteristiche o rispetto agli altri anni precedenti, il che renderebbe ingiusta, non dimostrata e non fondata la richiesta di danno diretto cagionato al datore di lavoro per la ritenuta, mancata corrispondenza tra la retribuzione percepita dalla convenuta e la prestazione lavorativa effettivamente svolta dalla stessa;
• le circostanze che darebbero luogo al preteso danno da disservizio non possono comunque considerarsi provate in forza della CTU esperita nel processo penale e dalla documentazione fornita dal Comune di Sesto, non soltanto perché la CTU non costituisce un mezzo di prova (semmai un mezzo di valutazione della stessa), essendo per sua natura ‘neutra’, ma anche in ragione degli errori di valutazione dei fatti e delle norme applicabili compiuti nella specie;
• quanto, invece, al preteso danno all’immagine, l’impatto mediatico a danno del Comune di Sesto San Giovanni in relazione alla condotta della Sig.ra Sostaro sarebbe stato del tutto minimale, tenendo conto, tra l’altro, che la produzione di articoli giornalistici versata in atti dall’Ufficio requirente riguarda la più ampia e complessa vicenda legata al c.d. Sistema Sesto, vicenda alla quale si connettono fatti di ben più ampia portata e coinvolgono (o comunque hanno coinvolto) nomi e ruoli di ben più ampia rilevanza rispetto al ruolo ricoperto dalla convenuta, mentre rimarrebbe indimostrato che la stessa abbia disbrigato pratiche edilizie per favorire imprenditori amici, o che abbia violato norme di settore, mancando elementi per travalicare le contestazioni fatte in sede penale e le valutazioni delle stesse date dalla ricorrente e confermate da Pasini e Magni;
• infine, oltre che minimo, il danno di immagine ascrivibile alla Sig.ra Sostaro sarebbe comunque privo dei requisiti di attualità e concretezza avendo la stessa accettato il licenziamento.
Con atto depositato in data 24.12.2014, il Comune di Sesto San Giovanni – già costituitosi parte civile nel processo penale definito dalla menzionata sentenza di patteggiamento – interveniva nel presente giudizio, ad adiuvandum della Procura regionale, ai sensi degli artt. 47 del RD n. 1038/1933 e 105 cpc., e, invocando sul punto la giurisprudenza di questa Corte (in particolare, sez. II appello, sent. n. 241/2004), confermava quanto sostenuto in citazione ed insisteva per la conseguente condanna della convenuta.
Nell’atto d’intervento del Comune, in particolare, si aderiva all’enucleazione delle poste di danno (all’immagine, derivante dalla percezione di utilità illecite, da disservizio, e, infine, da distrazione delle energie lavorative) indicate in citazione, così come alla loro quantificazione ad opera dell’organo requirente.
Si avanzavano, da ultimo, richieste istruttorie, in particolare s’instava affinché si ammettesse prova per testi.
All’udienza del 14.1.2015, a seguito della costituzione ad adiuvandum del Comune di Sesto San Giovanni, depositata il giorno 24.12.2014, la difesa della SOSTARO richiedeva termine per controdedurre, che veniva accordato dal Collegio, con rinvio all’odierna udienza.
Con memoria del 22.1.2015, la difesa della convenuta ribadiva che:
– la sig.ra Sostaro non avrebbe rivestito affatto una posizione di particolare importanza nell’ambito dell’organizzazione comunale, avendo sopra di sé dirigenti e assessori, ed essendo priva di competenza specifica, in qualità di responsabile del SUE, riguardo all’istruttoria e delle decisioni concernenti gli strumenti urbanistici tesi al recupero di grandi aree;
– non risulta provato in sede penale alcun episodio di corruzione (come ideatrice ed esecutrice) della sig.ra SOSTARO, né il Comune avrebbe lamentato o dimostrato episodi di corruzione in relazione a specifiche pratiche del sig. Pasini (non oggetto di contestazione) o dell’Arch. Magni (oggetto di contestazioni ad altro titolo), e del resto le stesse richieste della Procura contabile avrebbero come presupposto sostanziale lo svolgimento di attività extraprofessionale non autorizzata svolta “dopo l’orario di lavoro” (circostanza non contestata), da cui deriverebbe una – non dimostrata – trascuratezza dei propri doveri professionali da parte della convenuta;
– riguardo al preteso danno da distrazione “costante” di energie lavorative dalle incombenze dell’ufficio, nulla risulterebbe dimostrato, neppure in sede penale, e tantomeno sarebbe stato provato che gli specifici episodi di attività extra lavorativa svolta dopo l’orario d’ufficio (circostanza non contestata in nessuna sede) dalla sig.ra Sostaro abbiano alcuna attinenza con le pratiche edilizie oggetto di censura (assenza di attinenza confermata dal fatto, ad avviso delle difese, che nessuna delle pratiche riesaminate riguarda il sig. Pasini);
– indimostrato sarebbe altresì rimasto, anche in sede penale, il danno da disservizio assertivamente derivante dal “mancato raggiungimento delle utilità che erano state previste per un determinato servizio”, ma anche che “i maggiori costi sopportati per la riorganizzazione” siano imputabili alla convenuta, come pure la pretesa necessità della riorganizzazione (e la sua imputabilità alla convenuta); tutto si baserebbe, ad avviso delle difese, sulla perizia svolta dall’Arch. Rimoldi per conto del Pubblico Ministero penale, atto di parte alla cui redazione la convenuta non ha potuto partecipare in contraddittorio;
– sarebbero documentate in atti contraddizioni palesi fra le valutazioni operate da detto perito e decisioni dell’autorità giudiziaria (riguardo ad una delle 16 pratiche edilizie riesaminate, si evoca in tal senso, nella memoria, la sentenza del GIP del Tribunale di Monza n. 1554/12);
– nell’elenco delle somme richieste dal Comune a titolo di “danno da disservizio), non vi sarebbe nessuna voce di danno direttamente correlata ad una sola pratica edilizia, contestandosi viceversa le somme spese:
1. per pagare l’“assistenza legale nei procedimenti complessi relativi alla trasformazione della città”, relativi all’anno 2011 e anno 2012: voce che non attiene alle contestazioni rivolte alla geom. Sostaro;
2. per pagare i costi di una “commissione speciale” formata da persone prive di competenze, in quanto composta da politici per controllare il lavoro dei tecnici, in palmare violazione degli artt. 36 e.107 D.Lgs. 267/2000; inoltre, da considerare illegittima, in quanto in palmare conflitto di interessi, perché composta dagli stessi amministratori che avevano approvato, in Giunta od in Consiglio, proprio le pratiche oggetto di riesame, e certamente, non obbligatoria e quindi dettata da mera discrezionalità amministrativa;
3. per pagare i procedimenti disciplinari attivati dal Direttore del Personale, cioè attività che rientra nei suoi ordinari compiti, e quindi remunerata in via ordinaria;
4. per la riorganizzazione del Servizio Edilizia Privata e la rivisitazione dei procedimenti, iniziative che le difese ravvisano come del tutto disancorate dalla vicenda della sig.ra Sostaro;
5. infine, per pagare la consulenza legale nell’ambito del progetto di riorganizzazione dello Sportello Unico per l’Edilizia, riguardo al quale non sarebbero documentati in atti elementi di malfunzionamento;
– alla convenuta può essere al limite contestato il solo danno all’immagine connesso alle responsabilità accertate a suo carico in ragione di quanto dalla stessa riconosciuto (attività extra lavorative limitate sotto il profilo oggettivo e soggettivo), tenendo conto, oltre che del suo comportamento collaborativo e della sua trentennale attività diligente ed efficiente, anche della rilevante circostanza che non ha coltivato l’opposizione al licenziamento, che avrebbe di certo amplificato a danno del Comune il clamore mediatico della vicenda;
– la rinuncia della convenuta a coltivare l’opposizione al licenziamento – circostanza che altra Sezione di questa Corte (ad es. Sez. Giur. Sardegna, 2.9.2014 n. 1731) avrebbe considerato rilevante per la valutazione e determinazione del danno d’immagine – non solo smentirebbe la disaffezione rispetto ai propri doveri ed al proprio ruolo, ma costituirebbe di per sé misura afflittiva rilevantissima e risarcimento “in forma specifica” del danno che l’ente sostiene avere subito.
Con memoria del 28.1.2015, la difesa del Comune di Sesto San Giovanni ribadiva quanto esposto nell’atto di intervento ad adiuvandum. In particolare, insisteva sul fatto che i 100.000,00 euro confiscati alla convenuta, diversamente da quanto sostenuto dalle difese di quest’ultima, non potrebbero in alcun caso costituire “pieno e totale ristoro dei danni”, atteso che si tratta di profitto del reato, e non potrebbero quindi essere imputati a risarcimento di nulla. Inoltre, ribadiva, riguardo all’eccezione dedotta dalla Sostaro di non essersi occupata di determinare le norme generali del PGT e del PRG, che, al contrario, la convenuta aveva una posizione preminente dello sportello unico dell’edilizia, ufficio strategico all’interno della funzione amministrativa-edilizia.
Nel confermare la correttezza della ricostruzione operata dalla Procura, la memoria precisava che le pratiche edilizie presentate al Comune di Sesto San Giovanni, dal 2005 al 2010 sono state in media 835 all’anno. Di queste, le pratiche minori (comunicazione di inizio lavori ad esempio per opere interne e manutenzione straordinarie) sono pari all’80 % del totale, mentre il rimanente 20% sono pratiche tese al rilascio di titolo abilitativo diretto da parte del responsabile del SUE (permessi di costruire o in alternativa alla DIA). Nell’ambito di queste ultime, gli Uffici del Comune hanno riscontrato che il 6% erano pratiche curate dall’arch. Magni, per il quale la Sostaro svolgeva per diretta ammissione attività non consentita, all’interno e fuori dell’orario di lavoro.
La memoria prosegue evidenziando che, a seguito di riesame del lavoro d’ufficio, con controlli a campione, gli Uffici del Comune hanno riscontrato, per il periodo in cui la Sostaro è stata responsabile del servizio, una costante carenza di documentazione all’interno dei fascicoli edilizi relativi alle pratiche minori (ad es., non si rileva alcun verbale di accertamento postumo mirato alla verifica di rispondenza delle opere denunciate rispetto a quanto nei fatti realizzato). In sostanza, nel periodo in questione, il Comune avrebbe completamente mancato al proprio compito istituzionale di controllare l’80% delle pratiche cosiddette “minori”.
Riguardo alle pratiche più importanti, infine, il Comune ha rappresentato che è stata operata anche a questo riguardo una ricognizione non generalizzata, per non gravare sul lavoro ordinario. all’esito della stessa, e che per tutte le pratiche edilizie sottoposte a controllo, ovvero i ridetti 16 fascicoli, si è riscontrata una carenza rilevante, soprattutto istruttoria.
All’udienza del 18.2.2015, la Procura attrice insisteva nella propria prospettazione accusatoria (ribadendo il ruolo-chiave della convenuta nella definizione e nell’attuazione delle politiche edilizie del Comune di Sesto, deducendo che non risulta da alcunché che i 43.000,00 avuti dal Pasini siano stati effettivamente restituiti e, quanto al danno all’immagine, che a tutt’oggi la vicenda per cui è causa ha lasciato un’ampia traccia mediatica, anche sulla rete Internet), insistendo da ultimo per la non applicazione del potere riduttivo; di contro, la difesa del convenuto rinnovava le argomentazioni sviluppate a sostegno della richiesta assolutoria nelle memorie. Dal canto suo, la difesa del Comune interveniente ribadiva la concordanza con la prospettazione attorea in punto di an e di quantum del petitum, osservando che non rileva tanto il numero delle pratiche edilizie la cui istruttoria si è svolta irregolarmente per effetto della condotta illecita della Sostaro, bensì il fatto in sé dell’asservimento all’interesse privato della funzione pubblica da essa svolta.
Terminata l’udienza, la causa veniva trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, il Collegio, benché non sia oggetto di contestazione tra le parti, ritiene di dover affermare l’ammissibilità dell’intervento in giudizio del Comune di Sesto San Giovanni. A tal proposito, è opportuno precisare che l’intervento di terzi nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti è disciplinato dall’art. 47 R.D. n. 1038/1933, il quale, in particolare, specifica che: “Chiunque abbia interesse nella controversia può intervenire in causa con atto notificato alle parti e depositato nella segreteria della Sezione”.
Tanto premesso, in riferimento ai casi di intervento volontario, la giurisprudenza contabile ha più volte chiarito che vanno ritenuti generalmente inammissibili sia l’intervento adesivo principale da parte dell’Ente di appartenenza del convenuto (che cioè pretenda di escludere una concorrente responsabilità con l’agente), sia l’intervento adesivo autonomo (Sez. II, n. 164/1992), nella considerazione che in tali casi si introdurrebbe un elemento nuovo nel giudizio. È stato, invece, ritenuto ammissibile l’intervento adesivo dipendente, giacché esso non amplia il “thema decidendum”. Pertanto, ormai, consolidata giurisprudenza di questa Corte (ivi inclusa questa Sezione: ex multis, v. sent. n. 426/2012), in presenza di un interesse qualificato e concreto, ritiene ammissibile un intervento “ad adiuvandum” dell’azione obbligatoria del P.M. contabile, come nel caso di specie. Per quanto precede il Collegio ammette, quindi, l’intervento adesivo dipendente del Comune di Sesto San Giovanni, in quanto diretto a tutelare gli interessi patrimoniali e reputazionali della comunità locale e del relativo ente esponenziale.
2. Non essendovi ulteriori questioni in rito da delibare, né riscontrandosi carenze istruttorie che possano rendere utile l’accoglimento delle relative richieste avanzate dalla difesa della convenuta e da quella del Comune interveniente, né, infine, essendovi ragioni cogenti in favore dell’avanzata richiesta di riunione del presente giudizio con quello n. 28079 a carico del sig. Di Leva, a ruolo nella stessa udienza ed avente ad oggetto lo stesso danno per cui è causa nella presente sede, si osserva – nel merito – quanto segue.
Non vi possono anzitutto essere dubbi sull’attribuibilità alla Sostaro delle condotte produttive di danno erariale contestate in questa sede, in forza della sentenza del GIP del Tribunale di Monza, ex art. 444 c.p.p., n. 792/2012.
Al riguardo, è noto che la sentenza penale di ‘patteggiamento’, ex art. 444 c.p.p., pur non facendo stato nei giudizi civili ed amministrativi, costituisce – unitamente agli atti del relativo fascicolo – una fonte di cognizione soggetta al libero apprezzamento del giudice in ordine agli effetti dell’accertamento penale nei giudizi restitutori e da risarcimento di danno. Tuttavia, è prevalente, anche nell’ambito delle Sezioni di appello di questa Corte, l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la decisione dell’imputato di chiedere il patteggiamento della pena va equiparata ad una “tacita ammissione di colpevolezza” (Sez. I, n. 809/2012) e che, in particolare dopo la modifica dell’art. 445 c.p.p. da parte dell’art. 2 L. 27 marzo 2001, n. 97, assimila la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ad un elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, e il Giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione (Sez. I, n. 809/2012; analogamente, Sez. II, n. 387/2010; Sez. I, n. 412/2010 e nn. 24 e 404 del 2008).
Il citato orientamento è confermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione per cui “La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cd. patteggiamento) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, laddove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il Giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, può essere utilizzato come prova” (ex plurimis Cass., n. 6668 del 2011 e n. 4193 del 2003 e Cass., SS.UU. Civili, n. 5756 del 2012).
La citata sentenza del GIP del Tribunale di Monza, n. 792/2012 va dunque considerato quale specifico ed univoco elemento di prova della commissione dei fatti contestati alla convenuta, qualora il convenuto, come nella specie, non abbia allegato o dedotto le ragioni per cui, benché innocente, abbia in concreto ritenuto di avvalersi del “patteggiamento” (ex multis, Sez. giur. Lombardia, nn. 63/2015, 378/2012 e n. 376/2012).
Anche in ordine all’elemento psicologico, l’accertamento della realizzazione del delitto di corruzione ex art. 319 c.p. implica di riflesso l’acclaramento del dolo nell’esecuzione delle azioni produttive di danno in questa sede in contestazione.
Quanto alle poste di danno legate dal necessario nesso di causalità alle condotte contestate dalla Procura attrice alla Sostaro, nella sua cennata qualità di responsabile dello Sportello Unico dell’edilizia (nodo nevralgico di tutte le iniziative di realizzazione edilizia tanto nel Comune di Sesto quanto in ogni altro Comune italiano), valga quanto segue.
Riguardo al danno da disservizio contestato alla convenuta, per come prospettato in citazione, il Collegio ritiene che esso sussista e coincida con gli oneri sostenuti dal Comune di Sesto per lo svolgimento delle verifiche e indagini sotto la direzione della Commissione speciale insediata ai sensi dell’art. 20 del Regolamento di funzionamento del relativo Consiglio comunale, da quantificarsi, complessivamente, in conformità al principio di proporzionalità, e, con specifico riferimento alla convenuta (rispetto agli altri fattori concausali), nella misura pari al 30% del totale. Viceversa, questo Giudice ritiene che detta posta di danno sia inconfigurabile per quanto attiene sia agli oneri connessi al procedimento disciplinare svolto dall’ente locale a carico della convenuta, che a quelli connessi alla volontaria richiesta, da parte del Comune di Sesto, di pareri legali sulla vicenda per cui è causa.
È, infatti, di tutta evidenza che è senz’altro consentito all’ente locale di insediare un organo straordinario (come tale, estraneo all’organizzazione stabile degli uffici definita con idonea fonte normativa da ciascun ente, nonché investito di una missione per sua natura contingente e di limitata durata nel tempo) per fare luce su fatti (nella specie, oltretutto) penalmente rilevanti, a tutela dei propri interessi patrimoniali e reputazionali. Del resto, sono gli stessi statuti (o, come nella specie, regolamenti) comunali a prevedere, diffusamente, la possibilità di istituire commissioni di verifica e/o indagine al “fine di interesse pubblico, di acclarare eventuali responsabilità nella gestione” di risorse pubbliche (cfr. TAR Piemonte, Sez. I, sent. n. 1016/2009).
Di tal ché appare ammissibile e ragionevole addebitare (nei limiti, come si dirà, del principio costituzionale di proporzionalità, operante anche in materia di finanza pubblica: da ultimo, in tal senso, v. Corte cost., sent. n. 10/2015) l’importo delle spese implicate da dette verifiche e/o indagini a chi abbia dato causa alla loro necessità, laddove, naturalmente, l’ipotesi di addebito in cui essa sia esitata in sede amministrativa trovi conforto nella conseguente ipotesi accusatoria elevata dalla Procura regionale presso questa Corte.
Non è invece possibile addebitare alla Sostaro gli oneri connessi al procedimento disciplinare a suo carico, né quelli connessi alla volontaria richiesta, da parte dell’ente locale, di pareri legali sugli aspetti tecnici della vicenda per cui è causa. Nel primo caso, perché si tratta di funzione amministrativa non soltanto tipica degli enti pubblici (anche locali), ma anche ad attivazione doverosa, nel caso di ricorrenza dei presupposti allo scopo previsti dalla normativa vigente; nel secondo caso, perché a partire dalla deliberazione n. 967/2010 della Sezione reg. controllo Lombardia di questa Corte è ormai acquisito che per le funzioni ordinarie rimane fermo il principio generale della cosiddetta “autosufficienza” dell’organizzazione degli enti, i quali devono svolgere le funzioni e i servizi di loro competenza mediante il personale in servizio, senza attingere a risorse esterne se non nei particolari casi e modi previsti dalla normativa vigente (art. 7, commi 6 ss., d.lgs. n. 165/2001).
Ne consegue che, limitatamente agli oneri connessi alle verifiche e/o indagini svolte sotto la direzione della Commissione speciale di cui si è detto, risulta sufficientemente provata la sussistenza del dedotto danno da disservizio – danno che si verifica in conseguenza ad un pregiudizio arrecato al buon andamento della P.A. derivante dalla “disutilità della spesa” in tal modo sostenuta (Sez. Lombardia n. 1 del 2 gennaio 2012 e n. 47 del 20 gennaio 2011) – non tanto e non solo per aver distolto in maniera significativa il personale dalle altre mansioni proprie della struttura, impedendo per conseguenza il raggiungimento di finalità diverse e prioritarie, ma soprattutto per aver costretto il personale – nel quadro delle attività di indagine svolte dalla Commissione anzidetta – all’ampia opera di revisione della pratiche già trattate dalla convenuta che ha costretto alcuni dipendenti ad occuparsi, con picchi sino al 90% del loro impegno, di detta revisione e, di riflesso a rallentare l’attività di istruzione di nuove pratiche (per tutte, si v. le dichiarazioni della geom. Maffini e dell’arch. Riganti rese al Sost. Proc. Dr. Cerioni, come da verbale di accertamento diretto del 7.11.2013).
Sul punto, il Collegio ritiene necessario chiarire che fra le possibili declinazioni del danno da disservizio perseguibile dinanzi a questa Corte v’è anche quella, avente pari dignità rispetto alle altre, che prende la forma di un’intenzionale discriminazione da parte del pubblico funzionario fra le pratiche da istruire, a seconda che si tratti di questioni o affari considerati, secondo personalistici (e come tali inammissibili) punti di vista, “maggiori” o “minori”, oppure la forma della necessitata concentrazione dell’attenzione (come nella specie accaduto durante le operazioni di revisione compiute in costanza di operatività della Commissione d’indagine di cui si è detto) sulle pratiche già istruite dalla persona sotto inchiesta, e come tali indiziate di essere state essere pure gestite in modo irregolare, piuttosto che su quelle nuove (la cui istruttoria si trova per conseguenza a subire degli evitabili rallentamenti).
In ambedue i casi, il principio che viene calpestato è quello dell’ordine naturale di trattazione delle istanze dell’utenza, secondo cioè l’ordine di arrivo, principio – riaffermato da ultimo con l’art. 12, comma 1, penultimo periodo, DPR n. 62/2013, non applicabile tuttavia alla vicenda per cui è causa, ratione temporis – che il sistema eleva a regola generale, in quanto derivante dal superiore principio di eguaglianza/imparzialità dei cittadini-utenti di cui all’art. 3 Cost., e da quello di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., salve, ovviamente, le diversificate necessità di completamento dell’istruttoria che possono nei singoli casi influire anche incisivamente sui tempi di conclusione di ciascun procedimento.
Di questo essenziale principio è espressione, fra le altre, anche l’emblematica figura – prima impostasi in via pretoria con la forza delle cose e poi divenuta ius receptum con l’art. 2-bis della l. n. 241/1990 – del danno da ritardo, legato alla pregnante teorica della certezza dei tempi dell’agire della PA, che eleva condivisibilmente il tempo (del procedimento amministrativo, e, quindi, dell’azione pubblica) a “bene della vita”, in senso economico e giuridico, e spinge la giurisprudenza ad affermare univocamente che «Ogni cittadino e ogni impresa hanno diritto ad avere risposta dalle amministrazioni alle proprie istanze nel termine normativamente determinato e ciò proprio al fine di programmare le proprie attività e i propri investimenti; un inatteso ritardo da parte della P.A. nel fornire una risposta può condizionare la convenienza economica di determinati investimenti, senza però che tali successive scelte possano incidere sulla risarcibilità di un danno già verificatosi» (ex multis, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 1739/2011).
In sintesi, il tema dell’ordine naturale di trattazione della pratiche da istruire (rectius, delle domande di servizi proveniente dal cittadino-utente) è strettamente legato ai principi costituzionali di eguaglianza/imparzialità e buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.) e si riflette sull’aspetto, oggi strategico, della certezza dei tempi dell’agire della PA. Da questo punto di vista, coglie nel segno anche il Comune interveniente nell’osservare che in vicende come quella per cui è causa rileva non tanto il numero delle pratiche edilizie la cui istruttoria si è svolta irregolarmente per effetto della condotta illecita del funzionario che si è lasciato corrompere, bensì il fatto in sé dell’asservimento all’interesse privato della funzione pubblica da esso svolta.
Non a caso anche la Cassazione (sez. VI pen., sent. n. 1777/2005) ha detto con estrema chiarezza che ai fini della consumazione del reato di corruzione di cui all’art. 319 c.p. rileva anche la violazione dell’art. 13, comma 5, DPR n. 3/1957, che impone al pubblico impiegato di trattare gli affari attribuiti alla sua competenza “tempestivamente e secondo il loro ordine cronologico” (precetto, questo, che ha visto di recente confermata la sua attualità mercé il già citato art. 12, comma 1, penultimo periodo, DPR n. 62/2013).
Norme, queste, sottensive di un principio più generale alfine ribadito e sistematizzato con l’art. 2, comma 9, l. n. 241/1990, come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 1, legge n. 35/2012, per cui “La … tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”. A ciò consegue, oggi, il rovesciamento dell’impostazione tradizionale, la quale – ancora nel 2011 – tendeva a fare leva sui “diversi presupposti normativi del giudizio disciplinare, nella fattispecie concluso a norma dell’art. 80, comma 3 del D.P.R. 10.1.1957, n. 3, rispetto a quello di responsabilità, affidato alla Corte dei Conti dall’art. 1, comma 1, della legge 14.1.1994, n. 20, come successivamente modificata ed integrata: per quest’ultimo giudizio, infatti, entrano in discussione questioni di danno erariale, per le quali il pubblico dipendente è chiamato a rispondere solo per omissioni o fatti commessi con dolo o colpa grave, mentre sul piano disciplinare rilevano, per quanto qui interessa, anche profili di grave negligenza, o irregolarità nell’ordine di trattazione degli affari, o ancora di inosservanza dei doveri di ufficio, il cui apprezzamento è rimesso alla discrezionale valutazione dell’organo amministrativo competente” (così, Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 5914/2011).
Ne consegue, sulla scorta di quanto sin qui esposto, che se è ormai pacifico che il tempo (del procedimento amministrativo, e, quindi, dell’azione pubblica) è “bene della vita”, in senso economico e giuridico, come certificato dal citato art. 2, comma 9, della l. n. 241/1990 (anche in rapporto al disposto dell’art. 2-bis della medesima legge), l’intenzionale alterazione – come nel caso del comportamento contestato dalla Procura attrice della odierna convenuta – dell’ “ordine di trattazione degli affari” è, oggi, tema che attiene anche alla responsabilità per danno erariale piuttosto che a quella solamente disciplinare.
Del resto, sta eloquentemente a dimostrarlo, da ultimo, l’art. 16, comma 1, secondo periodo, del citato DRP n. 62/2013, ancorché esso pure non applicabile al caso che ne occupa, sempre ratione temporis (“Ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare accertata all’esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni.”).
Tutto ciò premesso e considerato, che nella specie vi fosse un “rapporto privilegiato” fra il Magni e la Sostaro (pagg. 14, 15 e 44 della citazione), che assicurava a quest’ultimo un “canale preferenziale”, accelerato, per i suoi progetti all’esame dello Sportello Unico per l’Edilizia, almeno dal 2006 al 2010, stanno a dimostrarlo le dichiarazioni rese dall’arch. Gilardi (v. verbale di audizione del 7.11.2013 dinanzi al Pm contabile, in atti), nonché l’esplicito atteggiamento della Sostaro emergente dalle intercettazioni telefoniche (come quelle, in atti, riferite ai colloqui telefonici dell’ 1.3.2011, del 14.3.2011 e 31.3.2011, in cui i ruoli si rovesciano ed è addirittura la Sostaro che rassicura il Magni, dubbioso, sulla possibilità di un buon esito di pratiche edilizie afferenti un controverso “risanamento conservativo” e una opinabile “ristrutturazione con modifica della sagoma”, mentre nel terzo caso addirittura il Magni sembra quasi sorpreso del buon esito di altra pratica “nonostante tutto”, come rimarca in simmetrica risposta, con evidente sottinteso, la convenuta), e, a suo modo, perfino la circostanza che fosse la Sostaro a chiamare il Magni per fargli gli auguri di compleanno (circostanza, quest’ultima, compatibile solo con un rapporto di strettissima familiarità fra i due, che rende non credibile una “neutralità” della convenuta di fronte ai progetti che il Magni presentava proprio all’ufficio dalla stessa diretto). Tutto questo, naturalmente, a tacer del fatto che, per diretta ammissione della convenuta (anche in sede di patteggiamento ex art. 444 c.p.p.), essa svolgeva attività extralavorativa dietro compenso presso il Magni, il che vieppiù vale ad escludere la credibilità della sua imparzialità sulle di lui pratiche edilizie.
Discorso non dissimile è da farsi, peraltro, anche con riferimento al rapporto con il Pasini, avendo la Sostaro ammesso (nell’interrogatorio del 7.10.2011 dinanzi al Pm penale) che “La restante somma confluita in contanti sul mio conto corrente deriva, in parte, da elargizioni in mio favore corrispostemi da Giuseppe PASINI, per il quale ho svolto un’attività di consulenza. L’Ufficio chiede se questa attività abbia riguardato i progetti Nexiti, Centro Edilmarelli e Alstom e la sig.ra Sostaro dichiara: è vero ho aiutato Pasini in queste pratiche e che lo stesso mi ha elargito alcune migliaia di euro.”, senza saper neppure escludere se le somme di che trattasi potessero essere anche maggiori.
Si tratta, è bene puntualizzarlo, di pratiche preparate, per diretta ammissione, con la “consulenza” della Sostaro e poi presentate e istruite proprio dallo Sportello Unico per l’Edilizia diretto dalla convenuta, sì da rendere credibile la prospettazione attorea inerente la violazione dei principi di eguaglianza/imparzialità e buon andamento, e da colorare di un significato preciso l’ammessa percezione di somme di denaro per migliaia di euro dal Pasini (come da citata sentenza n. 792/2012: versamento di una somma di denaro contante per euro 30.000,00 circa, nonché remissione del debito contratto dalla Sostaro per l’acquisto di un immobile dallo stesso Pasini, pari ad euro 43.000,00).
Tutto ciò premesso, per quanto ora attiene agli aspetti propriamente quantificatori, ritiene il Collegio che, a fronte della stima degli oneri economici in concreto sopportati dal Comune di Sesto a titolo di danno da disservizio, complessivamente quantificati dalla Procura attrice, in via equitativa, in euro 150.000,00, questa somma – avuto riguardo alle dimensioni della struttura organizzativa del Comune di Sesto, al volume (desumibile come detto dalle dichiarazioni della geom. Maffini e dell’arch. Riganti di cui al verbale di accertamento diretto del 7.11.2013) delle attività di verifica e/o indagine svolte sotto la direzione della Commissione speciale (nonché, si ribadisce, all’impossibilità di computarvi anche gli oneri da procedimento disciplinare e da richieste di pareri a legali esterni al Comune) – vada rideterminata. Considerando tutte queste specifiche circostanze, infatti, ad avviso di questo Giudice la spesa da ritenersi congrua (nel rispetto del principio di proporzionalità di cui si è detto) per lo svolgimento delle verifiche e/o indagini sotto la direzione della Commissione speciale insediata dal Comune di Sesto è stimabile, sempre in via equitativa, in euro 100.000,00, che sono da considerare addebitabili all’odierna convenuta (tenuto conto dell’incidenza di altri fattori concausali, e in particolare del preminente ruolo dell’assessore Di Leva, evocato a giudizio nel procedimento n. 28079, a ruolo esso pure nell’odierna udienza), nella misura pari al 30% del totale, quindi di euro 30.000,00.
Sul punto, il Collegio osserva che le dichiarazioni del Pasini (verbale di interrogatorio del 4.11.2011, n. 1057) evocate dalla difesa della convenuta rendono effettivamente credibile che la Sostaro agisse seguendo le indicazioni dell’assessore Di Leva, in tal veste responsabile politico – all’interno dell’amministrazione comunale – del settore edilizio, ma ciò, lungi dal determinare un totale esonero da responsabilità della stessa, può valere soltanto a ridimensionarne la portata (restando sul piano formale intatto il suo ruolo decisionale e/o propulsivo nell’ambito del SUAP, e, quindi, la doverosità della sua piena esplicazione), che, come detto, appare equo quantificare nel 30% dell’importo complessivo della posta di danno di che trattasi, come sopra stimato in via equitativa.
3. Quanto al danno da distrazione di energie lavorative, il Collegio ritiene che esso – a fronte della volontaria condotta della convenuta – sussista, e sia pari all’importo al riguardo richiesto in citazione dalla Procura attrice.
Dalle intercettazioni telefoniche riversate in atti emerge infatti con chiarezza l’ampio dispendio di energie della convenuta nel seguire le pratiche dell’Architetto Magni e del Pasini, con i quali aveva instaurato un rapporto privilegiato per ragioni di amicizia, favori o denaro ricevuto. Energie sottratte quasi quotidianamente (come da risultanze delle intercettazioni telefoniche versate in atti) alla dovuta destinazione alle incombenze dell’ufficio, ai danni dell’amministrazione di appartenenza (indicativa, al riguardo, anche la dichiarazione resa nel verbale di audizione del 7.11.2013 dinanzi al Pm contabile dalla Geom. Maffini, nuovo Responsabile dello Sportello Unico per l’Edilizia, la quale evidenziava come al suo insediamento, avvenuto nel maggio 2012, riscontrava “….la tendenza dell’utenza a non rispettare tempi e regole dei procedimenti amministrativi volte all’approvazione delle pratiche edilizie e la tendenza dei professionisti esterni a presentarsi in ufficio e richiedere pareri e suggerimenti anche al di fuori degli orari di apertura al pubblico, essendo evidentemente abituati a prassi non conformi alla legge.”).
Questo Giudice aderisce per conseguenza alla prospettazione attorea, secondo la quale una porzione del trattamento salariale è risultata nella specie indebitamente corrisposta con altrettanto conseguente indebito arricchimento della convenuta e danno per il Comune di Sesto San Giovanni (c.d. danno da interruzione del sinallagma contrattuale), e concorda anche sulla quantificazione proposta dall’organo requirente, trovandola equa e proporzionata, in quanto stimata, in via equitativa, in misura non inferiore al 20% della retribuzione lorda percepita dalla Sostaro nel periodo 2007-2010 (come da nota del Comune di Sesto San Giovanni prot. 76174 del 28.10.2013 e relative buste paga), pari – quest’ultima – alla somma complessiva di euro 200.199,20. Di tal ché, la posta di danno da distrazione delle proprie energie lavorative imputabile alla convenuta va ultimativamente quantificata in euro 40.039,84 (corrispondente, appunto, al 20% di euro 200.199,20 lordi).
6. Con riferimento, infine, al danno all’immagine, ad avviso del Collegio esso sussiste, alla luce anche di un ampio e perdurante risalto mediatico della vicenda (che come per vero di rado accade ha condotto persino a coniare delle spregiative locuzioni “sistema Sesto” e “sistema Sostaro”, ad indicare una metodica illecita collaudata e immanente), e si presume, come da L. n. 190/2012 (applicabile ratione temporis alla vicenda per cui è causa, attesa la natura meramente processuale, e non già sostanziale, della disposizione de qua: così, da ultimo, Sez. giur. Lombardia, sent. n. 63/2015), pari al doppio di quanto effettivamente introitato illecitamente dalla convenuta.
Sul punto, appare opportuno evidenziare che, in termini generali, questa Sezione non ravvisa ragioni per discostarsi dall’indirizzo al riguardo fatto proprio dalla Corte costituzionale (ord. n. 219/2011), ad avviso della quale: “….una volta rinvenuta una giustificazione alla previsione che impone la sussistenza di una sentenza di condanna per uno dei reati sopra indicati, è ragionevole che il legislatore abbia richiesto che tale sentenza acquisisca il crisma della definitività prima che inizi il procedimento per l’accertamento della responsabilità amministrativa derivante dalla lesione dell’immagine dell’amministrazione; che quanto sin qui esposto giustifica la diversità di trattamento giuridico tra le ipotesi di responsabilità per danno patrimoniale, che non richiede la sussistenza di una sentenza di condanna passata in cosa giudicata, e quelle per responsabilità per lesione dell’immagine dell’amministrazione”.
Nell’ambito delle declinazioni puntuali di questo preclaro assunto, è noto che la giurisprudenza contabile (ex plurimis, I Sez., n. 379/2014), nell’interpretare il suddetto richiamo all’art. 7 L. n. 97/2001, ritiene sufficiente, per la contestazione del danno d’immagine, anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., purché divenuta irrevocabile, in quanto equiparata ad una pronuncia di condanna (ex art. 445, comma 1 bis c.p.p.).
Ne consegue che, nella specie, sussiste quella sentenza irrevocabile di condanna richiesta dall’art. 7 della legge n. 97/2001, cui fa rinvio l’art. 17, comma 30 ter, del d.l n. 78/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102/2009, modificato dal d.l n. 103/2009 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 141/2009.
Ciò detto, è noto che la c.d. legge Severino (n. 190/2012), dal contenuto ampio e articolato, ha fra l’altro realizzato un’importante innovazione in tema di danno all’immagine della PA. In particolare, l’art. 1, comma 62, ha inserito nell’art. 1, della legge n. 20/1994, il comma 1-sexies, a tenore del quale “1-sexies. Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
La norma è chiara, nel forfetizzare il danno da risarcire presumendolo pari al doppio “della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”, fermo restando che l’importo della tangente percepita non può costituire limite assoluto al potere-dovere del giudice di tenere conto della particolarità del caso concreto, onde evitare il rischio che una meccanica applicazione di esso si traduca in un risarcimento non proporzionato alla entità della lesione subita dall’amministrazione (così, da ultimo, Sez. giur. Lombardia, sent. n. 63/2015).
Peraltro, trattandosi di vicenda che ha avuto ampio risalto mediatico, con conseguente clamor fori c.d. esterno, oltre che interno, appare appropriato richiamare quella recente giurisprudenza (Sez. Veneto, sent. n. 80/2012) che ha precisato che «al fine della quantificazione del danno in esame soccorrono i criteri indicati dalle Sezioni Riunite di questa Corte nella sentenza n. 10/QM/2003 e ripresi dalla giurisprudenza contabile successiva, nonché quelli individuati dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, nella recente sentenza n. 15208/2010 ed in particolare:
1) la qualifica apicale nell’ente di appartenenza posseduta dal convenuto al momento del commesso illecito;
2) il notevole disvalore sociale connesso alla gravità del reato unitamente all’entità della pena inflitta;
3) la diffusione della notitia criminis da parte dei mass media ed il rilievo e clamore destato nell’opinione pubblica dalla vicenda».
Facendo applicazione di simili paradigmi nel caso specifico, preso atto che nel capo della sentenza di patteggiamento concernente la Sostaro si dà conto della percezione di 50.000 euro dal Pasini e di 73.000,00 dal Magni, e tenuto conto della peculiare gravità della condotta illecita e correlativamente degli effetti lesivi che ne sono conseguiti (considerato in particolare il ruolo esponenziale svolto dalla convenuta, circostanza che per sua natura tende inevitabilmente ad amplificare nella collettività la percezione della perdita di prestigio, credibilità e autorevolezza subita dall’amministrazione), l’effetto della presunzione relativa di cui all’art. 1, comma 1-sexies, della l. n. 19/1994, non impedito da evidenze ostative per quanto in atti, conduce ad un risarcimento finale pari ad euro 246.000.
7. Quanto, infine, all’incidenza delle somme indicate in atti come oggetto di provvedimenti di confisca, le stesse – anche in considerazione del titolo giuridico completamente differente della confisca (restitutorio, verso lo Stato) rispetto alla sentenza di condanna della Corte dei conti (risarcitorio, in favore della specifica amministrazione danneggiata) – non potranno essere comunque dedotte dal risarcimento stabilito dalla presente sentenza.
Ad avviso di questa Corte (v. da ultimo Sez. I, n. 1011/2013), la confisca penale (di cui agli articoli 236 e 240 c.p.) è, infatti, una misura di sicurezza patrimoniale che tende a prevenire la commissione di nuovi reati mediante l’espropriazione a favore dello Stato di cose che, provenendo da fatti illeciti penali o che siano in altra guisa collegate alla loro esecuzione, manterrebbero viva l’idea e l’attrattiva del reato; ha quindi per oggetto le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e quelle che ne sono il prodotto o il profitto. Dunque, come si vede, finalità e ambiti operativi del tutto distinti dal (completo ed esatto) risarcimento patrimoniale, cui tende per sua natura la sentenza giuscontabile.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e, in favore del Comune di Sesto San Giovanni, si liquidano in euro….
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando sulle domande proposte dalla Procura con l’indicato atto di citazione, condanna la convenuta Nicoletta Sostaro a risarcire al Comune di Sesto San Giovanni la somma di complessivi euro 316.039,84, oltre rivalutazione monetaria, nonché interessi dalla pubblicazione della sentenza sino al soddisfo.
Le spese di lite seguono al soccombenza e, in favore del Comune di Sesto San Giovanni, si liquidano in euro…omissis