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STEFANO GLINIANSKI, Società in controllo pubblico congiunto, accordi taciti e comportamenti paralleli.
STEFANO GLINIANSKI (*)
Società in controllo pubblico congiunto, accordi taciti e comportamenti paralleli
SOMMARIO: 1. Il controllo societario pubblico tra regole civilistiche e deroghe al diritto comune; 2. L’identificazione normativa del controllo pubblico societario delineata dal codice civile ed integrata dalla regola pubblicistica; 3. La previsione legislativa dell’istituto del controllo pubblico congiunto e i dubbi interpretativi posti dalla norma: mera titolarità pubblica o necessità di patti parasociali obbligatoriamente espressi, per definire una società in controllo pubblico congiunto? 4. La soluzione pretoria adottata ante Testo Unico; 5. Una possibile interpretazione per la plausibilità di un controllo congiunto fondato su accordi taciti o comportamenti paralleli anche post Testo Unico.
1. L’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 175 del 19 agosto 2016, così come integrato dal decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 100, (Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica), dispone – quale principio di carattere generale – che l’adozione del modello societario da parte della pubblica amministrazione per il conseguimento del fine pubblico comporta l’applicazione del diritto comune, salvo quanto non derogato dalla normativa speciale confluita nel Testo Unico di riordino della materia.
Nel solco prospettico delineato da tale principio generale, è doveroso, tuttavia, precisare che molte ed importanti disposizioni del decreto legislativo 175 del 19 agosto 2016, derogatorie delle regole ordinarie dal codice civile e delle norme generali di diritto privato sono state previste dal legislatore nell’ipotesi in cui la società è definibile in controllo pubblico.
La disciplina, ad esempio, prevista in tema di governance di cui all’articolo 11, ove si dispone che i componenti degli organi amministrativi e di controllo devono possedere particolari requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia e che l’organo amministrativo è costituito, di norma, salvo delibera motivata dell’assemblea con riguardo a specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa e tenendo conto delle esigenze di contenimento dei costi, da un amministratore unico, si rivolge alle società in controllo pubblico.
Stesso dicasi per le regole disposte dal medesimo articolo 11, comma 4, sulla salvaguardia degli equilibri di genere e dal successivo comma 5 per cui, quando la società a controllo pubblico è costituita in forma di società a responsabilità limitata, non è consentito, in deroga all’articolo 2475, terzo comma, del codice civile, prevedere che l’amministrazione sia affidata, disgiuntamente o congiuntamente, a due o più soci.
A dette società si rivolgono, poi, le disposizioni in materia di limiti del trattamento economico, nonché quelle dettanti le regole sulle incompatibilità/inconferibilità degli incarichi.
Norme specifiche per le società in controllo pubblico sono dettate, ancora, in tema di principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione (articolo 6), con riguardo alla disciplina della crisi di impresa (articolo 14, commi, 2 e 3), della gestione dei rapporti di lavoro ( articolo 19) e della trasparenza e anticorruzione [1].
E’ di tutta evidenza, pertanto, che l’inquadramento di una società come in controllo pubblico produce degli effetti sul piano pratico di rilevante importanza.
2. Tratteggiando, dunque, il quadro normativo entro il quale deve trovare la sua fonte di regolazione la materia de qua, il decreto 175/2016 ha prescritto – articolo 2, comma 1, lett. b) – che con l’espressione controllo si richiama la situazione descritta nell’art. 2359 del codice civile.
Il controllo, poi, prosegue la norma – in coerenza con la successiva lettera m), che definisce le società in controllo pubblico le società in cui non solo una ma anche più pubbliche amministrazioni esercitano i poteri di controllo ai sensi della richiamata lettera b) (controllo pubblico congiunto) – può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale, è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.
Dal quadro normativo così delineato – mutuato dal diritto civile (2359 cc) ed integrato dalla regola pubblicistica (articolo 2, comma 1, lett. b) – ne discende che si considerano società in controllo pubblico:
- le società controllate direttamente da una amministrazione pubblica, in quanto la stessa dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (art. 2359, comma 1, n. 1). Trattasi del cosiddetto controllo interno di diritto, che si manifesta allorquando una pubblica amministrazione detiene la maggioranza dei voti esercitabile in assemblea ordinaria, in forza della detenzione di più della metà delle azioni con diritto di voto che le attribuisce, per ciò solo, atti fondamentali quali la nomina e la revoca degli amministratori, dei Sindaci, l’approvazione del bilancio d’esercizio, la destinazione degli utili etc. (articolo 2364, comma 1 cc).
- Le società in controllo interno pubblico di fatto. La fattispecie è quella del controllo interno indiretto, perché una amministrazione dispone, pur se di un numero di azioni inferiori rispetto a quelle che le consente un controllo di diritto, di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Si pensi all’ipotesi della previsione di quorum per l’assemblea ordinaria in seconda convocazione che delibera, ai sensi dell’articolo 2369 del codice civile, a maggioranza, indipendentemente da quale sia la parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti.
- Le società in controllo pubblico esterno – cosiddetto controllo contrattuale – perché la società, a prescindere dal possesso da parte dell’amministrazione di partecipazioni azionarie, è sotto l’influenza dominante della stessa, in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa ( articolo 2359, comma 1, n. 3).
3. Con riferimento al diritto societario, considerato che la formulazione dell’articolo 2359 cc fa riferimento sempre ad unica società controllante, l’opinione civilistica dominante [2] è nel senso che la norma non contempli anche l’ipotesi del controllo congiunto che si manifesta allorquando nessuna società dispone – singolarmente – di una posizione di dominio e, pertanto, due o più società, al fine di acquisire la stessa, definiscono accordi tra loro.
Orbene, considerato che sovente l’intervento pubblico in forma di partecipazione societaria non si manifesta per il tramite di una sola amministrazione, ma si realizza attraverso la presenza di una pluralità di enti con partecipazioni singolarmente non confluenti nelle ipotesi di cui all’articolo 2359 del codice civile ma che, unitariamente, rappresentano la maggioranza, se non addirittura la totalità della partecipazione, il decreto 175/2016 ha disposto alla lettera m) dell’articolo 1 la possibilità che più amministrazioni pubbliche esercitino poteri di controllo ai sensi dell’articolo 2359 cc, cristallizzando, così, normativamente l’istituto del controllo pubblico congiunto e ampliando, conseguentemente, l’ambito applicativo della norma civilistica, ove a partecipare alla compagine societaria siano più pubbliche amministrazioni.
Se l’attuale opzione normativa, dunque, è nel senso della esistenza nel sistema di un controllo pubblico congiunto, alcuni interrogativi, tuttavia, permangono.
In primis, ove presenti più enti partecipanti, sovente con partecipazioni polvere, è da chiedersi se dette partecipazioni, per il solo fatto di rappresentare, ancorché non singolarmente, ma nel loro complesso, la maggioranza rispetto ad un altro socio privato o addirittura la totale partecipazione pubblica, possano far ricondurre la società nell’ambito di quelle in «controllo pubblico». Più precisamente, se il c.d. «controllo congiunto», si può fondare sulla mera titolarità pubblica – anche se frazionata – della maggioranza del capitale sociale o è necessario, ai fini della concreta gestione societaria, un accordo tra le amministrazioni partecipanti confluente in un apposito patto parasociale o in una espressa clausola statutaria.
Di poi, ove la mera titolarità pubblica nei termini esposti non fosse ritenuta sufficiente per la confluenza della società nell’alveo di quelle in controllo pubblico, se il c.d. «controllo congiunto» si realizza unicamente quando siano presenti espressi accordi tra i partecipanti al capitale sociale, finalizzati a concordare la gestione della società, oppure lo stesso possa anche realizzarsi per il tramite di accordi taciti o comportamenti paralleli.
4. Prima della adozione del decreto 175/2016, sul tema si è espresso il Consiglio di Stato, con parere 594 del 9 giugno 2014, affermando che il controllo societario ex art. 2359 può ritenersi unitariamente realizzato da più amministrazioni pubbliche quando gli organi decisionali della società controllata sono composti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, ove anche singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni partecipanti; le pubbliche amministrazioni congiuntamente – grazie ad accordi tra loro o a comportamenti paralleli – dispongono della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto), ovvero di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (controllo di fatto), oppure esercitano congiuntamente sulla società un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con esse; infine che la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni controllanti.
In coerenza con le regole discendenti dal diritto comune, non ha ritenuto, invece, sufficiente la mera titolarità pubblica della maggioranza di capitale, essendo tale elemento, da solo considerato, estraneo all’art. 2359 c.c., che riguarda le due ipotesi del «socio sovrano» e del «socio tiranno», in cui chi esercita il controllo è il dominus della società. Concetto che certo non può dirsi integrato allorquando le pubbliche amministrazioni, pur avendo la maggioranza del capitale, agiscano separatamente.
In conclusione, la società potrà definirsi in controllo pubblico ove esistano norme di legge, clausole statutarie o patti parasociali che espressamente dispongano in caso di partecipazioni frazionate, nessuna delle quali singolarmente riconducibili alle ipotesi di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, che per le decisioni strategiche della società sia richiesto il consenso unanime di tutte le amministrazioni che dispongano il controllo.
In assenza di disposizioni negoziali espresse – ed è su questo punto che il parere del Consiglio di Stato si presentò come particolarmente innovativo ed in contrasto con l’eccezionalità del controllo congiunto che, in quanto istituto non tipizzato, doveva trovare un suo bilanciamento nella forma scritta [3]– si presumerà che il controllo sia fondato su accordi taciti o comportamenti paralleli, salvo si dimostri il contrario.
5. Il parere del Consiglio di Stato, se a seguito della riforma Madia può ritenersi ancora attuale relativamente alla non sufficiente mera titolarità pubblica della maggioranza di capitale per definire una società come in controllo pubblico, in caso di partecipazioni frazionate, nessuna della quali singolarmente riconducibili alle ipotesi di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, l’orientamento ivi espresso presenta alcuni dubbi circa la sua attualità là dove ritiene, in assenza di disposizioni negoziali espresse, presumibile, fino a prova contraria, che il controllo sia fondato su accordi taciti o comportamenti paralleli.
A deporre non favorevolmente verso l’opzione ermeneutica valorizzante anche l’ammissibilità di accordi taciti e comportamenti paralleli è, infatti, proprio l’attuale formulazione della norma disciplinante il controllo congiunto, ove dispone che il controllo può sussistere anche quando in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale, è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.
In sostanza, con riferimento alla fonte negoziale, l’assenza di clausole statutarie o di patti parasociali espressi impedirebbe l’esistenza di un controllo congiunto.
Resta, tuttavia, da chiedersi se il richiamo alla formulazione della norma introdotta dal Testo Unico consenta di escludere del tutto la possibilità di un controllo esercitato anche mediante accordi taciti o comportamenti paralleli, anche in considerazione degli effetti che la confluenza o no della società nell’alveo del controllo pubblico determina sul piano pubblicistico.
Una prima obiezione alla necessità di un rigore formale escludente la possibilità di accordi taciti e comportamenti paralleli funzionali alla identificazione di un controllo congiunto nasce, a parere dello scrivente, dall’assenza delle ragioni che ne hanno imposto, nel diritto societario, ancorché non in modo assoluto, l’esigenza: l’eccezionalità dell’istituto del controllo societario congiunto che, in quanto istituto non tipizzato, doveva trovare un suo bilanciamento nella forma scritta.
Orbene, l’attuale tipizzazione legale da parte del decreto Madia del controllo congiunto, ove a partecipare alla società siano più amministrazioni, consente di non ricondurre più detto controllo ad istituti caratterizzati dalla eccezionalità e, pertanto, di stretta interpretazione, con la conseguente possibilità di ipotizzare anche un controllo per fatti concludenti, quali accordi taciti o comportamenti paralleli, che consentano di fatto – nei casi in cui nessuna parte sia in grado, da sola, di determinare la direzione strategica della società partecipata – l’espressione sociale di consenso (quanto meno maggioritario) alle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative alle attività della partecipata pubblica.
Di là, poi, di detta obiezione, altre considerazioni depongono favorevolmente alla presunzione dell’esistenza di un controllo congiunto, anche nell’ipotesi di assenza di previsioni negoziali espresse.
Se, infatti, l’articolo 4 del decreto di riforma della materia impone ai fini partecipativi un necessario vincolo di scopo che deve, pertanto, rappresentare la ragione causale della stessa adesione della p.a. all’assetto partecipativo della società, difficilmente giustificabili, per le amministrazioni aderenti in misura minima, sarebbero le ragioni, evidentemente da dimostrare con adeguate motivazioni – in assenza di qualsivoglia possibilità di incidenza sulla governance della società da parte delle amministrazioni partecipanti – a sostegno della partecipazione societaria come strettamente necessaria per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
Tali partecipazioni, infatti, rischierebbero di essere sindacate quali meri sostegno finanziario dal nostro sistema non consentite [4].
Per di più, il ritenere, pur a fronte di un sostanziale controllo societario, ancorché non formalizzato in pattuizioni espresse, che l’assenza di accordi manifesti consentirebbe di non far confluire la partecipazione societaria nella più rigorosa disciplina prevista per tale tipologia di società, comporterà, altresì, concreti rischi di danni erariali per aver le amministrazioni sottratto, scientemente, da quelle regole, anche finanziarie, più rigorose che il Testo Unico impone per le società in controllo pubblico, numerose società, appellandosi a mere regole formali [5].
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(*) Magistrato della Corte dei conti e Segretario generale Autorità scioperi nei servizi pubblici essenziali
[1] Da ultimo, sul tema della trasparenza e delle misure in materia di prevenzione della corruzione. si rinvia alla Determinazione n. 1134 del 8/11/2017, Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici.
[2] Sul tema del controllo congiunto, Spolidoro, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Rivista delle società, 1995, 486; Galgano, Direzione e coordinamento di società, in Commentario del codice civile Scialoja- Branca, 2005, 179; Sbisà, Impresa e società controllate, in Rivista delle Società, 1992, 906; Notari – Bertone, Commento all’art. 2359 c.c., in Azioni, art. 2346 – 2362, in Commentario al diritto delle società. Milano, 2008, 666. Con riferimento all’orientamento maggioritario e all’ 2359 del codice civile quale norma disciplinante il solo controllo solitario, M. MIOLA, sub art. 93, in Testo Unico della Finanza (d. lg. 24 febbraio 1998, n. 58), Commentario, diretto da G. F. CAMPOBASSO, Torino, 2001, pag. 775; P. MARCHETTI, Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Riv. soc., 1992, I; G. MUCCIARELLI, Art. 93, op. cit., pag. 55; riguardo all’analoga disposizione del d.lgs. 127/91, cfr. G. SBISÀ, Società e imprese controllate nel d.l. 9 aprile 1991 n. 127, Riv. soc., 1992, pag. 925. Altra interpretazione si orienta nel senso della non irrilevanza del controllo congiunto entro una più ampia nozione di controllo, In tal senso, M. LAMANDINI, Art. 93, op. cit., pag. 1046; ID. Appunti in tema di controllo congiunto, in Giur. Comm., I, 1993, pag. 230, nonché, Il controllo, op. cit., pag. 145 ss; Miola, Società quotate, controlli esterni e gruppi di società, in Rivista di diritto privato, 2005, 48.
[3] L’orientamento Consob in materia di controllo congiunto e patti parasociali, ravvisabile nella Comunicazione Consob n. DCG/0079962 del 9 ottobre 2013, richiamando la propria comunicazione n. DEM/3074183 del 13 novembre 2003, ha affermato, ritenendo necessario, ma non sufficiente, l’esistenza di un patto parasociale, ai fini della configurabilità di una ipotesi di controllo congiunto che ove “esista una situazione partecipativa di controllo di diritto o di fatto e vi sia contestualmente un patto parasociale che vincoli ad un esercizio comune del diritto di voto, occorre verificare se effettivamente il patto si traduca in un esercizio congiunto del potere di controllo (…) come i patti possono rilevare per attribuire il controllo a chi altrimenti non lo avrebbe, così potrebbe essere possibile che in determinati casi talune pattuizioni parasociali, così come particolari clausole statutarie, o ancora specifiche previsioni normative, possano assumere rilievo per escludere il controllo di un socio che possiede la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”. Dunque, afferma la Consob, il controllo è esercitato congiuntamente qualora non vi sia un soggetto in grado di determinare le decisioni dell’assemblea ordinaria – ovvero quando le decisioni nell’assemblea ordinaria e nei consigli di amministrazione siano irrealizzabili senza il “concorso attivo degli altri soci”- e ove l’influenza dominante sia frutto del coordinamento fra più soci, nessuno dei quali sia in grado di prevalere sugli altri.
[4] Sul tema, si rinvia a Consiglio di Stato, sez. V, 11 novembre 2016, n. 4688 e Corte conti, Lombardia 398/PAR/2016.
[5] Con riferimento alla insussistenza del controllo per assenza di patti parasociali, pur in presenza di rilevanti partecipazioni pubbliche, e alla necessità da parte dell’amministrazione comunale di ovviare a detta anomalia, si rinvia a Corte conti, deliberazione 180/2017VSGO, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna: “Per quanto attiene alla società Fiere di Parma spa – partecipata al 28,08 per cento dal Comune, nella stessa misura dalla Provincia di Parma e al 10,28 per cento dalla Camera di commercio – si evidenzia come l’insussistenza del controllo pubblico derivi dalla mancanza di patti parasociali, pur in presenza di quote pubbliche che complessivamente ammontano a ben il 66,44 per cento. Ciò determina poco razionalmente l’inapplicabilità di disposizioni, quali quelle relative alla composizione numerica (attualmente otto componenti) e ai compensi all’organo amministrativo, finalizzate al contenimento dei costi. Si rende necessario, pertanto, che l’Ente assuma le iniziative del caso presso gli altri soci pubblici volte a superare la situazione”