Controllo delle borse degli avvocati prima dell’udienza

n. 12/2014 | 4 Dicembre 2014 | © Copyright | - Giurisprudenza, Giustizia penale | Torna indietro More

TAR VENETO – sentenza 2 dicembre 2014 (sulla legittimità del provvedimento con il quale il Procuratore Generale della Repubblica ha ordinato il controllo delle borse dei soli avvocati difensori – e non anche del personale di cancelleria e dei magistrati – ai fini dell’accesso all’aula di udienze di un processo penale).


TAR VENETO, SEZ. I – sentenza 2 dicembre 2014 n. 1464 – Pres. Amoroso, Est. Coppari – Longo (Avv.ti Venturi e Janna) c. Procura Generale della Repubblica di Venezia, Ministero della Giustizia, Ministero dell’Interno (Avv.ra Stato) – (respinge).

Giustizia penale – Procedimento penale – Aula di udienza – Accesso dei difensori – Disposizione del Procuratore Generale della Repubblica di controllare preventivamente le borse nei soli confronti degli avvocati difensori – Motivata con riferimento a notizie di possibili attentati e al pericolo di introduzione di strumenti atti ad offendere – Legittimità.

E’ legittimo il provvedimento con il quale il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello ha ordinato il controllo delle borse dei soli avvocati difensori (e non anche di quelle di altre categorie di soggetti quali, ad esempio, i magistrati, le forze dell’ordine, i collaboratori di cancelleria, e gli addetti al servizio di vigilanza) ai fini dell’accesso all’aula di udienze di un processo penale, che sia motivato con riferimento al fatto che, trattandosi di un procedimento penale a carico di numerosi esponenti di una determinata organizzazione criminale (nella specie si trattava della c.d. “Mala del Brenta”), la misura adottata è giustificata da specifiche e concrete notizie di possibili attentati, fatte pervenire dalla Questura e dalla necessità di evitare, dato l’alto numero degli avvocati che dovevano accedere all’aula bunker, che potessero essere introdotti, anche inavvertitamente (sic!), strumenti atti ad offendere (1).

—————————————-

(1) Ha osservato in particolare la sentenza in rassegna che il fatto che tali misure fossero dirette esclusivamente nei confronti degli avvocati non risulta né discriminatorio né sproporzionato rispetto al bene tutelato. Ed invero, i controlli riguardavano solo le borse dei bagagli dei difensori, essendo così esclusa qualsiasi forma di controllo personale.

Inoltre, si trattava di misure oggettivamente non estensibili agli altri soggetti che dovevano accedere all’aula di giustizia per l’espletamento delle loro funzioni, quali ad esempio, i magistrati, le forze dell’ordine, i collaboratori di cancelleria, e gli addetti al servizio di vigilanza, trattandosi di soggetti già identificati e tenuti ordinariamente a non introdurre strumenti atti ad offendere nel luogo di lavoro, salvo che ciò non fosse indispensabile per l’espletamento del proprio compito o per ragioni di sicurezza personale previamente autorizzate.

Gli atti impugnati risultano, pertanto, emanati nell’interesse della sicurezza generale e dell’ordinato svolgimento delle udienze a vantaggio anche degli stessi avvocati, rispetto ai quali deve escludersi qualsiasi profilo discriminatorio.

Per quanto concerneva la pretesa violazione dell’art. 2 del decreto del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Interno 28 ottobre 1993, è stato ritenuto che, tenuto conto dell’eccezionalità del processo penale in questione (per numero di imputati e gravità dei reati contestati), nonché dei tempi ristretti di azione rispetto alle obiettive ragioni di pericolo denunciate dalla Questura, ricorressero senz’altro quelle ragioni di assoluta urgenza che, a tenore della medesima disposizione regolamentare, abilitavano il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ad adottare tutti provvedimenti necessari ad assicurare la sicurezza interna delle strutture in cui si svolgeva l’attività giudiziaria, senza la necessaria previa acquisizione dei pareri del Prefetto e dei capi degli uffici giudiziari interessati.


N. 01464/2014 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2759 del 2005, proposto da:

Longo Piero, rappresentato e difeso dagli avv. Dora Venturi, Cesare Janna, con domicilio eletto presso Dora Venturi in Venezia, San Polo, 2988;

contro

Procura Generale della Repubblica di Venezia – (Ve), Ministero della Giustizia – Roma – (Rm); Ministero dell’Interno – (Rm), rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distr.le Venezia, domiciliata in Venezia, San Marco, 63;

per l’annullamento

dei provvedimenti 9.11.2005 , 15.11.e 1.12.2005 del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia, con i quali è stato disposto e ordinato il controllo delle borse dei difensori ai fini dell’accesso all’aula udienze del processo 216/95 RGNR dinanzi al Tribunale di Venezia.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno – (Rm);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2014 la dott.ssa Silvia Coppari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso ritualmente notificato, l’avv. P. Longo ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti datati 9 e 15 novembre 2005 e 1 dicembre 2005 del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia – nella sua “qualità di responsabile della sicurezza interna degli edifici adibiti a servizi di giustizia” –, con cui è stato disposto il previo necessario controllo delle borse e dei bagagli recati per l’udienza dai difensori, mediante collocamento “nel nastro di controllo” e apertura degli stessi “in caso di allarme della macchina”.

2. Premesso di essere difensore di un imputato il cui processo penale era pendente dinanzi al Tribunale di Venezia e di aver incaricato un sostituto per un’udienza in cui doveva tenersi il processo in questione, il ricorrente lamenta che, il giorno 22 novembre 2005, “il sostituto così nominato non ha potuto … svolgere la funzione di difensore, perché gli è stato impedito di accedere all’aula d’udienza, non avendo lo stesso accettato, anche secondo le istruzioni avute dal ricorrente, di sottoporsi al controllo della borsa che recava con sé ai fini dello svolgimento del proprio ministero” (cfr. atto di ricorso, p. 2).

3. Secondo il ricorrente i provvedimenti citati risulterebbero viziati da eccesso di potere sotto il profilo dell’incongruenza e dell’illogicità e violazione dell’art. 17 del RDL n. 1578/1933, nonché da violazione dell’art. 2 del decreto del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Interno 28 ottobre 1993.

3.1. Da un lato, infatti, lederebbero la “dignità di avvocato”, in quanto disposti nei confronti solo di questi ultimi, relativamente ai quali dovrebbe invece presumersi il rispetto della moralità e delle regole di prudenza, considerato che la legge impone che siano “di condotta specchiatissima”.

3.2. Dall’altro, sarebbero stati adottati senza la previa acquisizione dei pareri obbligatori del Prefetto e dei capi degli uffici giudiziari interessati così come prescritto dall’art.2 del decreto del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Interno 28 ottobre 1993.

4. Il ricorso è infondato.

4.1. Tutti i provvedimenti impugnati sono stati adottati dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia in occasione della celebrazione, presso l’Aula Bunker di Mestre, del procedimento penale a carico di 142 esponenti dell’organizzazione criminale denominata “Mala del Brenta”. Il Procuratore Generale ha evidenziato che le misure adottate sarebbero state motivate non da una “generica esigenza di sicurezza”, ma da specifiche e “concrete notizie di possibili attentati, fatte pervenire dalla Questura di Venezia” (cfr. provvedimento di conferma delle misure adottate, datato 1 dicembre 2005).

4.2. Scopo delle disposizioni impugnate era, dunque, quello di evitare, dato l’alto numero degli avvocati che dovevano poter accedere all’aula bunker, che potessero essere introdotti anche inavvertitamente strumenti atti ad offendere, mediante un controllo delle relative borse all’ingresso dell’aula.

4.3. Il fatto che tali misure fossero dirette esclusivamente nei confronti degli avvocati non risulta né discriminatorio né sproporzionato rispetto al bene tutelato.

4.3.1 Ed invero, i controlli riguardavano solo le borse dei bagagli dei difensori, essendo così esclusa qualsiasi forma di controllo personale.

4.3.2. Inoltre, si trattava di misure oggettivamente non estensibili agli altri soggetti che dovevano accedere all’aula di giustizia per l’espletamento delle loro funzioni, quali ad esempio, i magistrati, le forze dell’ordine, i collaboratori di cancelleria, e gli addetti al servizio di vigilanza, trattandosi di soggetti già identificati e tenuti ordinariamente a non introdurre strumenti atti ad offendere nel luogo di lavoro, salvo che ciò non fosse indispensabile per l’espletamento del proprio compito o per ragioni di sicurezza personale previamente autorizzate.

4.4. Gli atti impugnati risultano, pertanto, emanati nell’interesse della sicurezza generale e dell’ordinato svolgimento delle udienze a vantaggio anche degli stessi avvocati, rispetto ai quali deve escludersi qualsiasi profilo discriminatorio.

4.5. In secondo luogo, quanto alla pretesa violazione dell’art. 2 del decreto interministeriale citato, deve ritenersi che, tenuto conto dell’eccezionalità del processo penale in questione (per numero di imputati e gravità dei reati contestati), nonché dei tempi ristretti di azione rispetto alle obiettive ragioni di pericolo denunciate dalla Questura, ricorressero senz’altro quelle ragioni di assoluta urgenza che, a tenore della medesima disposizione regolamentare, abilitavano il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ad adottare tutti provvedimenti necessari ad assicurare la sicurezza interna delle strutture in cui si svolgeva l’attività giudiziaria, senza la necessaria previa acquisizione dei pareri del Prefetto e dei capi degli uffici giudiziari interessati.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere quindi rigettato sotto tutti i profili sollevati.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessive € 500,00 (euro cinquecento/00) oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Bruno Amoroso, Presidente

Silvia Coppari, Referendario, Estensore

Enrico Mattei, Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 02/12/2014.