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Giovanni Virga

Le riforme a metà

(Prime osservazioni sugli artt. 33-35 del D.L.vo 31 marzo 1998 n. 80 ed in particolare sulla possibilità per il Giudice amministrativo di condannare la P.A. al risarcimento del danno ingiusto nelle nuove materie rientranti nella sua competenza esclusiva) - pubblicato in Giust. amm. sic. n. 1/1998, p. 286 ss.

Faranno probabilmente a lungo discutere le novità introdotte dagli artt. 33-35 del recente D.L.vo del 31 marzo 1998 n. 80 (in G.U.R.I. dell'8 aprile 1998 n. 82, s.o. 65/I), con i quali si attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie in materia di "pubblici servizi" (art. 33) e quelle "aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia" (art. 34). Tali disposizioni, ai sensi dell'art. 45, comma 18°, dello stesso D.L.vo, avranno effetto dal 1° luglio 1998.

Se il legislatore delegato si fosse limitato all'aggiunzione alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo di ulteriori materie rispetto a quelle già in precedenza previste dalla stessa legge istitutiva dei T.A.R. e dalla legislazione successiva, l'operazione compiuta sarebbe sì di rilievo, ma finirebbe per inquadrarsi in una generale tendenza, manifestatasi nel corso degli anni in modo tumultuoso e non coordinato, di attribuire per blocchi di materie le controversie deferite alla giurisdizione amministrativa.

Anzi, tenuto conto del fatto che con lo stesso D.L.vo n. 80/1998 si vengono definitivamente a sottrarre alla giurisdizione amministrativa le controversie in materia di pubblico impiego (che rappresentano, statisticamente, oltre il 40% delle controversie attribuite agli stessi Giudici) (1), il conferimento di nuove materie alla giurisdizione esclusiva potrebbe essere considerato come un semplice "contentino" o, comunque come una (piccola) aggiunzione che deriva da una (grossa) sottrazione.

I risultati dell'operazione, sotto questo profilo, potrebbero essere considerati non particolarmente rilevanti, tenuto conto che le controversie in materia di "pubblici servizi, ivi comprese quelle afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481", nonché quelle "aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia", in gran parte già rientravano nella giurisdizione - sia pure di legittimità - del giudice amministrativo. Anzi, alcune di queste materie (si pensi ad es. alla materia della concessione edilizia, ex L. n. 10/1977) già rientravano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Inoltre, sotto altro profilo, l'operazione compiuta dal legislatore potrebbe essere addirittura giudicata come scarsamente coordinata con la normativa pregressa, anche recente. Ad es., leggendo le norme in questione, vien fatto di chiedersi: perché la giurisdizione esclusiva è stata limitata alle sole controversie "aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti e di forniture in tema di pubblici servizi, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale" (v. art. 33, 2° comma, lett. e) del D.L.vo), mentre quelle relative agli appalti di opere pubbliche, anche di importo comunitario, continuano a rientrare nella giurisdizione di mera legittimità del Giudice amministrativo?

E' chiaro quindi che, a questo punto, si impone un riordino complessivo ed organico della giurisdizione esclusiva (ormai frutto di stratificazioni successive).

Le nuove norme dettate dal legislatore delegato sembrano invece addirittura "rivoluzionarie" laddove prevedono che, nelle predette materie, il Giudice amministrativo "dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto" (art. 35, 1° comma).

I successivi due commi stabiliscono inoltre che: "Nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono a un accordo, col ricorso previsto dall’articolo 27, n. 4, del Testo unico approvato col Regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta" (2° comma).

"Il giudice amministrativo, nelle controversie di cui al comma 1, può disporre l’assunzione dei mezzi di prova previsti dal Codice di procedura civile nonché della consulenza tecnica d’ufficio, esclusi l’interrogatorio formale e il giuramento. L’assunzione dei mezzi di prova e l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio sono disciplinate, ove occorra, nel regolamento di cui al Regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, tenendo conto della specificità del processo amministrativo in relazione alle esigenze di celerità e concentrazione del giudizio (3° comma).

I primi commentatori hanno detto subito: si è finalmente riconosciuto in tal modo che anche gli interessi legittimi sono risarcibili. La risarcibilità degli interessi legittimi è stato negli ultimi tempi un tema oggetto di lunghe discussioni ed appassionati dibattiti. Basti pensare che l'ultimo Convegno di Varenna del settembre 1997 è stato dedicato all'argomento.

Può dunque tranquillamente affermarsi che, per effetto della previsione dell'art. 35, 1° comma, del D. L.vo n. 80/1998, anche gli interessi legittimi (sia pure nelle materie attribuite dai precedenti artt. 33 e 34 alla competenza esclusiva del G.A.) sono risarcibili?

Molti si sono subito affrettati a gettare acqua sul fuoco.

In particolare, il capo dell'ufficio legislativo del ministro per la funzione pubblica, Cons. Filippo Patroni Griffi, in un recente articolo pubblicato su Italia Oggi (intitolato significativamente "Non cambia il diritto sostanziale"), ha avuto modo di affermare che le norme contenute negli artt. 33-35 del recente D. Lvo n. 80/1998 "hanno portata esclusivamente processuale. Nel senso che individuano il giudice competente a conoscere della lesione, stabilendo, innovativamente, che il giudice amministrativo conosce anche della domanda volta a conseguire il risarcimento del danno subito, ma non hanno alcuna portata innovativa sul piano sostanziale. In altri termini, il decreto delegato non si occupa, nè poteva occuparsi, della diversa questione di quali siano le situazioni soggettive risarcibili. In forza dell'art. 35, dunque, non vi è riconoscimento della risarcibilità dell'interesse legittimo, ma la mera attribuzione al giudice amministrativo della competenza a conoscere delle questioni attinenti al risarcimento del danno in relazione al cattivo esercizio di pubbliche funzioni".

In altri termini, secondo questo orientamento, particolarmente autorevole, provenendo dal capo dell'ufficio legislativo del ministero della funzione pubblica, il legislatore, nel riconoscere esplicitamente che nelle materie di cui agli artt. 32 e 33 del D. L.vo citato "dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto", si sarebbe limitato ad una pura operazione di attribuzione della competenza, senza ritenere implicitamente risarcibili anche gli interessi legittimi.

Così, nell'ambito delle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex artt. 33 e 34 cit. (servizi ed urbanistica), bisognerebbe sempre distinguere la posizione giuridica soggettiva concretamente azionata: se quest'ultima ha natura e consistenza di diritto soggettivo, il giudice amministrativo avrebbe il potere di disporre "anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto"; cosa che non potrebbe fare nel caso in cui la natura della pretesa azionata sia di "mero" interesse legittimo (2).

Tuttavia, potrebbe essere obiettato che tale orientamento esegetico, sia pur autorevole, non sembra trovare conforto nel testo del decreto legislativo, il quale va interpretato alla stregua del fondamentale canone secondo cui ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus.

D'altra parte, gli argomenti utilizzati per sostenere il richiamato orientamento non sembrano decisivi. Si è a tal fine fatto riferimento:

a) sotto un profilo letterale, alla circostanza che l'art. 35 cit. "va letto in stretta correlazione con il successivo quarto comma (dell'art. 35), che modifica l'art. 7, terzo comma, della legge numero 1034 del 1971: il decreto legislativo, in particolare, stabilisce che "il tribunale amministrativo regionale, nelle materie deferite alla sua giurisdizione esclusiva, conosce anche di tutte le questioni relative a diritti"" (3);

b) sotto un profilo più generale, alla circostanza che una eventuale interpretazione diversa finirebbe per porsi in contrasto con i limiti della delega conferita (4).

Per quanto riguarda l'argomento sub a), è facile osservare che alla previsione richiamata non si può attribuire altro significato se non quello fatto palese dalla sue parole, che è quello di confermare che nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rientrano anche situazioni di diritto soggettivo. Dalla disposizione stessa non si può evincere che il legislatore delegato abbia voluto restingere la portata del 1° comma dell’art. 35, il quale prevede genericamente ed in modo indistinto la possibilità di disporre nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva (nelle quali confluiscono sia situazione di diritto soggettivo che di interesse legittimo), "il risarcimento del danno ingiusto".

Più corposo è l'argomento sub b), concernente i limiti della delega.

In effetti l'art. 11, comma 4, lett. g) della L. 15 marzo 1997 n. 59 (c.d. Bassanini 1) aveva delegato il Governo ad emanare norme che prevedessero "...la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresì un regime processuale transitorio per i procedimenti pendenti".

Tale norma contenuta nella legge delega, specie allorché richiama "le controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno" sembra, nella formulazione letterale, dare ragione ai sostenitori della interpretazione restrittiva, secondo i quali il legislatore delegato, in attuazione delle disposizioni delle legge delega, si è limitato ad un semplice trasferimento della competenza giurisdizionale, lasciando del tutto non pregiudicata la questione della risarcibilità degli interessi legittimi.

Tuttavia, dall'inciso della legge delega non può evincersi chiaramente che sia fatto divieto, nell'ambito della riforma del sistema della giustizia amministrativa che consegue alla sottrazione della competenza giurisdizionale in materia di pubblico impiego, di riconoscere come risarcibile la lesione derivante da interessi legittimi.

Una eventuale interpretazione diversa si porrebbe, d’altra parte, in contrasto con il dettato costituzionale.

Poiché l'art. 24 Cost. riconosce pari dignità e tutela agli interessi legittimi ed ai diritti soggettivi e tenuto conto che la stessa Corte costituzionale ha addirittura affermato che mediante gli interessi legittimi si ottiene una tutela sotto alcuni aspetti addirittura superiore (con lo strumento dell'eccesso di potere, il quale consente un sindacato più profondo sull'operato della P.A., nonché con l'utilizzo dello strumento cautelare, in fase di espansione), sarebbe oltremodo paradossale che - al momento di stabilire le conseguenze che derivano dalla lesione di posizioni giuridiche soggettive - si debba fare di fronte allo stesso Giudice amministrativo un distinguo tra diritti soggettivi (per i quali la tutela sarebbe assicurata in maniera piena attraverso il risarcimento del danno) ed interessi legittimi (nei cui confronti la tutela sarebbe dimidiata).

Una tale interpretazione sarebbe, inoltre, in contrasto con la giurisprudenza comunitaria (la quale, com'è noto, non conosce la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi, ma che, per situazioni giuridiche soggettive le quali nel nostro ordinamento  hanno natura di interesse legittimo, accorda la tutela risarcitoria).

Inoltre, com'è stato acutamente, oltre che autorevolmente, notato da Feliciano Benvenuti in un articolo sempre pubblicato su Italia Oggi, l'interpretazione restrittiva si porrebbe in contrasto con l'intervenuta abrogazione delle disposizioni "devolventi al giudice ordinario le "controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi nelle materie di cui al comma primo" Infatti, parlandosi di "annullamento" e non di "dichiarazione di nullità" di atti amministrativi, si dà manifestamente a vedere che ormai le controversie sul risarcimento del danno (e si deve intendere anche quelle relative alla reintegrazione in forma specifica per il richiamo alle materie di cui al comma primo) sono di integrale spettanza del giudice amministrativo" (5).

Ove dovesse prevalere la tesi della limitazione della risarcibilità prevista dall'art. 35 alle sole posizioni di diritto soggettivo, si riproporrebbero in misura maggiore e comunque più evidente rispetto a prima, le complicazioni che comporta la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi all'interno della giurisdizione esclusiva. Sotto questo profilo, le esperienze passate sembra che non abbiano insegnato nulla: basti pensare alla perniciosa distinzione tra atti paritetici e atti autoritativi che in passato si imponeva per le controversie in materie di pubblico impiego.

Talvolta si dimentica la circostanza che, se talune materie sono dal legislatore attribuite alla sua giurisdizione esclusiva, ciò avviene perché sovente in esse gli interessi legittimi sono intimamente collegati ai diritti soggettivi, al punto di costituire un groviglio inestricabile.

Risulta quindi contraddittorio, oltre che complicato, riproporre la distinzione tra le posizioni giuridiche azionate all'interno di tali materie per stabilire i poteri esercitabili dal giudice amministrativo.

Il risultato ultimo dell'operazione, in passato, è sempre stato quello di limitare l’esercizio di tali poteri al livello minimo.

Un esempio evidente è costituito dagli scarsi effetti prodotti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 146 del 10 aprile 1987, con la quale sono state dichiarate costituzionalmente illegittime diverse norme che regolano l'attività istruttoria nel processo amministrativo, nella parte in cui, per le controversie di pubblico impiego riservate alla giurisdizione esclusiva, non consentivano l'esperimento di mezzi istruttori previsti per le controversie di lavoro dei dipendenti privati.

Tale sentenza venne salutata dalla dottrina come "rivoluzionaria", dato che consentiva all'interno del processo amministrativo l’esperimento di tutti i mezzi istruttori previsti nel processo del lavoro (tra i quali soprattutto la testimonianza e la consulenza tecnica).

Con successiva sentenza n. 251 del 18 maggio 1989, la Corte Costituzionale ebbe modo, sia pure per incidens, di precisare che i maggiori poteri istruttori riconosciuti con la precedente sentenza erano esercitabili dal G.A. solo allorchè la pretesa azionata dal pubblico dipendente aveva consistenza di diritto soggettivo.

Sta di fatto, comunque, che, ad oltre dieci anni di distanza dalla prima sentenza della Corte, quasi nessun T.A.R. ha ammesso prove testimoniali o consulenze in materia di controversie di pubblico impiego, sia pur aventi ad oggetto situazioni di diritto soggettivo. E così la rivoluzione, annunciata con molti squilli di tromba ed un numero impressionante di articoli e note, è finita nel dimenticatoio.

La mancata attuazione della pronuncia è dipesa non solo dalla più volte rilevata "mentalità" del giudice amministrativo, poco proclive ad ammettere mezzi istruttori diversi ed ulteriori rispetto a quelli solitamente impiegati (essenzialmente richieste di documenti o di documentati chiarimenti, quasi mai verificazioni, già pericolosamente simili alle perizie), ma anche (e direi soprattutto) dalla mancanza di strumenti e meccanismi processuali.

Nell'attuale processo non sono previste udienze istruttorie, nè è chiaro chi debba ammettere le prove e chi debba assumerle (il Collegio, il Presidente od un Giudice delegato).

La novella operata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 167/1987 è stata introdotta in un organismo vecchio. Ed altrettanto può dirsi della "novella" introdotta dal legislatore delegato del 1998, le cui nuove norme con le quali si conferiscono nuovi poteri istruttori e decisori vanno coordinate, come recita l'art. 35, 3° comma, del D.L. n. 80, con il regolamento di procedura del 1907, "tenendo conto della specificità del processo amministrativo in relazione alle esigenze di celerità e concentrazione del giudizio".

Quest'ultimo inciso è in realtà molto nebuloso e fa venire alla mente la frase pronunciata durante l'ultima guerra da un generale italiano, al quale le truppe - giunte ad un bivio - chiesero verso quale direzione marciare; ed il generale, senza scomporsi, non conoscendo la direzione giusta, ma non volendosi prendere la responsabilità di una decisione errata, rispose stentoreo: Fate il vostro dovere! Altrettanto sembra dire il legislatore ai Giudici amministrativi con il richiamato inciso.

In mancanza di un generale disegno di riforma del processo, quella contenuta negli artt. 33-35 del D.L. vo n. 80/1998 costituirà la solita "mezza riforma" (6) che, inserendo materie (e poteri) nuovi in un organismo vecchio, per compensare una amputazione così evidente (qual'è la sottrazione delle controversie in materia di pubblico impiego), comporterà probabilmente una crisi di rigetto o, nella migliore delle ipotesi, complicherà ulteriormente il già difficile quadro clinico del processo amministrativo.

Un merito comunque la riforma appena varata sicuramente avrà: quello di rendere non più ulteriormente eludibile un riesame ed organico dell'intera disciplina del processo amministrativo.

 

Note:

(1) Cfr. sul punto C. Talice, Analisi dell’attività della giustizia amministrativa nel 1994, in Il Cons. Stato 1995, II, 1459 ss., secondo cui, in particolare, nell’anno preso in esame, i ricorsi proposti in materia di pubblico impiego sono stati 42.233 sui complessivi 106.100.

(2) V. nello stesso senso l'articolo pubblicato sempre su Italia Oggi di G. Panzironi, Magistrato del T.A.R. Campania, intitolato Nessuna rivoluzione copernicana sulla risarcibilità.

(3) Patroni Griffi, Non cambia il diritto sostanziale, cit.

(4) Per la verità, l'argomento non è stato utilizzato esplicitamente da Patroni Griffi nel richiamato articolo, ma ad esso allude allorchè afferma che "il decreto delegato non si occupa, nè poteva occuparsi della diversa questione di quali siano le situazioni soggettive risarcibili". Più esplicito è il rifermento contenuto nel già citato scritto di Panzironi, il quale afferma in particolare che: "Pur recependo le aspettative di riforma del sistema della giustizia amministrativa anche in vista di una maggiore armonizzazione con i sistemi adottati dagli altri paesi europei, il decreto legislativo non opera, nè può operare una radicale trasformazione dell'ordinamento attuale che riconosce, peraltro a livello costituzionale, la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi. Il decreto legislativo è infatti strumento di attuazione delle norme contenute nella legge di delega ed è, per sua natura, vincolato all'osservanza delle disposizioni, dei principi e dei criteri ivi stabiliti, pena l'illegittimità dello stesso per eccesso di delega".

(5) In realtà il problema vero da risolvere, come evidenziato nello stesso articolo di F. Benvenuti, non è tanto quello di vedere se la lesione di interessi legittimi sia risarcibile o meno (battaglia questa, a mio avviso, ormai di retroguardia, alla stregua di una sempre più spinta integrazione dell'Italia nell'ambito della Comunità europea), quanto piuttosto di accertare quali sono gli strumenti ed i limiti del risarcimento da accordare.

Sotto questa prospettiva, non può ignorarsi che con la stessa L. n. 59 del 15 marzo 1997, il Governo è stato delegato ad emanare regolamenti in materia di procedimenti amministrativi nei quali in particolare (v. art. 20, 5° comma, lett. h, L. n. 59 cit.) potrà essere contenuta la "previsione, per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento, di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della pubblica amministrazione, di forme di indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento; contestuale individuazione delle modalità di pagamento e degli uffici che assolvono all'obbligo di corrispondere l'indennizzo, assicurando la massima pubblicità e conoscenza da parte del pubblico delle misure adottate e la massima celerità nella corresponsione dell'indennizzo stesso".

Tale norma, pur non contemplando un vero e proprio risarcimento del danno, (v. sul punto A. Travi, Nuovi fermenti sul diritto amministrativo verso la fine degli anni ‘90, in Foro It. 1997, V, 168 ss., spec. alla c. 172 ) finisce per ammettere che anche dalla lesione di alcuni interessi legittimi (quali indubbiamente sono quelli che sono vantati nei casi previsti di mancato rispetto del termine del procedimento, di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della pubblica amministrazione) può derivare, se non un pieno risarcimento ex 2043 c.c., almeno un indennizzo forfettario.

(6) V. in proposito le considerazioni recentemente svolte da L. Mazzarolli, Il processo amministrativo come processo di parti e l’oggetto del giudizio, in Dir. proc. amm. 1997, p. 463 ss., il quale richiama un articolo di A. Panebianco intitolato "Il mezzo riformismo" (in Corriere della Sera del 3 aprile 1996).


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