Breve addenda
Ho appena finito di leggere l’articolo inviato del Cons. Spagnoletti (che ringrazio due volte: la prima per aver segnalato nel forum on line qual che stava accadendo col "galleggiamento domestico" e la seconda per questo più approfondito intervento) ed approfitto dell’occasione per chiarire due punti:
1) innanzitutto dalla lettura del mio precedente articolo (Morte e resurrezione del c.d. allineamento stipendiale) qualcuno potrebbe trarre l’errata conclusione che, a seguito dell’abolizione dell’allineamento stipendiale - avvenuta con una legge del 1992 - il virus polimorfo del galleggiamento si era ormai completamente estinto (salvo poi risorgere, più recentemente, sotto forma di "galleggiamento domestico"); in realtà il virus in questione continuava ad esistere, sia pure in una forma latente.
L’abolizione infatti non riguardava tutti coloro che avevano fruito prima del 1992 del beneficio, i quali - a seguito dell’abolizione stessa - non solo non dovevano restituire le somme già percepite, ma, per quel che qui più rileva, continueranno a vita a godere dei benefici economici dallo stesso derivanti.
In sostanza, i miglioramenti economici di cui hanno goduto alcune categorie di pubblici dipendenti per effetto dell’applicazione dell’istituto, non sono cessati con effetto dal 1992 o con la previsione magari di un assegno ad personam riassorbibile in vista di futuri aumenti contrattuali, ma continuano e continueranno ad essere applicati. Ragion per cui anche all’interno delle categorie interessate si sono verificate e si continuano a verificare palesi sperequazioni tra coloro che hanno galleggiato e coloro che, per vari motivi - magari del tutto contingenti o fortuiti (quali ad es. di essere arrivati per ultimi), all’interno della stessa categoria non hanno avuto la fortuna di avere applicato il beneficio. Insomma, la giungla retributiva, col passere del tempo, continua a ramificarsi e a farsi più folta (di qui anche la pretesa, non del tutto imprevedibile e ingiustificata, dei giovani Consiglieri del CdS di galleggiare a loro volta).
Ho detto, forse impropriamente, che la filosofia di fondo alla quale si ispirava la legge "abolitiva" del 1992 era quella del noto adagio napoletano: "chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto…". In realtà sarebbe stato più corretto dire che la filosofia di fondo era quella del "chi ha dato ha dato, chi ha avuto continua ad avere ...".
Tale filosofia era inevitabilmente foriera di ulteriori sviluppi "perequativi": il che è quanto è puntualmente avvenuto negli ultimi tempi.
2) L’adagio napoletano appena ricordato continua dicendo … scordiamoci il passato. In realtà, del galleggiamento ci eravamo tutti dimenticati (tranne, ovviamente, coloro che continuano a percepire i benefici economici fin ai nostri giorni e che continueranno a percepirli fino a quando non si avrà il coraggio di mettere una reale pietra tombale sull’istituto). A farci ricordare la non certo esaltante pagina del galleggiamento - non certo sconosciuta agli addetti ai lavori, ma della quale quasi nessuno ha avuto mai il coraggio di parlare in modo esplicito - è stato, come già detto, l’episodio del "galleggiamento domestico" recentemente segnalato dal Cons. Spagnoletti e dall'A.N.M.A. e poi ripreso da alcuni quotidiani e settimanali nazionali (v. per tutti, nella rassegna stampa, A. Cerchi, Lo stipendio galleggia (e sale), pubblicato nella prima pagina de Il Sole 24 Ore del 29 ottobre 1999).
A seguito di tali articoli, sono emersi dei particolari che ignoravo e sui quali vale la pena di soffermarsi per un momento.
Abbiamo appreso in particolare (mi riferisco al già menzionato articolo di Cerchi), che, a seguito del parere espresso da una sezione consultiva del CdS sul ricorso straordinario proposto da alcuni Consiglieri di Stato di recente nomina che invocavano l’applicazione del galleggiamento, "Palazzo Chigi ha deciso di riprendere in mano le carte e le ha rinviate al Consiglio di Stato per un riesame", chiedendo in buona sostanza un nuovo parere; ma, come si legge sempre nello stesso articolo, "Palazzo Spada questa volta ha fatto sapere che non c’era niente da riesaminare e pertanto ha dichiarato la richiesta inammissibile. La pratica ha quindi potuto prendere la via del Colle e il Presidente Ciampi ha posto fine alla vicenda firmando il decreto che permetterà ai nove ricorrenti di galleggiare".
Ora, non stupisce affatto che il Consiglio di Stato abbia respinto la richiesta di Palazzo Chigi di riesaminare il parere già espresso. Si trattava infatti di una richiesta singolare, che avrebbe costituito peraltro un pericoloso precedente; ragion per cui sembra perfettamente corretto il rigetto di Palazzo Spada. La dichiarazione di inammissibilità della richiesta era, del resto, facilmente prevedibile, alla luce di quanto si legge nei testi universitari (v. per tutti Pietro Virga, Diritto amministrativo - Atti e ricorsi, II ed. Milano 1992, p. 231, il quale, richiamando in nota varie decisioni del CdS, afferma: "una volta che il parere - sul ricorso straordinario: n.d.r. - sia stato emesso e trasmesso al ministro competente, il Consiglio di Stato consuma il proprio potere consultivo e non potrà riesaminare il proprio parere, neanche su invito del ministro stesso, alla luce di nuove deduzioni o di nuovi documenti, all’infuori delle ipotesi in cui è ammesso il ricorso per revocazione": ipotesi quest’ultima, è bene subito aggiungere, che non ricorreva certo nella specie, essendo stato denunciato un errore di diritto e non di fatto).
Stupisce invece che Palazzo Chigi non abbia voluto applicare una norma che avrebbe consentito di disattendere il parere espresso dal CdS sul ricorso straordinario proposto.
Si insegna infatti nelle aule universitarie ancora oggi che il parere espresso dal CdS sul ricorso straordinario è un parere parzialmente vincolante, dato che il d.P.R. sui ricorsi amministrativi espressamente prevede che esso può essere disatteso su deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Se dunque Palazzo Chigi ed in particolare il Ministero interessato - come par di capire dalla richiesta di riesame - non ritenevano di condividere il parere espresso dal Consiglio di Stato, piuttosto che richiedere a quest’ultimo di emettere un nuovo parere (richiesta questa, ripeto, giustamente considerata inammissibile) non avevano da far altro che far adottare una deliberazione del Consiglio dei Ministri - espressamente prevista e consentita dal D.P.R. sui ricorsi amministrativi - che disattendeva il parere espresso dal C.d.S. Così invece non è avvenuto, di guisa che al Presidente della Repubblica non è rimasto altro che firmare il decreto di accoglimento del ricorso … e a noi, molto più modestamente, il compito di segnalare una norma che non si è voluto applicare (non essendo pensabile che Palazzo Chigi, con tutti i consiglieri giuridici di cui dispone, la ignori).
Si è preferito quindi chiedere al CdS un riesame chiaramente inammissibile; con il risultato pratico di rendere inevitabile al Capo dello Stato la firma del decreto di accoglimento del ricorso e di far così riemergere, in modo palese, il virus latente del galleggiamento a distanza di pochi giorni dall’ultima pronuncia della Consulta in materia.
Diranno probabilmente gli storici che c.d. prima Repubblica è caduta non tanto per effetto della corruzione dei partiti, ma soprattutto sotto il peso del debito pubblico, che aveva finito per rendere non più sostenibile il previgente sistema consociativo. Nella c.d. seconda Repubblica tutto ciò non sembrava più possibile (soprattutto per i vincoli finanziari contratti in sede comunitaria). Comincio tuttavia a ritenere che abbia ragione il Senatore Giulio Andreotti, il quale, chiesto di esprimere un parere in proposito, ha affermato pressappoco così: Cosa penso della seconda Repubblica? Forse mi sono distratto un poco, ma non mi sono accorto che sia già nata ... (G.V., 6-11-1999).