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Articoli e note

n. 10-1999

Morte e resurrezione del c.d. "allineamento stipendiale"

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Ogni volta che sento parlare di allineamento stipendiale (comunemente chiamato con la più pittoresca, anche se meno tecnica, espressione di "galleggiamento" o di "trascinamento"), mi ritorna in mente la famosa poesia "'A livella" scritta da Antonio de Curtis (in arte Totò) la quale, com’è noto, dimostra in modo semplice ma efficace che, di fronte alla morte, siamo tutti eguali.

Nel campo giuridico non occorre defungere per vedere affermato analogo principio. E’ sufficiente invece, rovistando tra le pieghe delle sterminata produzione legislativa italiana, pescare qualche norma che si ispira al principio in discorso e "livellare" le posizioni giuridiche ed economiche degli interessati. Solo che nell’ordinamento giuridico italiano il livellamento, contrariamente a quanto accade seguendo le normali leggi della fisica, non avviene alla quota della "doga" più bassa (mi riferisco al classico esempio della botte riempita d’acqua), ma a quella della "doga" più alta. Così è avvenuto con l’istituto dell'allineamento stipendiale.

La vicenda è probabilmente già nota ai lettori, ma va brevemente ricordata, anche perchè, come diremo, è tornata di attualità.

Con l’art. 1, comma 7, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379 (convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1987, n. 468), venne attribuito a tutto il personale militare con un trattamento stipendiale inferiore a quello spettante al pari grado, avente pari o minore anzianità di servizio, ma promosso successivamente, lo stesso trattamento stipendiale di quest’ultimo.

Si trattava di una norma di settore, che nelle intenzioni era diretta ad evitare la situazione di sperequazione che si verificava nei confronti di che era pari grado, ma godeva di un trattamento economico inferiore. Tuttavia la norma in discorso finiva, a sua volta, per moltiplicare ed ampliare gli effetti di una disfunzione già presente nell’ordinamento e che è comunemente chiamata con il nome di "giungla retributiva".

In qualsiasi ordinamento giuridico moderno, infatti, solitamente ad eguale qualifica (o livello) corrisponde altrettanto eguale trattamento economico. In Italia, invece, tale corrispondenza in concreto spesso non si verifica, non essendo né raro né infrequente il caso di colleghi di pari grado, ma con trattamenti economici differenziati. 

Piuttosto che eliminare i meccanismi che davano luogo a così evidenti sperequazioni, il legislatore del 1987 ritenne equo, sia pure solo per i militari, di livellare tutti alla quota più alta, di guisa che era sufficiente che nella qualifica (rectius: nel grado) transitasse, anche per un solo giorno, un collega con un trattamento economico più elevato per far corrispondere a tutti i suoi colleghi identico trattamento economico.

Dopo un più approfondito esame, tuttavia, alcuni attenti studiosi delle pieghe ordinamentali italiane si resero presto conto che non si trattava di una norma isolata, dato che già l’art. 4, del D.L. 27 settembre 1982 n. 681 (nel testo modificato dall'art. 1 della L. 20 novembre 1982 n. 869, recante "Adeguamento provvisorio del trattamento economico dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e del personale ad essi collegato), aveva previsto che: "Al personale con stipendio inferiore a quello spettante al collega con pari o minore anzianità di servizio, ma promosso successivamente, è attribuito lo stipendio di quest'ultimo".

Le norme in questione, ovviamente, non passarono del tutto inosservate agli occhiuti controllori del nostro ordinamento i quali, paradossalmente, piuttosto che chiedere la loro eliminazione, pensarono bene di ottenere la loro immediata estensione. Non a caso, subito dopo i militari, le norme in questione furono applicate nei confronti dei magistrati della Corte dei Conti. Seguirono presto altre categorie, quali i magistrati del Consiglio di Stato ed i magistrati dei T.A.R., nonché gli avvocati dello Stato.

Si veniva così ad innescare una reazione a catena, che vedeva beneficiare dell’istituto del galleggiamento sempre più ampie categorie di soggetti.

Questi ultimi, per effetto dell’applicazione del principio, non solo si sono visti incrementare d’un sol colpo i non magri stipendi di cui già godevano, ma si sono visti applicare il principio stesso con effetto retroattivo (e cioè con effetto dalla data di transito nella qualifica del loro pari grado con trattamento economico più elevato); di guisa che, per effetto dell'allineamento, sono state erogate differenze stipendiale relative ai periodi passati (ammontanti in alcuni casi a diverse centinaia di milioni), incrementate ovviamente dell'importo degli interessi legali e e della rivalutazione monetaria (v. sul punto ad es. C.G.A., sent. 2 luglio 1997 n. 272, secondo cui "per i crediti derivanti dal c.d. allineamento stipendiale, la rivalutazione monetaria e gli interessi devono essere fatti decorrere dallo stesso momento di decorrenza degli emolumenti arretrati riconosciuti con l'allineamento"). 

L’unico limite per l’applicazione in via retroattiva dell’istituto era costituito solo dalla data di entrata in vigore della citata L. n. 869/1982 (v. sul punto C.G.A., sent, 28 gennaio 1992, n. 8 e T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, sent. 8 luglio 1993, n. 780, secondo cui "il principio dell'allineamento retributivo previsto dall'art. 4 3° comma, del D.L. 27 settembre 1982 n. 681 - nel testo modificato dall'art. 1 della L. 20 novembre 1982 n. 869 - va applicato con decorrenza dal 1° gennaio 1983"). Ma si trattava, con evidenza, di un limite temporale molto blando, se non del tutto inesistente, dato che esso finiva abbondantemente per oltrepassare il termine di prescrizione.

Non contenti di ciò, alcuni degli interessati avevano finito per inventare ulteriori e spesso bizzarre varianti. Il virus del galleggiamento si diffondeva così non solo in maniera sempre più estesa nel campo del pubblico impiego, ma - come ogni virus polimorfo che si rispetti - finiva anche per subire delle mutazioni genetiche man mano che si diffondeva.

Nasceva così quello che venne chiamato il "galleggiamento sul morto" (e cioè la pretesa di galleggiare anche sul trattamento stipendiale di un collega ormai defunto, ma transitato nei ruoli prima della scomparsa; siamo certi che tutti coloro che hanno beneficiato di tale tipologia di galleggiamento avranno poi, riconoscenti, portato qualche fiore e recitato magari una prece davanti alla tomba del collega scomparso, che sarà  sempre ricordato con affetto da tutti i colleghi interessati) oppure il "galleggiamento successivo e reciproco" (e cioè la pretesa di galleggiare su un altro collega, il quale a sua volta galleggiava su di un altro, e così via). L'inventiva italiana finiva per toccare, in tal modo, vertici insuperabili.

Sull’onda dell’entusiasmo, la giurisprudenza amministrativa finiva, da parte sua, per affermare che quello dell’allineamento stipendiale era un

principio generale applicabile a tutte le categorie di dipendenti pubblici (v. per tutte TAR Sicilia Catania, Sez. I, sent. 27 agosto 1990, n. 640, in G. amm. sic., fasc. 4/90, p. 610, secondo cui "ai sensi dell’art. 36 Cost. e dell’art. 9 della L. 382/1975 – che ha trasfuso in norma operativa il precetto costituzionale – va assicurato ai pubblici dipendenti, aventi identica qualifica ma un diverso trattamento stipendiale, il medesimo livello di stipendio, all'uopo provvedendo ad aumentare quello, tra gli stipendi comparati, di minore entità, non potendosi ovviamente riformare in pejus il trattamento economico più alto" e soprattutto " il principio di cui all'art. 4 del D.L. 681/1982, relativo al c.d. "allineamento" stipendiale – per cui al personale spetta lo stipendio del collega di pari o minore anzianità promosso successivamente, se il di lui trattamento economico è più favorevole – rappresenta un rimedio di carattere generale per tutti i pubblici dipendenti e da cui le P.A. non possono prescindere mai nella concreta determinazione dello stipendio da attribuire a tutti i dipendenti - a pena dell'illegittimità per violazione di legge e senza alcuna distinzione tra loro che possa eventualmente derivare da anzianità pregresse maturate da alcuni soltanto").

L’entusiasmo iniziale comportò anche il travolgimento di argini naturali, quali l’anzianità maturata dal "trascinante" (v. ad es. la già citata sentenza del T.A.R. Catania 27-8-1990, n. 640, secondo cui "in forza del principio del c.d. allineamento ad un Avvocato dello Stato che preceda - od abbia diritto di precedere - nel ruolo altri colleghi i quali godono di una anzianità figurativa ed un trattamento economico superiore, spetta un trattamento stipendiale pari a quello dei suoi colleghi che precede, non potendovi ostare l'eventuale anzianità maturata da questi ultimi nella carriera dei Procuratori dello Stato – essendo detta anzianità giuridicamente distinta da quella degli Avvocati dello Stato per effetto proprio dell’art. 4, 11° comma, della L. 425/1984 ed ai fini specifici dell'applicazione dei benefici colà previsti-, sia perchè, in relazione all'espressa suddistinzione tra le due predette carriere operata dalla legge, l'anzianità di servizio, da assumere ai fini dell'allineamento, non può essere intesa in senso diverso dall'anzianità di servizio nella qualifica o nel ruolo cui pervengono i soggetti - e le relative retribuzioni - da comparare).

L’entusiasmo di cui si è detto in parte si raffreddò, tuttavia, non appena ci si rese conto che la reazione a catena innescata stava pericolosamente propagandosi con inusitata velocità. Categorie sempre più vaste di pubblici dipendenti, infatti, attirate dal miraggio di vedere in un sol colpo aumentati i propri stipendi e di ricevere le differenze stipendiali passate (id est, una specie di superliquidazione anticipata ed aggiuntiva), avevano (spudoratamente) cominciato ad avanzare analoghe pretese.

E’ stato a questo punto che la giurisprudenza ha cominciato a tirare il freno. Così ad es., limitando l’esame al territorio regionale siciliano, la giurisprudenza amministrativa ha finito per negare l’applicazione del principio stesso ai dirigenti superiori della Regione siciliana (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, 12-2-1994, n. 79, in G. amm. sic., fasc. 1/94, p. 187), nonché a tutti i dipendenti regionali (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, 1-4-1993, n. 272, in G. amm. sic., fasc. 2/93, p. 362), "tenuto conto della peculiarità dell'ordinamento del pubblico impiego vigente nell'ambito della Regione siciliana, soprattutto con riferimento al trattamento retributivo dei dipendenti regionali" (come dire: non vi basta di essere dipendenti della regione siciliana e di godere, in tal modo, di un trattamento economico superiore a quello degli statali?).

Ma è stato soprattutto il legislatore a porre un freno definitivo (almeno così, in un primo tempo, si pensava) ad una vicenda che, con un crescendo rossinano, stava finendo per travolgere le già disastrate finanze pubbliche.

E così con l’art. 2 del D.L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito in legge 9 agosto 1992 n. 359, e successivamente interpretato autenticamente dall'art. 7, comma settimo del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, convertito a sua volta in L. 14 novembre 1992 n. 438, venne emessa una condanna di morte nei confronti dell’istituto dell’allineamento stipendiale (ancora oggi rimpianto da molti).

Solo che l'abolizione del c.d. "galleggiamento" non venne disposta con efficacia retroattiva, ma con effetto dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 333/1992, lasciando salvi ed impregiudicati i provvedimenti che avevano già applicato il principio dell’allineamento prima della suddetta data (v. per tutte C.G.A., sent. 25 maggio 1998 n. 303, secondo cui "La disposizione dell'art. 2 del D.L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito in legge 9 agosto 1992 n. 359, interpretata autenticamente dall'art. 7, comma settimo del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, convertito in L. 14 novembre 1992 n. 438, che sancisce l'efficacia retroattiva della normativa abrogatrice dell'istituto dell'allineamento stipendiale, ha inteso fare salvi i provvedimenti di allineamento stipendiale già perfetti, anche se ancora non efficaci al momento dell'entrata in vigore del D.L. 11 luglio 1992 n. 333").

La disposizione in questione, così applicata, sembrava dunque ispirarsi al noto adagio: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, scordiamoci il passato…

La soppressione in tal modo dell’istituto, anche se era stata dettata della giusta preoccupazione di evitare l’ulteriore propagazione del virus polimorfo dell’allineamento, finiva quindi per lasciare intatte le situazioni di coloro che avevano già beneficiato dell’istituto. Di guisa che mentre le categorie che erano state più pronte  finivano per godere dei non irrilevanti vantaggi economici derivanti dalla applicazione del galleggiamento(sia pure sino alla data di entrata in vigore delle già citate disposizioni abrogatrici), altre categorie - che non erano state altrettanto pronte o fortunate - finivano per vedersi negare l’applicazione del generoso istituto.

Particolarmente emblematica della disparità che si veniva così a creare era la situazione dei magistrati ordinari, nei confronti dei quali - contrariamente a quanto era avvenuto nei confronti dei magistrati amministrativi ed ancor prima di quelli contabili - non era stato applicato l’istituto dell’allineamento (v. per tutte TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 13-2-1996, n. 151, in G. amm. sic., fasc. 0/96, p. 274, secondo cui "a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 7, settimo comma, del D.L. n. 384/1992 - che ha disposto la soppressione dell'istituto dell'allineamento stipendiale anche in relazione alle situazioni maturate prima dell'11 luglio 1992 che non siano state riconosciute con provvedimenti adottati anteriormente a tale data - non può essere accolto il ricorso proposto da magistrati ordinari con il quale è stato chiesto - in applicazione del principio dell'allineamento stipendiale previsto dall'art. 1 della L. n. 265/1991 - l'attribuzione dello stesso trattamento economico corrisposto ai magistrati amministrativi e contabili"; con la stessa sentenza è stato aggiunto inoltre che "la soppressione dell'allineamento stipendiale con effetto retroattivo è applicabile anche al trattamento economico dei magistrati, anche se l'art. 1 del D.L. n. 333/1992 non abroga espressamente l'art. 1 della legge n. 265/1991, limitandosi a sopprimere la norma fondamentale di cui all'art. 4 del D.L. 27 settembre 1982 n. 861 convertito con legge 20 novembre 1982 n. 869").

In considerazione "della palese disparità di trattamento tra coloro che avessero già ottenuto l'applicazione in sede amministrativa o giurisdizionale dell'allineamento stipendiale e coloro che, per meri fattori estrinseci e casuali, tale allineamento non avessero ancora ottenuto" (v. in questo senso TAR Sicilia-Palermo Sez. I, 8 luglio 1993, n. 780, in G. amm. sic., fasc. 3/93, p. 596), tuttavia è stata a più riprese sollevata questione di costituzionalità delle norme che avevano eliminato l’istituto dell’allineamento.

Ma la Corte costituzionale da ultimo con sentenza 7 ottobre 1999 n. 379 ha ritenuto "non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione - dell’art. 2, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, e dell’art. 7, comma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, i quali hanno abrogato precedenti norme che prevedevano l’allineamento stipendiale".

Ha affermato la Corte infatti che "l’applicazione dell’istituto del c.d. allineamento stipendiale, che pur era diretto ad eliminare diseguaglianze, creava a sua volta diseguaglianze ulteriori, alterava il principio secondo il quale la progressione nel trattamento economico deve corrispondere a criteri prefissati nella legge e nei contratti collettivi e finiva con il determinare effetti irrazionali che ne hanno, appunto, giustificato la generalizzata soppressione" e che "gli inconvenienti o le distorsioni che si verificano per effetto dell’eventuale irrazionalità o inadeguatezza di meccanismi retributivi stabiliti o recepiti dal legislatore con un nuovo regime retributivo non possono, dunque, trovare rimedio consolidando quegli effetti mediante l’adozione di ulteriori meccanismi destinati, essi pure, a determinare irrazionalità e diseguaglianze" (v. già in precedenza Corte cost., sent. n. 6 del 1994; ord. n. 105 e n. 394 del 1994, n. 40 e n. 523 del 1995; sent. n. 57 del 1993, n. 146 del 1994 e n. 386 del 1997).

Sembrava così finalmente posta, con successive sentenze della Corte, una pietra tombale sull’istituto dell’allineamento (o galleggiamento) stipendiale e di tutte le sua varianti polimorfe (anche se poi era stato seguito il già ricordato principio del chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto..). 

Ed invece abbiamo appreso in questi giorni - tramite una lettera del Cons. Leonardo Spagnoletti (ex vice presidente dell’A.N.M.A.), inserita nel forum on line della rivista e poi riportata all’interno della rivista stessa - che esiste ancora una variante del virus la quale, così come si afferma nella predetta lettera , sarebbe costituita (riportiamo in corsivo il passo della lettera) dal "galleggiamento domestico" dei giovani consiglieri di Stato non galleggiati, che, "aggirando" la giurisprudenza costituzionale e dello stesso Consiglio di Stato, ha consentito, attraverso un ricorso straordinario al Capo dello Stato ed un parere dello stesso Consiglio di Stato, di riconoscere, in base a norma assai risalente nel tempo, il "diritto alla perequazione", ottenuta attraverso l'aggancio alle posizioni retributive dei consiglieri di Stato di provenienza dai T.A.R. cui, pure, si nega il riconoscimento della anzianità complessiva maturata nel ruolo di provenienza.

E così, galleggiando, galleggiando, ma con una zavorra costituita dall’imponente debito pubblico di cui nessuno sembra più occuparsi (tanto, dirà qualcuno, siamo ormai entrati in Europa), l’Italia si avvicina lentamente al nuovo millennio.

(Giovanni Virga, 28.10.1999)


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