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n. 1/2004 - ©
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MASSIMILIANO BRUGNOLI (*)
Prime
riflessioni critiche sulla nuova legge della Regione Veneto
in materia di lavori pubblici di interesse regionale
1) Sul Bolletino Ufficiale della Regione Veneto n. 106 dell’11 novembre 2003 è stata pubblicata la legge regionale 7 novembre 2003 n. 27, che entrerà in vigore, a norma dell’art. 75, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.
Si tratta di una legge destinata ad avere ripercussioni pratiche assai rilevanti nei confronti di chi, tra qualche giorno, si occuperà, a vario titolo, di opere pubbliche di interesse regionale destinate ad essere eseguite nel territorio della Regione Veneto.
Il testo non potrà non suscitare interesse anche tra i cultori della materia, in quanto la sua approvazione rappresenta attuazione dei nuovi poteri attribuiti alle Regioni – in tema di opere pubbliche - dalla recente riforma dell’art. 117 della Costituzione.
Va subito premesso che non costituisce oggetto del presente articolo il dibattito, vivo tra i costituzionalisti, concernente l’esatta portata di tale innovazione.
E ciò per il semplice motivo che la stessa Regione del Veneto ha chiarito (1) di avere agito nella convinzione di disporre, in tale materia, di piena potestà legislativa, condizionata al “..solo rispetto dei principi costituzionali e di quelli derivanti dall'ordinamento comunitario..".
Si deve dunque dedurre che, nel delineare gli istituti contenuti nella legge in argomento, il Legislatore regionale non si sia ritenuto vincolato ad alcuna disposizione dell’ordinamento interno e comunitario, salvi i principi generali sopra richiamati. Dunque, li ha proprio voluti così come sono.
La legittima curiosità, cui si è fatto in precedenza riferimento, tra gli addetti ai lavori si giustifica con la constatazione che si è oramai consolidata una netta divaricazione tra le norme di diritto interno – essenzialmente nazionali – e quelle di diritto comunitario che disciplinano la medesima materia delle opere pubbliche.
A livello comunitario, la disciplina dei contratti stipulati tra organismi di diritto pubblico ed imprese private non si discosta in maniera significativa da quelle relative alle forniture ed ai servizi, recepite, queste ultime, quasi alla lettera – con limitatissime quanto, per certi versi, significative differenze – nell’ordinamento interno (2).
La normativa nazionale sui lavori pubblici è invece assolutamente eterogenea rispetto a quella di provenienza comunitaria e tale connotato si è, paradossalmente, accentuato nel tempo, nonostante il progressivo rafforzamento delle istituzioni comunitarie e del processo di integrazione tra gli stati membri.
Mentre le norme comunitarie in materia di opere pubbliche constano di poche decine di articoli, quelle nazionali – suddivise tra norme di rango primario e di livello regolamentare - si contano a centinaia.
Tale differenziazione quantitativa trae origine dall’impostazione dirigista della “vecchia” legge fondamentale sui lavori pubblici, datata 1865, con la quale lo Stato di ispirazione napoleonica di allora, unitamente al regolamento emanato trent’anni dopo, pretendeva di disciplinare in maniera omogenea e minuziosa il comportamento di tutte le stazioni appaltanti – essenzialmente, lo Stato stesso nelle sue varie articolazioni centrali e periferiche.
Si sarebbe potuto supporre che il legislatore nazionale, dovendo recepire la direttiva comunitaria n. 37/93 (3), in materia di opere pubbliche, avrebbe trovato l’occasione per superare il glorioso e longevo modello ottocentesco, non fosse altro per il fatto che quest’ultimo – sopravvissuto ad oltre 130 anni di storia – non poteva più reggere ai sostanziali e profondissimi mutamenti avvenuti, nel frattempo, nel funzionamento della pubblica amministrazione ed alle varie e diversissime forme dalla medesima assunte.
Sennonché l’Italia dell’inizio degli anni novanta non era certo il luogo più propizio per approvare una riforma che restituisse alla pubblica amministrazione italiana lo stesso grado di discrezionalità ritenuto congruo dal legislatore comunitario.
Al contrario, la fortissima sfiducia nei confronti di quest’ultima condusse a concepire un modello ben più rigido e minuzioso di quello ottocentesco, la cui piena definizione si è compiuta con il varo dei diversi regolamenti attuativi della C.D. “Merloni”, essenzialmente all’inizio del nuovo millennio.
Basti pensare agli istituti delle varianti in corso d’opera, del calcolo – meramente meccanico - dell’anomalia delle offerte, alla rigida programmazione delle opere pubbliche, ai limiti ed agli oneri procedimentali introdotti ex novo che condizionano il ricorso ad istituti quali la trattativa privata, l’appalto concorso e la concessione in opere pubbliche. Per tacere il fatto che numerose norme del “corpus” Merloni si occupano della stessa organizzazione interna delle stazioni appaltanti senza apparenti preoccupazioni sul fatto che queste ultime – a differenza di quanto accadeva alla fine dell’Ottocento - hanno assunto forme, caratteristiche e dimensioni diversissime, cosicché principi e regole che ben si adattano ad alcune possono essere praticamente impossibili da rispettare da altre (per lo più, quelle di modeste dimensioni).
Per la maggior parte dei lettori di una rivista specializzata in diritto amministrativo tali affermazioni non hanno bisogno, si ritiene, di nessuna particolare dimostrazione.
Per chi fosse poco avvezzo alla materia delle opere pubbliche, credo che per comprendere la minuziosa cavillosità della vigente legislazione nazionale, possa costituire un buon esempio l’art. 90, comma 1 del DPR n. 554/99 – il regolamento di attuazione della legge quadro - che si spinge ad imporre il numero delle colonne – sette - che devono comporre un documento da allegare ad un bando di gara con prezzo determinato mediante offerta prezzi unitari, la “lista delle lavorazioni e forniture”.
Va altresì evidenziato come lo iato tra la legislazione nazionale e quella comunitaria in materia di opere pubbliche tenda ad aumentare anziché a ridursi. A livello nazionale è stata costituita l’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici che emana atti di indirizzo e di regolazione sulle norme di dubbia interpretazione: pur essendo stato chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (4) che tali pronunciamenti non hanno valore vincolante, è assai probabile che coloro che – a vario titolo - sono soggetti ai poteri sanzionatori di tale organismo difficilmente li ignoreranno. Si è così affermata in linea di prassi una fonte normativa di fatto – anch’essa piuttosto corposa - che in qualche modo si “somma” alle centinaia di disposizioni – tra legislative e regolamentari – che disciplinano la materia.
La stessa Regione Veneto, pubblicando sul BUR n. 57 del 7 giugno 2002 le “note esplicative” agli schemi di bando ha contribuito, sia pure in minima parte, all’incremento di tale articolato corpus normativo (5). In tale documento, si ripercorrono alcuni dei più diffusi dubbi interpretativi già affrontati dall’Autorità, ora aderendo, ora discostandosi dalle conclusioni di quest’ultima.
E’ significativo, in ragione di quanto sopra esposto quanto al tumultuoso affermarsi di fonti di fatto, rilevare come, nell’affrontare uno di tali innumerevoli nodi critici, relativo alla lavorazioni specialistiche ad alto contenuto tecnologico - la Regione inviti esplicitamente gli organi e gli enti destinatari ad ignorare una – innominata - sentenza di TAR, definita isolata, per aderire alla diversa interpretazione preferita dall’Autorità e dalla stessa Regione, enti pubblici entrambi soggetti alla giurisdizione amministrativa (6).
A livello comunitario, viceversa, è di prossima emanazione una direttiva che unificherà gli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi. In tutto, si tratta di 83 articoli (7).
In quale direzione si sarà mosso il Legislatore Veneto, in virtù della potestà legislativa consentita dal nuovo quadro costituzionale?
2) In realtà la risposta al quesito posto al paragrafo precedente è molto semplice: basta uno sguardo al testo della legge in commento (8).
Esso consta di 76 articoli, ma è disseminato di disposizioni la cui attuazione è, in tutto o in parte, rinviata all’emanazione di provvedimenti amministrativi di carattere generale di varia natura, tutti riservati alla competenza della Giunta Regionale.
Essi sono riassunti all’art. 68 che si conclude assegnando il termine di un anno dall’entrata in vigore della legge per la loro emanazione.
Si tratta di ben 8 regolamenti, 6 atti amministrativi – di carattere generale – 5 documenti tecnici – tra i quali il prezziario dei lavori pubblici di interesse regionale – e 5 schemi di contratto. In tutto, fa 24.
A dire il vero l’elencazione non è proprio esaustiva in quanto l’articolo in questione “dimentica” – ad esempio – il provvedimento, sempre riservato alla Giunta Regionale – con il quale devono essere definiti “..i limiti e le modalità per la stipula, interamente a carico delle amministrazioni aggiudicatrici, di polizze assicurative per la copertura dei rischi di natura professionale a favore dei dipendenti delle attività di progettazione, direzione lavori, collaudo, coordinamento della sicurezza, responsabilità del procedimento..”, previsti dall’art. 12.
La legge regionale, dunque, è stata concepita come una piccola “Merloni” che tuttavia può considerarsi tale soltanto con riferimento al suo ambito territoriale di applicazione giacché essa è destinata a consistere, a sua volta, in centinaia di articoli, non appena saranno varati i numerosi provvedimenti di attuazione sopra evocati.
La nuova legge è stata dunque concepita come un vero e proprio “testo unico” destinato a disciplinare l’intera materia in maniera alquanto minuziosa, lasciando spazi ridottissimi alla discrezionalità delle diverse stazioni appaltanti presenti sul territorio della Regione Veneto, in linea di piena continuità con l’operato del legislatore nazionale degli anni novanta (9).
Ci si sarebbe potuti, dunque, legittimamente aspettare che essa sostituisse integralmente il complesso normativo “Merloni”, vista anche la piena potestà legislativa che la Regione Veneto si è, come sopra esposto, espressamente riconosciuta nella materia delle opere pubbliche.
Ciò avrebbe avuto quanto meno il pregio di fornire agli operatori del settore un testo organico ed in sé coerente contenente numerose disposizioni – alle quali si farà cenno in seguito – che tentano di risolvere problemi applicativi, già sperimentati in concreto, creati da taluni istituti di fonte statale.
Sennonché la laconica disposizione dell’articolo 1, comma due della LRV n. 27/2003 (“..per quanto non diversamente disciplinato dalla presente legge, si applicano le disposizioni di cui alla normativa statale vigente in materia di lavori pubblici..”) frustra anche tale residua speranza.
Essa è ulteriormente precisata – e per certi versi limitata - dall’art. 72 – “ulteriori disposizioni transitorie” – che precisa, al comma due, che “..fino alla data di emanazione dei provvedimenti attuativi della presente legge, di seguito indicati, trovano applicazione le disposizioni di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, del DPR 21 dicembre 1999, n. 554 e del DPR 25 gennaio 2000, n. 34:
a) schemi di bando e di convenzione per l’affidamento dei servizi relativi all’architettura ed all’ingegneria, di cui all’art. 9, comma 3;
b) regolamento per la determinazione dei contenuti dei livelli di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di cui all’art. 12, comma 1;
c) regolamento per il sistema regionale di qualificazione di cui all’art. 26, comma 1”.
Il comma terzo precisa, infine, che “..fino all’entrata in vigore del provvedimento di cui al comma 1 dell’art. 43, si applicano le tariffe professionali previste per le procedure arbitrali dal DM 5 ottobre 1994, n. 585..”.
Se ne deve dedurre che, a parte i pochi istituti di derivazione regionale sopra richiamati, destinati, a regime, a sostituire integralmente i corrispondenti istituti di livello nazionale, l’interprete sarà costretto ad un delicatissimo lavoro di raffronto e di integrazione tra le centinaia di norme regionali (di rango primario e secondario), applicabili in prima battuta e le centinaia di norme statali, tuttora vigenti, che continuano a trovare applicazione laddove non “diversamente disciplinato” dalla legge in commento.
Il tutto, naturalmente, tenendo conto delle diverse interpretazioni sino ad ora rese dagli autorevoli interpreti sopra evocati e dalla giurisprudenza che tuttavia dovranno a loro volta essere “filtrate” attraverso le strette maglie delle nuova legislazione regionale di settore.
Le colonne della lista delle lavorazioni e forniture continueranno, dunque, ad essere sette a meno che qualche disposizione regolamentare regionale di prossima attuazione non disponga che esse diventino 5 o 12.
Per rendersi conto dell’estrema complessità del quadro che scaturisce dalle precedenti constatazioni, basti un veloce accenno a due disposizioni regionali ed il loro raffronto con le corrispondenti norme statali.
In tema di ambito di applicazione della nuova disciplina regionale, l’art. 2 vi assoggetta, tra l’altro, i “..soggetti di cui alla lettera b) del comma 2 dell’art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109..” che recita testualmente:
“b) ai concessionari di lavori e di servizi pubblici e ai soggetti di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158, e successive modificazioni, alle aziende speciali ed ai consorzi di cui agli articoli 114, 2 e 31 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, alle società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del citato testo unico, alle società con capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza; ai predetti soggetti non si applicano gli articoli 7, 14, 18, 19, commi 2 e 2-bis, 27 e 33 della presente legge”;
L’ultima parte dell’art. 2 della legge regionale, tuttavia, prevede l’assoggettamento al proprio regime dei “..lavori realizzati da privati strumentali alle attività esercitate sul mercato a prezzi o tariffe amministrati, contrattati, predeterminati nonché i lavori realizzati da società di capitali a partecipazione pubblica della Regione..”.
Orbene, al di là dei legittimi dubbi sulla consapevolezza di che cosa possa significare l’assoggettamento ad una “Merloni regionale” di opere realizzate da privati “puri” e con fondi privati o di società di capitali con partecipazione, magari minima, della Regione, è evidente che per stabilire quali soggetti, diversi dalla P.A. in senso stretto, siano assoggettati alle nuove disposizioni di settore occorre una difficile opera di lettura “in combinato disposto” di due norme assolutamente eterogenee.
Alle quali va aggiunta un’ulteriore singolare disposizione – l’ultimo comma dell’art. 29 – che si preoccupa di sottolineare – chissà perché - che il primo comma di tale articolo si applica anche alle aziende speciali.
Per lo più le norme nazionali non sono neppure citate e dunque diventa più difficile intendere quale sia lo loro residua vigenza.
E’ il caso dello stesso articolo 29, appena citato, che disciplina i lavori in economia. Il primo comma prevede che l’assegnazione in cottimo fiduciario sia preceduta da gara informale, senza alcun riferimento a soglie minime al di sotto delle quali tale formalità possa essere omessa. Viceversa, l’art. 144 comma secondo, del DPR n. 554/99, non espressamente abrogato, prevede che per “..i lavori di importo inferiore a 20.000 Euro si può procedere ad affidamento diretto..”.
Quid iuris pertanto, qualora dopo l’entrata in vigore della legge regionale, una stazione appaltante nel Veneto dovesse affidare lavori di importo modestissimo, comunque inferiore a 20.000 Euro? Potrà, secondo buon senso, giovarsi della citata disposizione nazionale non espressamente abrogata o dovrà – come appare più probabile – ritenerla superata dalla più rigida e successiva norma regionale di rango primario che prevede l’obbligo della gara informale senza eccezioni? Potrà, infine, tale incongruenza essere superata a livello regolamentare senza contrastare con il dato normativo della citata disposizione di legge?
I due esempi citati sono puramente casuali e, probabilmente, neppure tra i più significativi. Giova sottolineare che essi appaiono l’inevitabile conseguenza della scelta di fondo adottata dal Legislatore Veneto: nessun ufficio legislativo, per quanto avveduto ed esperto – quale si è comunque dimostrato quello regionale, come di seguito si vedrà – potrà mai essere così avveduto ed onnisciente da evitare incongruenze tra due testi di legge così minuziosi, concepiti per disciplinare la materia in forma talmente dettagliata da invadere il campo della discrezionalità amministrativa, fino ad annullarla quasi del tutto.
3) La citata impostazione di fondo della riforma regionale sulle opere pubbliche rischia di compromettere, almeno in parte, le innumerevoli migliorie apportate a singoli istituti, che, in tale sede si citeranno, per forza di cose, soltanto parzialmente.
Occorre comunque sottolineare il pregevole lavoro degli uffici, sicuramente personale esperto che ha potuto sperimentare sul campo i numerosi limiti della normativa nazionale ed ha tentato di porvi rimedio riducendo il livello di complessità e di rigidità di talune disposizioni.
Si apprezza, in particolare, la maggior flessibilità degli strumenti di programmazione delle opere pubbliche (si veda, in particolare, l’articolo 4, comma 6) che ben si concilia con la disposizione contenuta all’articolo 7, comma 1, che consente l’approvazione di un progetto preliminare anche in assenza della relativa copertura di spesa al fine di consentire l’accesso a forme di finanziamento pubblico.
Accadeva, infatti, e continuerà ad accadere al di fuori del territorio della Regione Veneto, il paradosso dell’impossibilità di accedere a programmi di finanziamento di opere pubbliche perché il relativo bando di concorso richiedeva, quanto meno, la previa approvazione di un progetto preliminare che però non poteva legittimamente avvenire proprio per la mancanza di una copertura di spesa!
Altra pregevole novità, che si muove nello stesso senso, riguarda la possibilità di suddividere i compiti del responsabile del procedimento in diverse figure, per la progettazione, l’affidamento e l’esecuzione (art. 6, comma 2) alla quale è stata affiancata la possibilità di provvedere , da parte delle stazioni appaltanti ed a loro carico, alla relativa copertura assicurativa.
Sono inoltre stati significativamente semplificati – e ridotti – i livelli della progettazione.
Assai acuta appare l’introduzione della possibilità, da parte del responsabile del procedimento, di attestare direttamente l’agibilità delle opere pubbliche d’interesse regionale così come la previsione dell’equipollenza alla concessione edilizia comunale dell’approvazione di – tutti – i progetti definitivi ed esecutivi di opere pubbliche di interesse regionale (art. 25, comi 3 e 4).
Di rilievo anche l’introduzione di sanzioni di carattere interdittivo per i soggetti abilitati a rilasciare polizze definitive che risultino inottemperanti alla richiesta della stazione appaltante decorso il termine di 15 giorni dalla richiesta (art. 30, comma 7).
Talora, infatti, i rimedi giurisdizionali apprestati dall’ordinamento in caso di inadempimento del garante si sono rivelati scarsamente efficaci.
Apprezzabile anche l’iniziativa di favorire la qualificare delle stazioni appaltanti (art. 11) ed in particolare dei relativi uffici tecnici: innovazione che, tuttavia, mal si concilia con il divieto – anche se meno rigoroso di quello previsto dalla Merloni - di trasferire le funzioni di stazione appaltante ad altro soggetto pubblico (si veda l’art. 27, comma 7).
(*) Avvocato.
(1) Si veda la relazione al Consiglio Regionale, anch’essa pubblicata sul BUR citato, il punto richiamato è a pag. 37.
(2) Si veda, in particolare, il D.L.vo n. 157/95 e il D.L.vo n. 358/92, successivamente riformata dal D.L.vo n. 402/1998.
(3) La direttiva n. 37/93 consta di soli 36 articoli.
(4) Si veda, ex plurimis, CdS n. 1785/03, conferma TAR Lazio.
(5) In precedenza altro documento di analoga natura era stato pubblicato sul BUR n. 82 del 7 settembre 2001.
6) Si veda BUR n. 57/2002, cit. pag. 47.
(7) Il testo ha ottenuto l’approvazione del comitato di conciliazione che raggruppa esponenti del Consiglio, del Parlamento e della Commissione, in data 2 dicembre 2003; si prevede entro gennaio ’04 la pronuncia del Parlamento.
(8) Il quesito, invero, è solo retorico in quanto nella citata relazione al Consiglio si legge: “Conseguentemente, pur rinvenendo nella legislazione statale numerosi aspetti che costituiscono ostacolo ad una celere realizzazione dei lavori pubblici, si è ritenuto di non intervenire a modifica sostanziale delle numerosissime disposizioni dettate dalla legge Merloni, come pure sarebbe stato legittimo alla luce dcei sopra citati principi costituzionali. In omaggio allo stesso criterio, è stato ritenuto di non procedere alla riscrittura del regolamento generale dei lavori pubblici DPR n. 554/1999, in quanto le disposizioni che esso contiene ricalcano in larga parte quelle contenute nel Regio Decreto 25 maggio 1895, n. 350, oramai facente parte del bagaglio culturale e operativo di tutti i soggetti che, a vario titolo, operano nel settore”.
(9) A dire il vero, il Legislatore Veneto consente alla stazioni appaltanti di discostarsi dalla disciplina di secondo livello in talune ipotesi specifiche, purché in forma “motivata” (es: articolo 9, ultimo comma, quanto agli schemi di bando e di convenzione).
Documenti correlati:
LEGGE REGIONE VENETO 7 novembre 2003, n. 27 (in BUR 11 novembre 2003 n. 106) - Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale e per le costruzioni in zone classificate sismiche.