Giust.it

COMMISSIONE BICAMERALE

CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
XIII LEGISLATURA
Commissione parlamentare per le riforme costituzionali,
Comitato sistema delle garanzie.

ESTRATTO DEL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA
N. 21 - Giovedì 17 aprile 1997 - PRESIDENTE GIULIANO URBANI
N.B.: i numeri delle pagine riportati nel testo
corrispondono alle pagine del resoconto stenografico.

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Audizione di

FILIPPO PATRONI GRIFFI,
Presidente dell'Associazione magistrati
del Consiglio di Stato.

A nome dell'Associazione magistrati del Consiglio di Stato vorrei ringraziare il presidente e i membri del Comitato per aver ritenuto di convocare la presente audizione. La nostra Associazione depositerà un breve scritto e ha già inviato una lettera ai signori componenti del comitato, per cui non ripeterò le osservazioni già svolte.

Ci tengo a precisare sotto un profilo di metodo che un'associazione di magistrati per definizione non è un sindacato, nel senso che non è rappresentativa negli interessi degli associati, perché questi non possono essere portatori di interessi distinti dall'istituto cui appartengono.

Vorrei soffermarmi solo su alcuni punti, tenendo conto delle acquisizioni cui dai resoconti sembra pervenuto il dibattito all'interno del Comitato.

Per l'unità della giurisdizione l'orientamento sembra essere quello dell'unità funzionale, con il mantenimento di una giurisdizione amministrativa distinta da quella ordinaria, ferma restando peraltro l'omogeneità dello statuto di indipendenza tra gli appartenenti a tutte le magistrature. Questo è un orientamento che si condivide senz'altro e consente di superare l'attuale anomalia italiana che consiste non tanto nell'esistenza di diritti soggettivi e interessi legittimi quanto nell'aver fondato su tale differenza un riparto di giurisdizione. Forse potrebbe essere chiarito a livello costituzionale il criterio di individuazione della materia, cioè potrebbe forse essere utile costituzionalizzare la ratio della giurisdizione amministrativa che consiste nel sindacato sui pubblici poteri, indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto che li esercita.

Quanto alla ventilata ipotesi di devoluzione alla giurisdizione amministrativa del giudizio di responsabilità contabile, vorrei solo far rilevare che forse una vera correlazione tra le due giurisdizioni non c'è: l'una valuta la legittimità dell'azione amministrativa, l'altra sanziona il comportamento di un agente sotto il profilo della responsabilità patrimoniale. Potrebbero esserci delle difficoltà notevoli nell'adattare il giudizio amministrativo a quello di conto, essenzialmente sotto il profilo processuale e dei soggetti del processo (mi riferisco soprattutto al pubblico ministero).

È stato già dibattuto nei lavori del Comitato il collegamento che può esserci


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in astratto, sia pure non necessariamente, tra scelte sulla forma di Stato e sull'assetto della giustizia amministrativa, perché qualora si voglia valorizzare il sistema delle autonomie, senza dubbio si potrebbe pensare a creare una correlazione tra modello organizzativo e funzionale dei pubblici poteri e modello organizzativo e funzionale della giurisdizione sui pubblici poteri. Qui ci sono varie scelte possibili.

Vorrei poi soffermarmi di più, quasi esaurientemente, sul problema della correlazione tra funzione consultiva e organismo giurisdizionale di vertice. Mi rendo conto di entrare in un argomento caldo, però vorrei suggerire, se possibile, un approccio un po' pragmatico - il pragmatismo non è necessariamente pressappochismo, come insegna la cultura anglosassone - che consenta di evitare la pastoia di contrapposizioni un po' ideologiche che possono peccare di astrattezza.

Desidero fare una precisazione preliminare. Non vi è alcuna correlazione tra il mantenimento della funzione consultiva in capo all'organo giurisdizionale di vertice e la cosiddetta consulenza esterna dei singoli magistrati delle amministrazioni, tant'è vero che ci sono magistrati nelle amministrazioni che appartengono a categorie di magistrati i cui organismi di appartenenza non esercitano funzioni consultive. Comunque, della consulenza esterna non parlerò minimamente, perché vorrei soffermarmi solo sul profilo della funzione consultiva di istituto.

Terrei presenti tre elementi: il modo concreto in cui opera la funzione consultiva; il raffronto comparato; la ricerca pragmatica di alcune soluzioni che abbiano come obiettivo quello di rafforzare il livello di garanzia dei cittadini piuttosto che quello di rispondere ad un certo modello astratto di giudice (ognuno può legittimamente avere il proprio modello di giudice).

L'Italia, come è riconosciuto a livello internazionale, ha un sistema giurisdizionale amministrativo che forse offre il tasso più alto di garanzia del cittadino in Europa, almeno quanto a possibilità di ricorrere al giudice e ai suoi poteri. L'ordinamento italiano ha sempre cercato un punto di equilibrio tra tutela del cittadino e salvaguardia dell'interesse pubblico generale rispetto agli interessi organizzati di privati e ha delineato il seguente sistema: un giudice amministrativo di primo e secondo grado profondamente diverso dal giudice civile, che è un mero arbitro di una lite tra privati, quindi è estraneo ad ogni considerazione dell'interesse pubblico generale. Il giudice amministrativo anche quando giudica valuta in concreto l'azione amministrativa, tiene presente l'interesse pubblico generale e orienta l'azione dell'amministrazione in modo da assicurare, anche oltre il processo, il rispetto della legalità sostanziale. Il secondo elemento di questo sistema è un giudice amministrativo di secondo grado attributario di funzioni di consulenza proprio per completare il colloquio con l'amministrazione, che va orientata al rispetto della legge fin dall'inizio della sua attività, in modo da prevenire la lite.

Dobbiamo tener presente che la lite tra amministrazione e cittadino è comunque una perdita di credibilità per l'amministrazione e pone in dubbio la certezza dei rapporti tra cittadino e amministrazione.

In concreto, in cosa consiste veramente questa funzione consultiva? Non nel dare consigli all'amministrazione o nel fare il consulente del principe. Sul punto vorrei mi fosse consentito non solo rappresentare la mia esperienza ma, come suggeriva il presidente, portare una testimonianza. Sono stato giudice ordinario; sono stato giudice di tribunale amministrativo e infine giudice del Consiglio di Stato. Ammetto che all'inizio avevo perplessità sulla funzione consultiva, perché venivo da un'altra formazione, avevo un'altra esperienza. Poi ho cominciato a svolgere attività consultiva e non ho avuto crisi di identità, nel senso che mi sono accorto che anche se non ascoltavo avvocati, ed emettevo pareri anziché sentenze, la mia attività di giudice non era mutata e, meno che mai, avvertivo un'attenuazione della mia indipendenza o della mia terzietà.


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Forse oggi il problema è proprio la denominazione che, oserei dire, è infelice o quanto meno fonte di equivoci, così come forse è inadeguato l'attuale assetto della funzione consultiva. Si dovrebbe forse chiamare «funzione di garanzia preventiva della legittimazione dei pubblici poteri».

Non usando parole mie, vorrei dire che verificare prima di un'impugnativa giurisdizionale la legittimità di un atto serve ad evitare le complicazioni scaturenti inevitabilmente dall'annullamento in sede giurisdizionale pronunciato dopo che l'atto abbia prodotto i suoi effetti. Questi sono i termini con cui si esprime la Corte di giustizia dell'Unione europea in numerosi pareri dagli anni settanta in poi. E ancora (non uso parole mie) «è pacifico che anche nell'esercizio della competenza consultiva un tribunale agisce nella propria qualità di organo giurisdizionale»: queste sono parole contenute in un parere della Corte internazionale di giustizia dell'ONU. Entrambi questi organismi, infatti, assommano alle competenze giurisdizionali competenze consultive in ordine agli stessi tipi di atti che poi giudicano. Dagli osservatori e dai commentatori di questi organismi la ragione è individuata in ciò: è naturale che l'organo giurisdizionale di vertice che verifica la legittimità degli atti sia chiamato a svolgere in via preventiva la stessa identica verifica di legalità, che viene effettuata con gli stessi criteri e gli stessi parametri. Del resto, di recente la Corte di giustizia dell'Unione europea ha ritenuto ammissibile l'esame di una questione pregiudiziale di interpretazione del trattato sollevata dal Consiglio di Stato italiano in sede consultiva proprio sul rilievo della natura sostanzialmente giurisdizionale dell'organo e dell'attività. Del resto, questa duplicità di funzioni, oltre che nelle corti menzionate, esiste, almeno limitandoci all'Europa, in tutti i paesi europei salvo che in Spagna, Germania, Portogallo ed Austria.

Forse, il motivo di fondo su cui si potrebbe riflettere è il seguente: le funzioni consultive non sono serventi rispetto all'organo che richiede il parere, sono piuttosto funzioni esercitate nei confronti dell'organo però a garanzia dell'ordinamento.

Vorrei focalizzare alcuni punti concettuali. In primo luogo, forse, non è opportuno esaltare la forma e il momento giurisdizionale del controllo di legalità. Dicendo che solo chi emette sentenze è giudice e che solo questi è e deve essere terzo, neutrale e imparziale si sminuiscono, quanto a effettività e prestigio, quelle attività di verifica che consentono di evitare il proliferare di giudizi e giudici, quando invece forse un paese è tanto più civile quanto meno sono importanti i giudici. In secondo luogo, se la consulenza attribuita all'organo giurisdizionale è in funzione di garanzia e consiste nella verifica preventiva di legalità, ne deriva (anche non volendo ovviamente) che scindere le funzioni significa rendere meno efficace e quindi attenuare il livello di legalità. Inevitabilmente, mi sembra, un Consiglio di Stato solo consultivo (che sarebbe un esempio pressoché unico se si eccettua il caso della Spagna, dove peraltro esiste una monarchia e il Consiglio di Stato ha altre funzioni) si ridurrebbe a poco più di un ufficio studi, sarebbe un mero organo consultivo interno all'amministrazione, di cui forse il nostro ordinamento non avrebbe necessariamente bisogno.

La funzione di garanzia è svolta per sua natura in posizione di terzietà; direi che intanto ha una logica in quanto sia svolta da un giudice terzo. Faccio qualche esempio. La commissione speciale pubblico impiego in genere individua, a fronte soprattutto di alcuni mutamenti normativi, la linea a cui poi è opportuno che le amministrazioni si attengano, per evitare che su questioni importanti si arrivi ad un assestamento della giurisprudenza solo al termine dei processi, cioè dopo cinque, sei anni. In occasione dell'attuazione della legge n. 241 del 1990 sulla trasparenza, il Governo intendeva emanare norme regolamentari che riducevano le garanzie di accesso. In quel caso, in sede di emanazione del parere, il Consiglio di Stato precisò che quelle disposizioni contrastavano


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con la legge e quindi correvano il rischio successivo di annullamento in sede giurisdizionale.

Dagli esempi si può evincere che la funzione consultiva - ripeto - è una funzione che assicura la legalità in via preventiva dell'azione amministrativa. Se questa verifica non fosse fatta in via preventiva, dovremmo aspettare anni, cioè la durata dei processi, per sapere se e come l'azione amministrativa sia legale. In definitiva, mi sembra che la funzione di garanzia preventiva e successiva, cioè la consultiva e la giurisdizionale, possano saldarsi tra loro in modo da assicurare una tendenziale stabilità dell'ordinamento (ovviamente solo tendenziale, perché non è che ciò poi riesca benissimo).

Diversa questione è quella dell'esercizio separato di tali funzioni da parte dei singoli magistrati. Anche qui va chiarito quello che mi sembra un equivoco. Anche nel nostro paese, l'incompatibilità dei magistrati a pronunciarsi due volte sulla stessa questione riguarda il fatto concreto, non l'interpretazione e l'applicazione della norma. Questo anche per gli organi giurisdizionali puri, per intenderci. Il giudice applica infinite volte, interpretandola, una norma: ogni volta che decide una causa si pronuncia di nuovo sulla stessa norma, che ha già interpretato, ma questo non crea incompatibilità. E questo è quello che fa il consigliere di Stato quando valuta una norma regolamentare in sede consultiva e in sede giurisdizionale: si pronuncia due volte non sullo stesso fatto, ma sulla stessa norma. Perciò forse negli altri paesi, dove l'attività consultiva riguarda prevalentemente gli atti generali e normativi, il problema dell'incompatibilità anche soggettiva non si pone: la Corte di giustizia dell'Unione europea e quella dell'ONU giudicano nell'identica composizione la stessa questione in sede consultiva e in sede giurisdizionale. In Lussemburgo, il consiglio di Stato emana nella stessa seduta pareri e sentenze. In Francia, addirittura, per i primi anni è obbligatorio che il consigliere di Stato sia addetto a due sezioni. Naturalmente, però, è ragionevole introdurre - se lo si ritiene opportuno - un principio di separazione delle funzioni in capo allo stesso organo. Questo tra l'altro consentirebbe poi alla legge ordinaria di utilizzare una serie di meccanismi che evitino che lo stesso magistrato possa pronunciarsi nella duplice sede: penso a meccanismi di assegnazione esclusiva e per durata predeterminata a una sezione o all'altra, a meccanismi anche concorsuali per il passaggio da una sezione all'altra.

Per quanto riguarda l'organo di autogoverno, mi limito a richiamare il problema e a due notazioni, per rimanere nell'ambito dei dieci minuti assegnati dal presidente (se ho fatto bene i conti, dovrei avere a disposizione ancora due minuti). Vorrei sottolineare, in primo luogo, la necessaria presenza di membri laici, che hanno la funzione, come avvertì Mortati nei lavori della Costituente, di evitare la chiusura corporativa che sempre alligna nei grandi corpi dello Stato e nel potere giudiziario, e di garantire la stessa indipendenza interna dei magistrati nei confronti di logiche correntizie che inevitabilmente possono tendere a formarsi all'interno delle magistrature. Poi si potrebbe forse ripensare la logica della rappresentanza meramente proporzionale della componente togata, che è una logica forse più riferibile propriamente a sistemi elettivi di rappresentanze politiche. Si potrebbe quindi pensare a rappresentanze paritarie per componenti delle singole magistrature. Al riguardo, qualcosa più in dettaglio la troverete nel testo che poi lascerò a disposizione del Comitato.

Voglio fare solo una notazione finale. A me personalmente, signor presidente, crea disagio e riesce difficile comprendere perché chi fa il giudice da vent'anni, per aver sostenuto e superato il concorso per consigliere di Stato, non possa più ricoprire lo status di magistrato, ciò per il solo fatto (secondo la mia opinione) di fare il giudice anche prevenendo controversie e non soltanto giudicandole. Ma ovviamente il problema non è solo di persone, anche se le istituzioni vivono nella loro realtà attraverso gli uomini. Vorrei solo dire che l'attuale assetto della


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giustizia amministrativa caratterizza 150 anni della storia istituzionale del nostro paese. Vorrei quindi che si avvertisse noi tutti, ovviamente nei rispettivi ruoli, la responsabilità di questa scelta, che ha tutti i connotati - e lo dico senza retorica - di una scelta storica. Questo sia detto - ripeto - senza che appaia come una sorta di perorazione di una causa che miri a convincere l'interlocutore. Questo - vorrei ribadirlo - mi parrebbe in primo luogo poco rispettoso per il ruolo di costituenti oggi svolto dai membri del Parlamento. Ma per la verità non sarebbe rispettoso nemmeno per la dignità dell'istituto a cui abbiamo l'onore di appartenere, dignità che forse conta di più della sua stessa sopravvivenza. Ringrazio molto per l'attenzione.


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Audizione di

GIUSEPPE CARUSO,
Presidente dell'Associazione nazionale
magistrati amministrativi.

Saluto il presidente e ringrazio tutti i membri del Comitato per l'attenzione che hanno voluto avere nei confronti della categoria che rappresento in questo momento. Quello che i magistrati dei TAR intendono rappresentare al Parlamento nel momento in cui lo stesso assolve all'alta funzione di rivedere le regole fondamentali della nostra convivenza civile non può che attenere ovviamente alla giustizia amministrativa, che è la materia della quale ci occupiamo ogni giorno.

Rivendico per la categoria (se si può parlare al riguardo di rivendicazione) il fatto che tre quarti dei magistrati amministrativi lavorano presso i TAR. In tutto sono 400: 300 lavorano presso i TAR! L'86 per cento delle sentenze sono definitive, cioè la giustizia amministrativa in Italia oggi è esercitata all'86 per cento dai TAR. Dal 1974, anno in cui i TAR hanno iniziato a funzionare, forse vi è stato uno sviluppo della giustizia amministrativa e delle garanzie offerte ai cittadini che nei precedenti 130 anni non si era mai visto, tant'è che i 15 mila ricorsi che erano previsti nel 1974 come numero annuo di ricorsi sul quale sono stati appunto parametrati il numero dei magistrati e le strutture sono divenuti, nell'ultimo anno, ben 100 mila. Ciò significa che c'è una situazione di estremo disagio; ma questo attiene ai problemi del legislatore ordinario ed in un momento nel quale si parla di modifiche alla Costituzione non voglio trattare problemi di bottega e di funzionamento spicciolo. Mi atterrò quindi a temi di livello costituzionale.

Si è parlato di modello della giustizia amministrativa. Non trovo nulla di strano ad immaginare una giurisdizione unica con sezioni specializzate; funzionerebbe comunque ed i magistrati andrebbero bene, come accade in Spagna. Qualunque posizione di principio contraria secondo me non è fondata sui fatti ma sulla difesa dell'esistente: tutte le strutture tendono a continuare ad esistere, ma non è detto che sia bene che esistano. Probabilmente il principio di unità potrebbe migliorare certi aspetti assolutamente inaccettabili della situazione attuale, nella quale un pubblico funzionario o un amministratore può essere perseguito ed inquisito sotto vari aspetti.

In seguito ad una stessa decisione da lui assunta - e quindi per un stesso principio di diritto amministrativo - egli può essere chiamato in giudizio innanzi al giudice amministrativo per sentir dire se un ricorso avanzato da un privato nel suo interesse sia o meno fondato; può essere inquisito dalla procura cui lo stesso cittadino si sia rivolto con un esposto; può, dopo alcuni anni, essere chiamato a rispondere del danno erariale sulla pretesa illegittimità dello stesso atto.

Nessuno dei tre giudici ha oneri di coerenza con quanto hanno stabilito gli altri due: è questo un sistema giurisdizionale? E poi abbiamo da dire contro i funzionari o gli amministratori che stentano a firmare! Vorrei vedere: non è tanto semplice fare l'amministratore o il


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funzionario in un «non sistema» giurisdizionale come questo!

Quindi, il principio di unità della giurisdizione è sacrosanto sotto l'aspetto della funzionalità dell'ordinamento. Ovviamente, vi sono altre ragioni che hanno storicamente caratterizzato la giustizia amministrativa le quali - mi pare che la stessa Commissione bicamerale sia orientata in questo senso, e che siano state formulate due ipotesi - giustificano il mantenimento di un'autonomia quanto meno funzionale del settore.

Devo però dire che sono stanco di assistere a giudizi sugli appalti che passano indenni nelle aule dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato, mentre qualche mese dopo emergono fatti incredibili e gravi al di fuori degli stessi giudizi. Che cosa può pensare il cittadino di tutto ciò? Non si tratta del fatto che molto spesso ci può essere una giustificazione di tipo logico, consistente nel rilievo che gli oggetti del giudizio sono diversi: a volte è così, nel senso che il giudice amministrativo valuta se il motivo che gli è dedotto contro un certo atto sia o meno fondato, mentre il giudice penale valuta comportamenti e lo stesso fa il giudice contabile. Però qualche volta la diversità di giudizio attiene proprio alla legittimità di un atto, ad una regola di diritto amministrativo. Mi chiedo allora come possa l'ordinamento allo stesso tempo istituire un giudice che ha lo scopo specifico di stabilire quale sia il diritto amministrativo e poi, nel momento in cui è più importante decidere quale sia la regola - quando, cioè, bisogna mettere o meno in galera la gente - far decidere in modo del tutto dissociato un altro giudice.

Sottopongo quindi alla Commissione come un'esigenza del corpo sociale l'adozione di misure di coordinamento, nell'ambito dell'autonomia funzionale - qualora si intenda mantenerla -, della giustizia amministrativa. Quali potrebbero essere queste misure? Penso che su certe materie - per esempio quella elettorale o degli appalti - un pubblico ministero amministrativo con il potere di impugnare gli atti, e quindi con la certezza che il giudice amministrativo non si pronuncerà solo su un motivo dedotto da un privato nel suo interesse ma sulla legalità complessiva del comportamento dell'amministrazione in quella fase, potrebbe essere utile.

Altre esigenze possono essere fronteggiate con la previsione della partecipazione dei magistrati amministrativi agli organismi giurisdizionali che si occupano di questioni nelle quali rientrano reati contro la pubblica amministrazione. Immagino quindi la possibilità che nei collegi che decidono su questo tipo di reati siano presenti magistrati amministrativi che portino il loro contributo di conoscenza di quella specifica branca del diritto. Mi riferisco anche alle procure: non dimentichiamo che per certi reati i maggiori problemi insorgono nel momento in cui viene inviato l'avviso di garanzia, per poi perdersi nel nulla. Anche in questa sede, un contributo come quello che ho descritto mi sembrerebbe opportuno.

Compiuta la scelta sull'autonomia funzionale, rimane da compierne un'altra. A quale modello si deve ispirare questo giudice amministrativo autonomo funzionalmente? Al modello del giudice interno all'amministrazione, evoluzione del funzionario consulente cui si rifaceva un momento fa il presidente Filippo Patroni Griffi, oppure al modello del giudice autonomo, terzo - secondo il concetto sattiano - non interessato alla causa? Dal tono delle mie parole è evidente a quale modello io mi riferisca: al giudice terzo. Non è ipotizzabile, anche a livello di immagine complessiva, una soluzione diversa; quali garanzie può avere il cittadino se sa che la sua causa è decisa da chi ha conosciuto in altra sede la stessa norma che ora applica? Non mi soffermo sul fatto che ciò possa avere giustificazioni di tipo funzionale; ma, a proposito della necessità di prevenire la lite, in un sistema come il nostro nel quale il Consiglio di Stato ha dato pareri su tutto registriamo ugualmente centomila ricorsi l'anno!

Inoltre, non passerei sotto silenzio il fatto che il giudice amministrativo, come singolo, è poi componente dei gabinetti. È


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vero che istituzionalmente ciò non rileva ma se 60 fra i 100 componenti del Consiglio di Stato hanno incarichi governativi, è difficile sostenere che ciò non abbia riverberi sulla sostanza dei fatti. Affermare il contrario equivale a nascondersi la realtà: il riverbero c'è. Ho sentito un attimo fa dire che altra era la formazione e l'esperienza necessaria per fare il giudice «puro»: è vero. Il nostro attuale sistema prevede che i giudici amministrativi di primo grado siano «puri» e abbiano altra formazione ed altra esperienza, come ha detto un attimo fa il presidente dell'Associazione dei consiglieri di Stato; i giudici di appello hanno un diverso modo di vedere la realtà.

Ora, mi chiedo: il legislatore costituzionale deve o no preoccuparsi di omogeneizzare una giurisdizione siffatta? Si può andare avanti in questo modo? I rappresentanti dei TAR in seno al Consiglio di Presidenza, che sono in minoranza pur essendo la maggioranza dei giudici amministrativi, (oggi sento dire che bisognerebbe non essere proporzionalisti) si sono dimessi; si tratta di una gravissima crisi istituzionale che sicuramente il Presidente Laschena avrà sottolineato in questa sede. Da venti giorni non c'è più un organo di autogoverno perché i rappresentanti dei giudici «puri» non ritengono di poter continuare a coabitare con i giudici consulenti.

Il modello di Consiglio di Stato «alla francese» non è neutro; in esso quest'organo assume un ruolo politico che andrebbe meglio sottolineato. Non dimentichiamo l'interscambio che esiste in quel paese - nel quale si applicano le regole auspicate in questa sede dai rappresentanti del Consiglio di Stato - in ordine alla gestione complessiva della cosa pubblica, senza che alcuno ne risponda agli elettori. Mi sembra che il punto meriti una discussione più attenta.

Non dimentichiamo inoltre che il controllo di legalità non può essere abbandonato alle procure della Repubblica. Ecco riemergere quell'esigenza di coordinamento e di intervento del giudice, che poi è colui che ha creato il diritto amministrativo.

Un altro aspetto che volevo sottolineare è relativo alla composizione del CSM ed allo status dei magistrati. Credo che la composizione del Consiglio superiore sia da mantenere nella forma attuale. Se un organo deve essere di autogoverno non può avere un carattere oligarchico. I magistrati sono soggetti solo alla legge e quindi sono uguali fra loro. Il principio «ogni uomo un voto» è stato applicato di recente anche in Sud Africa; introdurre il principio contrario in Italia mi sembrerebbe una forzatura antistorica sul terreno della rappresentatività.

Concludo esprimendo la piena e convinta adesione - forse sarà l'unica - della mia associazione alle linee del dibattito emerse nella Commissione bicamerale in ordine ai punti di cui ho parlato: giudice amministrativo, autonomia funzionale, rappresentatività effettiva delle categorie del CSM, unità di status dello stesso giudice amministrativo.

Auspico solo che le resistenze che indubbiamente ci saranno non facciano venir meno la spinta al cambiamento; del resto, centocinquant'anni di esistenza del giudice dell'amministrazione hanno in realtà prodotto l'amministrazione più inefficiente del mondo occidentale: che cosa abbiamo da perdere se tentiamo un rinnovamento?


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Audizione di

FURIO PASQUALUCCI,
Presidente dell'Associazione magistrati
della Corte dei conti.

Ringrazio il presidente del Comitato per averci dato la possibilità di esporre le nostre valutazioni in merito agli importantissimi temi all'esame di questa «Assemblea costituente».

In considerazione del tempo a disposizione, rinvio, per gli argomenti che non riuscirò a trattare o ad approfondire, alla relazione che abbiamo rassegnato agli atti.

Quello attuale è un momento particolarmente difficile per la Corte dei conti. Tali difficoltà nascono dal fatto che, leggendo i resoconti dei lavori del Comitato, abbiamo constatato come l'ipotesi di sottrazione della funzione giurisdizionale all'istituzione


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Corte dei conti sia spesso ricorrente. Ciò, naturalmente, non può che creare un certo turbamento nella magistratura contabile, che a questa attività si dedica con entusiasmo (secondo taluno, anzi, con eccessivo entusiasmo) e comunque con la convinzione di svolgere una funzione utile per la collettività.

Il turbamento è accresciuto dal dover constatare come dalla lettura degli atti non sia facile cogliere le motivazioni che presiedono alle diverse proposte tese a sottrarre la giurisdizione contabile alla Corte dei conti. Noi, proprio come giudici contabili, siamo abituati a chiedere la resa del conto: quale occasione migliore per rendere il conto di questa giurisdizione, di quella che ci vede oggi davanti ad un Comitato che rappresenta la massima espressione della sovranità popolare, con funzioni costituenti! La resa del conto, a mio avviso, deve passare anzitutto attraverso un dato quantitativo. La produzione annua collegata alla funzione giurisdizionale della Corte dei conti può essere riassunta nei seguenti termini: 22 mila sentenze in materia di pensioni; 1.500 sentenze in materia di responsabilità; 10 mila pronunce in materia di conti giudiziali; 46 mila procedimenti di archiviazione. Per quanto riguarda l'attività di controllo, successivamente alle modifiche introdotte nel 1994 dalla legge n. 20, il controllo preventivo è rimasto limitato ad alcune decine di migliaia di provvedimenti. Nell'ultimo anno sono state fatte 88 relazioni di carattere generale per quanto riguarda la gestione della finanza dello Stato, degli enti locali e degli enti pubblici più importanti. Ottantotto relazioni potrebbero sembrare un numero non particolarmente rilevante; se si pensa, tuttavia, che la Corte dei conti europea produce, in media, una quindicina di relazioni all'anno, ci si rende conto che si tratta di un'attività di una certa consistenza.

Ovviamente, sorvolo sugli aspetti qualitativi di questa attività, che non possiamo certo essere noi stessi ad indicare. Devo dire, però, che il legislatore ha finora ritenuto di sottolineare positivamente lo svolgimento della funzione giurisdizionale tanto che, con una serie di leggi (la n. 70 del 1975, la n. 335 del 1976, la n. 142 del 1990, le leggi nn. 19 e 20 del 1994), ha continuamente ampliato l'ambito di applicazione di questa giurisdizione. Di recente, con la legge n. 639 del 1996, la giurisdizione contabile è stata ancora oggetto di un'accurata analisi da parte del legislatore e sono stati introdotti taluni paletti e correttivi per evitare un'ingerenza eccessiva della funzione giurisdizionale, specialmente nel campo dell'autonomia gestionale. Su questa base è stata delineata una giurisdizione che sembra aver raggiunto positivi equilibri nel rapporto tra il controllo della giurisdizione e l'esercizio dell'autonomia amministrativa.

Alla luce di queste leggi, credo si possa ritenere che si tratti di una giurisdizione vitale, una giurisdizione che ha un suo impatto nella realtà politica. In particolare dopo la regionalizzazione, abbiamo visto come i cittadini abbiano rivolto una forte aspettativa agli uffici giurisdizionali della Corte dei conti, con esposti e denunce. Tutto questo, insieme alle sentenze alle quali facevo prima riferimento, viene a creare un forte effetto di prevenzione generale, prima ancora che speciale. È chiaro, infatti, che i pubblici dipendenti, i pubblici funzionari e, in particolare, i pubblici amministratori, hanno bisogno di un punto di riferimento proprio per poter resistere alle pressioni continue provenienti dalla base. Pertanto, la presenza di un giudice che possa intervenire per prevenire ed anche per sanzionare determinati comportamenti di cattiva gestione rende forte lo stesso amministratore, consentendogli di opporre un rifiuto alle richieste continuamente avanzate dalla piazza.

Accanto a questo, credo inoltre che si tratti di una giurisdizione in grado di determinare un forte effetto deflattivo, specialmente con riferimento al fenomeno penale; anzi, credo, sotto questo profilo (chiaramente, si tratta di un compito riconducibile più al legislatore ordinario che a quello costituzionale), che l'effetto deflattivo andrebbe accentuato attraverso un'ampia opera di depenalizzazione che


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convogli tutta una serie di ipotesi di cattiva gestione del pubblico denaro nei confronti della gestione contabile anziché verso il giudice penale. Tengo a sottolineare che una caratteristica fondamentale di questa giurisdizione, caratteristica che in ogni caso dovrebbe essere tenuta presente, è collegata alla presenza del pubblico ministero, elemento essenziale per lo svolgimento di tutta l'attività.

Abbiamo esperienze pluridecennali in ordine alle quali si verifica che, allorquando la funzione giurisdizionale sia affidata ad un giudice che non abbia un impulso di parte pubblica, la funzione stessa rimane inerte e non ha modo di esplicarsi. A tale riguardo, mi limito a citare gli esempi della giurisdizione nel campo degli enti pubblici economici e degli enti locali prima che intervenisse la legge n. 142 del 1990, con riferimento ai quali si è constatato come tutta una serie di ipotesi di cattiva gestione di pubbliche risorse non abbia trovato alcuna sanzione poiché, essendo competente il giudice ordinario, veniva a mancare l'attore (non vi sono state, quindi, colpe del giudice ordinario ma mancava chi potesse chiamralo in causa). Si tratta di un fenomeno pressoché analogo a quello ricordato da Caruso con riferimento agli interventi dei TAR.

A fronte dell'attività svolta dalla giurisdizione contabile, è chiaro che si pone il problema se mantenere la specificità di tale giurisdizione, ovvero convogliarla o nel quadro di una giurisdizione unitaria oppure in quello di una giurisdizione amministrativa, così come prospettato in diverse ipotesi. Credo che la specificità abbia un suo valore positivo, che va difeso. Il pluralismo culturale non è un fatto negativo, ma un fatto di sviluppo. La pluralità di approcci a medesime tematiche ha sempre comportato un progresso. Ciò che si deve temere è, invece, l'omogeneizzazione, che tende ad annullare le differenze, e sappiamo che le differenze sono moltissime. In considerazione dei tempi ristretti a disposizione, non mi soffermerò sulle differenze tra la responsabilità civile e la responsabilità che emerge nel campo della giurisdizione amministrativa e contabile, rinviando ai documenti che abbiamo consegnato; né mi soffermerò sulle specificità del giudizio di conto, che ha tutta una sua problematica che va dall'esame dei capitoli di bilancio finalizzato alla verifica di eventuali sfondamenti, all'osservazione dei limiti sull'anticipazione di cassa, fino alle modalità di pagamento. Potrebbe sembrare un discorso abbastanza routinario, ma si verifica spessissimo il caso di banche tesoriere che pagano male. Dopo che la legge n. 142 ci ha consentito di intervenire nel campo della gestione dei comuni, abbiamo addirittura riscontrato allarmanti fenomeni, molto frequenti, collegati ad una pluralità di mandati sui quali veniva aggiunta a mano la formula: «Pagabile nelle mani di tizio». Si tratta per lo più di mandati di pagamento per contributi INPS, pagati nelle mani degli stessi soggetti che portavano il mandato i quali, invece che inviare i soldi all'ente destinatario, li hanno trattenuti presso di loro. Questo sembra un caso limite, ma si è verificato spessissimo: è un altro degli inconvenienti che si può evitare attraverso l'esame della modalità di pagamento dei titoli di spesa.

Corretta ripresa dei residui attivi e passivi, accertamento dei versamenti dei ticket per quanto riguarda le USL, gestione dei proventi contravvenzionali: è tutta una serie di attività specifiche che attengono all'esame sul conto che sarebbe assolutamente difficile - lo ricordava il presidente dell'Associazione magistrati del Consiglio di Stato - cercare di inserire nell'ambito del giudizio amministrativo.

Ritengo ci siano elementi sufficienti per sostenere la specificità di questa giurisdizione e per ritenere che, mantenendola distinta dalle altre, possa meglio raggiungere il risultato di cercare di concorrere in tutti i modi alla corretta gestione del pubblico denaro.

So bene che, a fronte di questa situazione di specificità, si pone il problema della pluralità di valutazione a fronte di uno stesso fatto; però, non sarei dello stesso avviso espresso dal collega Caruso,


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il quale ritiene che con l'unità della giurisdizione si verrebbe a superare il problema della diversità di valutazione di un'analoga fattispecie. Il problema è completamente diverso. Ce l'ha spiegato Chiovenda ponendo i principi della procedura civile: il giudicato si forma sul caso concreto, in relazione a quelle che sono le parti e in relazione a quella che è la richiesta. Uno stesso caso concreto, valutato fra parti diverse sulla base di un petitum, di una causa petendi, diversa ha dei risultati diversi. Se così non fosse, il giudice diverrebbe legislatore, perché pronunziando su un singolo caso darebbe poi ad esso una valenza generale che eccederebbe le singole parti del processo. Quest'ultimo deve assicurare la certezza di un bene specifico in riferimento alle parti del processo stesso; è questa la sua funzione. Pensare che il processo possa accertare in senso assoluto la legittimità o la liceità di un certo comportamento significa attribuire al giudice un ruolo che non gli compete e attribuire al pubblico ministero - vedo il senatore Pellegrino che mi guarda non molto convinto - un potere che non gli compete. Se infatti il pubblico ministero - unico - dovesse convenire in giudizio l'amministratore sotto tutti i profili ipotizzabili che si riferiscono al comportamento di questo amministratore, prima di tutto egli dovrebbe essere un controllore a 360 gradi: si dovrebbe cioè verificare proprio quello che si teme e che si vuole evitare, vale a dire che ci sia una fusione assoluta tra funzione di controllo e funzione del pubblico ministero; si verrebbe quindi a creare questo supermoloc titolare di tutte le azioni possibili nel campo della liceità contabile, della liceità penale, della legittimità amministrativa, il quale, con un'unica azione, dovrebbe assorbire tutto questo. Io penso che si verrebbe a creare un organo - questa volta sì - troppo forte e quindi un pericolo per le istituzioni.

Altri due accenni molto rapidi. Il Parlamento europeo ha sostenuto la validità del modello che abbiamo attualmente nella Corte dei conti italiana, cioè dello svolgimento comune di una funzione di controllo e di una funzione giurisdizionale - nei documenti che vi lascerò ve ne è una copia - ed ha auspicato che la stessa Corte dei conti europea, oltre a svolgere la funzione di controllo, possa svolgere una funzione di giurisdizione contabile, proprio per perseguire le responsabilità degli amministratori e dei dipendenti della Comunità.

Per quanto riguarda il controllo, vorrei insistere sull'importanza che coloro cui è affidato lo svolgimento del controllo abbiano carattere magistratuale: ciò, oltre che per garantire la neutralità di questa funzione, anche per un altro aspetto importantissimo, vale a dire la possibilità di adire la Corte costituzionale per quanto riguarda la copertura delle leggi. Noi sappiamo che, nel nuovo modello di Stato che si sta configurando, il policentrismo economico è uno degli elementi essenziali. C'è bisogno di una fase per ridurre ad unità l'equilibrio finanziario. La Corte dei conti - di recente la Corte costituzionale ha aperto molte possibilità - è forse l'unico organo che possa sistematicamente rilevare la mancanza di copertura nelle leggi di spesa ed investirne la Corte costituzionale; se si elimina il carattere magistratuale al controllo, questa funzione - in futuro essenziale - verrà meno ed è chiaro che i problemi saranno enormi.

Per il resto, signor presidente, mi rimetto alla documentazione. La magistratura contabile è senz'altro favorevole al concetto di un'unità funzionale della giurisdizione, con la costituzionalizzazione sia delle garanzie, sia di un organo di governo autonomo, sia - ci tengo a sottolinearlo, perché è una nostra forte istanza - delle incompatibilità. Noi riteniamo che debbano essere previste per tutti i magistrati delle incompatibilità e che debbano essere previste a livello di Costituzione, in modo da evitare problemi di interferenze tra funzioni, che possono essere negative.

Infine, si è detto a proposito del Consiglio di Stato - ho letto dagli atti - che eventualmente, nel caso in cui si ravvisino delle incompatibilità tra la funzione


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consultiva e quella giurisdizionale, la legge ordinaria potrebbe prevedere modalità di separazione tra le due funzioni: penso che la stessa cosa potrebbe dirsi per quanto riguarda l'attività di controllo e l'attività giurisdizionale della Corte dei conti; a nostro avviso, non hanno alcuna incompatibilità, ma nel caso la Commissione dovesse ravvisarne, lo stesso criterio che viene individuato per il Consiglio di Stato potrebbe essere adattato alla Corte dei conti.

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