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Rassegna stampa
Arturo Bianco
Linea mobile tra i politici e la dirigenza
(Il Sole 24 Ore, 17 gennaio 2000 - Enti locali)
Appare molto mobile la linea di confine che separa le
competenze dei dirigenti da quelle degli organi politici negli enti locali. Le
singole amministrazioni hanno uno spazio di intervento che è consistente sul
terreno della definizione della metodologia dei rapporti; un terreno su cui
peraltro risulta concretamente utile mettere a punto specifiche regole.
I riferimenti normativi. Gli statuti degli enti locali sono chiamati dalla legge
142/90 a specificare «le attribuzioni degli organi» e dettare i
"criteri" per la direzione degli uffici da parte dei dirigenti; essi
possono riservare agli organi di governo «l'adozione di atti che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno». L’ambito di utilizzo di tale possibilità
è significativamente ristretto dalla normativa, che detta principi molto
vincolanti. Infatti il Dlgs 29/93 e la legge 127/97 sanciscono l’attribuzione
ai dirigenti dei poteri di gestione. Il Dlgs 80/98 ha introdotto la regola per
cui «tutte le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo
l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si
intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti».
Siamo cioè dinanzi a norme molto chiare e univoche nel fissare la ripartizione
delle competenze tra la sfera politica e quella burocratica. Neppure dettare in
sede statutaria previsioni diverse può risultare utile.
E così, a esempio, fissare in capo alla giunta la competenza alla approvazione
degli atti delle commissioni di concorso o di aggiudicazione degli appalti o al
conferimento degli incarichi professionali, non si traduce sicuramente nel
risultato di dare legittimità a comportamenti che sono completamente al di
fuori del modello legislativo, modello che è su questo punto dotato di una
forza "cogente" sugli statuti, visto che le norme sono di principio e
sono contenute in leggi che dettano principi. Né tali conclusioni sono
contraddette dalla decisione n. 1164, pronunciata dalla quarta sezione del
Consiglio di Stato il 5 luglio ’99, che ribadisce in capo alla giunta la
competenza a deliberare la azione o la resistenza nei giudizi, salvo che lo
statuto non preveda espressamente tale competenza in capo ai dirigenti. Siamo
infatti su un terreno assai particolare — la legittimazione processuale —
sul quale incide in modo rilevante il riconfermato ruolo del sindaco quale
rappresentante legale dell'ente.
Ampiamente rimessa alla autonomia statutaria degli enti locali è invece la
regolazione dei rapporti tra dirigenti e organi politici nell’esercizio dei
poteri gestionali. Un terreno che appare quanto mai incerto in tantissime realtà,
in cui spesso si arriva a prevedere che la stessa materia sia oggetto,
contemporaneamente, di deliberazione di giunta e di determinazione dirigenziale.
In particolare, risulta quanto mai necessario precisare le modalità di
informazione che devono essere rese, anche preventivamente, a sindaci e
assessori sul contenuto delle principali determinazioni e le modalità di
esercizio delle direttive che gli organi politici possono impartire ai
dirigenti.
Quindi, a esempio, può essere molto utile sul terreno operativo (e risolve
molteplici problemi di "rapporto"), prevedere quali siano gli organi
legittimati ad impartire le direttive (scegliendo, anche non in modo
alternativo, tra le opzioni che attribuiscono tale potestà al sindaco, alla
giunta ed anche ai singoli assessori); regolare le forme di emanazione (scritta,
comunicata agli organi collegiali, trasmessa al segretario o al direttore
generale) e prevedere se essa possa avere ad oggetto casi particolari.
Arturo Bianco