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Articoli e note

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Leonardo Spagnoletti
(Magistrato amministrativo)

Arbitrati, perequazione e galleggiamenti domestici: se tutto si tiene…

Giovanni Virga, con la gradevole ironia che contraddistingue i suoi interventi e approfondimenti, ha dedicato al tema degli arbitrati e al c.d. galleggiamento domestico due note assai "gustose", la prima, più risalente, del 16 febbraio 1999, l’altra, recentissima, del 29 ottobre u.s., pubblicate nella sezione "approfondimenti" e nel "primo piano" della rivista web Giust.it.

Apparentemente tra i due argomenti non vi è nesso alcuno; in effetti, ad un’analisi più "interna" e consapevole del clima e dei rapporti tra le due "anime" della giurisdizione amministrativa, il legame sottinteso è quello della perequazione, o meglio dell’assenza di qualsivoglia iniziativa intesa a garantirla, o anche soltanto a ridurre l’apertura della "forbice" stipendiale tra magistrati amministrativi che hanno fruito dell’allineamento stipendiale e quanti (ormai quasi la maggioranza, almeno tra i magistrati TAR) ne sono rimasti esclusi.

Non ha senso ripetere la breve storia dell’allineamento stipendiale, tracciata da Virga in modo succinto ed esauriente, né esprimere valutazioni (che in linea di principio non possono non essere negative) sulla sua labile ratio giuridico-normativa. Essa appartiene - o meglio si doveva ritenere, in base alla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, appartenesse - a stagioni di "rincorse retributive" interne ed esterne ad alcune categorie privilegiate dell’impiego pubblico (militari, magistrature ordinarie, amministrative e contabili, ivi compresa l’Avvocatura di Stato), a tempi andati di "finanza allegra", in definitiva ai frutti polposi della "prima Repubblica".

E’ invece più utile interrogarsi sui perniciosi effetti di sperequazione che le aperture create dagli allineamenti stipendiali e la brusca, ma prevedibile, chiusura normativa di ogni spiraglio per allineamenti ulteriori hanno creato all’interno delle varie categorie interessate, ed in particolare nella magistratura amministrativa, spezzata in due tronconi: se fosse consentito applicare alla vicenda la drammatica categorizzazione di Primo Levi, dovrebbe parlarsi di "salvati" (gli allineati) e "sommersi" (i non allineati). Virga ha scelto, invece, giustamente, perché corrispondente al lato umoristico (da commedia all’italiana, in cui il riso è sempre un po’ amaro), lo spartiacque segnato dal motto partenopeo del "chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato", che esprime la realistica rassegnazione all’ingiustizia tipica delle genti meridionali.

In sostanza, come ho più volte detto e scritto, l’abolizione dell’allineamento ha creato, all’interno della magistratura amministrativa, un "quarto stato", quello dei "non perequati", che alle contraddizioni di un ruolo diviso in due carriere (i consiglieri di Stato; i magistrati TAR), che genera soluzioni comprensibili soltanto dall’interno e in relazione al problema "strategico" della preservazione di una posizione di privilegio nell’accesso agli incarichi direttivi in favore di una parte dei consiglieri di Stato (quelli "da concorso"), con l’azzeramento sostanziale dell’anzianità dei magistrati TAR al momento del passaggio in Consiglio di Stato, ne aggiunge un’altra, interna ai magistrati TAR (e in realtà, sino a qualche giorno fa, anche, seppure con minore impatto "numerico", ai consiglieri di Stato).

Come ha ricordato Concetta Anastasi in uno dei suoi interventi sul "forum on line" della Rivista, accade così che, a parità di qualifica e funzioni, il "lavoro" di chi è rimasto escluso dall’allineamento valga meno (anche ben oltre di 1/3, in termini stipendiali) di quello dei beneficiari dell’istituto. E non si tratta soltanto di questione di "vile pecunia" ma di dignità, se il precetto costituzionale dell’art. 36 e la logica giuridica più elementare hanno ancora un senso in questo Paese (benché le vicende degli aumenti della dirigenza contrattualizzata, sulle quali sarebbe utile aprire uno spazio di approfondimento, dimostrino che non vi è più alcun legame effettivo tra importanza e responsabilità delle funzioni pubbliche disimpegnate e assetti retributivi: un preside di scuola media superiore guadagnerà forse il doppio di un professore universitario e certamente assai più di un magistrato non allineato).

A questo punto il lettore, forse interessato e certamente frastornato, si chiederà dove sia mai il nesso enunciato nelle premesse tra arbitrati, sperequazione e "galleggiamento domestico".

Per comprenderlo occorre ricordare che lo "sblocco" degli arbitrati è coinciso non soltanto col varo della disciplina transitoria della Merloni Ter (e, sia consentito di ricordare, per incidens, che non vi è nulla di tendenzialmente più stabile nel nostro Paese di una disciplina "transitoria"), ma soprattutto con la "estensione" -attraverso un’interpretazione evolutiva, più volte respinta dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, dell’art. 45 del capitolato generale dello Stato- degli arbitrati ai magistrati TAR, con un criterio preferenziale di attribuzione per quelli esclusi dall’allineamento e la previsione dell’obbligatorietà di riversare una quota parte dei compensi (il 20%) in un mitico fondo perequativo, già previsto dal d.P.R. n. 418/1993 sugli incarichi dei magistrati amministrativi (benché non mi sia ancora chiaro se del fondo beneficeranno solo i magistrati non perequati o tutti).

Per chi, da componente del Consiglio di Presidenza nel triennio 1995-1998, ha conosciuto e vissuto la stagione più "cruenta" (per dirla con le parole di Linda Sandulli ricordate dal prof. Virga nel suo articolo sulla "rinascita" degli arbitrati) nei rapporti tra TAR e C.d.S., sfociata in una iniziativa unica e inedita (le dimissioni di un’intera componente dell’organo di autogoverno), è impossibile non ricordare le posizioni di "principio" durissime assunte sul tema degli arbitrati, motivate da un rifiuto pregiudiziale dell’istituto per le sue molteplici evidenziate valenze negative (sistema di "giustizia a pagamento" che distoglie i magistrati dalle loro funzioni istituzionali e li "accosta" ad amministrazioni, imprese, avvocati).

Al di là di ogni giudizio più complessivo e "ideologico" (nel senso però di una "ideologia dei valori di autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale, in specie amministrativa"), è comunque un fatto che l’ampliamento della "platea degli arbitrati" (espressione del consigliere Patroni Griffi, ripresa da Virga) ai magistrati non perequati ha consentito di "acquietare", almeno negli effetti se non anche nelle intenzioni soggettive, una parte non secondaria, numericamente, della magistratura dei TAR (pur con qualche mugugno degli "anziani").

L’arbitrato non è però, né può essere, come ognuno dovrebbe avvedersi, un rimedio alternativo all’esigenza di perequare i magistrati non allineati. Non lo è perché si tratta di incarichi "una tantum", perché il loro "petitum" diverge anche per decine e/o centinaia di miliardi (e quindi crea nuova sperequazione tra i pochi che, baciati dalla sorte, si vedono attribuire un arbitrato di decine o centinaia di miliardi di petitum e gli altri, meno fortunati, che ne conseguono di assai più modesti), perché alcuni (o molti) non partiranno affatto, perché, in una parola, si affida ad una specie di "lotteria" la risoluzione di una questione che richiede interventi causalmente e non casualmente orientati.

Se poi al "contesto" sin qui delineato si aggiunge una certa "apertura" sul versante dei c.d. incarichi di insegnamento (e non si tratta di qualche lezione alla Scuola Superiore della P.A. o alla Scuola Centrale Tributaria, né di corsi universitari e/o di formazione, ma del settore ben più pingue della preparazione ai concorsi, con modalità e strutture a volte para-imprenditoriali), il senso complessivo dell’attuale "stato dell’arte" della questione perequativa può essere sintetizzato in un’altra celeberrima e lapidaria ingiunzione del principe Antonio De Curtis-Totò: ARRANGIATEVI!

A questa filosofia sembra ispirarsi, in effetti, anche il c.d. galleggiamento domestico, che ha suscitato echi di stampa non proprio favorevoli (l’ultimo su "L’Espresso" del 4 novembre 1999, in edicola) e qualche interrogazione parlamentare (per tutte si richiama quella dell’on. Marco Boato). Come un Lazzaro redivivo, il galleggiamento è stato risuscitato dal potere taumaturgico della parola di una legge "speciale", l’art. 4 comma nono della legge 6 agosto 1984, n. 425, emanata nella temperie dell’epoca d’oro dell’allineamento a preservare le posizioni economiche dei consiglieri di Cassazione da concorso, e quindi in relazione ad una situazione del tutto specifica caratterizzata da una "sperequazione" tra magistrati provenienti tutti da qualifiche inferiori, ma gli uni per concorso e gli altri per scrutinio di anzianità e merito, e salvo il ripristino del concorso di accesso in Cassazione ormai "esaurita"; ebbene, tale disposizione è stata ritenuta applicabile "analogicamente" e/o "estensivamente" ai consiglieri di Stato in base al criterio dell’identità di ratio.

Sarebbe assai utile leggere il parere espresso dalla commissione speciale nell’adunanza del 12 febbraio 1998, che dimostra come, in un momento storico di rapido cambiamento, in cui il diritto si situa tra bit e tomi (per riprendere la felice caratterizzazione dell’amico prof. Vanni Pascuzzi), e cambiano rapidamente le coordinate e forse anche le categorie logico-giuridiche, anche di una norma speciale può darsi un’applicazione analogica o forse solo estensiva (nel parere non è del tutto chiaro quale delle due si prediliga, posto che si finisce per ammetterle entrambe), con l’avvertenza, già chiaramente enunciata nel parere sui ricorsi straordinari ormai arcinoti (presentati da nove consiglieri di Stato non allineati), che non si chieda una ulteriore applicazione analogica e/o estensiva in favore di chi non appartiene a una "magistratura superiore", espressa nel rilievo, forse ultroneo ma non "inopportuno", che essa è "non estensibile, in quanto tale, all’intero personale di magistratura" (e quindi, il riferimento è trasparente, ai magistrati non perequati dei TAR, oltre che presumibilmente, ma non si può esserne del tutto sicuri, a quelli della Corte dei Conti).

Va da sé: le opinioni giuridiche, tanto più se espresse in autorevoli pareri del Consiglio di Stato, sono rispettabili, ma del pari criticabili ed opinabili. Ed in effetti riesce abbastanza arduo comprendere come una disposizione destinata, giova ripeterlo, a "disinnescare" gli effetti sperequativi connessi alla modifica dei sistemi di accesso in Cassazione, e quindi a evitare che magistrati provenienti pur sempre da qualifiche inferiori di uno stesso ordine giurisdizionale in base a meccanismi diversificati (concorso o scrutinio di anzianità e merito) avessero trattamenti differenziati (deteriore quello dei primi rispetto ai secondi), con una ratio, quindi, del tutto peculiare e circoscritta, non debba considerarsi "…un compendio a fattispecie esclusiva", e come tale insuscettibile di interpretazione estensiva in favore di chi, pur avendo superato "…una non facile selezione concorsuale per lo svolgimento di funzioni superiori…" -come si legge sempre nel parere- provenga dall’esterno, e non da qualifica inferiore, non essendo, com’è noto, il concorso di accesso al Consiglio di Stato riservato ai magistrati dei TAR.

Perplessità d’altra parte palesate dalla stessa Presidenza del Consiglio, come si legge nel parere, e condivise addirittura dal Segretariato Generale del Consiglio di Stato, ancorché l’una e l’altro si fossero limitati a evidenziare come l’art. 4 comma nono della legge n. 425/1984 fosse norma speciale e derogatoria insuscettibile di interpretazione analogica, non spingendosi ad indagare l’altro "corno" del dilemma, e cioè se si trattasse di disposizione a fattispecie esclusiva insofferente di una interpretazione e/o applicazione estensiva.

Vi è da chiedersi, però, se le opinioni pubbliche allargate o ristrette sapranno intendere le ragioni per le quali, mentre la Corte Costituzionale, ancora con recentissima sentenza 7 ottobre 1999, n. 379, pubblicata sulla rivista web del prof. Virga, ribadisce la legittimità costituzionale delle disposizioni legislative soppressive dell’allineamento, pochi giorno dopo sono stati firmati (a quanto è dato di conoscere) i provvedimenti che, sulla scorta del parere e della conforme decisione dei ricorsi straordinari, lo hanno riconosciuto in favore di alcuni consiglieri di Stato (con le differenze retributive arretrate, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, per una spesa che pare si aggiri attorno ai dieci miliardi) e che non potranno non essere seguiti da analoghi provvedimenti per gli altri consiglieri di Stato delle ultime "leve" concorsuali.

In ogni caso, il cerchio si chiude. La perequazione, beninteso solo per i consiglieri di Stato da concorso, è assicurata; gli arbitrati, divisi in due quote paritarie nonostante la differente consistenza numerica dei magistrati TAR e dei consiglieri di Stato, sono ripartiti e conferiti; gli incarichi di insegnamento sono autorizzati.

Restano, sullo sfondo nebbioso, questioni di "dettaglio": l’azzeramento sostanziale dell’anzianità dei magistrati TAR al momento del passaggio in Consiglio di Stato (anzianità "recuperata" però in senso economico in favore dei consiglieri di Stato da concorso destinati ad allinearsi ai colleghi ad un tempo "meno anziani", quanto alla posizione in ruolo e alla carriera, e "più anziani", quanto alla posizione economica; sinora però non risulta che dai consiglieri di Stato di provenienza TAR si sia levata alcuna voce critica); la perequazione di una fascia di magistrati TAR che corrisponde ormai alla metà dell’intera categoria; l’esigenza di rispettare i limiti numerici fissati per legge (art. 29 legge 27 aprile 1982, n. 186) ai collocamenti fuori ruolo, anch’essi beneficati di interpretazioni "estensive"; un ripensamento degli assetti complessivi della giurisdizione amministrativa; l’insufficienza degli organici e delle sezioni interne e staccate dei TAR (alla prima porrebbe un qualche rimedio il d.d.l. sulla riforma del processo amministrativo, in corso di esame alla Camera); l’esigenza di ridistribuire gli organici dei TAR in funzione dei reali flussi di lavoro (comprendendovi anche le sospensive), ponendo mano alla "questione meridionale" che riguarda anche la giustizia amministrativa; la necessità di pensare a momenti di monocraticità almeno per i giudizi pendenti più o meno decrepiti di minore spessore e importanza (le decine o centinaia di migliaia di ricorsi in materia di inquadramenti e di diritti patrimoniali dei pubblici impiegati meritano un giudizio collegiale?); l’esigenza di modernizzare le dotazioni informatiche, sia stabilendo connessioni di rete tra il Consiglio di Stato, i TAR e la dotazione domestica dei magistrati, sia consentendo il collegamento web gratuito per la ricerca sui siti giuridici…

Chi avrà avuto la pazienza di leggermi sin qui avrà compreso e forse condividerà, ora, l’iniziale "avvertenza" sul nesso interno tra le tre questioni, che mi sono sforzato di evidenziare; un nesso "strumentale" per gli arbitrati e "consustanziale" per il c.d. galleggiamento domestico, in cui però il termine di collegamento (la perequazione) rimane il vero nodo irrisolto.

A questo punto, e a mo’ di chiusura, è forse lecita, e comunque opportuna, una domanda: poiché lo sviluppo della giurisdizione, e di quella amministrativa in specie, sembra porsi in termini doverosi di "efficienza ed efficacia", di "tempestività", di "ottimale impiego delle risorse", e, quindi, in funzione di un’attenzione privilegiata alla produttività, in cui il "presto" e "molto" contano più del "meglio"; è proprio "eretico" interrogarsi sulle possibilità ed opportunità di introdurre indicatori quali-quantitativi cui correlare indennità aggiuntive e/o premi di produttività, magari organizzati attorno a progetti-obiettivo (lo smaltimento programmato di un certo numero di ricorsi; la contrazione del rapporto tra ricorsi pendenti e ricorsi esauriti; la definizione di ricorsi seriali in tempi più celeri, etc.) in cui impegnare, se del caso preferenzialmente, i magistrati non perequati, collegandovi anche la valutazione in termini di efficacia "gestionale" dei Presidenti di TAR, di Sezione Staccata e di Sezione Interna, cui pure potrebbero riconoscersi analoghi emolumenti "incentivanti"?

E’ una domanda che farà arricciare il naso a molti, forse a troppi. Eppure penso che abbia un senso porla, perché ove si affermi una visione "aziendalistica" della giustizia amministrativa, ad essa non può disgiungersi né un momento di valutazione dei "risultati", né un riconoscimento in termini economici del maggiore impegno richiesto a Presidenti e Magistrati. Rimango in attesa di leggere reazioni e risposte sul "forum on line" o sulle pagine principali della Rivista, che ringrazio per l’attenzione.


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