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LUIGI OLIVERI
Il nuovo, anzi vecchio, regime delle gare per l’acquisizione di beni e servizi
(note a margine dell'art. 15 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269)
Poche norme hanno complicato l’attività amministrativa come l’articolo 24 della legge 289/2002.
Poche norme hanno avuto una vita breve, come – per fortuna – ha avuto l’articolo 24 della legge 289/2002, nella sua versione originale.
Non si può che essere soddisfatti dell’atto di resipiscenza del legislatore, che con l’articolo 15 del decreto legge collegato alla manovra finanziaria assume una decisione drastica: eliminare (finalmente) dalla faccia dell’ordinamento giuridico una norma monstre, quale quella contenuta nei primi due commi dell’articolo 24 della legge 289/2002, dopo aver già provveduto, mediante il decreto legge 143/2003, convertito nella legge 212/2003, a modificare e far tornare al passato il regime degli acquisti presso la Consip.
Evidentemente il liberismo economico e politico per rivelarsi tale deve prima porre in essere norme che più dirigiste non potrebbero essere, come appunto l’articolo 24 prima versione; per poi fare marcia indietro, all’insegna, appunto, di un liberismo che, però, tale non è.
Come al solito, nella terra del Gattopardo la strada verso il cambiamento è fatta di tanti passi in avanti, per poi tornare indietro di un passo in più ancora. Tutto scorre, ritenne Eraclito. Erroneamente. Tutto torna come prima. Almeno in Italia.
Dunque, niente più gara europea per forniture e servizi di importo superiore ai 50.000 euro. Niente più, ovviamente, regime speciale di cui al comma 2, abrogato, dell’articolo 24 per le acquisizioni con la Consip, col mercato elettronico e gli affidamenti alle cooperative sociali, i quali ultimi restano ancora disciplinati dalla normativa speciale fatta salva già dalla prima versione dell’articolo 24.
Quasi un anno è passato sotto il giogo di una norma rivelatasi ben presto talmente inutile da essere subitaneamente rinnegata dal legislatore, che ha creato almeno i seguenti problemi:
1) comprendere se il regime europeo riguardasse o meno anche le pubblicazioni, questione mai affrontata e risolta;
2) comprendere a quale grandezza riferire la soglia dei 50.000 euro: la maggior parte degli interpreti ha ritenuto di riferirsi all’importo a base di gara, ma la lettera della norma, che riportava il valore del contratto, diceva altro;
3) comprendere se era stata abbassata la soglia comunitaria: alcuni sostenevano di sì; altri affermavano, con maggiore fondatezza, che la soglia comunitaria era rimasta la stessa, dal momento che solo le norme comunitarie possono intaccarla e che la soglia di 50.000 euro era l’applicazione della facoltà concessa ai legislatori nazionali di estendere alle gare interne la disciplina comunitaria;
4) comprendere se fosse stata abrogata o meno la trattativa privata: ha prevalso l’opinione contraria, dopo un serrato dibattito, anche grazie alla deliberazione delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti 27.2.2003, n. 7/CONTR/03;
5) comprendere, allo stesso modo, se il Dpr 384/2001 sulle acquisizioni in economia fosse a sua volta divenuto applicabile solo sotto la soglia dei 50.000 euro: anche in questo caso la deliberazione della Corte dei Conti citata prima ha chiarito che non era così, dopo un altrettanto ricco dibattito.
Solo un colpo di spugna, netto, deciso, poteva risolvere definitivamente tali questioni. E’ positivo che sia giunto.
E’ fortemente negativo (ma tant’è) che quasi per un anno, anche per effettuare acquisizioni di valore tutto sommato contenuto le amministrazioni pubbliche abbiano dovuto sopportare i costi (il fattore tempo è un costo, per qualsiasi azienda) operativi imposti da procedure eccessivamente onerose in relazione al tipo di acquisizione da effettuare.
Tutto torna come prima. Le gare interne seguono la normativa interna, i termini interni, le pubblicazioni interne.
La trattativa privata non è certo abrogata. Le acquisizioni in economia sono effettuabili nel rispetto del Dpr 384/2001, nei limiti della soglia comunitaria, come ivi è previsto.
Resta, adesso, un problema. L’intervento chirurgico ha estirpato una brutta norma. Ma non del tutto.
Rimane, infatti, nel suo intero il comma 5 dell’articolo 24. A mente del quale “anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa consente la trattativa privata, le pubbliche amministrazioni possono farvi ricorso solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato, dandone comunicazione alla Corte dei Conti”.
Facciamo tutti voti affinché il legislatore estirpi anche questo residuo di dirigismo verticistico degno di uno stato fortemente napoleonico ed accentratore, rimasto nell’articolo 24.
I motivi sono due. In primo luogo, perché tutta la prima parte della norma è un’inutile ripetizione di presupposti e condizioni che da sempre hanno caratterizzato la trattativa privata.
In secondo luogo, perché, come ha scritto correttamente la delibera delle sezioni unite della Corte dei Conti il “comma 5 ha carattere integrativo” del comma 1, oggi abrogato.
Allora, abrogato il comma 1, gioco forza occorre abrogare anche il comma 2. Altrimenti, si porrà senz’altro il seguente dubbio: eliminata la soglia dei 50.000 euro, la comunicazione alle competenti sezioni della Corte dei conti nei casi di trattativa privata e acquisizioni in economia si dovrà fare qualunque sia il valore del contratto, fino alla soglia dei 200.000 diritti speciali di prelievo?
La già più volte citata deliberazione delle sezioni unite aveva chiarito che le comunicazioni andavano trasmesse sia per le trattative private, sia per le acquisizioni in economia, solo al di sopra della soglia di 50.000 euro, data la generalità assunta da tale soglia.
La risposta più corretta e in linea con la deliberazione, alla lecita domanda posta sopra, allora, apparirebbe quella volta ad inviare la comunicazione solo per le trattative private al di sopra della soglia comunitaria. Per le procedure in economia no, visto che non è possibile attivarle sopra soglia. Però valide ragioni potrebbero essere sostenute dalla tesi contraria. Si paventerebbe quell’inondazione di comunicazioni che la delibera delle sezioni unite ha voluto espressamente evitare.
Un’ulteriore correzione all’articolo 24 della legge 289/2002, allora, risolverebbe ogni problema. Anche perché l’invio alla Corte dei Conti, se finalizzato al controllo della violazione del comma 1, causa di nullità ai sensi del comma 4, non è più necessario, sempre perché il comma 1 è abrogato e, dunque, la principale causa di nullità dei contratti prevista dal comma 4 sparisce dall’ordinamento (e anche in questo caso, interpreti ed operatori difficilmente ne sentiranno la mancanza).
Quando non è necessario cambiare, è necessario non cambiare, scrisse Lucius Cary. Ma di questo avrebbe dovuto tener conto il legislatore del 2002. Adesso, è il caso di non lasciare incompiuta l’opera di riforma della riforma ed intervenire anche sul comma 5 dell’articolo 4.