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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

FRANCESCO VOLPE
(Straordinario di diritto amministrativo nella
Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Padova)

Un contributo per una giustizia che spesso non c'è

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Stando al testo dell'art. 21 del decreto legge recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale (c.d. decreto Bersani), oggi presentare un ricorso al T.A.R. comporterà il pagamento di un contributo unificato pari a 500 euro. Ma, in realtà, saranno 750, se verrà aggiunta l'istanza di sospensione.

Tale somma è indifferenziata, essa è stabilita indipendentemente dal valore della controversia.

Il testo della norma, peraltro, lascia pensare che possano essere state abrogate le precedenti esenzioni.

Qui, ritengo, non è tanto da sottolineare la palese incostituzionalità della norma e la disparità di trattamento che essa porta. Si tratta di mettere in evidenza, prima ancora, la sua ben più grave ingiustizia.

Giacché un tale aumento del contributo (rispetto ai 340 euro che, dapprima, venivano pagati per la controversia di valore indeterminato) finirà per scoraggiare chi ha redditi modesti o medi dal far valere le proprie pretese davanti al giudice amministrativo. Finirà per scoraggiare le impugnazioni per le cause di modesto valore. Ma che pure potrebbero travestire un importante valore sostanziale per chi abbia subito gli effetti del provvedimento illegittimo.

Questo, senza tener conto del fatto che, per altra via, si impone all'avvocato amministrativista di essere più oneroso per il cliente, rispetto all'avvocato generico. Infatti i c.d. studi di settore sono tarati in modo tale che se l'avvocato pratica una materia specialistica (e l'amministrativista rientra in questa categoria) il suo utile deve risultare maggiore.

Da ciò si dovrebbe far discendere - lo si nota incidentalmente - una riflessione più generale sulla norma abolitiva dei minimi tariffari e la normativa fiscale.

Ma, ritornando al tema principale, uno Stato che ostacola, in linea di fatto, il ricorso alla giustizia amministrativa (il far valere i diritti soggettivi pubblici dell'individuo) è francamente cosa riprovevole. Anzi, il ricorso alla giustizia amministrativa dovrebbe essere agevolato, rispetto alle altre forme di contenzioso: non fosse altro perché esso è diretto a contestare gli atti di un soggetto - la pubblica Amministrazione - che si trova avvantaggiato nella fattispecie sostanziale, perché esso è nella differenziata posizione di poter modificare da sé, con la propria attività provvedimentale, i diritti e i doveri degli altri soggetti con cui esso tratta.

Tanto più la nuova disciplina appare riprovevole, infine, se si considera ciò che effettivamente si paga, con quel contributo unificato.

Perché è spesso vero che si paga una giustizia che non c'è. Perché è una giustizia che si fonda su decisioni che trovano la loro sede sostanziale nella fase cautelare (e che, dunque, risentono anche della valutazione del periculum in mora e, congiuntamente, della comparazione tra gli interessi del ricorrente e quelli del resistente) o sulla base di un'istruttoria sommaria; perché è una giustizia in cui neppure si sa quando verrà fissata la data della discussione dell'udienza nel merito e che, dopo dieci anni dalla presentazione del ricorso, porta la causa verso una più che probabile perenzione.

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Documenti correlati:

DECRETO-LEGGE 4 luglio 2006, n. 223 (in G.U. n. 153 del 4 luglio 2006) - Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale.


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