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n. 10/2008 - © copyright

FRANCESCO VOLPE
(Straordinario di diritto amministrativo
nell'Università di Padova)

Translatio iudicii: una proposta di disciplina legislativa

Il disegno di legge 1441 - bis -A è stato definitivamente approvato dalla Camera il giorno 2 ottobre.

Ora, esso è passato al Senato, dove ha preso il numero 1082.

Credo che valga la pena di mettere in luce un suo articolo, che sembra essere diretto a risolvere i problemi della translatio iudicii.

All'indomani della sentenza n. 77/2007 della Corte costituzionale che, incidendo sull'art. 30 della legge T.A.R., aveva introdotto l'istituto, erano rimaste irrisolte non poche questioni.

Esse riguardavano le modalità con cui il processo doveva essere riassunto davanti al giudice giurisdizionalmente competente e i termini di tale riassunzione.

L'art. 38 del disegno di legge detta questa disciplina:

(Decisione delle questioni di giurisdizione)

1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo.

2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito sin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile.

3. Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione.

4. L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.

5. In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.

La disposizione è foriera di novità, dubbi interpretativi e perplessità sulla sua stessa opportunità.

Le novità:

a) alla sentenza delle Sezioni Unite sulla giurisdizione, pur sempre pronuncia di rito, viene riconosciuto un effetto paragonabile a quello del giudicato sostanziale.

b) la riassunzione del processo sembra dover avvenire, davanti al nuovo giudice, con la proposizione dell'atto introduttivo del giudizio. Dunque se il giudice ordinario dichiarerà il proprio difetto di giurisdizione a favore del T.A.R. occorrerà procedere con ricorso; se viceversa, con citazione. Questo, almeno, sembra trarsi dal comma II ("la domanda è riproposta al giudice ivi indicato"; "Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile").

c) è prevista una sorta di regolamento di giurisdizione proponibile d'ufficio dal giudice ricevente.

d) davanti al giudice ricevente resta il potere di sollevare, ad opera delle parti, il regolamento di giurisdizione, nonostante vi sia stata già una pronuncia (del primo giudice) sul punto. Pronuncia che si sarebbe potuto impugnare con gli ordinari rimedi (ma qui allora non si capisce perché la pronuncia sulla giurisdizione, sia pure solo quella delle Sezioni Unite, possa fare stato, se poi è possibile rovesciarne il contenuto con il regolamento proposto davanti al secondo giudice).

e) il termine per la riproposizione della domanda è di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito. Si osservi che tale sentenza, indicata dal comma II come quella "di cui al primo comma", non può essere quella delle Sezioni Unite, giacché essa ha di per sé, per definizione, valore di giudicato formale sulla questione della giurisdizione (e quindi anche di giudicato sostanziale). La sentenza "di cui al primo comma", idonea dopo un certo periodo di tempo a passare in giudicato, perciò, è quella del giudice di merito, originariamente adito, di primo o di secondo grado. Si osservi, inoltre, che il termine di riproposizione è più lungo di quello per la proposizione originaria del ricorso al giudice amministrativo e, verosimilmente, inferiore a quasi ogni termine di prescrizione per le controversie da dedursi avanti all'AG.O.; esso è inferiore, inoltre, anche ai vari termini di riassunzione (annuali o semestrali) previsti nel codice di rito.

I dubbi interpretativi:

a) la disposizione fa salvi gli effetti processuali e sostanziali. Dunque, sembrerebbe che sia fatta salva anche l'attività istruttoria, eventualmente compiuta nel frattempo. Ma il comma V, a sua volta, riduce la portata di quest'effetto: "Le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova". Si osserverà, innanzitutto, che il giudice ricevente non è tenuto a considerare le prove assunte davanti all'altro giudice; semplicemente può considerarle. Inoltre, non le considererà come prove a pieno titolo, ma solo come "argomenti" di prova.

b) il comma II dice che sono fatti salvi gli effetti processuali o sostanziali "se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato". Cosa succede, però, se chi ha introdotto il primo giudizio impugni la sentenza, del primo giudice, sulla giurisdizione? La possibilità di riassumere viene fatta salva pur dopo la pronuncia di appello che confermi quella di primo grado?

L'ultimo dubbio interpretativo diventa anche una ragione di perplessità:

Si è detto che con la riassunzione si fanno salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda. Però il comma II aggiunge: "ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute".

Ad una prima lettura ciò sembra dire che se, introdotta l'azione davanti all'A.G.O., venga pronunciato il difetto di giurisdizione di quest'ultima e nel frattempo siano scaduti i termini di ricorso avanti al T.A.R., la riproposizione della domanda davanti a questo secondo giudice non sia più possibile. Perché il termine di ricorso davanti al giudice amministrativo è, appunto, un termine di decadenza.

Se fosse questo il significato della norma, allora tocca riconoscere che il disegno di legge si propone, nei fatti, una sorta di abrogazione della translatio iudicii. Esso, perciò, se diverrà legge, si esporrà ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale, così come è stato per l'art. 30 della legge T.A.R.

Si può forse tentare un'interpretazione della proposta di legge più limitata e, perciò, più benevola, ipotizzando che se l'azione proposta all'A.G.O., giurisdizionalmente incompetente, fosse stata introdotta quando già sono scaduti i termini per il ricorso davanti al T.A.R., essa non può essere riassunta davanti a quest'ultimo. Solo in questo caso, perciò, resterebbero ferme le preclusioni e le decadenze intervenute.

In effetti, quello che ora ho descritto è un possibile uso distorto dell'istituto della translatio iudicii: chi ha visto scadere i termini di ricorso al giudice amministrativo può "fingere" di sbagliare la giurisdizione, instare il giudice ordinario, farsi dichiarare il difetto di giurisdizione e quindi, riassumendo, recuperare i termini.

Ma si deve considerare anche l'ipotesi in cui l'azione ordinaria sia stata introdotta (pur dopo il sessantesimo giorno), non già per rientrare fraudolentemente "in corsa", ma perché si è oggettivamente - in buona fede, verrebbe da dire - convinti che l'A.G.O. sia il giudice corretto. Sull'attore, in questo caso, non potrà imputarsi la negligenza di avere avviato il processo civile dopo il termine decadenziale per la proposizione del giudizio davanti al T.A.R., perché all'A.G.O. si ha il diritto di rivolgersi nei termini e con le modalità previste per il rito che si consuma davanti ad essa stessa.

Anche in queste circostanze, perciò, precludere la riproposizione dell'azione davanti al T.A.R. non pare conforme ai principi indicati nella sentenza n. 77 della Corte.

Insomma, la disposizione contenuta nel disegno di legge non farà altro che aumentare la stratificazione dell'incertezza che grava su quel terreno minato che è, da sempre, quello del riparto tra le giurisdizioni e sui modi di risolvere i conflitti negativi o positivi della giurisdizione stessa.


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