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n. 10/2007

FRANCESCO VOLPE
(Straordinario di diritto amministrativo
nell'Università di Padova)

Pregiudiziale amministrativa e sacrifici
concettuali del giudice amministrativo

(nota a Cons. Stato, Ad. Pl., 22 ottobre 2007, n. 12)

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1.- Quelle che seguono sono riflessioni, in merito alla decisione 22 ottobre 2007, n. 12, dell'Adunanza Plenaria scritte di primo acchito.

La materia trattata e la complessità della pronuncia meritano certamente un'attenzione più puntuale che i Commentatori non mancheranno di dedicare.

Tuttavia - nell'annosa e, per certi aspetti, non apprezzabile guerra delle giurisdizioni che è in atto tra la Suprema Corte e il Consiglio di Stato (ma sullo sfondo vi è anche la Corte costituzionale) – quest'ultima pronuncia del giudice amministrativo d'appello sembra travestire un arretramento di posizioni, pur celato dalla dichiarata volontà di mantenere fermi alcuni capisaldi.

Gli “attacchi” contro i quali il Consiglio di Stato ha inteso resistere sono i seguenti.

Da un lato, la Corte costituzionale, dal 2004, ha ridotto sensibilmente l'àmbito della giurisdizione esclusiva “piena”, collegando la cognizione dei diritti soggettivi da parte del giudice amministrativo all'esercizio effettivo del potere imperativo.

Dall'altro lato, la Corte di cassazione, nel 2006, ha posto in discussione il valore della pregiudizialità amministrativa (materia che involge anch'essa la giurisdizione esclusiva, sotto il profilo dell'accertamento del diritto soggettivo al risarcimento del danno), quanto alle controversie risarcitorie per lesione dell'interesse legittimo.

In particolare, la soluzione indicata dalla Cassazione è sembrata salvare uno dei capisaldi su cui si era arroccata la giurisprudenza amministrativa, all'esito della sentenza del 1999 che ha introdotto detta forma di responsabilità. Detto caposaldo era quello del riconoscimento al complesso dei T.A.R. e del Consiglio di Stato della giurisdizione su queste azioni risarcitorie, laddove la stessa Cassazione, nel 1999, aveva ipotizzato che le questioni riguardassero invece l'A.G.O. Ed era un caposaldo che non poteva dirsi definitivamente confermato neppure dalla modifica operata all'art. 7 della legge T.A.R. dalla novella del 2005.

Ma nel salvaguardare tutto ciò, la Cassazione ha ammesso l'introduzione di un'autonoma domanda risarcitoria, non dipendente dalla domanda di annullamento del provvedimento illegittimo e, nel contempo, illecito (in quanto fonte del danno risarcibile).

Vi era quanto bastava per porre in discussione tutta la costruzione del nuovo impianto di giustizia amministrativa che, con l'estensione della giurisdizione esclusiva, andava attuandosi sin dagli anni '90, non senza il tacito, ma sostanziale, beneplacito della magistratura speciale.

2.- In questo scenario, l'Adunanza Plenaria decide di mantenere il più possibile le proprie prerogative e il campo della contesa è ancora quello delle espropriazioni di fatto.

Riassumendo (molto genericamente) il contenuto della sentenza, il Consiglio di Stato, per quanto riguarda l'estensione della giurisdizione esclusiva, sembra sostituire il concetto di “esercizio della funzione” a quello di “esercizio del potere”, così come indicato dalla Corte costituzionale ai fini della introducibilità del giudizio sui diritti soggettivi avanti ai T.A.R.

Il Consiglio di Stato, soprattutto, riafferma il principio della necessaria previa impugnazione dell'atto, ai fini della proposizione della domanda risarcitoria, e contesta che l'omessa pronuncia sul merito delle domande risarcitorie non assistite dalla previa domanda costitutiva possa rientrare nei limiti di sindacato sulla giurisdizione della Corte di cassazione.

Sia detto subito: la sentenza di cui si fa cenno è molto articolata e vi sono passi su cui chi scrive è indiscutibilmente d'accordo.

In primis, quelli relativi alla difficile configurabilità concettuale della categoria dei diritti soggettivi incomprimibili, rispetto ai quali l'esercizio del potere imperativo nulla potrebbe. La stessa difficoltà di esigere sempre il concreto esercizio del potere imperativo, ai fini del fondamento della giurisdizione amministrativa, è poco convincente. Non fosse altro perché, di fronte al potere concretamente esercitato, il diritto soggettivo è concettualmente destinato a cadere.

Ma vi sono altri punti che lasciano perplessi e che ispirano previsioni sui possibili risvolti di questa, per la verità, poco appassionante tenzone.

Il primo è questo. Il Consiglio di Stato fonda la necessità della pregiudiziale affermando che l'azione risarcitoria, giusta l'art. 7 della legge T.A.R., è consequenziale all'azione costitutiva di legittimità.

Questo è in effetti un passo critico della pronuncia, perché sembra procedere da un vizio logico. Vale a dire quello di confondere l'effetto con la causa e di ritenere che le azioni risarcitorie consequenziali regolate dall'art. 7 cit. siano solo quelle che riguardano la lesione di un interesse legittimo.

Infatti, se (diversamente da come ipotizza il Consiglio di Stato) si opinasse – come pur è possibile – che le azioni risarcitorie consequenziali disciplinate dall'art. 7 siano invece solo quelle che prima della riforma del 2000 spettavano al giudice ordinario, per la tutela aquiliana dei diritti soggettivi sacrificati dal provvedimento (in precedenza) annullato dal giudice amministrativo, non sarebbe destituito di fondamento opporre alla tesi che l'art. 7 in nulla regola il risarcimento degli interessi legittimi. Sicché, sulla sua base, non sarebbe possibile desumere nulla, quanto alla necessità della pregiudiziale. Effetti e causa, appunto.

3.- Ma di maggior interesse appaiono le concessioni che il Consiglio di Stato si è trovato costretto a rilasciare, per giungere ai descritti risultati.

La prima concessione è di carattere concettuale: il Consiglio di Stato sembra rinunciare ad una nozione autonoma di interesse legittimo, riducendo tutte le discussioni sul punto quasi ad uno sterile esercizio accademico: “Deve ricordarsi, al primo proposito, il permanere dalle difficoltà di discriminazione poste dalla dicotomia diritto soggettivo – interesse legittimo nell’ambito di una legislazione che dalla considerazione della loro natura il più delle volte prescinde preferendo enucleare dalle situazioni soggettive e disciplinare puntualmente, con riferimento alla attività amministrativa, tal volta spezzoni qualificabili come facoltà, più spesso aspetti analitici solo mediatamente riferibili ad individuabili situazioni di diritto o di interesse.

Si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di situazioni mai direttamente definite dalla legge e di derivazione dottrinale e giurisprudenziale spesso collegate ad esigenze di preconcetti ed immobili schemi sistematici piuttosto che ad ordinamenti e norme i quali supporrebbero, nel loro continuo aggiornarsi, il continuo aggiornamento di un 'sistema' che, dismessa la pretesa di imporsi alla legge, da questa ricevesse la sua necessaria legittimazione”.

Se si dovesse dunque dare un'idea del concetto di interesse legittimo, non sembrerebbe restare che affidarsi a criteri tutto sommato empirici e non troppo sofisticati: “Deve considerarsi, in proposito, che diritto ed interesse, benché molto spesso partecipi di una assimilabile pretesa ad un c.d. bene della vita, sono situazioni soggettive fortemente differenziate e tali ritenute già a livello costituzionale.

Il primo, per dirla nei noti, riassuntivi termini, è assistito da una tutela tendenzialmente piena e diretta e, nei suoi confronti, è sempre circoscritta la eventualità di condizionamenti esterni, anche se imputabili ad una amministrazione pubblica e, perciò, ad interessi generali.

Il secondo origina da un compromesso, chiaramente solidaristico, tra le esigenze collettive di cui è portatrice, ex art. 97 e 98 Cost.., la amministrazione stessa e la pretesa, di colui che dalla loro legittima soddisfazione è coinvolto, di veder preservati quei suoi beni giuridici che preesistono all’attività pubblica ovvero che nel corso di questa si profilino”.

Da qui deriva la seconda concessione: poiché, ex art. 7, legge T.A.R., il risarcimento del danno secondo il Consiglio di Stato è consequenziale (non già all'accertamento dell'illegittimità, ma) all'annullamento dell'atto, va allora sconfessata la tesi del giudizio sul rapporto. Ché se il giudizio amministrativo tanto riguardasse, ben si potrebbe ipotizzare un accertamento dell'illegittimità disgiunto dall'annullamento dell'atto.

Ecco, dunque, che nella pronuncia si afferma testualmente: “I commendevoli contributi acquisiti, in sede dottrinale e giurisprudenziale, in tema 'giudizio sul rapporto', non sembrano condivisibili ove approdino al disconoscimento della natura principalmente impugnatoria dell’azione innanzi al giudice amministrativo, cui spetta non solo di tutelare l’interesse privato ma di considerare e valutare gli interessi collettivi che con esso si confrontano e, non solo di annullare, bensì di 'conformare' l’azione amministrativa affinché si realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio tra l’uno e gli altri interessi.

Queste essenziali circostanze, mentre si riflettono sui diversi caratteri del giudizio amministrativo rispetto a quello civile, nel quale si contrappongono pretese ascrivibili ad analoghe fonti e di regola sottratte ad interferenze esterne da parte dell’autorità pubblica, sembrano spiegare e giustificare e la priorità dell’azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto è possibile e doveroso esercitare compiutamente l’anzidetto vaglio di legittimità nonché misurare spessore e valenza così della dedotta situazione soggettiva come della denunciata lesione, e la posta 'conseguenzialità' rispetto ad essa, dell’azione risarcitoria”.

Onestà vuole che chi scrive si riconosca solidale con questa rivalutazione oggettiva del giudizio amministrativo, ché tanto venne affermato anche da parte nostra in un non lontano studio.

Va anche detto, però, che queste affermazioni del giudice amministrativo suonano piuttosto stonate, rispetto alle tendenze che la medesima giurisprudenza andava, da lungo tempo, affermando.

4.- Ma le concessioni non si fermano a tutto ciò, giacché ve ne è una terza che appare ancor più singolare. Di fronte all'ipotetica obiezione inerente all'eccessiva esiguità del termine di sessanta giorni (quale, sostanziale e indiretto, presupposto dell'azione risarcitoria per lesione dell'interesse legittimo), il Consiglio di Stato fa appello ad un forse troppo severo concetto di “diligenza media” del privato leso.

Indi, il Consiglio di Stato rafforza l'esigenza del termine breve, rispolverando un vecchio arnese della giurisprudenza amministrativa, che si credeva ormai abbandonato. Vale a dire quello della presunzione di legittimità degli atti amministrativi.

In esso troverebbe giustificazione l'imperatività dell'atto; la medesima presunzione, da relativa, diventerebbe assoluta una volta scaduti i termini d'impugnazione.

Nello stesso clima revisionistico, sembra subire addirittura qualche danno la categoria dell'interesse legittimo pretensivo, se è vero che gli interessi legittimi consistono nella “pretesa, di colui che dalla loro legittima soddisfazione è coinvolto, di veder preservati quei suoi beni giuridici che preesistono all’attività pubblica.

5.- Vi è quanto basta per ipotizzare che la guerra delle giurisdizioni, di cui si è fatto cenno in apertura, stia mettendo a dura prova il Consiglio di Stato, giacché questo giudice sembra aver sacrificato principi e assiomi a lui particolarmente cari.

Ma non ci si esimerà, a questo punto, dal prevedere le possibili evoluzioni della vicenda.

La cosa più probabile è che la Cassazione – giudice di ultimo grado sulle questioni inerenti alla giurisdizione – mantenga inalterate le proprie opinioni, riformando le sentenze del giudice amministrativo di appello che neghino ingresso alle domande meramente risarcitorie. Ma, se così fosse, a rimetterci sarebbe soprattutto la parte privata, perché costretta a percorrere tutti i tre gradi di giurisdizione per poter sperare di ottenere, in seguito, una pronuncia sul merito della propria domanda.

La seconda prospettiva che ci sembra di intravedere è la seguente: che la Corte di cassazione ritorni, cioè, sulle posizioni del 1999 e affermi che la giurisdizione sulle controversie risarcitorie per lesione dell'interesse legittimo spetti all'A.G.O., residuando al giudice amministrativo solo le controversie aquiliane consequenziali, intese in senso limitato e cioè siccome collegate, ex art. 7 legge T.A.R., alla ricostituzione dei diritti soggettivi sacrificati dal provvedimento giurisdizionalmente annullato.

È questa una soluzione non priva di aspetti di plausibilità e che aprirebbe una seconda via di tutela giurisdizionale contro la pubblica Amministrazione, basata su necessità di protezione e su funzioni diverse dalla tutela oggi riconosciuta dal giudice dell'annullamento.


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