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Articoli e note

n. 10/2003 - copyright

CARMINE VOLPE (*)

Attività amministrativa, illegittimo esercizio del potere e responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi

 

SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Premesse in ambito di giurisdizione. 3. La sequenza normativa e giurisprudenziale. 4. La risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi; situazione precedente alla sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., n. 500/1999. 5. La svolta delle sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 500/1999. 6. La risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi; situazione successiva alla sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., n. 500/1999. 7. Riparto di giurisdizione in materia di risarcimento del danno. 8. Risarcimento del danno nella giurisdizione esclusiva e nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo. 9. Conclusioni.

 

1. Introduzione.

La responsabilità della pubblica amministrazione per illegittimo esercizio dell’attività amministrativa ci porta necessariamente a partire da un momento che si pone alla fine di un lungo percorso giurisprudenziale, dottrinario e legislativo; momento che di per sé costituisce anche l’inizio di una nuova stagione di problematiche e di orientamenti nel complesso rapporto tra potere amministrativo e suoi destinatari. Il riferimento è alla l. 21 luglio 2000, n. 205, la quale ha rappresentato un punto di svolta nell’ambito dell’effettività della tutela giurisdizionale, soprattutto con riguardo alle problematiche inerenti gli interessi legittimi di tipo pretensivo. Quelli di tipo oppositivo, infatti, anche se travestiti da diritti soggettivi affievoliti ad interessi legittimi dall’esercizio del potere amministrativo, avevano conseguito già da tempo, da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione, tutela sostanzialmente identica (sotto l’aspetto risarcitorio) ai diritti soggettivi.

Tra le novità più significative apportate dalla detta legge si pone la possibilità, concessa al giudice amministrativo, di condannare sempre al risarcimento del danno ingiusto. Questi conosce del risarcimento del danno a seguito della lesione di situazioni di interesse legittimo, ossia diviene il giudice che conosce di tutti gli effetti conseguenti all’illegittimo esercizio della funzione pubblica; effetti sia di tipo demolitorio (annullatorio) che risarcitorio (art. 7, comma 1, lett. c, della l. n. 205/2000, che ha sostituito l’art. 7, comma 3, primo periodo, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034). Egli, quindi, nell'ambito di ogni controversia in cui ha giurisdizione, pure solo generale di legittimità, “conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.

2. Premesse in ambito di giurisdizione.

La l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (così detta legge abolitiva del contenzioso amministrativo), in applicazione del principio della divisione dei poteri, intese attuare, disponendo innanzitutto l’abolizione dei Tribunali speciali del contenzioso amministrativo, il sistema (belga) della giurisdizione unica, potendo il giudice ordinario (all’epoca giudice unico) conoscere dei diritti civili o politici (art. 2) “comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’Autorità amministrativa”. La legge medesima attribuiva alle autorità amministrative gli “affari non compresi”, ossia le questioni non involgenti diritti, per una definizione in contraddittorio con gli interessati (art. 3), e stabiliva che il potere di revoca e di annullamento dell’atto amministrativo era proprio dell’autorità amministrativa (art. 4, con il sistema dei ricorsi amministrativi).

Gli interessi legittimi, invece, ebbero origine dalla l. 31 marzo 1889, n. 5992, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, che non era ancora un giudice, e le attribuiva il potere di decidere i ricorsi - per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge - contro atti amministrativi aventi ad oggetto un “interesse” di individui o di enti, quando i ricorsi non siano di competenza del giudice ordinario né di corpi o collegi speciali; con il conseguente potere di annullamento, prima spettante solo all’amministrazione nell’ambito della decisione dei ricorsi amministrativi. L’“interesse”, che secondo la lettera della legge pareva riferirsi a quello di carattere processuale, acquisì invece natura di posizione sostanziale e venne contrapposto al diritto soggettivo.

Secondo la Costituzione (art. 103, comma 1) “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”. La disposizione, che va vista insieme a quella di cui al successivo art. 113, comma 1, secondo cui “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”, ha comportato la costituzionalizzazione del così detto criterio della causa petendi, adottato dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione, ossia del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo fondato sull’individuazione delle situazioni giuridiche soggettive; rispettivamente, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Il che costituisce anomalia del nostro sistema rispetto ai contermini ordinamenti europei, i quali, nonostante che in alcuni casi conoscano la categoria dell’interesse legittimo, non vi fondano l’individuazione del giudice.

La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si caratterizza per il fatto che lo stesso conosce anche dei diritti soggettivi, oltre agli interessi legittimi dei quali conosce ordinariamente nell’ambito della sua giurisdizione generale di legittimità. In particolari materie in cui sono esistenti situazioni sia di interesse legittimo sia di diritto soggettivo, intrecciate fra loro e non sempre di facile discernimento, il legislatore ritiene opportuno attribuire la materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Queste esigenze furono alla base dell’emanazione del d.lgs. 30 dicembre 1923, n. 2840, con cui venne istituita la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia del pubblico impiego, poi regolata dall’art. 30 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (di approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato). E’ chiaro che è l’esistenza di situazioni di diritto soggettivo, assieme a quelle di interesse legittimo, a giustificare l’attribuzione della materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Su questa strada si è incamminata la l. n. 1034/1971, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali (T.A.R.), prevedendo, agli artt. 5 e 7, le materie deferite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (di rilievo i rapporti di concessione di beni e servizi pubblici); giurisdizione che, con il passare del tempo, si è sempre di più allargata per effetto di singoli interventi legislativi, con cui, di volta in volta, le sono state attribuite ulteriori materie. Solo a titolo esemplificativo si ricordano: l’art. 16 della l. 28 gennaio 1977, n. 10, in ambito di controversie attinenti alla determinazione e liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione; l’art. 11 della l. 7 agosto 1990, n. 241, per le controversie in tema di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi modificativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo; l’art. 33 della l. 10 ottobre 1990, n. 287, che prevede i ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato; l’art. 6 della l. 24 dicembre 1993, n. 537, in tema di contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi; l’art. 2, commi 1 e 25, della l. 14 novembre 1995, n. 481, con riguardo ai ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti emanati dalle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità.

La tendenza legislativa verso una sempre più ampia attribuzione di materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ha inteso superare le difficoltà create dal riparto di giurisdizione, tra giudice ordinario e giudice amministrativo, basato sulla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi; criterio divenuto anacronistico - malgrado il riconosciuto contributo fornito dall’interesse legittimo ad un notevole allargamento della tutela del privato nei confronti della pubblica amministrazione - per avere dato luogo a profonde ingiustizie a causa del proliferare dei problemi di giurisdizione a discapito di esigenze di certezza, celerità ed effettività della tutela.

Da notare che l’art. 103 Cost. consentirebbe l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo delle controversie in cui sia parte una pubblica amministrazione. Attualmente, invece, il giudice amministrativo conosce anche di controversie tra privati, che però si caratterizzano dal fatto che uno dei soggetti in lite esercita una funzione pubblicistica, legalmente prevista, o acquisisce rilevanza pubblica peculiare, dato che la sua attività, essendo di interesse pubblico, viene funzionalizzata dalla legge o qualificata dal diritto comunitario degli appalti. Il che ha comportato l’ampliamento della nozione di pubblica amministrazione.

3. La sequenza normativa e giurisprudenziale.

La l. 15 marzo 1997, n. 59, nell’ambito di una serie di interventi di riforma della pubblica amministrazione, iniziata con la l. 23 ottobre 1992, n. 421 e seguita dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, all’art. 11, comma 4, lett. g), ha delegato il Governo ad emanare un decreto legislativo “per devolvere, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario,...tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, disponendo “la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici, prevedendo altresì un regime processuale transitorio per i procedimenti pendenti”.

Anche se il citato art. 11, comma 4, lett. g), non parla di giurisdizione esclusiva, l’intenzione del legislatore delegante è quella di rendere piena ed effettiva la tutela nei confronti della pubblica amministrazione, concentrando innanzi al giudice amministrativo - nell’esercizio della giurisdizione, sia di legittimità che esclusiva, di cui era già titolare nelle materie dell’edilizia, dell’urbanistica e dei servizi pubblici - non solo il controllo di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche la riparazione per equivalente, ossia il risarcimento del danno, evitando la necessità di instaurare successivo e separato giudizio davanti al giudice ordinario. Con la conseguente fine del così detto sistema del doppio binario, il quale comportava di dovere andare prima innanzi al giudice amministrativo per conseguire l’annullamento del provvedimento e dopo, in caso di accoglimento del ricorso, davanti al giudice ordinario per ottenere il risarcimento del danno; con la prospettiva, non allettante, di cinque gradi di giudizio.

Che si verta in ambito di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo lo si evince dalla dizione “diritti patrimoniali conseguenziali”, la quale trova necessariamente ancoraggio nel vecchio testo dell’art. 7, comma 3, della l. n. 1034/1971; laddove, dopo aver affermato che il T.A.R. “nelle materie deferite alla sua giurisdizione esclusiva conosce anche di tutte le questioni relative a diritti”, venivano riservate al giudice ordinario le “questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre”. La giurisprudenza, infatti, aveva affermato che i “diritti patrimoniali conseguenziali” erano quelli attinenti al risarcimento del danno, ossia a tutte quelle conseguenze ulteriori e non dirette dell’illegittimità dell’attività amministrativa; l’attribuzione al giudice amministrativo della cognizione dei diritti patrimoniali conseguenziali presuppone che esso abbia in materia giurisdizione esclusiva.

In attuazione della delega, gli artt. 33, 34 e 35 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 hanno attribuito al giudice amministrativo la cognizione di alcune categorie di controversie, individuate sulla base di materie specifiche - servizi pubblici, edilizia e urbanistica - in precedenza devolute alla giurisdizione ordinaria ed a quella amministrativa in base ai criteri generali di riparto della giurisdizione ed alla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi. I casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sono stati così notevolmente ampliati in funzione del superamento del tradizionale sistema di riparto della giurisdizione ed a favore della previsione di una divisione affidata al criterio della materia. Ciò sul presupposto che siffatto criterio consenta maggiori certezze rispetto a quello fondato sull’individuazione della situazione giuridica soggettiva; presupposto destinato lentamente a sfaldarsi, viste le non diminuite questioni di giurisdizione, da imputare ai confini incerti delle materie ed alle esclusioni, alla giurisdizione esclusiva, previste nelle materie medesime (ci si riferisce, in particolare, all’attuale testo dell’art. 33, comma 2, lett. e, del d.lgs. n. 80/1998).

Gli artt. 33 34 e 35 del d.lgs. n. 80/1998 si sono mossi nel solco delle recenti proposte di revisione costituzionale, delineate dalla Commissione bicamerale istituita con la l.cost. 24 gennaio 1997, n. 1, e precisamente dell’art. 119 del testo licenziato nella seduta del 4 novembre 1997, che prevedeva la delimitazione della giurisdizione amministrativa “sulla base di materie omogenee, indicate dalla legge”, anche se “riguardanti l’esercizio di pubblici poteri”; con la conseguente costituzionalizzazione del criterio del riparto per materie.

Nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, questi, ai sensi del comma 1 del citato art. 35, dispone, “anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”. Il che, come rilevato dai primi commentatori della norma, non comportava l’affermazione della risarcibilità delle posizioni di interesse legittimo, ma solo l’attribuzione della relativa giurisdizione al giudice amministrativo, a fini di concentrazione della tutela con la conseguente eliminazione del così detto sistema del doppio binario.

Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 22 luglio 1999, n. 500 [1], hanno affermato per la prima volta la risarcibilità dell’interesse legittimo, ma in presenza di varie condizioni. Si tratta di una decisione influenzata da esigenze di “politica giudiziaria”, dato che prima o poi alle medesime conclusioni ci sarebbe arrivato il giudice amministrativo nell’ambito delle materie attribuite alla sua giurisdizione esclusiva. Così che, nella corsa apertasi, il giudice ordinario ha voluto tagliare per primo il traguardo.

Sulla sentenza si tornerà tra poco. Un’affermazione della Corte di Cassazione aveva però destato perplessità. Essa non aveva ravvisato la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento, considerando la responsabilità dell’amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c. non correlata alla mera illegittimità del provvedimento amministrativo, “bensì ad una più complessa valutazione, estesa all’accertamento della colpa, dell’azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto”. Con la conseguente possibilità, per il giudice ordinario, nell’ipotesi in cui l’illegittimità dell’azione amministrativa non sia stata previamente accertata e dichiarata, di svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l’illecito, “poiché l’illegittimità dell’azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 c.c.”.

Nel frenetico susseguirsi degli avvenimenti si inserisce la Corte Costituzionale che, con la sentenza 17 luglio 2000, n. 292 [2], ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 del d.lgs. n. 80/1998 nella parte in cui istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nell’intero ambito della materia dei servizi pubblici, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno; eccedendo, in tal modo, dai limiti consentiti dall’art. 11, comma 4, lett. g), della l. n. 59/1997.

Si perviene quindi alla l. n. 205/2000.

La norma sulla giurisdizione contenuta nell’art. 7 della l. n. 205/2000, dal titolo “modifiche al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80”, ha inteso rimediare alla detta sentenza della Corte Costituzionale, eliminando i problemi conseguenti all’eccesso di delega. Il legislatore, novando integralmente la fonte degli artt. 33, 34 e 35 del d.lgs. n. 80/1998, ha disposto una sorta di interpretazione autentica di quanto operato dal precedente decreto legislativo, svincolata dai limiti della delega. Gli artt. 33, 34 e 35 del d.lgs. n. 80/1998 sono stati sostituiti dall’art. 7 della legge n. 205/2000 che ne ha riprodotto il contenuto pressoché integralmente, con alcune novità: tra cui quella, dirompente, alla quale si è accennato all’inizio, per cui il giudice amministrativo diviene il giudice che conosce del risarcimento del danno a seguito della lesione di posizioni di interesse legittimo provocata dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica, ossia del potere amministrativo (nuovo testo dell’art. 7, comma 3, della l. n. 1034/1971). Nessuna novità, invece, è stata apportata al vecchio testo dell’art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. c), della l. n. 205/2000; ma i poteri del giudice amministrativo in ambito risarcitorio sono diventati i medesimi, sia nella giurisdizione esclusiva che in quella generale di legittimità.

E’ stata poi introdotta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con riguardo alle procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale (art. 6, comma 1, della l. n. 205/2000).

4. La risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi; situazione precedente alla sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., n. 500/1999.

Fino alla sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione n. 500/1999, la giurisprudenza riteneva, innanzitutto, che sede naturale di cognizione per ogni domanda di risarcimento, anche nei confronti della pubblica amministrazione, fosse il giudice ordinario. La situazione era in grandi linee la seguente.

Quando la posizione giuridica soggettiva di cui il privato è titolare si atteggia come interesse legittimo, il pregiudizio che egli risente, per il fatto che il provvedimento illegittimo dell’amministrazione ne abbia impedito o ritardato la realizzazione, non si configura come danno ingiusto e non dà diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c.[3]. Il danno arrecato alla sfera giuridica altrui era considerato rilevante se conseguente ad un comportamento non jure (ossia contrario alla legge) e contra jus (cioè incidente su una situazione di diritto soggettivo). L’applicazione del dogma dell’irrisarcibilità della lesione dell’interesse legittimo dava luogo alla reiezione della domanda nel merito, per difetto di danno risarcibile.

Con la soluzione che venne data dalla Corte di Cassazione negli anni ’70 al famoso caso Meroni, il calciatore del Torino che morì per essere stato investito da un automobilista, si era riconosciuta la risarcibilità anche di una posizione di diritto soggettivo di credito, a favore del creditore, non solo verso il debitore, a seguito dell’inadempimento totale o parziale della prestazione, ma anche nei confronti di colui il quale, con il proprio comportamento (che aveva causato la morte del calciatore), aveva reso impossibile al creditore di continuare ad usufruire delle prestazioni del proprio debitore.

La giurisprudenza ricollegava il risarcimento del danno sempre alla lesione di posizioni di diritto soggettivo, anche se la situazione sottostante fosse in realtà un interesse legittimo. Era la famosa teoria dell’affievolimento dei diritti soggettivi, secondo cui l’incontro (scontro) del potere amministrativo con una posizione di diritto originaria (ad esempio, il diritto di proprietà inciso dal potere ablatorio), o costituita da un provvedimento amministrativo (ad esempio, il diritto di costruire, a seguito di concessione edilizia, poi annullata in via di autotutela dalla stessa amministrazione che l’ha rilasciata), comporta la degradazione del diritto ad interesse legittimo; individuato nella pretesa a che il potere venga esercitato nei modi, nei tempi, secondo le forme e seguendo le procedure stabilite dalla legge. Una volta che veniva accertata (da parte del giudice amministrativo) l’illegittimità dell’esercizio del potere, l’annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo comportava la rinascita (quasi quale evento mistico) del diritto soggettivo, con la conseguente possibilità di agire (innanzi al giudice ordinario) per conseguire il risarcimento dei danni subiti (a seguito dell’illegittimo esercizio del potere). Il tutto configurava il così detto sistema del doppio binario.

Ma si trattava di una sorta di superfetazione, ossia di un vero e proprio escamotage inventato dalla Corte di Cassazione per attribuire la tutela risarcitoria anche agli interessi legittimi di tipo oppositivo, dato che la situazione sottostante, il bene della vita per il quale si agisce in giudizio, era comunque la stessa, non cambiando connotati per effetto dell’esercizio del potere. Si trattava sempre di quel diritto preesistente, o costituito da un provvedimento amministrativo, che veniva inciso da un provvedimento autoritativo; il che consentiva, sia di impugnare il provvedimento sia, una volta acclarata la sua illegittimità, di conseguire il risarcimento del danno secondo principi di solidarietà (art. 2 Cost.).

E che si trattasse di superfetazione l’aveva intuito la medesima Corte di Cassazione, la quale, in presenza di potere esercitato al di fuori delle regole essenziali stabilite dalla legge, si era inventata, in contrapposizione alla carenza di potere in astratto che dava luogo alla nullità dell’atto per avere esercitato un potere non previsto dalla legge, la teoria della carenza di potere in concreto; teoria che consentiva al giudice ordinario di pervenire egualmente all’accertamento della nullità del provvedimento, alla sua disapplicazione e, quindi, alla possibilità di attribuire direttamente la tutela risarcitoria prescindendo dalla previa impugnativa dell’atto (ad esempio, nel caso di decreto di esproprio emanato al di fuori dei termini stabiliti dalla dichiarazione di pubblica utilità). In tal modo la Corte di Cassazione, alla luce di esigenze di effettività della tutela giurisdizionale, superava il sistema del doppio binario e apriva direttamente all’interessato le porte della tutela risarcitoria, per equivalente o in forma specifica.

Quello che invece costituiva tabù era il risarcimento del danno a seguito della lesione di interessi legittimi di tipo pretensivo, ossia quelli per il cui soddisfacimento occorre un’attività della pubblica amministrazione da svolgere sempre nell’esercizio del potere (ad esempio, diniego di concessione edilizia o, in genere, di provvedimenti di tipo autorizzatorio). In questa ipotesi, l’accertamento dell’illegittimità dell’esercizio del potere non consentiva, secondo la Corte di Cassazione, la tutela risarcitoria, dato che si era in presenza di interessi legittimi e la sfera giuridica dell’interessato non si era ancora accresciuta di quel bene della vita preteso dall’amministrazione.

La posizione della Corte di Cassazione era anche non conforme al diritto comunitario, che non conosce la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e che, perseguendo esigenze di reale tutela degli imprenditori, spingeva verso il riconoscimento della tutela risarcitoria a seguito dell’emanazione di provvedimenti illegittimi dell’amministrazione.

Per la Corte di Cassazione il principio generale dell’irrisarcibilità dell’interesse legittimo non poteva ritenersi superato nemmeno a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 13 della l. 19 febbraio 1992, n. 142 (poi abrogato dall’art. 35 del d.lgs. n. 80/1998), che, dando atto del sistema imperante del doppio binario, aveva ammesso la possibilità, per i soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle relative norme interne di recepimento, di chiedere all'amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno; la domanda di risarcimento era proponibile dinanzi al giudice ordinario a seguito dell'annullamento dell'atto lesivo da parte del giudice amministrativo. Secondo la Corte di Cassazione il citato art. 13 rappresentava un’eccezione normativa al principio generale della irrisarcibilità dell’interesse legittimo, che veniva così oltremodo rafforzato.

Mentre in una controversia tra privati la Cassazione accertava il carattere ingiusto o meno della lesione dell’interesse subita dal privato, la stessa aveva così un rispetto quasi sacrale per la sfera patrimoniale della pubblica amministrazione, pretermettendo ogni accertamento circa il carattere ingiusto o meno della lesione dell’interesse subita dal privato. Alla base vi erano evidenti esigenze di tutela della finanza pubblica, oltre che lo scopo di non scoraggiare le amministrazioni nell’esercizio della funzione pubblica.

La Corte di Cassazione riconosceva, però, la tutela di alcuni diritti soggettivi che in realtà erano interessi, quali il diritto all’integrità del patrimonio ed il diritto a determinarsi liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale relativa al patrimonio. Attribuiva, inoltre, tutela risarcitoria a quelle posizioni strumentali dei partecipanti alle selezioni concorsuali bandite da soggetti privati, inerenti la regolarità delle procedure; posizioni le quali non erano altro che interessi legittimi, che venivano riportate nell’alvo del diritto soggettivo solo perché il concorso era indetto da un soggetto non pubblico.

Le conseguenze erano paradossali. Si ammetteva il risarcimento del danno arrecato dal piccolo morso di un cane, ma non delle rilevanti conseguenze patrimoniali derivate dal non avere consentito illegittimamente la realizzazione di una lottizzazione edilizia di notevoli dimensioni.

A tale posizione pietrificata la dottrina ribatteva che l’art. 2043 c.c. non limita, nemmeno in senso letterale, la nascita dell’obbligazione risarcitoria alle sole posizioni di diritto soggettivo; la norma prevede solo la possibilità che il danno sia ingiusto. Ed il concetto di danno ingiusto costituisce una clausola elastica, a carattere generale, racchiusa nell’art. 2043 c.c., che obbliga chiunque arrechi ad altri un danno non consentito dall’ordinamento giuridico a risarcire il danneggiato. La violazione di obblighi positivi o negativi che l’ordinamento giuridico vigente impone anche alla pubblica amministrazione, come ad ogni consociato, dovrebbe costituire fonte dell’obbligazione di risarcimento del danno conseguente; sempre che vi sia stata una diminuzione patrimoniale e se tale diminuzione sia stata determinata dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica.

5. La svolta delle sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 500/1999.

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso per regolamento di giurisdizione proposto dal Comune di Fiesole, nel corso del giudizio instaurato innanzi al Tribunale di Firenze da un privato, il quale aveva chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni conseguenti al mancato inserimento, tra le zone edificabili del piano regolatore generale (PRG), dell’area in sua proprietà oggetto di convenzione di lottizzazione, stipulata con l’ente locale anteriormente alla formazione del piano. Il mancato inserimento della lottizzazione nel PRG era stato annullato dal Consiglio di Stato per difetto di motivazione sulle ragioni che avevano indotto il Comune a disattendere la convenzione. Il privato chiedeva i danni poiché, nel periodo intercorso tra l’annullamento del piano e la rinnovazione del regime urbanistico impeditivo della lottizzazione, non gli era stato consentito di realizzare la lottizzazione convenuta nel 1964, prima dell’entrata in vigore del regime ostativo.

Secondo le sezioni unite, dà luogo al risarcimento del danno non solo la lesione del diritto soggettivo ma quella di qualsiasi interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico; interesse che può essere anche l’interesse legittimo ma che non si identifica con esso. La lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c., poiché occorre anche che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole dell’amministrazione, l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla.

Il giudice di merito, per pronunciarsi sulla fondatezza della richiesta di risarcimento, dovrà stabilire se l’evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della pubblica amministrazione. La Corte di Cassazione abbandona l’equazione “colpa=violazione di leggi o di regolamenti”, costantemente seguita dalla giurisprudenza più recente. Nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo non sarà invocabile il principio secondo cui la colpa dell’amministrazione è in re ipsa; principio enunciato con riferimento all’ipotesi di attività illecita per violazione di diritto soggettivo, ma che non si adatta al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo esercizio del potere. L’elemento soggettivo, poi, attiene alla pubblica amministrazione apparato e non al funzionario o all’agente.

Ai fini della definizione dell’elemento psicologico, anche alla pubblica amministrazione è applicabile l’art. 43 c.p., che collega la colpa alla negligenza, all’imprudenza, all’imperizia, ovvero all’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Con riguardo all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, l’illegittimità discende dalla violazione di quelle che sono le regole proprie della discrezionalità amministrativa; e cioè i canoni di correttezza, imparzialità, buon andamento e buona amministrazione.

Finisce, per le sezioni unite, la necessaria pregiudizialità del giudizio di accertamento dell’illegittimità dell’atto. Così, in teoria, poteva avvenire che, per le materie non attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si agiva nel termine di prescrizione innanzi al giudice ordinario per conseguire i danni, anche se non era stato impugnato nei termini di decadenza, innanzi al giudice amministrativo, il provvedimento presunto illegittimo. Oltre alla ipotizzabile pendenza di due cause e alla possibilità, sempre incombente seguendo il ragionamento della Corte di Cassazione, del contrasto tra giudicati; da una parte il giudice ordinario che, conoscendo in via incidentale il provvedimento, ne accerta l’illegittimità, lo disapplica a fini di tutela risarcitoria e condanna l’amministrazione al risarcimento del danno, nonché, dall’altra, il giudice amministrativo, il quale respinge o, il che è lo stesso, dichiara irricevibile o inammissibile, il ricorso proposto contro il medesimo provvedimento.

Il problema, che riguardava solo la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, è stato risolto dalla l. n. 205/2000 (nuovo testo dell’art. 7, comma 3, della l. n. 1034/1971), con cui si è istituita la giurisdizione generale del giudice amministrativo sulla funzione pubblica, assicurando al cittadino l’azione giudiziaria unica, per l’annullamento dell’atto ed il risarcimento del danno. Ma riportando così innanzi al giudice amministrativo la questione sulla necessità della pregiudiziale amministrativa.

Secondo la costruzione delle sezioni unite della Corte di Cassazione, quindi, il giudice, chiamato a decidere su di una domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, deve accertare, nell’ordine: la sussistenza dell’evento dannoso, l’ingiustizia del danno, il rapporto di causalità tra evento e condotta (anche eventualmente omissiva) dell’amministrazione e la sussistenza della colpa o del dolo.

6. La risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi; situazione successiva alla sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., n. 500/1999.

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione 26 marzo 2003, n. 4 [4], ha ritenuto che, una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non sia possibile l’accertamento incidentale dell’illegittimità dell’atto, non impugnato nei termini decadenziali, al solo fine di un giudizio risarcitorio. Ha, inoltre, affermato che non è possibile ritenere che l’azione di risarcimento del danno possa essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, essendo l’azione di risarcimento ammissibile solo a condizione che sia stato impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia stato coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è concesso disapplicare atti amministrativi non regolamentari.

Si è preso atto, in tal modo, del cambiamento del momento storico in cui si era pronunciata la Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 500/1999. Sembra quasi un paradosso, a distanza di poco più di tre anni, ma la Cassazione era intervenuta in un momento in cui (per effetto del d.lgs. n. 80/1998) le questioni risarcitorie erano concentrate innanzi al giudice amministrativo solo nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva. Così che essa era stata attenta, nell’ottica di esigenze di effettività di tutela giurisdizionale, a non reintrodurre il sistema del doppio binario precedentemente imperante (sistema che aveva costretto l’interessato, a seguito della lesione di posizioni di interesse legittimo, ad instaurare due giudizi, prima innanzi al giudice amministrativo per l’annullamento del provvedimento, e poi, dopo averlo ottenuto, davanti al giudice ordinario per conseguire il risarcimento del danno).

Proprio per ovviare a tale situazione, costituente di per sé stortura del sistema, è intervenuta la l. n. 205/2000, che ha concentrato innanzi al giudice amministrativo, nelle situazioni di interesse legittimo, la tutela risarcitoria e quella annullatoria.

Ai sensi del nuovo testo dell’art. 7, comma 3, della l. n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. c), della l. n. 205/2000, il giudice amministrativo diviene il giudice unico della funzione pubblica. Così che le questioni in materia di risarcimento del danno, a seguito o per effetto dell’emanazione di provvedimenti conseguenti all’esercizio della funzione pubblica, ossia del potere amministrativo, sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.

Il risarcimento del danno conseguente all’esercizio illegittimo del potere da parte della pubblica amministrazione, in attuazione della norma costituzionale attributiva del potere giurisdizionale in ordine all’interesse legittimo (art. 103, comma 1, Cost.), comporta che la tutela risarcitoria conseguente alla lesione di posizioni di tale tipo viene anch’essa riservata al giudice amministrativo.

Ecco che le esigenze tenute presenti dalla Corte di Cassazione vengono meno.

Una volta che, per stabilire se il comportamento dell’amministrazione sia tale da causare il risarcimento del danno ad esso conseguente, è necessario procedere alla verifica positiva di tutti i requisiti previsti dalla legge - quali la sussistenza della lesione di una situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (il danno ingiusto), la colpa (o il dolo) dell’amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale, ed il nesso di causalità tra l’illecito e il danno subito (Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 924 [5]) - l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento amministrativo rappresenta solo uno dei vari elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità, ai sensi dell’art. 2043 c.c. (Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169 [6]). In presenza di domanda risarcitoria pedissequa e dipendente da provvedimenti amministrativi di carattere autoritativo, il necessario accertamento dell’ingiustizia del danno comporta la verifica della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica; verifica che non può essere effettuata qualora il provvedimento non sia stato impugnato nei termini di decadenza, secondo una delle regole tipiche del giudizio amministrativo. In questo caso l’incontestabilità del provvedimento fa sì che esso, secondo il principio della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, deve essere considerato conforme a legge anche dallo stesso giudice; il quale non può disporre il risarcimento del danno ingiusto qualora il provvedimento non è stato impugnato nei termini di decadenza previsti dalla legge.

E’ chiaro che il provvedimento amministrativo, o più in generale l’esercizio della funzione pubblica, rileva a fini risarcitori come comportamento produttivo di danni. Anche il provvedimento legittimo, come il ritardo e la mancanza dell’atto o l’inerzia ingiustificata nella sua emanazione, possono provocare le medesime conseguenze dannose (si pensi all’ipotesi dell’ingiustificato ritardo nel rilascio della concessione edilizia, di per sé idoneo a procurare un danno ingiusto al richiedente, se, per effetto del colpevole ritardo, costui è costretto a sopportare maggiori spese a seguito del successivo rilascio della concessione seppure conforme alle sue richieste). L’illiceità non presuppone sempre l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento; è invece l’acclarata illegittimità dell’esercizio della funzione pubblica che si traduce in comportamento illecito.

La giurisprudenza, tuttavia, soprattutto dei T.A.R. (T.A.R. Lazio, sez. III, 14 gennaio 2003, n. 96 e T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 25 novembre 2002, n. 852 [7]), al fine di potere chiedere (e conseguire) i danni da ritardo, si sta orientando in favore della necessità del previo annullamento di un atto (da impugnare) o quanto meno del previo accertamento giudiziale dell’illegittimità di un comportamento silente o inerte; accertamento rispetto al quale sarebbe necessariamente preliminare l’impugnazione di un silenzio dell’amministrazione ritualmente formatosi. Il che, oltre a non essere conforme a principi di effettività, non è nemmeno richiesto dalla normativa e dai principi in ambito di tutela risarcitoria, i quali pretendono solo l’esistenza di un danno di carattere patrimoniale conseguente a ritardo nel provvedere e imputabile a comportamento (almeno) colposo dell’amministrazione. A prescindere, tra l’altro, dall’illegittimità del provvedimento, anche perché la giurisprudenza ha sempre ritenuto che la violazione dei termini di conclusione del procedimento amministrativo, stabiliti ai sensi dell’art. 2 della l. n. 241/1990, non comporti l’illegittimità dell’atto adottato oltre i termini stessi; non essendo essi previsti a pena di decadenza dell’esercizio del potere né avendo carattere perentorio.

La posizione espressa dall’adunanza plenaria con la citata decisione n. 4/2003 ha trovato conforto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione successiva alla sentenza n. 500/1999 [8].

Da un modello assoluto di responsabilità dell’amministrazione inquadrato nell’illecito extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., si tende verso un’ottica di responsabilità di tipo contrattuale.

Si è posto il problema se la responsabilità patrimoniale dell'amministrazione per mancato illegittimo affidamento di un appalto costituisce responsabilità contrattuale, cioè discendente da inadempimento di obbligazione, oppure responsabilità extracontrattuale, derivante dal compimento di atto illecito diverso dall'inadempimento di obbligazione. Il che non è senza rilievo, considerato che dalla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità discendono conseguenze diverse (in materia di prescrizione, elemento soggettivo, danni risarcibili, rivalutazione monetaria e interessi legali).

Nel Consiglio di Stato si è sviluppata un’elaborazione giurisprudenziale (risalente a sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239 [9]) che ha delineato, in capo all’amministrazione, una responsabilità contrattuale “da contatto sociale qualificato”; nell’ambito di un procedimento amministrativo (si pensi alle procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente), con riguardo a tutti i soggetti che vi partecipano e a seguito della violazione delle regole che devono essere osservate nello svolgimento dello stesso, o quando l’invalidità del provvedimento amministrativo deriva dal contrasto con precedenti atti convenzionali stipulati dall’amministrazione e dal soggetto interessato. Il qualificato rapporto proprio degli interessi pretesivi, tra richiedente e amministrazione, consente una parziale assimilazione fra la responsabilità contrattuale e quella conseguente all’adozione di atti amministrativi illegittimi. In tal modo la responsabilità dell’amministrazione, a seguito della lesione di interessi legittimi, viene parzialmente disancorata dallo schema dell’illecito extracontrattuale, di cui all’art. 2043 c.c., in cui era stata racchiusa dalla giurisprudenza iniziale.

La questione non è stata risolta dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (decisione 14 febbraio 2003, n. 2 [10]), a cui era stata rimessa dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana [11], in quanto ritenuta non rilevante ai fini della soluzione della controversia. Ma, recentemente, c’è stato un avvicinamento alla tesi della responsabilità da contatto sociale qualificato da parte della Corte di Cassazione (sez. I civile, 10 gennaio 2003, n. 157 [12]), nella stessa controversia che aveva originato la sentenza delle sezioni unite n. 500/1999.

La Cassazione ha ritenuto che, dopo l’entrata in vigore della l. n. 241/1990 in materia di procedimento amministrativo, si imponga una nuova concezione dei rapporti tra cittadino ed amministrazione, in virtù della quale la pretesa alla regolarità dell’azione amministrativa va valutata secondo i canoni contrattuali di correttezza e buona fede. Siffatta affermazione, tendenzialmente di carattere generale, viene però riferita ad una fattispecie concreta laddove la Corte specifica trattarsi di interessi legittimi di tipo oppositivo e non pretensivo.

Dal che alcune conseguenze; la prescrizione dell’azione risarcitoria da quinquennale (art. 2947 c.c.) diviene decennale (art. 2946 c.c.) e si verifica l’inversione dell’onere della prova, dato che la colpa si presume, dovendo l’amministrazione provare che l’inadempimento o il ritardo derivano da causa ad essa non imputabile (art. 1218 c.c.). Il soggetto danneggiato viene così liberato da tutte le difficoltà probatorie conseguenti alla configurazione, da parte della Corte di Cassazione (con la citata sentenza n. 500/1999), dell’elemento soggettivo in capo ad una fantomatica amministrazione-apparato, anziché al singolo soggetto agente per l’amministrazione, da valutare verificando se la stessa abbia seguito o meno le diverse regole proprie dell’esercizio della discrezionalità amministrativa; e cioè se abbia violato i canoni di correttezza, imparzialità, buon andamento e buona amministrazione.

La giurisprudenza amministrativa tende a differenziare la tutela risarcitoria a seconda se si verte in presenza di interessi legittimi oppositivi o pretesivi.

Per questi ultimi la risarcibilità viene condizionata al riesercizio del potere conseguente all’annullamento dell’atto impugnato (ad esempio, diniego di atto autorizzativo), affermando che non può dedurre alcun danno risarcibile il destinatario del provvedimento illegittimo annullato il quale non risulti titolare di una situazione giuridica tutelata, in quanto ancora oggetto del potere amministrativo. In particolare, se l’amministrazione, anche dopo l’annullamento giurisdizionale, continua ad avere significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura, il giudice non può valutare la spettanza del bene della vita al fine di ipotizzare un danno risarcibile, configurabile solo limitatamente alla perdita di chance. Il risarcimento potrà ammettersi unicamente quando l’amministrazione, riesercitato il proprio potere, come le compete per effetto del giudicato, abbia riconosciuto all’istante il bene della vita dallo stesso preteso, configurando così il danno risarcibile nel solo pregiudizio da ritardo. E sempre che l’amministrazione, riesercitato il potere discrezionale, si sia pronunciata in maniera favorevole al ricorrente [13].

Invece, in caso di lesione di interessi legittimi oppositivi, i vizi formali che si traducono nella violazione delle regole poste al corretto svolgimento dell’azione amministrativa configurano la responsabilità dell’amministrazione (di tipo contrattuale secondo la citata sentenza della Corte di Cassazione n. 157/2003). Questo però è vero nell’ipotesi in cui il potere non possa essere più riesercitato; altrimenti, anche in presenza di interessi legittimi oppositivi, l’annullamento giurisdizionale del provvedimento avvenuto per motivi formali o procedimentali comporta, per conseguire la tutela risarcitoria, la riedizione del potere con l’eliminazione del vizio accertato.

Mentre, per gli interessi legittimi pretesivi, al fine di potere accordare la tutela risarcitoria, occorre in più che il pregiudizio sia stato arrecato a beni della vita per i quali vi sia un interesse, del titolare dell’interesse legittimo medesimo, meritevole di tutela.

7. Riparto di giurisdizione in materia di risarcimento del danno.

Si rientra nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo allorquando la causa petendi, a fondamento dell’azione intrapresa dal privato, è rappresentata dall’accertamento dell’illegittimità (nullità o annullabilità) di provvedimenti amministrativi emessi nell’ambito dello (o di procedimento connesso allo) esercizio del potere, ed il petitum consegue al danno patrimoniale subito ed al diritto di credito sorto per effetto dell’illecito civile commesso dalla pubblica amministrazione; sostanziandosi nella richiesta di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo esercizio di pubbliche funzioni.

Le questioni in materia di risarcimento del danno, a seguito o per effetto dell’emanazione di provvedimenti amministrativi, rientrano nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo. Si tratta, invero, di risarcimento del danno conseguente all’esercizio illegittimo del potere da parte della pubblica amministrazione (si pensi, ad esempio, al potere ablatorio della proprietà privata per motivi d’interesse generale). La norma attributiva del potere giurisdizionale (art. 103, comma 1, Cost.) in ordine all’interesse legittimo fa sì che la tutela risarcitoria di tale posizione di vantaggio resti anch’essa riservata al giudice amministrativo.

La materia del risarcimento del danno a seguito di illegittimo esercizio della funzione pubblica, esistano o meno provvedimenti amministrativi, attiene pur sempre alla “tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi”; tutela attribuita, dall’art. 103, comma 1, Cost., al Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa. Nel risarcimento del danno è così individuabile una nuova materia, caratterizzata dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica, la quale, se fonte od occasione di danno, si connota di “illecito” (in presenza degli altri presupposti richiesti dalla legge). Con la conseguenza che, alle “particolari materie indicate dalla legge”, nelle quali il giudice amministrativo - ai sensi dell’art. 103, comma 1, Cost. - conosce anche dei diritti soggettivi, si può aggiungere quella del risarcimento da illecito.

Di qui il rispetto dell’attuale modello costituzionale, secondo cui il giudice amministrativo può anche conoscere di diritti se intrecciati ad interessi; ipotesi che si verifica poiché il “danno ingiusto” è pur sempre il risultato dell’illegittimo esercizio della funzione pubblica e non anche di una mera attività materiale (illecito qualificato). Il tutto sempre in attuazione di esigenze di semplificazione, concentrazione, speditezza, pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, che trovano fondamento in ulteriori principi costituzionali (artt. 24 e 113 Cost.) e giustificano la devoluzione legislativa delle controversie al giudice amministrativo [14].

Nelle materie sottratte al giudice ordinario e devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ad esempio, in materia urbanistica ed edilizia, ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 80/1998, così come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b, della l. n. 205/2000), quest’ultimo conosce dei diritti soggettivi, e quindi anche del risarcimento del danno connesso a comportamenti materiali della pubblica amministrazione nell’ambito delle procedure relative (si pensi, ad esempio, in materia urbanistica, alle procedure espropriative finalizzate alla gestione del territorio).

In particolare, relativamente alla materia dell’edilizia e dell’urbanistica (art. 34 del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b, della l. n. 205/2000), ci si deve comunque trovare nell’ambito del rapporto tra un privato e la pubblica amministrazione che attiene all’uso del territorio e che riguarda, specificamente, gli ambiti ed i limiti dell’esercizio del potere pubblico. La contestazione si deve rapportare sempre ad un provvedimento amministrativo, o a presunti comportamenti materiali che danno esecuzione o sono altrimenti collegati al provvedimento. Qualora la fattispecie non sia in alcun modo riconducibile all’esercizio di un potere amministrativo in materia urbanistica, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. In altri termini, non tutti i comportamenti implicanti l’uso del territorio sono riconducibili alla materia urbanistica, ma solo quelli collegabili ad un fine pubblico o di pubblico interesse legalmente dichiarato [15].

L’eventuale mancanza, nel giudizio, di atti e di comportamenti lesivi dell’amministrazione è questione di merito, che non rileva ai fini dell’accertamento della giurisdizione; la quale sussiste per il solo fatto che l’ipotesi astratta, concernendo l’uso del territorio, rientra nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 80/1998 [16].

In presenza di danni arrecati da mera attività materiale e comportamentale della pubblica amministrazione, al di fuori dell’esercizio del potere, e nelle ipotesi in cui non si rientra in materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, o pur rientrando nella materia si verte in un’eccezione alla giurisdizione esclusiva (come nel caso dei servizi pubblici se si tratta di controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alle persone o a cose, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. e, del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. a, della l. n. 205/2000, e nell’ipotesi dell’art. 34, comma 3, del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b, della l. n. 205/2000), il risarcimento del danno si configura come diritto soggettivo. Rientra così nella giurisdizione del giudice ordinario, secondo il generale criterio di riparto sulla base delle posizioni giuridiche soggettive (diritto soggettivo=giudice ordinario, interesse legittimo=giudice amministrativo) [17]. Si pensi, ad esempio, al danno arrecato ad un privato dal ritardo imputabile all’amministrazione nel rilascio di un certificato o dell’attestato del possesso di un titolo; ipotesi in cui si verte in ambito di diritti soggettivi, in quanto non si è in presenza di esercizio di potere e la materia non è attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

8. Risarcimento del danno nella giurisdizione esclusiva e nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.

Il risarcimento del danno da illegittimo esercizio della funzione pubblica non cambia i connotati a seconda se ci si trova in ambito di giurisdizione generale di legittimità o di giurisdizione esclusiva. Si tratta sempre di danni arrecati dal potere amministrativo; i principi ed i parametri sono gli stessi. Il campo sarà frequentato da provvedimenti di carattere autoritativo, di tipo degradatorio, se si vuole usare una terminologia cara alla precedente giurisprudenza della Corte di Cassazione; così che non si potrà prescindere dall’impugnazione tempestiva del provvedimento al fine di conseguire, previo accertamento dell’illegittimità dell’esercizio del potere, il risarcimento del danno.

In presenza, invece, di comportamenti dell’amministrazione (ad esempio, in materia urbanistica) o di atti paritetici, di carattere non autoritativo, non occorrerà la previa impugnazione di alcun provvedimento e, al fine di conseguire la tutela risarcitoria, si potrà agire nei termini di prescrizione.

E’ noto come nell’ambito delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo permane la rilevanza della distinzione tra posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, non al fine di determinare il giudice al quale rivolgersi, bensì per stabilire se è necessario agire entro il termine di decadenza o in quello di prescrizione del diritto. Ciò in quanto, in presenza di diritti soggettivi, per i quali se la materia non fosse stata attribuita al giudice amministrativo si sarebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, si può continuare ad azionare la pretesa nei medesimi termini (di prescrizione) entro i quali si poteva agire in via ordinaria; il cambiamento del giudice competente viene effettuato dalla legge a fini di concentrazione e di effettività della tutela e non ammette restrizioni della tutela stessa a detrimento di chi agisce in giudizio.

Se, quindi, si verte in ambito di interessi legittimi, ossia di posizioni che si incontrano (in maniera statica, di conservazione, o dinamica, di pretesa) con l’esercizio del potere amministrativo, scatta la regola della necessità della così detta pregiudiziale amministrativa, con tutte le conseguenze che si sono esaminate.

Nella giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo potrà anche mantenere distinti i due possibili ambiti di giudizio, sulla legittimità e sulla responsabilità. Il che consente, allo stesso modo, di affermare la legittimità del provvedimento e rilevare la scorrettezza del comportamento dell’amministrazione. In tali casi il provvedimento può non essere annullato e continuare a produrre i propri effetti, mentre l’amministrazione viene condannata al risarcimento del danno per comportamento scorretto. La giurisprudenza, recentemente, ha ritenuto la legittimità del diniego di approvazione dell’aggiudicazione provvisoria di un appalto di lavori, motivato sulla base della sopravvenuta mancanza dei finanziamenti dell’opera, che si intendeva realizzare, a causa dell’avvenuta perenzione dei fondi ad essa destinati. Tuttavia, il comportamento attraverso il quale è stato attuato il recesso dalle trattative è stato considerato scorretto e ritenuto, quindi, fonte di responsabilità (precontrattuale) dell’amministrazione[18].

Ai sensi dell’art. 6, comma 2, della l. n. 205/2000, “le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto”.

Oggetto del giudizio arbitrale possono essere le sole controversie volte ad ottenere il risarcimento del danno conseguente all’illegittimo esercizio della funzione amministrativa. Tali controversie, una volta accertato (ma solo dal giudice amministrativo) l’illegittimo esercizio della funzione, hanno ad oggetto il danno patrimoniale che il relativo titolare assume di avere subito. Allo stesso modo sono compromettibili per arbitri le pretese patrimoniali nascenti da un titolo (convenzione), di cui non viene contestata la legittimità ma se ne pretende la corretta esecuzione. Si deve trattare, però, di controversia di natura esclusivamente patrimoniale, che si pone a valle di quella di carattere pubblicistico attinente al corretto esercizio del potere amministrativo di conformazione delle situazioni soggettive dei privati [19].

9. Conclusioni.

In conclusione, con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per illegittimo esercizio della funzione pubblica, si può tentare di mettere qualche punto fermo. I punti possono essere i seguenti:

a) suscettibile di danno è la perdita o la diminuzione patrimonialmente rilevante della titolarità di una situazione soggettiva su di un bene determinato, e non la lesione di un generico bene della vita o di una situazione prettamente strumentale, quale quella al corretto esercizio del potere della pubblica amministrazione;

b) l’atto o provvedimento dell’amministrazione, o più in generale l’esercizio della funzione, rileva ai fini risarcitori come semplice comportamento (colposo o doloso), ossia come comportamento produttivo di danni; tanto è vero che anche l’atto legittimo, al pari della mancanza dell’atto, può provocare le medesime conseguenze dannose, se, ad esempio, si riscontra un colpevole ritardo nella sua emanazione (al pari del caso in cui viene accertata una vera e propria inerzia ingiustificata e, quindi, contra jus: ipotesi dell’ingiustificato ritardo nel rilascio della concessione edilizia, di per sé idoneo a procurare un danno ingiusto al richiedente, se per effetto del colpevole ritardo costui è costretto a sopportare maggiori costi e spese);

c) nessuna sovrapposizione è possibile tra la nozione di illegittimità e quella di illiceità, né ogni illiceità presuppone l’accertata illegittimità dell’atto o del provvedimento; è invece l’illegittimità dell’esercizio della funzione in grado di tradursi in comportamento illecito;

d) non ogni danno meramente patrimoniale correlato in termini causali con un provvedimento illegittimo comporta il ristoro. Per gli interessi legittimi di tipo pretensivo, occorre anche la lesione di una posizione sostanziale sottostante; così che, per essi, le mere violazioni procedurali e formali, generalmente di per sé sufficienti in caso di interessi legittimi di tipo oppositivo, non danno luogo al risarcimento del danno se non viene accertata anche la fondatezza della pretesa sostanziale;

e) l’azione di danni proposta innanzi al giudice amministrativo non deve necessariamente essere esercitata insieme all’azione di annullamento del provvedimento; ma se il danno è causato dall’esercizio del potere, non è possibile conseguire il risarcimento se non ne è stata accertata l’illegittimità previa rituale e tempestiva impugnazione del relativo provvedimento.

La tendenza è comunque quella di configurare non un modello unico di responsabilità della pubblica amministrazione, ma diverse tipologie sulla base delle figure conosciute dal codice civile (responsabilità extracontrattuale, contrattuale e precontrattuale). Ma, nell’ambito dei danni arrecati a posizioni di interesse legittimo dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica, il parametro da preferire sembra essere quello della responsabilità extracontrattuale.

La strada verso una tutela giurisdizionale nei confronti dell’esercizio del potere amministrativo che sia piena ed effettiva è ancora lunga e impervia, ed il sistema normativo ha bisogno di ulteriori aggiustamenti. Ma in breve tempo, a partire dal d.lgs. n. 80/1998 e dalla citata sentenza n. 500/1999, si sono fatti passi da gigante. Quello che tuttavia non può ammettersi è che a distanza di tanti anni, malgrado due gradi di giudizio innanzi al giudice amministrativo, il giudizio di ottemperanza davanti al Consiglio di Stato, l’intera trafila, e più, innanzi al giudice ordinario, comprese due sentenze della Corte di appello e due decisioni favorevoli della Corte di Cassazione (una, “storica”, delle sezioni unite, la n. 500/1999, e l’altra, “di perfezionamento”, della sez. I, la n. 157/2003), e nonostante che fosse stata accertata l’illegittimità dell’esercizio del potere da parte del Comune di Fiesole, il signor Vitali, non solo non ha conseguito alcunché a titolo risarcitorio, ma non ha nemmeno avuto una pronuncia giurisdizionale che gli dica in via definitiva se gli spetta o meno il risarcimento del danno. E’ vero che ogni tanto qualcuno si deve pur sacrificare per tutti, ma forse così è un po’ troppo.

Auspicando che tutto questo serva da insegnamento perché non si ripetano altri casi simili, sappia almeno il signor Vitali che noi, cultori del diritto ed operatori del processo, gli siamo grati per quanto ci ha fatto meditare, scrivere e studiare. E almeno questo è già un risarcimento!

 


 

(*) Consigliere di Stato.

[1] In Lexitalia.it ed in Cons. Stato, 2000, II, 44.

[2] In Lexitalia.it ed in Cons. Stato, 2000, II, 1211.

[3] Cass., sez. un., 3 febbraio 1998, n. 1096, in Giust. civ. Mass., 1998, 228.

[4]  In Lexitalia.it ed in Cons. Stato, 2003, I, 533. La questione era stata già rimessa all’adunanza plenaria dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, con ordinanza 15 novembre 2001, n. 588 (in Cons. Stato, 2001, I, 2525). Ma l’adunanza plenaria, con decisione 20 dicembre 2002, n. 8 (in Lexitalia.it ed Cons. Stato, 2002, I, 2637), non aveva affrontato la questione ritenendola irrilevante ai fini della decisione della fattispecie concreta. Gli veniva di nuovo deferita dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, con ordinanza 11 giugno 2002, n. 316, per la soluzione di problematiche già sollevate con la propria precedente ordinanza n. 588/2001.

[5] In Cons. Stato, 2002, I, 345.

[6] In Lexitalia.it ed in Cons. Stato, 2001, I, 1304.

[7] In Lexitalia.it.

[8] Si veda Cass., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538, in Foro it., 2003, I, 2073.

[9] In Urbanistica e appalti, 2001, 121.

[10] In Lexitalia.it ed in Cons. Stato, 2003, I, 213.

[11] Con ordinanza 8 maggio 2002, n. 267, in Lexitalia.it  ed in Cons. Stato, 2002, I, 1397.

[12] In Foro it., 2003, I, 78.

[13] Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2003, n. 1945, in Urbanistica e appalti, 2003, 1071.

[14] In tal senso, Cons. giust. amm. reg. sic., 14 giugno 2001, n. 296, in Cons. Stato, 2001, I, 1501 ed in www.LexItalia.it.

[15] Cass., sez. un., 6 giugno 2003, n. 9139, in Urbanistica e appalti, 2003, 1184.

[16] Cons. Stato: sez. VI, 13 maggio 2003, n. 2539, in Cons. Stato, 2003, I, 1116; ad. plen., 30 marzo 2000, n. 1, ordinanza, in Cons. Stato, 2000, I, 767.

[17] Cass., sez. un., 2 maggio 2003, n. 6719, in Urbanistica e appalti, 2003, 1163.

[18] Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457, in www.LexItalia.it ed in Urbanistica e appalti, 2003, 943.

[19] Cons. Stato, sez. V, 19 giugno 2003, n. 3655, in Cons. Stato, 2003, I, 1368.


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