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Articoli e note

n. 6/2004  - © copyright

GIOVANNI VIRGA

Il nuovo condono edilizio e la "complicata" cooperazione tra Stato e Regioni

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Una delle prime considerazioni che sorge spontanea leggendo le motivazioni delle recenti sentenze della Corte costituzionale sul nuovo condono edilizio è che, dopo quel "pasticciaccio brutto" della riforma del Titolo V della Costituzione, confezionato in tutto fretta alla fine della scorsa legislatura, la cooperazione tra Stato e Regioni non sarà affatto facile, specie se calata nell’attuale sistema bipolare, nel quale, com’è noto, vige un regime di netta contrapposizione.

La stessa Corte ha più volte ricordato che i rapporti tra Stato e Regioni dovrebbero sempre improntarsi al principio della "leale collaborazione"; ma tale principio, nel sistema in atto previsto, è più facile che si traduca in quello della "complicata cooperazione".

Il rischio forte, avvertito fin dall’inizio dalla più accorta dottrina che ha esaminato le norme contenute nel nuovo Titolo V, è infatti di rimanere invischiati in un complicato sistema nel quale non solo si moltiplica la babele delle lingue (giuridiche), con la comparsa di "dialetti giuridici" regionali, ma anche che, nel campo legislativo, si venga a tessere una sorta di tela di Penelope, nella quale la legge varata in sede nazionale venga poi disfatta (in misura più o meno ampia) in sede regionale. Con quali conseguenze per la certezza del diritto è facile immaginare.

Tale rischio è particolarmente evidente alla luce di quanto recentemente affermato per la disciplina nazionale relativa al nuovo condono edilizio dalla Corte costituzionale.

Quest’ultima, infatti, chiamata (da una congerie di ricorsi incrociati, alcuni proposti dalle Regioni, altri proposti dal Governo) ad applicare i principi contenuti nel nuovo Titolo V, ha finito per fissare una serie di condizioni, modalità applicative e limiti alla competenza legislativa statale in materia, rimettendo una parte non irrilevante della determinazione della disciplina applicabile (o da escludere) alle Regioni.

Il problema è ancor più complicato dal fatto che diverse Regioni avevano (anche per motivazioni politiche, essendo governate dall’opposizione) cercato di rendere in toto inapplicabile la disciplina nazionale sul condono edilizio, emanando a spron battuto delle leggi che dichiaravano in alcuni casi espressamente inefficaci nei rispettivi territori regionali le norme emanate in sede nazionale. Queste leggi regionali sono state (giustamente) dichiarate incostituzionali.

E’ tuttavia facile immaginare che queste Regioni, rimaste scornate nel loro intento di affermare una supremazia che l’attuale ordinamento costituzionale non concede loro, sfrutteranno al massimo tutto il potere che dalla stessa Corte è stato loro riconosciuto con la sentenza n. 196/2004, sabotando, mutilando o comunque cercando in tutti i modi di ritardare le norme nazionali sul condono.

Del resto, gli strumenti in questo senso, ai sensi di quanto statuito dalla Corte con la sentenza da ultimo citata, non mancano.

E’ prevedibile quindi che, soprattutto quelle Regioni che avevano cercato in prima battuta di rendere inoperante la disciplina sul condono edilizio e che avevano proposto ricorsi per ottenerne la declaratoria di illegittimità costituzionale, cercheranno di occupare tutti gli spazi che a loro sono stati riconosciuti dal Giudice delle leggi per rendere quanto più inoperante e comunque per ritardare al massimo l’applicazione della disciplina in discorso nei rispettivi territori regionali.

Non è neanche da escludere che verranno proposti altri ricorsi dallo Stato avverso le leggi regionali di adeguamento, nel caso in cui i paletti fissati dalla Corte non vengano rispettati.

La questione del recente condono edilizio, comunque, dovrebbe spingere tutti a riflettere sul futuro della riforma in senso federale dello Stato italiano e soprattutto a chiedersi se l’attuale sistema bipolare, che comporta inevitabilmente forti contrapposizioni politiche, sia compatibile con una competenza legislativa diarchica in materie di grande rilievo.

Le diarchie (come prova anche l’esperienza recente della ormai scomparsa rivista Giust.it) funzionano solo quando vi sia un accordo di fondo circa le strategie e il tipo di strumenti da utilizzare per lo sviluppo. Quando invece si è in presenza di forti disaccordi (immancabili nel caso in cui il colore politico del governo di alcune regioni non corrisponde a quello del governo nazionale) la diarchia è fonte inevitabilmente di conflitti o comunque di ritardi.

Rimane, è vero, il ruolo di arbitro della Corte costituzionale, chiamata sempre più a dirimere confilitti di competenza tra organi dello Stato. Ma tale ruolo di determinazione concreta delle competenze, che sta diventando negli ultimi tempi prevalente a discapito della risoluzione delle più importanti questioni che investono direttamente la compatibilità delle varie norme contenute nelle leggi con i precetti costituzionali, è comunque – anche a causa del dilatarsi del contenzioso in materia – purtroppo fonte di ritardi e di incertezze.

Le leggi, per essere efficaci e per incidere concretamente nell’ordinamento, non possono essere soggette prima ai tempi (che possono essere talvolta molto lunghi) del loro recepimento ed adattamento in sede regionale e poi alla spada di Damocle di una pronuncia della Corte chiamata a dirimere i sempre più frequenti conflitti di competenza.

Ciò vale soprattutto per leggi di carattere straordinario, le quali – anche per non alimentare speranze di ulteriori proroghe – dovrebbero chiarire in maniera certa ed inequivocabile che esse si applicano solo ed esclusivamente a determinate e ben precise condizioni. In particolare, nel caso del condono edilizio, è possibile che la situazione di incertezza e comunque i ritardi alimentino una nuova ondata di abusivismo.

Rimane comunque al fondo la questione: è compatibile l’attuale sistema bipolare, che comporta una forte contrapposizione tra forze politiche, con il sistema di competenza diarchiche estesamente previsto dopo la riforma del Titolo V e soprattutto con il principio di "leale collaborazione" tra Stato e Regioni più volte invocato dalla Corte costituzionale? La risposta, già alla luce di queste battute iniziali della (probabilmente lunga) battaglia sul condono edilizio, non sembra essere positiva.


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