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n. 5/2006 - ©
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GIOVANNI VIRGA
Il sindacato giurisdizionale sugli atti non politici dei Consigli regionali
(I Consigli regionali ed i Giudici di Berlino - atto II)
nota a Corte di Cassazione, Sez. Unite, ordinanza 18 maggio 2006*
1. Nel campo cinematografico è frequente, nel caso di successo di una pellicola, la produzione di un film “sequel” (e cioè prodotto in sequenza), al quale viene dato lo stesso titolo del primo con una aggiunta (tipo “la vendetta”, "atto II", "il ritorno", et similia).
Nel leggere le motivazioni della sentenza in rassegna, era dunque molto forte la tentazione di dare al presente breve contributo lo stesso titolo di una nota redatta anni orsono a margine di una sentenza della Corte costituzionale (Le spese dei Consigli regionali ed i giudici di Berlino - nota alla sentenza della Corte costituzionale 30 luglio 1997 n. 289, pubblicata in questa Rivista, alla pag. http://www.lexitalia.it/articoli/virgag_berlino.htm), aggiungendovi magari la tradizionale dizione (“la vendetta” od "atto II").
Entrambe le pronunce (quella della Corte cost., allora commentata e quella della Corte di Cassazione, in rassegna), infatti, si occupano, sia pure sotto diversi angoli prospettici, del medesimo tema (quello della sindacabilità delle delibere dei Consigli regionali non aventi natura politica), ma arrivano a conclusioni diverse.
Nel caso affrontato dalla Corte costituzionale circa 9 anni orsono è stato infatti affermato (con una serie di considerazioni che allora furono aspramente criticate, critiche che devono intendersi qui di seguito richiamate e trascritte) che “non è suscettibile di sindacato da parte del giudice contabile una delibera concernente una spesa per attrezzature necessarie al funzionamento di un Consiglio regionale”.
Nel caso affrontato dalla ordinanza in rassegna, invece, le Sezioni Unite della Cassazione, dopo aver premesso in generale che “il principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. (articolo 113 Costituzione) ha portata generale e coinvolge, in linea di principio, tutte le Amministrazioni anche di rango elevato e di rilievo costituzionale”, hanno affermato che sono suscettibili di sindacato in sede giurisdizionale le delibere (non aventi natura politica, come quelle di nomina dei componenti degli organi amministrativi di enti pubblici) adottate dai Consigli regionali.
Qualcuno potrebbe obiettare che le due pronunce hanno un oggetto diverso (la sentenza della Corte costituzionale riguarda una delibera del Consiglio di Presidenza di un Consiglio regionale che comportava delle spese palesemente irragionevoli, mentre l’ordinanza delle Sezioni Unite si occupa di una delibera del Consiglio regionale con la quale sono stati nominati i componenti degli organi amministrativi di un ente pubblico), in funzione di diversi tipi di controllo (nel primo caso, il controllo amministrativo della Corte dei conti, nel secondo il controllo giurisdizionale da parte del T.A.R.); ma il principio generale espresso è comune e, come già detto, opposto.
Al di là delle analogie e/o delle differenze che intercorrono tra le due pronunce, rimane il fatto che la recente ordinanza delle Sezioni Unite costituisce una pronuncia di particolare rilievo, non solo per il principio generale affermato, ma anche per l’iter argomentativo utilizzato.
2. Il principio espresso è, come già cennato, quello secondo cui la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della P.A., garantita dall’art. 113 Cost., ha carattere generale e che le sue eventuali deroghe (aventi natura eccezionale e, come tali, non estensibili analogicamente) “debbono essere ancorate in norme di carattere costituzionale”.
Nel testo dell’ordinanza anzi si precisano le deroghe che sono da ritenere ammissibili in materia e tali deroghe riguardano essenzialmente gli atti politici previsti dall’articolo 31 del T.U. 1054/24, per i quali non è consentito un controllo giurisdizionale - anche in virtù del principio di separazione dei poteri - al fine di evitare che l’intervento del giudice determini “un’interferenza del potere giudiziario nell’ambito di altri poteri”.
La deroga quindi non deriva dalla natura dell’organo, ma dalla natura dell’attività da questo compiuta; in altri termini, non può ritenersi che tutti gli atti emessi dai Consigli regionali sono insindacabili in quanto provenienti da un organo eminentemente politico; sono invece insindacabili solo quegli atti che abbiano intrinsecamente natura politica.
Si viene in tal modo ad operare una netta distinzione tra natura dell’organo e natura dell’atto: la circostanza che il Consiglio regionale sia un organo politico che emana prevalentemente atti legislativi o politici, non comporta necessariamente che tutti gli atti da quest’ultimo emessi siano insidacabili in sede giurisdizionale.
I consigli regionali, infatti, oltre ad emettere atti legislativi e politici, emettono anche atti aventi natura amministrativa, in quanto tali soggetti al controllo giurisdizionale ex art. 113 Cost.
In particolare, è stato ritenuto che le delibere adottate dai Consigli regionali, di nomina dei componenti di enti pubblici (nel caso affrontato si trattava della delibera di nomina degli organi amministrativi dell’A.R.P.A.), hanno natura amministrativa, nonostante il fatto che esse siano adottate da un organo che svolge prevalentemente funzioni legislative e comunque politiche; come tali, esse sono soggette al controllo giurisdizionale da parte del Giudice amministrativo.
Che solo gli atti aventi natura politica siano sottratti al controllo giurisdizionale si evince dall’art. 31 del T.U. leggi sul Consiglio di Stato approvato con R.D n. 1054/1924 (secondo cui il ricorso giurisdizionale amministrativo "non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico"), il quale si riferisce alla categoria degli "atti politici", sussumibili nella previsione del citato art.31 T.U. del 1924, da intendere in senso molto restrittivo sul piano sia soggettivo che oggettivo, considerando "atto politico" solo quello che, per un verso (profilo soggettivo), sia emanato da organo preposto in modo funzionale all’indirizzo e alla direzione al massimo livello della cosa pubblica; e che concerna, per l’altro (profilo oggettivo), la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione [1].
Secondo l’orientamento ormai costante della giurisprudenza, infatti, sono da ritenere politici solo gli atti che costituiscono espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico del Paese [2] e coinvolgono i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali, non essendo sufficiente a qualificare un atto come "politico" che "vi intervenga una valutazione di ordine politico" [3]. In tali casi, ma solo in essi, che configurano ipotesi eccezionali, e di stretta interpretazione, l’atto considerato può sottrarsi a controllo giurisdizionale [4].
3. Particolarmente interessante è la motivazione della ordinanza in rassegna, là dove esamina la possibilità o meno di estendere ai Consiglio regionali l’autodichia conferita ex art. 64 Cost. dai regolamenti parlamentari alle Camere legislative nazionali.
In proposito le Sezioni Unite, pur dando atto che la recente riforma costituzionale del Titolo V, operata con la nota L. 3/2001, ha “fatto venir meno la struttura verticale delle autonomie, con al vertice lo Stato, che era proprio della Costituzione del 1948” ..... con la creazione “di un sistema istituzionale costituito da una pluralità di ordinamenti giuridici integrati, ma autonomi, nel quale le esigenze unitarie si coordinano con il riconoscimento e la valorizzazione delle istituzioni locali”, ha tuttavia escluso che l’autodichia conferita ex art. 64 Cost. alle Camere legislative nazionali, in difetto di espressa estensione, sia applicabile anche ai Consigli regionali.
Alla luce del principio andrebbe quindi rivisto l’orientamento primigenio della giurisprudenza costituzionale, la quale, arroccandosi dietro l’orpello dell’immunità funzionale di cui all’art. 122, 4° comma, Cost., con la richiamata pronuncia emessa 9 anni orsono, ha ritenuto che “non è suscettibile di sindacato da parte del giudice contabile una delibera concernente una spesa per attrezzature necessarie al funzionamento di un Consiglio regionale”.
In ogni caso, così come notato con una recente sentenza della Corte dei conti [5], “l’immunità funzionale di cui all’art. 122, 4° comma, Cost., prevista in favore dei Consiglieri regionali, pur applicabile anche all’attività amministrativa di stampo auto-organizzativo esercitata dal Consiglio regionale, non ha modo di operare laddove il P.M. contabile contesti non già la mera inefficienza, inefficacia o diseconomicità della scelta discrezionale compiuta dall’organo regionale, sibbene l’esorbitanza della stessa rispetto alla finalità tipiche per cui il suddetto potere di auto-organizzazione è attribuito ed in ragione del quale la mentovata guarentigia costituzionale è concessa”. Del resto, anche il Giudice delle leggi, nella richiamata pronuncia del 1997, aveva ammesso che l’immunità ex art. 122, 4° comma, Cost., non costituisce «una immunità assoluta, in quanto essa non copre gli atti non riconducibili ragionevolmente all’autonomia ed alle esigenze ad essa sottese».
Sono pertanto da ritenere sindacabili anche da parte del Giudice contabile quelle delibere adottate dall’Ufficio di presidenza di un Consiglio regionale che esorbitano dai fini che debbono essere perseguiti per una esatta e corretta gestione dell’assemblea elettiva [6].
Insomma, le aree di franchigia di cui godono le assemblee elettive e, segnatamente i Consigli regionali, vanno debitamente ridotte e, così come affermato dalle Sezioni unite della Cassazione, debbono trovare giustificazione ed un preciso aggancio nei precetti costituzionali.
Sotto questo profilo la pronuncia delle Sezioni Unite in rassegna si pone in netta controtendenza rispetto ad un generale andazzo che, specie negli ultimi tempi, tende ad escludere o comunque a differire il controllo giurisdizionale su di una serie di atti riguardanti le assemblee elettive.
Un andazzo segnato negli ultimi tempi, prima, dall’affermazione dell’Adunanza Plenaria [7] secondo cui gli atti intermedi del procedimento riguardante le elezioni amministrative non sono immediatamente impugnabili e, poi, dall’affermazione che le operazioni elettorali relative alle elezioni politiche non sono soggette al controllo giurisdizionale ma a quello delle Giunte per le elezioni [8] (le quali tuttavia, per la loro composizione politica e per la prevalenza in esse dei rappresentanti della maggioranza, non offrono le garanzie di imparzialità ed indipendenza che sono da riconoscere solo agli organi che normalmente esercitano la funzione giurisdizionale).
[1] V. in tal senso T.A.R. Abruzzo - L’Aquila, sentenza 8 ottobre 2003 n. 839, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/tar/tarabraquila_2003-839.htm
[2] V. in tal senso Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 1996, n. 217, in Foro amm. 1996, 480 ed in Giust. civ. 1996, I, 1849 e T.A.R. Puglia-Bari, Sez. I, 19 dicembre 1998, n. 930, in Foro amm. 1999, 1331.
[3] Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio 1986, n. 30, in Il Cons. Stato 1986, I, 31.
V. anche in materia T.A.R. Lazio, Sez. II ter, sentenza 8 aprile 2003 n. 3276, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/private/tar/tarlazio2ter_2003-04-08.htm secondo cui hanno natura politica solo gli atti che sono riferibili a organi costituzionali dello Stato, collegati immediatamente e direttamente alla Costituzione e alle leggi costituzionali, nei quali si estrinsecano l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e l’attività di coordinamento e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si esprime nel rispetto degli interessi del regime politico canonizzati nella Costituzione.
[4] Sotto questo profilo, ad es., è stato ritenuto che una delibera con la quale un Consiglio regionale ha disatteso la richiesta referendaria formulata da alcune Province, non ha natura di "atto politico", ai sensi e per gli affetti dell’art. 31 del T.U. n. 1054/1924 (di quest’ultimo dandone per scontata l’attuale vigenza), ove si consideri che essa non proviene da organo di massimo livello della cosa pubblica, non riguarda la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri, non costituisce espressione della funzione di direzione e indirizzo politico e non coinvolge i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali (v. in tal senso T.A.R. Abruzzo-L’Aquila, sentenza 8 ottobre 2003 n. 839, cit.).
E’ stato inoltre ritenuto che i provvedimenti di revoca e di nomina dell’organo di vertice di un ente pubblico rientrano non già nell’ambito degli atti politici, ma nella distinta categoria degli atti di "alta amministrazione", i quali costituiscono il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico del Governo in campo amministrativo. Gli incarichi conferiti ai supremi organi di direzione della pubblica amministrazione, infatti, pure assolvendo a una funzione del tutto peculiare (in quanto segnano il raccordo tra la funzione di governo e la funzione amministrativa), ineriscono all’attività amministrativa dell’esecutivo e sono quindi sottoposti al sindacato del giudice amministrativo, non diversamente da tutti gli atti amministrativi che coinvolgono posizioni di interesse legittimo (art. 113 della Costituzione) e, diversamente dagli atti politici, non sono liberi nella scelta dei fini, ma sono legati, pure nell’ampia discrezionalità che caratterizza l’alta amministrazione, ai fini segnati dall’ordinamento giuridico” (v. in tal senso, T.A.R. Lazio, Sez. II ter, sentenza 8 aprile 2003 n. 3276, cit.).
[5] Corte dei Conti, Sez. giur. Regione Calabria, sentenza 25 gennaio 2006 n. 109, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/cconticalabria_2006-01-25.htm
[6] Nel caso affrontato dalla sentenza menzionata alla nota precedente, è stata ritenuta sindacabile anche dal giudice contabile la delibera dell’Ufficio di Presidenza di un Consiglio regionale, il quale ha deliberato l’acquisto di costosi gadget natalizi in favore dei componenti dell’organo consiliare, trattandosi di spesa non finalizzata ad un miglioramento dell’immagine esterna dell’ente, bensì volta a soddisfare interessi meramente egoistici e privati dei consiglieri stessi.
[7] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza 24 novembre 2005 n. 10, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/52/cdsap_2005-11-24.htm; com’è noto, tale sentenza è stata tuttavia disattesa di recente dalla Sez. V del Consiglio di Stato, con ord. 16 maggio 2006 n. 2368, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/cds5_2006-005-16o.htm nonchè dal T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. I, ordinanza 10 maggio 2006 n. 536, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/tarpuglialecce1_2006-05-10.htm e da
[8] V. in tal senso Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 6 aprile 2006 n. 8118, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/casssu_2006-04-06.htm ed ivi ult. riferimenti.