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Articoli e note

n. 5/2006 - © copyright

GIOVANNI VIRGA

L’araba fenice della natura giuridica
del diritto di accesso

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1. Quando (prima dell'emanazione della L. n. 241 del 1990), con due brevi lavori [1], cominciai ad occuparmi del diritto di accesso agli atti amministrativi, esaminando le varie norme che allora in maniera disorganica e spesso confusa riconoscevano il diritto dei cittadini di accedere agli atti della P.A., uno dei primi problemi in cui mi imbattei fu quello dell'esatta determinazione della natura giuridica da attribuire al diritto di accesso.

Il problema allora si poneva (con maggiori difficoltà rispetto alla situazione attuale, atteso che, come già detto, a quel tempo il diritto di accesso era previsto e disciplinato da disposizioni disorganiche e settoriali) non solo ai fini dell’esatto inquadramento teorico della figura, ma anche e soprattutto per verificare quali fossero gli strumenti di tutela applicabili in materia e quale fosse il giudice competente a decidere le relative controversie.

Leggendo le motivazioni delle due decisioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che si sono occupate di recente dell’argomento (sentenza 18 aprile 2006 n. 6, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/cdsap_2006-04-18b.htm e sentenza 20 aprile 2006 n. 7, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/cdsadplen_2006-04-20.htm), mi sono tuttavia reso conto del fatto che la determinazione della natura giuridica del diritto di accesso, nonostante siano ormai passati oltre tre lustri dall’entrata in vigore della L. n. 241 del 1990, costituisce ancora oggi una questione non del tutto risolta.

Con le citate recenti sentenze, infatti, l’Adunanza Plenaria, nonostante fosse stata investita dalle due ordinanze di rimessione della Sez. VI [2] proprio della questione della determinazione della natura giuridica del diritto di accesso, considerata dalle ordinanze propedeutica per la soluzione della sottostante questione circa l’ammissibilità o meno dell’impugnativa avverso un provvedimento confermativo di un precedente diniego di accesso non impugnato nei termini, ha ritenuto (pragmaticamente) di non affrontare la questione presupposta di carattere generale e di potersi pronunciare - omisso medio - sulla questione concreta sottoposta al suo esame.

Per la verità, l’Adunanza Plenaria si era già pronunciata sulla questione relativa alla natura giuridica del diritto di accesso (con la decisione 24 giugno 1999 n. 16, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/private/cds/cdsadplen_1999-16.htm), affermando che il diritto di accesso, nonostante la qualificazione formale datane del legislatore (ritenuta pacificamente non vincolante), ha in realtà natura giuridica di interesse legittimo, atteso che il suo esercizio e soprattutto la sua tutela giurisdizionale sono soggetti a ristretti termini [3].

Ma, come messo in rilievo dalle due ordinanze di rimessione in precedenza citate [4], la questione andava affrontata nuovamente alla luce delle novità introdotte prima dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15 [5] (che, novellando l’art. 22 della legge n. 241/90, al comma 1, lett. a, definisce l’accesso come il "diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi" ed al comma 2 lo qualifica come attinente “ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”) e, poi, dalla legge 14 maggio 2005 n. 80 (la quale ha aggiunto al comma 5 dell'art. 25 della legge n. 241/90 un ulteriore periodo, che qualifica come esclusiva la giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi).

Le innovazioni introdotte dalle leggi n. 15 e n. 80 del 2005, secondo l’assunto delle due ordinanze di rimessione, imponevano quindi una revisione del primigenio orientamento dell’Adunanza Plenaria ed inducevano a propendere nel senso di configurare l’accesso agli atti della P.A. come un diritto soggettivo pieno e perfetto.

Tuttavia, come già cennato, l’Adunanza Plenaria, pur ammettendo che sussistono degli argomenti (ricavabili dalle recenti modifiche legislative) che inducono a propendere per la configurabilità dell’accesso in termini di diritto soggettivo (si è fatto a tal fine riferimento anche ai maggiori poteri istruttori e decisori che sono attribuiti in materia al giudice amministrativo), ha ritenuto tuttavia che la determinazione della natura giuridica del diritto di accesso “non rivesta utilità ai fini dell’identificazione della disciplina applicabile al giudizio avverso le determinazioni concernenti l’accesso”, non essendo all’uopo necessario “prendere posizione in ordine alla natura della posizione soggettiva coinvolta”.

 

2. Se si legge attentamente il testo delle due recenti decisioni dell’Adunanza Plenaria, ci si accorge tuttavia che esse finiscono per fornire argomenti che confermano, nonostante le recenti modifiche legislative, la già affermata natura giuridica di interesse legittimo dell’accesso agli atti della P.A.

Un primo argomento (per la verità non del tutto univoco) è costituito dall’affermazione secondo cui quelle generate dalla disciplina in materia di accesso agli atti della P.A. sono “situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi)”.

Tratto caratteristico dell’interesse legittimo, fin dall’origine, è stato proprio quello della sua strumentalità; una strumentalità a tal punto spinta da fare ritenere sussistente tale posizione giudica attiva anche nel caso in cui l’interesse sia solo quello di mettere in discussione il rapporto giuridico controverso.

Se è vero infatti, come pur incidentalmente afferma l’Adunanza Plenaria, che omai può affermarsi (specie a seguito del riconoscimento del fatto che la lesione di interessi legittimi può dar luogo al risarcimento del danno) che si è in presenza di interessi legittimi anche nel caso in cui l’interesse azionato sia volto al conseguimento in via immediata e diretta del bene di vita (anzi tale conseguimento diventa, ex sent. S.U. n. 500/1999, presupposto necessario per ottenere il risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi), non vi è dubbio che, sotto il profilo per così dire genetico, l’interesse legittimo nasce come una posizione strumentale.

Ciò si riflette anche a livello di distinzioni delle varie species appartenenti al genus dell’interesse legittimo che, specie negli ultimi tempi, sono venute in evidenza [6].

Accanto ed ancor prima degli interessi legittimi c.d. “finali” (o secondo alcuni, “sostanziali”), che consentono il diretto riconoscimento del bene di vita al quale il ricorrente aspira, esistono infatti gli interessi legittimi “strumentali” (denominati anche, da alcuni, “procedimentali” o “formali”), la cui lesione - pur non rendendo possibile il conseguimento diretto del bene di vita - consente tuttavia lo stesso risultato in maniera indiretta e, per così dire, “per vie traverse”, rimettendo in discussione il rapporto controverso.

Un secondo (ed ancor più forte) argomento che induce a ritenere che l’Adunanza Plenaria, con le due recenti decisioni, abbia confermato il precedente orientamento (alla stregua del quale l’accesso agli atti della P.A. ha in realtà natura di interesse legittimo) è costituito inoltre dal fatto, che, nell’affrontare il problema concreto sottoposto al suo esame, la stessa ha ritenuto di affermare il principio secondo cui, essendo quello previsto per l’impugnazione del diniego di accesso, “un termine all’esercizio dell’azione giudiziaria da ritenere necessariamente posto a pena di decadenza”, il mancato rispetto dello stesso termine non può rimanere senza conseguenze, dovendosi ritenere inammissibile il ricorso avverso un provvedimento di diniego meramente confermativo di un precedente non impugnato nei termini.

Affermando tale principio, l’Adunanza Plenaria, sembra ancor più per propendere per una soluzione che finisce per concepire  l’accesso come una situazione giuridica soggettiva avente natura di interesse legittimo.

Come ritenuto in precedenza dalla stessa Ad. Plen. con la richiamata decisione n. 16 del 1999, infatti, tratto caratteristico dell’interesse legittimo è soprattutto quello di essere una posizione giuridica attiva esercitabile entro brevi termini di decadenza (con i conseguenti corollari, costituenti naturale precipitato, della impossibilità di impugnare provvedimenti meramente confermativi di precedenti non impugnati nei termini, al fine di evitare una facile elusione dei termini previsti a pena di decadenza).

Rimangono tuttavia senza risposta gli interrogativi posti dalle ordinanze di rimessione, che facevano riferimento alle recenti modifiche della legge n. 241 del 1990, le quali farebbero invece propendere per la qualificazione dell’accesso come un vero e proprio diritto soggettivo.

 

3. Le difficoltà di inquadramento dell’accesso nell’ambito della dicotomica distinzione, presente nel nostro ordinamento (anche costituzionale: cfr. art. 24 Cost.), tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, bene riflette le difficoltà ed i dubbi che accompagnano, in linea generale, ancora tale distinzione.

Non è un caso che sia la dottrina che la giurisprudenza della S.C., nel corso del tempo, piuttosto che dedicarsi all’individuazione di una definizione univoca delle due figure giuridiche soggettive, abbiano elaborato (pragmaticamente) alcuni criteri per discriminare i diritti soggettivi dagli interessi legittimi.

Ma anche alla stregua dei criteri all’uopo elaborati (da quello più antico, del compianto Prof. Guicciardi, che distingue tra norme di azione e quelle di relazione, a criteri più recenti che distinguono l’attività discrezionale da quella vincolata e la carenza dal cattivo uso del potere) ci si rende conto che la natura dell’accesso agli atti della P.A., al di là della qualificazione formale datane dal legislatore, costituisce una specie di araba fenice (potremmo infatti dire, parafrasando il noto adagio di Metastasio, nel "Demetrio", atto II, scena III, che il diritto di accesso, "come l'araba fenice, che vi sia ciascun lo dice, cosa sia nessun lo sa").

Non vi è dubbio infatti che le norme che disciplinano l’accesso sembrano essere delle norme tipicamente di azione; il che farebbe propendere per l'inquadramento dell’accesso nell’ambito degli interessi legittimi.

Tuttavia, specie a seguito della emanazione della disciplina regolamentare, l’attività svolta in materia dalla P.A. non sembra affatto discrezionale, ma è da ritenere prevalentemente (se non esclusivamente) vincolata, essendo l’accesso sempre ammesso (ovviamente nella ricorrenza dei necessari presupposti), tranne i casi in cui esso sia espressamente vietato; onde, sotto questo profilo, dovrebbe ritenersi che l’accesso ha natura di diritto soggettivo.

Infine, nel caso in cui sia stato negato l’accesso, con la relativa azione avverso il diniego sembra che venga lamentato in concreto il cattivo uso del potere e non già la sua carenza; onde, sotto questo terzo profilo, sembrerebbe doversi nuovamente propendere per la configurabilità dell’accesso in termini di interesse legittimo.

Anche se si esamina la legislazione positiva, utilizzando il metodo induttivo, non mancano argomenti di segno opposto.

Così, ad es. la inclusione delle azioni a tutela del diritto di accesso nell’ambito della giurisdizione esclusiva del g.a. e la qualificazione dell’accesso in termini di posizione giuridica attiva attinente “ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”, costituiscono argomenti che inducono a qualificare l’accesso in termini di diritto soggettivo.

Di converso, la previsione di un termine (molto breve) per la proposizione dell’azione a pena di decadenza e la configurabilità dell'accesso come una posizione strumentale e (nel caso di accesso esercitato all’interno del procedimento in corso di formazione) addirittura procedimentale, inducono a ritenere che l’accesso, a dispetto dalla etichetta formale appiccicatagli dal legislatore, non sia un diritto soggettivo, ma piuttosto rappresenti un interesse legittimo.

Le difficoltà incontrate dalla giurisprudenza nel pervenire ad un univoca qualificazione giuridica dell’accesso (difficoltà queste, del resto, ben rappresentate dal fatto che l’Adunanza Plenaria, con le due recenti decisioni, ha scartato nettamente “l’ostacolo” della formale qualificazione dell’accesso alla luce delle recenti modifiche legislative, affermando che non occorreva superare tale ostacolo teorico per risolvere la questione pratica sottoposta al suo esame), costituiscono lo "stato dell’arte" della questione generale riguardante l’utilità della distinzione tra le due posizioni giuridiche soggettive, pur formalmente previste dalla nostra Carta costituzionale [7].

Una distinzione che ancora oggi si impone in diversi casi, dato che essa rappresenta il criterio di riparto della giurisdizione, ma che sembra perdere interesse nel momento stesso in cui viene prevista una giurisdizione esclusiva in materia (salvo riprendere attualità nel momento stesso in cui, nell’ambito della stessa giurisdizione esclusiva, si tratta di verificare ad es. se l’azione è proponibile nel termine di prescrizione o in quello di decadenza).

Nel caso dell’accesso agli atti della P.A. il legislatore, pur inquadrando formalmente la tutela prevista in favore dell’accesso dall’art. 25 della L. n. 241 del 1990 nell’ambito della giurisdizione esclusiva, prevede espressamente che l’esercizio della relativa azione è soggetto ad un breve termine di decadenza. Il che induce a ritenere che, al di là della qualificazione formale, come affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella richiamata decisione del 1999, l’accesso ha natura di interesse legittimo.

D’altra parte, l’inquadramento delle azioni a tutela dell’accesso nell’ambito della giurisdizione esclusiva, non contraddice quest’ultima conclusione, dato che la previsione di una giurisdizione esclusiva sembra giustificarsi non già in ragione della qualificazione formale dell’accesso, ma in relazione agli ampliati poteri istruttori e soprattutto decisori che sono stati previsti in materia (come ad es. quello, impossibile da esercitare in sede di giurisdizione generale di legittimità, di ingiungere all’amministrazione il rilascio dell’atto illegittimamente negato, ordinando un facere specifico).

Affermare comunque che l’accesso agli atti costituisce un interesse legittimo non comporta una diminuzione della importanza di tale posizione giuridica soggettiva; vero è che, tradizionalmente, l’interesse legittimo è considerato come una specie di ombra del diritto soggettivo, una posizione giuridica soggettiva strumentale e comunque riflessa; ma tale concezione ancestrale dell’interesse legittimo va ormai completamente rivista, anche alla stregua della disciplina positiva del c.d. “diritto” di accesso.

Tale disciplina positiva finisce per dimostrare - considerato peraltro che l'"interesse legittimo" all'accesso di regola, per la sua rilevanza pubblicistica, addirittura prevale sul vero e proprio "diritto" alla riservatezza - che l’interesse legittimo in quanto tale, anche se sotto le mentite spoglie del diritto soggettivo, non è più il figlio di un Dio minore.


 

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[1] Cfr. G. VIRGA, Il diritto di accesso dei cittadini agli atti della p.a. e la sua tutela giurisdizionale (nota a C.G.A., sent. 28 luglio 1988, n. 130), in Foro amministrativo 1989, fasc. 3, p. 661 ss.; id., Trasparenza della p.a. e tutela giurisdizionale del diritto di accesso agli atti amministrativi (comunicazione al XXXV Convegno organizzato dalla Provincia di Como sul tema: "L'Amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza", Varenna, 21-23 settembre 1989), in Atti del convegno, 786; tale comunicazione è stata altresì pubblicata in Nuova Rassegna 1989, fasc. 19-20, p. 2118 ss.

[2]  Cfr. Sez. VI, ordinanza 7 giugno 2005 n. 2954, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/51/cds6_2005-06-07.htm ed ordinanza 9 settembre 2005 n. 4686, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/52/cds6_2006-09-09.htm

[3]  Come si legge nella motivazione della citata decisione n. 16 del 1999,  l’Ad. Plen in quella occasione aveva rilevato che in generale è ravvisabile una posizione di interesse legittimo, tutelata dall'art. 103 della Costituzione, quando un provvedimento amministrativo è impugnabile di regola entro un termine perentorio, pure se esso incide su posizioni che, nel linguaggio comune, sono più spesso definite come di "diritto". E’ stato quindi considerato atecnico il riferimento contenuto nella L.n. 241/90 al "diritto" di accesso, tenuto conto che la relativa pretesa (cui non è correlativo un obbligo o un comportamento dovuto) non è esercitabile senz'altro nei confronti dell'Amministrazione o del gestore del pubblico servizio, ma è soggetta ad un termine di decadenza. Invero, il legislatore, pur avendo qualificato come "diritto" la posizione di chi ha titolo ad accedere ai documenti (articoli da 22 a 25 della legge n. 241 del 1990), in considerazione degli interessi pubblici coinvolti ha disposto all'art. 25, comma 5, un termine perentorio entro il quale è proponibile il ricorso "contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso".

E’ stato pertanto ritenuto che il c.d. diritto di accesso abbia natura e consistenza di interesse legittimo e che il giudizio previsto dall'art. 25 della legge n. 241 del 1990 (salve le deroghe da esso espressamente previste) è sottoposto alla generale disciplina del processo amministrativo

[4]  Per un commento di una delle due ordinanze di rimessione v. L. BUSICO, Alla Plenaria la questione dell’ammissibilità del ricorso avverso il diniego di accesso meramente confermativo di precedente diniego non impugnato, in questa Rivista, n. 6/2005.

[5]  Sulle modifiche in tema di accesso introdotte dalla L. n. 15/2005 cfr.: LAINO, L’accesso ai documenti amministrativi tra aperture giurisprudenziali e novità legislative, in LexItalia.it n. 2/2005; FERRUTI, Il differimento dell’accesso ai documenti amministrativi dopo la legge 15/2005, ivi, n. 4/2005; SANDULLI, L’accesso ai documenti amministrativi, in Giornale di diritto amministrativo 2005, 494; SEMPREVIVA, Le novità in tema di accesso ai documenti amministrativi, in Urbanistica e appalti 2005, 398; MEZZACAPO, Il diritto di accesso. Entrata in vigore solo dopo il regolamento, in Guida al diritto n. 10/2005, 82.

[6] Sulle distinzioni tra le varie figure di interesse legittimo sia consentito in proposito fare rinvio al mio lavoro su  La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1998, p. 178 ss.

[7] V. sul punto S. GIACCHETTI, L'interesse legittimo alle soglie del 2000, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/giacchetti_2000.htm


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