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Articoli e note

n. 7-8/2004 - © copyright

GIOVANNI VIRGA

Il giudice della funzione pubblica

(sui nuovi confini della giurisdizione esclusiva tracciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204/2004)

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1. Negli ultimi anni quello di luglio sembra essere un mese fatalmente destinato a provocare più o meno grandi sommovimenti in materia di giustizia amministrativa.

Basti pensare che:

a) con effetto dal 1° luglio 1998, il D.L.vo n. 80/1998 ha disposto il trapasso delle controversie in materia di pubblico impiego, prima riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., alla cognizione del Giudice ordinario;

b) in data 22 luglio 1999 è stata depositata la “storica” sentenza n. 500 delle Sezioni Unite, che ha ritenuto in generale risarcibili i danni derivanti da lesione di interessi legittimi;

c) in data 17 luglio 2000 è stata depositata la sentenza della Corte costituzionale n. 292, che ha dichiarato illegittimo l'art. 33  del D.L.vo n. 80/1998 per eccesso di delega;

d) in data 21 luglio 2000 è stata approvata la legge n. 205, che ha profondamente immutato la disciplina del processo amministrativo;

e) infine, in data 6 luglio 2004, è stata depositata la sentenza della Corte costituzionale n. 204, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80/1998, riprodotti quali integralmente nell’art. 7 della L. n. 205/2000.

Dell'art. 33 del D.L.vo n. 80/1998, come appena ricordato, la Corte costituzionale aveva già avuto occasione di occuparsi con la sentenza 17 luglio 2000 n. 292 [1].

In quella prima occasione la declaratoria di illegittimità costituzionale era derivata, per così dire (absit iniura verbis), da un vizio “formale” e cioè dalla rilevata presenza di un vizio di eccesso di delega; un vizio al quale aveva prontamente posto rimedio la legge 21 luglio 2000 n. 205, approvata in tutta fretta, dopo diversi anni di gestazione, proprio per turare la falla aperta dal Giudice delle leggi.

Non a caso, assieme alla legge n. 205/2000, fu approvato un ordine del giorno il quale impegnava “il Governo ad assumere ogni opportuna iniziativa che, al fine di evitare eventuali rischi di un contrasto giurisprudenziale, conduca all’emanazione di norme interpretative idonee a cristallizzare il principio di rilevanza della giurisdizione sopravvenuta già affermato dal diritto vivente”.

Con la recente sentenza n. 204 del 6 luglio 2004 [2], la Corte ha dichiarato (parzialmente) illegittimi gli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80/1998, salvati dal già rilevato vizio di eccesso di delega mediante la loro pressoché integrale riproduzione nell’art. 7 della L. n. 205/2000, non già per un vizio “formale”, ma, come vedremo meglio in seguito, per un vizio “sostanziale” non risolvibile con una semplice legge ordinaria, ma che presupporrebbe, per la sua emenda, addirittura una modifica costituzionale.

La nuova sentenza della Corte interviene a distanza di ben sei anni dall’entrata in vigore delle richiamate norme, quando sembrava omai destinata a stabilizzarsi la tormentata vicenda dell’interpretazione da dare agli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80/1998.

Sei anni era infatti stato il tempo appena necessario per dare un assetto più o meno stabile ed una interpretazione più o meno duratura alle menzionate norme che, nell’ampliare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, avevano avuto lo scopo (sia pure non scritto) di compensare, anche se parzialmente, il G.A. per la contemporanea sottrazione di quella che in origine costituiva la principale materia della giurisdizione esclusiva (il pubblico impiego).

Nel corso di questi sei anni non sono mancate incertezze interpretative (dovute all’estrema vaghezza dell’art. 33 ed all’assoluta genericità della formulazione dell’art. 34) ed ondeggiamenti giurisprudenziali più o meno vistosi.

Particolarmente significativo ed emblematico in questo senso è quanto è stato in un primo tempo ritenuto dai vari giudici a proposito della controversie riguardanti l’occupazione acquisitiva: ricordo in particolare che in prima battuta, mentre dalle parti di Napoli sia il locale Tribunale civile che il T.A.R. campano [3] si erano dichiarati entrambi competenti in materia, dalle parti di Palermo il Tribunale civile [4] e il T.A.R. Sicilia-Palermo si erano entrambi ritenuti, per le stesse controversie, privi di giurisdizione; e così, mentre i napoletani si erano trovati di fronte a ben due giudici che, per la stessa controversia, si dichiaravano entrambi competenti, i palermitani, invece, si erano trovati privi di un giudice che intendesse occuparti della controversia.

Solo negli ultimi tempi, anche attraverso gli interventi nomofilattici delle S.U., si era acclarato che le controversie in materia di occupazione acquisitiva appartenevano ormai al giudice amministrativo (anche se qualche distinguo, sia pure per incidens, era stato fatto dal Consiglio di Stato per ciò che concerneva l’occupazione usurpativa).

Altrettante incertezze e dubbi erano sorti per ciò che concerne le azioni possessorie nei confronti della P.A. in relazione a lavori pubblici ed espropriazioni per p.u.

Non poche perplessità non solo tra gli studiosi ma anche tra gli operatori aveva poi suscitato l’attribuzione alla giurisdizione del G.A. delle competenze in materia di recupero crediti vantati dai farmacisti nei confronti della P.A. (con l’emissione di quei decreti ingiuntivi che un tempo emetteva solo il giudice ordinario); una competenza giurisdizionale quest’ultima prima acclarata dalle Sezioni Unite e poi consacrata con la previsione di un apposito rito monitorio dalla L. n. 205/200.

Tutto questo assetto, che lentamente e faticosamente stava trovando una collocazione definitiva (si fa per dire, dato che nulla è veramente definitivo nel campo umano, in ispecie in quello del diritto), viene ora messo in discussione a seguito della recente sentenza n. 204 della Corte.

 

2. Prima di occuparci del possibili effetti della pronuncia in discorso, è bene chiarire le ragioni che hanno indotto la Corte ad una dichiarazione di (parziale) illegittimità costituzionale e che l’hanno spinta inusualmente a dettare addirittura la nuova formulazione da attribuire alle norme in questione.

Come risulta dal testo della sentenza, la stessa è stata emessa in relazione a quattro ordinanze di rimessione del Tribunale civile di Roma.

La prima ordinanza riguardava l’art. 33 del D.L.vo n. 80/1998 e traeva origine da una controversia volta ad ottenere la condanna di una Azienda al pagamento di somme da questa dovute per prestazioni di ricovero.

Le altre tre ordinanze, che riguardavo invece l’art. 34, traevano origine:

a) da una azione di risarcimento danni fondata sulla circostanza che un fondo degli attori era stato occupato in vista della realizzazione di una opera pubblica (asilo nido), poi effettivamente completata, senza che peraltro la procedura di esproprio venisse mai portata a compimento e senza che venisse pagato il relativo indennizzo;

b) da una azione di risarcimento danni fondata sulla circostanza che il Comune aveva modificato la destinazione edilizia di alcuni terreni, da aree edificabili ad aree per attrezzature di servizi di quartiere e verde pubblico, in vista della costruzione di una strada, così determinando, senza che l’opera pubblica venisse in realtà mai realizzata, un tale deprezzamento degli immobili compresi nella variante da indurre un istituto di credito a chiedere la restituzione di ingenti prestiti e garantiti da quei beni; richiesta che, rimasta inevasa, aveva a sua volta provocato il fallimento della società attrice;

c) da una azione di risarcimento danni subiti in conseguenza del mancato allaccio alla rete fognaria e della mancata "agibilità" di un locale a destinazione negozio, di proprietà della società attrice.

Per affrontare le varie questioni di legittimità costituzionale poste da queste ordinanze, la Corte è partita da una ricostruzione storica particolarmente accurata delle origini della giurisdizione esclusiva del G.A. e da una attenta disamina dei lavori dell’Assemblea costituente, dai quali risulta che, se da un lato si è voluto (tramite l’art. 24 Cost.) assicurare una parità di tutela ai diritti soggettivi ed agli interessi legittimi, dall’altro si è inteso (tramite l’art. 103 Cost.) limitare la previsione di una giurisdizione esclusiva del G.A. a “particolari materie” nelle quali non solo gli interessi legittimi sono particolarmente intrecciati ai diritti soggettivi, ma i primi sono prevalenti rispetto ai secondi.

Secondo la Corte, infatti, il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali "la tutela nei confronti della pubblica amministrazione" investe "anche" diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie. Il legislatore ordinario, quindi, ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità.

Con tale principio si è inteso quindi porre un limite ad una tendenza, presente nella legislazione degli ultimi anni, che ha inteso superare il criterio di riparto della giurisdizione tuttora ancorato alla dicotomica distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, nell’ambito del quale la giurisdizione esclusiva, aggiuntiva rispetto a quella generale di legittimità, costituisce eccezione giustificata da particolari ragioni, per abbracciare il criterio (impiegato in altri ordinamenti e, segnatamente, in quello francese) della materia (o, per meglio dire, dei “blocchi di materie”) per distribuire le controversie tra giudice ordinario e quello amministrativo.

Nè, secondo la Corte, può adottarsi il diverso criterio della presenza in giudizio dell’amministrazione o del coinvolgimento nella controversia, comunque, di un pubblico interesse, per giustificare l’ampliamento delle materie di giurisdizione esclusiva.

Insomma, nell’attuale assetto costituzionale ed in mancanza di una apposita riforma (significativo in tal senso è il richiamo nella sentenza alla proposta di legge costituzionale Atto Camera 7465 della XIII Legislatura, tendente a giustificare l’ampliamento della giurisdizione esclusiva operato con la L. n. 205/200 con il riferimento alle controversie "riguardanti l’esercizio di pubblici poteri”), il riparto di giurisdizione continua a rimanere imperniato sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, e la previsione di una giurisdizione esclusiva deve intendersi come eccezione a tale criterio, che deve essere giustificata solo per “particolari materie”, nelle quali  «la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e la prevalenza delle prime» consentono di «aggiungere la competenza del Consiglio di Stato per i diritti soggettivi, nelle materie particolari specificamente indicate dalla legge» (Ruini, Assemblea, seduta pomeridiana del 21 novembre 1947).

Dal testo della sentenza risulta, quindi, un triplice limite alla facoltà del legislatore ordinario di ampliare le materie nelle quali sussiste la giurisdizione esclusiva del g.a.:

a) deve trattarsi innanzitutto, così come testualmente previsto dall’art. 113 Cost., di “particolari materie” nelle quali, come afferma la Corte, sussiste un rapporto da species a genus;

b) si deve trattare, inoltre, di materie nelle quali gli interessi legittimi ed i diritti soggettivi sono particolarmente connessi, al punto da apparire quasi inscindibili le questioni che gli uni rispetto agli altri pongono;

c) si deve trattare, infine, di materie nelle quali esista una prevalenza degli interessi legittimi (non solo numerica ma anche in un certo senso “ logica” e pregiudiziale, nel senso che la risoluzione delle questioni riguardanti i diritti presuppone ed implica anche la soluzione di questioni che riguardano gli interessi legittimi).

Da tali limiti (positivi) discendono altrettanti limiti negativi.

In particolare, come affermato testualmente dalla Corte, in materia di giurisdizione esclusiva del G.A., è da escludere che: a) la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo; b) che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo.

Insomma, secondo la Corte, la specialità di un giudice può fondarsi esclusivamente sul fatto che questo sia chiamato ad assicurare la giustizia "nell’amministrazione", e non mai sul mero fatto che parte in causa sia la pubblica amministrazione.

In questa prospettiva, viene esaltata la “funzione pubblica” svolta dalla P.A. (e dagli organismi a questa equiparati) ed il ruolo svolto dal giudice amministrativo come organo di giustizia “nella (e non della) amministrazione”.

E’ bene dire subito che la sentenza è condivisibile non solo nella sua accurata ricostruzione storica (specie nella parte in cui fa riferimento ai lavori dell’Assemblea costituente, per risalire fin alle origini del sistema di giustizia amministrativa; sotto questo profilo, la sentenza sembra riecheggiare l'approfondita ricostruzione storica effettuata in un saggio pubblicato nell'ultimo fascicolo della Rivista "Diritto processuale amministrativo": v. Alb. ROMANO, La giurisdizione amministrativa esclusiva dal 1865 al 1948, in Dir. proc. amm., fasc. 2/2004, pag. 417 ss.), ma soprattutto nelle conclusioni che ritrae dai principi affermati.

Tali conclusioni finiscono per espungere dal nostro ordinamento delle norme che evidentemente (basti pensare in proposito ai decreti ingiuntivi che il g.a. era costretto ad emettere per il recupero dei crediti dei farmacisti) avevano fatto assumere al g.a. stesso un ruolo che non solo alla luce della Costituzione, ma anche delle stesse origini storiche del nostro sistema di giustizia amministrativa, era del tutto spurio.

Magari qualcuno potrà obiettare che il riferimento nella attuale Costituzione alla “particolarità” della materia non poteva essere inteso in modo così assoluto, specie alla luce del fatto (del tutto trascurato nella sentenza) che, allorché fu approvata la Costituzione, nella giurisdizione esclusiva del G.A. rientravano tutte le controversie in materia di pubblico impiego; una “materia” quest’ultima affatto “particolare” o “residuale”.

Ma l’obiezione può essere facilmente superata, leggendo la stessa sentenza della Corte, nella quale la particolarità della materia non è intesa tanto nel senso che si deve trattare di materia che riguarda controversie numericamente ridotte, quanto nel senso di una materia nella quale non solo la commistione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi è particolarmente evidente, ma in cui la soluzione delle questioni riguardanti i primi presuppone ed implica quelle concernenti gli interessi legittimi.

In questo quadro generale, la previsione di un pubblico impiego conferito alla giurisdizione esclusiva del G.A. ben si giustificava non tanto in funzione del fatto che si trattava di controversie marginali (che anzi, un tempo costituivano in modo prevalente, le controversie di cui si occupava il G.A.) quanto in relazione alla circostanza che il potere di condannare la P.A. al pagamento dei diritti patrimoniali conseguenziali costituiva il risultato logico-giuridico che discendeva quasi sempre dall’annullamento di atti autoritativi.

Altra critica che probabilmente sarà mossa alla sentenza in rassegna riguarda il modo apparentemente disinvolto con il quale la Corte ha “riscritto” gli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80, dettandone una nuova formulazione.

Ma tale operazione, per così dire “ortopedica”, ben si giustifica con la delicatezza dell’argomento affrontato (quello della determinazione della giurisdizione), il quale - come dimostrato dall’esperienza di questi ultimi sei anni - mal tollera situazioni di incertezza.

Nel nostro ordinamento costituzionale è prescritto, con norma di civiltà giuridica, che ciascun cittadino ha l’inviolabile diritto di conoscere quale sia il suo giudice naturale precostituito per legge. Un precetto questo, che, nei fatti, è stato spesso disatteso dal legislatore ordinario, il quale negli ultimi tempi è intervenuto con disinvoltura in una delicatissimi materia qual è la determinazione della giurisdizione competente a decidere le controversie. Una delicatezza che risulta vieppiù aggravata dai tempi lunghi della giustizia (anche di quella della Suprema Corte regolatrice, la quale, sommersa dai regolamenti preventivi di giurisdizione, non riesce spesso a fornire risposte in tempo ragionevole) e dalla estrema vaghezza dalle norme dettate in materia.

Sotto questo aspetto sembra criticabile la riforma operata dagli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80/1998, poi trasfusi nell’art. 7 della L. n. 205/2000, dato che non solo con tali norme sono stati travalicati i limiti previsti dalla nostra Carta costituzionale per la giurisdizione esclusiva, ma si è anche optato per un esteso sistema di distribuzione della controversie “per materia”, senza tracciare con esattezza i confini delle materie.

Significativa in tal senso è, da un lato, la disordinata elencazione che era contenuta nell’art. 33, 2° comma, del citato decreto, il quale non forniva una esatta definizione del servizio pubblico, ma anche, dall'altro, la generica definizione contenuta nell’art. 34 dell’urbanistica e dell’edilizia, i cui confini risultavano determinati (pur con un notevole grado di incertezza) a contrario dalle eccezioni che prevedeva l’ultimo comma. Il che, come già cennato, aveva fatto sorgere notevoli dubbi ed incertezze.

Onde, pienamente giustificato è l’intervento “ortopedico” della Corte, teso evidentemente ad eliminare i possibili dubbi interpretativi che sarebbero inevitabilmente sorti ove non fosse stato precisato il nuovo dettato degli artt. 33 e 34 cit.

 

3. Rimangono a questo punto da esaminare le conseguenze che derivano dalla sentenza della Corte.

Come risulta dalla sentenza stessa, il nuovo testo dell’art. 33 del D.L.vo n. 80/1998, poi trasfuso nell’art. 7 della L. n. 205/2000, è ormai il seguente (le parti modificate sono riportate in corsivo):

1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché» quelle afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481.

2. (il comma 2° è stato dichiarato integralmente illegittimo)

3. All’articolo 5, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, sono soppresse le parole: “o di servizi“».

A seguito della pubblicazione della sentenza della Corte nella G.U.R.I. (n. 27 I s.s. del 14 luglio 2004), alcune prime pronunce hanno già avuto modo di ritenere che esulano ormai dalla giurisdizione del giudice amministrativo:

a) le azioni proposte da soggetti convenzionati con il SSN con le quali è stato chiesto ad una Azienda USL il pagamento delle prestazioni specialistiche effettuate; tali controversie, infatti, attengono a diritti soggettivi e rientrano nella tipologia di cui al comma secondo, lettere b) ed e), dell’art. 33 D.Lgs. n. 80/1998, dichiarato incostituzionale con la sentenza della Corte [5];

b) le controversie riguardanti in genere diritti di credito, nelle quali la pubblica amministrazione non sia coinvolta come autorità e, in particolare, le azioni con le quali un privato chieda il pagamento di prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale [6].

Con le stesse pronunce è stato precisato che la sentenza della Corte ha effetti anche in ordine ai giudizi pendenti e ancora non conclusi, atteso che, da un lato, ai sensi dell’art. 30, comma 4, della l. 11 marzo 1953 n. 87, "le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione", e che, dall’altro, così come affermato dalla Cassazione [7], "il principio sancito dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, atteso che la norma dichiarata costituzionalmente illegittima - a differenza di quella abrogata - non può essere assunta, data l’efficacia retroattiva che assiste tale tipo di pronunce della Corte Costituzionale, a canone di valutazione di situazioni o di rapporti anteriori alla pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità, salvo il limite dei rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione, intendendosi per tali quelli accertati con sentenza passata in giudicato o per altro verso già consolidati".

La sentenza della Corte comporterà anche il quasi totale abbandono del rito monitorio previsto dall’art. 8 della L. n. 205/2000, per la giurisdizione esclusiva, proprio in funzione dell’ampliamento operato dall’art. 33 del D.L.vo n. 80.

A seguito della sentenza n. 204/2004 della Corte, verranno meno molte delle incertezze che sussistevano in materia della giurisdizione esclusiva riguardante l’urbanistica ed edilizia prevista dall’art. 34 del citato decreto, dato che, per effetto della sentenza non fanno più parte dei tale tipo di giurisdizione esclusiva “i comportamenti” della P.A. in materia.

In questo senso può ritenersi ormai che non rientrino più nella giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie in materia possessoria e le azioni di nunciazione e di manutenzione correlate all’esecuzione di potere pubbliche che, stando agli orientamenti della giurisprudenza maturati negli ultimi anni, erano invece ricomprese in detta giurisdizione, proprio perchè riguardavano comportamenti [8].

Esulano inoltre chiaramente dalla giurisdizione del G.A. le controversie in materia di occupazione usurpativa, e cioè tutte quelle controversie per le quali il presupposto per la richiesta di risarcimento del danno deriva non già da un atto, ma da un comportamento (occupazione del suolo sine titulo).

Discorso diverso e più articolato deve invece farsi per ciò che concerne le controversie in materia di occupazione acquisitiva.

I primi commentatori hanno ritenuto che anche tale tipo di controversie rientrerebbero ormai nella giurisdizione dell’A.G.O.

L’affermazione sembra esatta solo per ciò che concerne i casi in cui la richiesta di risarcimento del danno derivi dal fatto che, nel periodo dell’occupazione legittima, il decreto di esproprio non sia stato emesso. In tale ipotesi non vi è dubbio che la richiesta risarcitoria si fonda su un comportamento illegittimo della P.A., la quale ha irreversibilmente trasformato il fondo.

Nell’ipotesi invece in cui la dichiarazione di p.u. (od il decreto di esproprio) siano stati annullati in sede giurisdizionale dal giudice amministrativo, deve ritenersi che rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo anche la connessa e susseguente domanda risarcitoria che sia stata avanzata dal privato che ha impugnato i suddetti atti.

In questo caso, infatti, non si è in presenza di un mero “comportamento” della P.A., ma di atti ritenuti illegittimi dal G.A., dal cui annullamento discende anche il potere del G.A. di condannare la P.A. al risarcimento del danno. Si tratta di un potere che non costituisce, come chiarito dalla Corte, una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva, ma la normale espansione ed esplicazione dei poteri che competono al giudice amministrativo, il quale ormai, in virtù di quanto previsto dall’art. 35 del D.L.vo n. 80/1998, novellato dalla L. n. 205/2000, può emettere sentenze di condanna al risarcimento del danno anche nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità.

Uno degli aspetti più interessati della sentenza della Corte è costituito proprio dal riconoscimento del fatto che, a seguito della nota sentenza delle Sez. Unite n. 500/1999 e della novella dell’art. 7 della L. n. 205/2000, il potere del giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

Tale potere affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro, sovente in via pretoria nelle ipotesi olim di giurisdizione esclusiva, che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l’eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di derivazione comunitaria), costituisce null’altro che attuazione del precetto di cui all’art. 24 Cost.

Sembra pertanto del tutto conseguente ritenere che, nell’ipotesi in cui venga annullata dal giudice amministrativo la dichiarazione di p.u., nel caso in cui lo stesso non possa disporre la reintegrazione in forma specifica (a causa dell’irreversibile trasformazione del fondo), il medesimo possa condannare la P.A. al risarcimento del danno prodotto in esecuzione del provvedimento ritenuto illegittimo.

 

4. La novità delle questioni poste dalla sentenza della Corte non consente di trarre conclusioni definitive. Tuttavia quale provvisoria considerazione va fatta.

La prima è che la sentenza della Corte non costituisce un passo indietro (come potrebbe desumersi dalla sua stessa numerazione: forse qualcuno dirà, con facile battuta, che dopo la 205, è venuta la 204), ma il ritorno alle origini del sistema di giustizia amministrativa, consacrato nell’attuale Costituzione.

Il giudice amministrativo torna ad essere, com’è stato fin dagli albori, il giudice della funzione pubblica o, per usare le stesse parole della Corte, uno strumento di giustizia nella (e non della) amministrazione.

Non suscita, d’altra parte, soverchi rimpianti l’abbandono di materie (quale quelle del recupero crediti nei confronti della P.A.) che avevano finito per fare assumere un ruolo anomalo e spurio al g.a., solitamente e tradizionalmente garante della legittimità (non solo formale) dell’operato della P.A.

La seconda considerazione che sorge spontanea dalla tormentata (e tormentosa) vicenda degli artt. 33 e 24 del D.L.vo n. 80/1998 è che in materia di giurisdizione il legislatore ordinario dovrebbe essere particolarmente cauto ed attento (dovrebbe contare fino a mille prima di intervenire in un delicato settore qual è la predeterminazione del giudice naturale).

Lo stesso discorso va fatto anche con riferimento ai progetti di riforma costituzionale ai quali fa cenno la Corte nella sua sentenza (per la cui approvazione, per fortuna, c’è la prescrizione della doppia conforme), i quali, se non ben meditati, rischiano di stravolgere il ruolo e la funzione del g.a., risultante da un lunghissimo periodo di evoluzione.

In ogni caso, se si ritiene di optare per un sistema di attribuzione per “blocchi di materie”, è necessario che tali materie siano ben definite nei loro esatti confini (problema analogo, del resto, si sta ponendo con riferimento alle materie previste a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione).

Rimane, è vero, aperto il problema della “compensazione”, a seguito della sottrazione delle controversie in materia di pubblico impiego ormai privatizzato, solo in parte risolto (indirettamente) a seguito dell’apertura delle Sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 500/1999 e della novella introdotta con l’art. 7 della L. n. 205/2000. Ma se il prezzo della compensazione sarà lo stesso (in termini di incertezze e dubbi) di quello già pagato con gli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80/1998 o, comunque, sarà costituito dall’attribuzione al g.a. di controversie spurie, è bene rinunciarvi preventivamente.


 

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[1] In questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/corte/ccost_2000-292.htm, con una mia nota di commento (Un guscio sempre più vuoto - che, tuttavia, potrebbe essere presto riempito), redatto il giorno dopo del deposito della sentenza, quando già si aveva avuto sentore dell’emenda formale poi introdotta dall’art. 7 dellla L. n. 205/2000.

[3] V. rispettivamente Tribunale di Napoli, Sez. I civile , entenza 21 novembre 1999 n. 1347, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/ago1/tribnapoli1_1999-11-21.htm e TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 22 dicembre 1999 n. 3271, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/private/tar/tarcampaniana5_1999-3271.htm

[4] V. Tribunale di Palermo, Sez. I civile, sentenza 6 maggio 1999, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/ago1/tribcivpa_1999-05-06.htm

[5] TAR Sicilia-Palermo, Sez. I - sentenza 16 luglio 2004 n. 1543, in questo numero della Rivista, http://www.lexitalia.it/p/tar/tarsiciliapa1_2004-07-16.htm

[6] TAR Campania - Napoli, Sez. V - sentenza 16 luglio 2004 n. 10462, in questo numero della Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/tar/tarcampna5_2004-07-16.htm

[7] Cass. SS.UU., sent. 6 maggio 2002, n. 6487, in Giust. civ. Mass. 2002, 771.

[8] V. da ult. Cassazione - Sezioni Unite Civili, ordinanza 11 marzo 2004, n. 5055, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/ago/casssu_2004-03-11.htm secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia ex 7, lett. b), della L. 21 luglio 2000, n. 205, sussiste anche quando, a causa di atti, provvedimenti e comportamenti della P.A. riguardanti l'uso del territorio, il privato richieda la tutela possessoria; v. anche, in senso analogo, Sezioni Unite Civili - ordinanza 27 giugno 2003, n. 10289, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/ago/casssu_2003-10289.htm e TAR Puglia-Lecce, Sez. I - Ordinanza 16 luglio 2003 n. 668, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/tar/tarpugliale1_2003-07-16o.htm, secondo cui “nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di urbanistica ed edilizia, sono esperibili da parte dei privati nei confronti della P.A. anche le azioni di reintegrazione e di manutenzione; ciò vale pure per la fase cautelare, ove hanno spazio tutte quelle <<misure […] che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso>> (cfr. art. 21 legge 1034/1971, come modificato dall’art. 3 legge 205/2000)”.


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