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n. 5/2008 - © copyright

STEFANIA VALERI*

La valutazione d’impatto ambientale

dopo il d.lgs. n. 4/2008

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SOMMARIO: I. Il quadro di riferimento comunitario: le origini della v.i.a. II. (segue): gli obblighi degli Stati membri e gli interventi chiarificatori della Corte di Giustizia della U.E. III. La finalità della v.i.a. IV. I principi informatori della disciplina: a) il carattere preventivo della v.i.a. V. (segue): b) la partecipazione del pubblico e la semplificazione degli autorizzativi in materia ambientale VI. Il procedimento di v.i.a.: a) premessa VII. (segue): b) la verifica di assoggettabilità VIII. (segue): c) la fase di consultazione con l’autorità competente IX. (segue): d) la presentazione dell’istanza e la fase di consultazione con il pubblico e le altre pubbliche amministrazioni X. (segue): e) la conclusione del procedimento di v.i.a. XI. Il provvedimento conclusivo della procedura di v.i.a.: a) natura giuridica e competenza all’adozione XII. (segue) b) il sindacato giurisdizionale sulla v.i.a. XIII. (segue): c) la motivazione dell’indicazione di prescrizioni sul provvedimento di v.i.a. XIV. (segue): la pubblicazione.

I. IL QUADRO DI RIFERIMENTO COMUNITARIO: LE ORIGINI DELLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

I La valutazione di impatto ambientale, intesa come meccanismo procedurale amministrativo finalizzato a prevedere gli effetti sull’ambiente di progetti pubblici e privati per opere ed interventi sul territorio, così da prevenire, evitare o minimizzare quelli dannosi (o quelli dannosi oltre una determinata soglia) è istituto di derivazione comunitaria [1].

La sua introduzione nel nostro ordinamento prende infatti le mosse dalla Direttiva 85/337/CEE del 27.06.1985 che, rifacendosi all’esperienza nordamericana dell’environmental impact statement [2] che per prima ha introdotto i fattori ambientali nei processi decisionali, detta una “disciplina quadro” in materia di valutazione di impatto ambientale [3], fissando alcuni principi fondamentali allo scopo di completare e coordinare le procedure di autorizzazione dei progetti pubblici e privati che possono avere un impatto rilevante sull’ambiente [4].

In realtà, la tutela ambientale ha formato oggetto di un progressivo riconoscimento in diritto comunitario solo in epoca recente, essendo tale nozione totalmente o quasi totalmente assente nei trattati originari [5]. È stata la Corte di Giustizia, per via giurisprudenziale, a dichiarare [6] che essa costituiva “uno degli scopi essenziali della Comunità”, riconoscendone così lo status di esigenza imperativa idonea a giustificare misure nazionali che rechino pregiudizio alla libera circolazione delle merci. Solo nel 1987, con l’entrata in vigore dell’Atto Unico Europeo, all’azione della Comunità in materia di tutela ambientale è stato attribuito un fondamento normativo in diritto primario, inserendo nel Trattato CE gli artt.130R, 130S e 130T [7].

In quanto anteriore a tale normativa, la direttiva 85/337/CEE si fonda così sul combinato disposto degli artt.100 e 235 Trattato CEE richiamati nel preambolo, prevalendo, all’epoca, la considerazione economica di avviare il funzionamento del mercato comune attraverso un riavvicinamento delle legislazioni dei vari Paesi [8]: in tal senso la procedura di V.I.A. nasce come istituto preordinato alla tutela della concorrenza ed in ciò la dottrina ha ritenuto di individuare la matrice culturale della Direttiva [9].

Già nel suo preambolo, tuttavia, essa anticipava quello che sarebbe divenuto un principio giuridico di rango costituzionale con l’Atto Unico europeo ed il Trattato di Maastricht allorché si canonizzerà come scopo fondamentale della Comunità europea la tutela preventiva dell’ambiente e si declineranno, tra i principi fondamentali delle politiche comunitarie nel “settore” dell’ambiente, quelli della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria, alla fonte dei danni causati all’ambiente [10]. Il principio “chi inquina paga”, pur rilevantissimo, finisce così con l’assumere un valore recessivo e persino residuale, in quanto scopo primario delle politiche comunitarie è quello di prevenire il danno all’ambiente, mentre la tutela risarcitoria innerva, per così dire, una tecnica di protezione di II grado e dunque, semmai, di tipo concorrente [11].

Precorrendo tale “visione del mondo” in cui lo scopo della tutela preventiva è assunto come necessario ed irrinunciabile, l’obiettivo essenziale della direttiva 85/337/CEE, come consolidato e precisato successivamente dalla Direttiva 97/11/CE è, così, quello di assicurare che i progetti suscettibili di avere un impatto rilevante sull’ambiente, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino obbligatoriamente ed in via preventiva oggetto di una valutazione del loro impatto ambientale [12] in via preventiva [13].

Nell’art. 3 della citata direttiva si afferma, in particolare, che gli effetti sull’ambiente sono da ritenersi quelli che riguardano l’uomo, la fauna, la flora, il suolo, l’acqua, l’aria, il clima, il paesaggio, l’interazione tra tali fattori ed infine i beni materiali ed il patrimonio culturale, facendo così assumere all’ambiente un significato assai ampio e tale da ricomprendere sia gli elementi naturali, sia il cosiddetto ambiente antropizzato, ossia la risultanza dell’interazione tra fattori naturali ed azione dell’uomo. [14]

II.(SEGUE): GLI OBBLIGHI DEGLI STATI MEMBRI E GLI INTERVENTI CHIARIFICATORI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA U.E.

Sulla base del quadro normativo vigente in ambito comunitario, gli Stati membri hanno pertanto i seguenti obblighi principali [15]: a) incorporare nella procedura di VIA le finalità di precauzione e di prevenzione; b) introdurre una nuova fase procedurale, o un nuovo sub-procedimento o procedimento amministrativo, avente lo scopo di “individuare, descrivere e valutare” anticipatamente gli impatti ambientali “importanti” indotti dalle attività “classificate” prima che le stesse vengano autorizzate e realizzate; c) assoggettare a VIA tutti i progetti dell’allegato I [16] nonché, qualora si rivelino idonei a generare un impatto ambientale importante, all’esito della procedura di c.d. screening, anche i progetti dell’allegato II (lo screening deve essere effettuato in base a soglie o ad un esame caso per caso, avvalendosi di specifici criteri di selezione definiti nell’Allegato III della stessa direttiva e concernenti le caratteristiche dei progetti (dimensioni, cumulo con altri progetti, utilizzazione risorse naturali, ecc.), la loro localizzazione e il loro impatto potenziale [17]); d) collaborare, su richiesta del proponente/committente dell’opera, alla determinazione dei contenuti delle informazioni che questi è tenuto a rendere in merito agli impatti ambientali attesi (c.d.scoping); e) assicurare il coordinamento e la partecipazione delle amministrazioni competenti in materia ambientale, nonché un approccio intersettoriale ed olistico alla prevenzione ambientale; f) garantire trasparenza e informazione del “pubblico” [18] e la possibilità effettiva di partecipazione al “pubblico interessato” [19] quando tutte le opzioni sono ancora aperte; g) in sede decisionale, prendere in considerazione tutti i pareri, le osservazioni e le informazioni raccolti in fase istruttoria e valutare le principali alternative che, a tal fine, il proponente/committente deve individuare e motivare in sede di domanda; h) motivare e pubblicare il provvedimento che conclude il procedimento principale di autorizzazione [20], rendendo conto dei risultati della procedura di VIA; i) predisporre adeguati istituti di tutela giustiziale e giurisdizionale in favore del “pubblico interessato”.

E’ da ricordare in proposito che, al fine di assicurare l’esatta osservanza di tali obblighi e, con essa, il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla direttiva n. 85/337/CEE, la Corte di Giustizia ha tratto una serie di implicazioni di rilievo dalla mancata o insufficiente trasposizione della normativa in materia di VIA.

Il giudice comunitario ha così innanzitutto vietato agli Stati membri di introdurre normative nazionali che abbiano l’effetto (elusivo) di sottrarre alla procedura di v.i.a. categorie di opere incluse negli Allegati della citata Direttiva [21]ravvisando violazione del diritto comunitario non solo in condotte omissive degli Stati membri (assenza totale o parziale di trasposizione delle direttive comunitarie), ma anche in condotte attive che vedono introdurre una serie di disposizioni legislative (anche sub specie di ulteriori condizioni o prescrizioni non previste a livello europeo) che hanno l’effetto di contravvenire a specifiche norme comunitarie. [22]

La Corte di Giustizia ha poi escluso la possibilità per gli Stati membri di eccepire prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi stabiliti dalla direttiva in questione, [23] né alcuna incidenza ha riconosciuto alla ripartizione costituzionale di poteri tra autorità nazionali centralizzate ed autorità decentralizzate sulla valutazione dell’inadempimento, essendo compito degli Stati membri vigilare sulla effettiva attuazione dei loro obblighi comunitari da parte delle autorità centralizzate e decentralizzate.

In conformità a tale orientamento la Corte di Giustizia ha sottolineato, in particolare, la regola di diritto per la quale la scelta (interna) dello Stato membro di affidare alle proprie Regioni l’attuazione di una data direttiva è irrilevante quanto alla applicazione dell’art.226 in tema di responsabilità dello Stato membro per mancata ottemperanza ad uno degli obblighi allo stesso incombenti in virtù del Trattato [24]. Del resto, ben si comprende come la libera scelta di ogni Stato di diversamente articolare al proprio interno l’assetto delle competenze normative non possa avere, poi, come conseguenza quella di rendere irresponsabile lo stesso Stato membro, che resta invece il solo responsabile, nei confronti della Comunità, del rispetto degli obblighi derivanti dal diritto comunitario. [25]

La Corte di Giustizia si è anche occupata dei rapporti tra giudice nazionale e giudice comunitario in merito alla verifica dell’avvenuto adempimento, da parte dello Stato membro, dei descritti obblighi discendenti dalla direttiva VIA, giungendo alla conclusione che la proposizione di un ricorso dinanzi al giudice nazionale contro un provvedimento oggetto anche di un ricorso per inadempimento e l’eventuale positiva verifica sulla legittimità della valutazione d’impatto ambientale del progetto contestato non possano avere effetto preclusivo della ricevibilità del ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione europea. [26] Se è vero, infatti, che spetta al giudice nazionale verificare se le autorità competenti, sulla base dell’esame in concreto compiuto, abbiano correttamente valutato, in conformità alla direttiva VIA, l’importanza dell’impatto ambientale dello specifico progetto in questione nella causa principale,[27] ciò non toglie che la Corte possa pronunciarsi sugli obblighi degli Stati membri derivanti dall’art. 4 n. 2 in riferimento all’art. 2 n. 1 della direttiva e che la Commissione, in base ai poteri di cui all’art. 226 Trattato CE, abbia il dovere di intervenire per denunciare la violazione di una disposizione del diritto comunitario.

L’esistenza di azioni esperibili dinanzi al giudice nazionale contro provvedimenti incompatibili con il diritto comunitario non può, così, precludere l’esercizio del ricorso contemplato nel citato art. 226, dato che le due azioni perseguono scopi e producono effetti diversi [28] e che le potestà giurisdizionali dell’organo nazionale e di quello comunitario non vengono a sovrapporsi: in particolare, quest’ultimo accerta se le autorità nazionali abbiano adempiuto, in relazione al progetto, agli obblighi ad esse imposti dalla direttiva, censurandone l’inadempimento, qualora l’accertamento si concluda in senso negativo; al giudice nazionale spetta, invece, stabilire se gli atti impugnati siano conformi all’ordinamento interno che traspone la normativa comunitaria e, se del caso, pronunciare la relativa sentenza di annullamento.

Una ulteriore implicazione di rilievo ha infine tratto la Corte di Giustizia dalla mancata o insufficiente trasposizione della disciplina comunitaria in materia VIA negli ordinamenti degli Stati membri.

Come è noto, ormai da tempo la Corte ha elaborato la nozione di direttive dettagliate, o self-executing, che possono produrre effetti diretti, una volta spirato il termine assegnato per la loro attuazione, allorché pongano obblighi con un contenuto precettivo sufficientemente chiaro e preciso, tale da non richiedere l’adozione di ulteriori atti, e creino diritti a favore dei privati individuabili nel loro contenuto [29], sia in caso di mancata attuazione, sia in caso di attuazione insufficiente o inadeguata, nei confronti di tutte le pubbliche autorità dello Stato membro inadempiente [30], non esclusi i giudici nazionali, tenuti se del caso a disapplicare le norme interne contrarie ai precetti comunitari [31].

Così, benché la direttiva n. 85/337/CEE, anche dopo le modifiche apportate dalla direttiva n. 97/11/CEE, fosse ben lungi dal presentare i caratteri di “precisione ed incondizionatezza” richiesti dall’indirizzo giurisprudenziale per affermare il carattere self-executing delle direttive, [32] e dal riconoscere precisi diritti ai singoli cittadini, [33] la Corte di Giustizia europea, probabilmente esasperata dai ripetuti inadempimenti da parte della maggioranza degli Stati membri ed in considerazione della sempre maggiore restrizione degli spazi di discrezionalità riservati ai singoli Stati nell’attuazione dell’art. 4 n. 2, ha riconosciuto efficacia immediata e diretta a numerose disposizioni della direttiva in materia di VIA. [34] Cosicché in caso di superamento di quel margine di discrezionalità riconosciuto dagli artt.4 n.2 e 2 n. 1 della direttiva e verificabile d’ufficio dal giudice, sulla base di quanto previsto dal diritto interno, “ i singoli possono invocare tali disposizioni dinanzi al giudice nazionale per ottenere che le Autorità di detto Stato disapplichino le norme o misure interne con esse incompatibili. In un caso del genere, spetta agli organi dello Stato membro adottare, nell’ambito delle loro competenze, tutti i provvedimenti, generali o particolari, necessari affinché venga condotto un esame sull’idoneità dei progetti ad avere un notevole impatto ambientale e affinché, in caso di esito positivo di detto esame, venga effettuato uno studio dell’impatto ambientale del progetto”. [35]

 III. LA FINALITA’ DELLA PROCEDURA DI VALUTAZIONE D’IMPATTO AMBIENTALE.

L’ampia premessa è necessaria per introdurre il tema centrale, quello dell’esame delle disposizioni contenute nel Titolo III della Parte II del D.Lgs. 16.01.2008 n. 4 che appaiono essere la puntuale trasposizione dei principi affermati a livello comunitario e chiariti, nella loro portata, dalle pronunce della Corte di Giustizia intervenute in subiecta materia.

Già l’art. 4 del decreto legislativo in commento chiarisce, in via generale, che la valutazione ambientale di piani, programmi e progetti persegue la finalità di assicurare che l’attività antropica sia compatibile con le condizioni per un uso sostenibile e quindi si svolga nel rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia delle biodiversità e di una equa distribuzione dei vantaggi connessi all’attività economica. Per mezzo di essa si affronta la determinazione della valutazione preventiva integrata degli impatti ambientali nello svolgimento delle attività normative e amministrative, di informazione ambientale, di pianificazione e programmazione.

Più nello specifico e in tale ambito, il Legislatore aggiunge poi, mutuando la definizione comunitaria, che la valutazione ambientale dei progetti persegue la finalità di proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento della specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita. A questo scopo essa individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare, gli impatti diretti ed indiretti di un progetto sull’uomo, la fauna, la flora, il suolo, l’acqua, l’aria ed il clima, i beni materiali ed il patrimonio culturale, nonché l’interazione tra detti fattori.

Il Legislatore delegato utilizza, così, nel solco dell’esperienza comunitaria, un’accezione di ambiente [36] estremamente mutevole, connotata da due profili: uno, a contenuto fisso, inerente gli elementi tradizionali dell’ambiente, l’altro, a contenuto variabile, composto da fattori che sono fatti rientrare nella nozione di ambiente in virtù di una qualche relazione con i primi [37]; in tale prospettiva, sceglie, inoltre, una prospettiva antropocentrica e non ecocentrica, nel momento in cui non pone l’ambiente quale presupposto e fine ex se della tutela ambientale, con ciò relativizzando il soggetto curatore e contestualmente assolutizzando l’oggetto della tutela, ma individua nella persona il suo necessario riferimento. [38]

IV. I PRINCIPI INFORMATORI DELLA DISCIPLINA: A) IL CARATTERE PREVENTIVO DELLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

Al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi anzidetti, nella procedura di VIA deve quindi essere valutata , in relazione a ciascun progetto, “l’ alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni tra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici” conseguente all’attuazione sul territorio del progetto stesso nelle diverse fasi della sua realizzazione, gestione e dismissione.

E’ sin troppo evidente che tale disamina ambientale, in accoglimento del principio di precauzione e di prevenzione di matrice comunitaria, deve essere condotta non appena sia possibile individuare e valutare tutti gli effetti che il progetto può produrre sull’ambiente [39] e comunque “subito”, alla stregua del primo Considerando della direttiva n. 85/337/CEE, cioè prima dell’autorizzazione ovvero della decisione che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto. [40] Non a caso, lo stesso art. 4 del D.Lgs. 4/08 fa espresso riferimento alla determinazione della valutazione preventiva degli impatti che lo svolgimento di attività amministrative e di pianificazione può produrre sull’ambiente che viene ad essere affrontata per mezzo della procedura di valutazione ambientale dei progetti.

In proposito la giurisprudenza amministrativa ha, del resto, già avuto modo di chiarire che il procedimento di VIA è, per la sua propria natura e per la sua configurazione normativa, un mezzo preventivo di tutela dell’ambiente, essendo costruito “come un procedimento che si svolge “prima” (cioè come un procedimento presupposto) rispetto a quello di approvazione del progetto: solo attraverso il suo esaurimento antecedente all’approvazione del progetto dell’opera è infatti possibile tutelare preventivamente l’interesse pubblico ambientale, o negando l’approvazione stessa o imponendo che il progetto sia modificato secondo determinate prescrizioni, intese ad eliminare o ridurre l’incidenza negativa per l’ambiente [41], sicchè il suo esaurimento opera come fatto giuridico permissivo [42] dell’esercizio della potestà pubblica concernente il procedimento presupponente, cioè il procedimento di approvazione del progetto. Da ciò consegue che tale configurazione normativa è incompatibile con uno schema di regolamento che preveda la valutazione di impatto ambientale postuma rispetto all’approvazione del progetto”. [43].

In linea generale la giurisprudenza nazionale e comunitaria [44] affermano, così, che qualora sia richiesta la valutazione di impatto ambientale, questa debba precedere l’approvazione del progetto definitivo, venendosi a configurare quale elemento necessario dell’istruttoria volta all’individuazione compiuta dei lavori da realizzare ed escludono che le indagini afferenti la valutazione circa la compatibilità ambientale dell’opera possano rimandarsi ad una fase procedimentale successiva (come quella di approvazione del progetto esecutivo), “dato che solo nella prima fase è consentito di attuare la strategia ad effetto anticipato alla quale si ispira la procedura di V.I.A.” [45].

Tale postulato, benché di chiarezza cristallina, risulta tuttavia sovente eluso dalle autorità competenti che procedono a manifestare ex post un giudizio di non pericolosità dell’opera per l’ecosistema, a fronte di un manufatto già autorizzato, se non addirittura già realizzato, e a difendere il proprio operato assumendo comunque rispettato l’obbligo su di esse incombente emanando un parere tardivo sulla non necessità di intraprendere la procedura di VIA, dopo aver autorizzato la costruzione [46].

Si tratta, in realtà, di un assunto che ha trovato una qualche legittimazione giuridica anche in un orientamento della giurisprudenza comunitaria [47] formatosi in ordine alla portata dell’obbligo degli Stati membri di rimediare al mancato assoggettamento a ViA dei progetti per i quali, per natura, dimensioni o ubicazione, si prevede un impatto ambientale rilevante. Secondo il giudice comunitario gli Stati membri hanno sempre l’obbligo di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario in forza del principio di leale collaborazione previsto dall’art.10 Trattato CE. Un tale obbligo incombe, in particolare, a ciascun organo dello Stato membro interessato, cosicché ad ogni autorità nazionale è sempre fatto carico di adottare tutti i provvedimenti necessari, generali o particolari che siano affinché i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale significativo vengano esaminati (anche in via postuma) per stabilire se siano effettivamente idonei a produrre tale impatto e, in caso affermativo, siano sottoposti ad una valutazione di compatibilità.

L’apertura della giurisprudenza comunitaria in favore della v.i.a. postuma ha finito così con il condizionare anche il giudice nazionale [48] il quale, in un recente orientamento evidentemente ispirato da una logica pragmatica, finalizzata al perseguimento dell’obiettivo di tutela dell’ambiente di cui alla dir.85/337/CEE, ha sottolineato come considerazioni analoghe possano essere svolte anche nei confronti dei committenti (cioè dei soggetti, pubblici o privati, richiedenti l’autorizzazione dell’opera che sono obbligati, dal canto loro, a sottoporre all’esame delle autorità amministrative competenti i progetti definitivi dell’opera: ed infatti non v’è ragione per non accordare ad essi la possibilità di rimediare ex post all’omesso svolgimento della VIA, mediante l’attivazione tardiva della procedura, purchè ciò avvenga prima che si produca ogni concreto pregiudizio sul territorio. Si è così concluso che, “una volta intervenuta la v.i.a., venga meno ogni interesse del ricorrente a coltivare la censura, in quanto le sottostanti esigenze di tutela ambientale, la cui compromissione veniva lamentata, sono state soddisfatte mediante la positiva v.i.a” [49], con ciò ritenendosi prevalente l’aspetto sostanziale relativo al rilascio del giudizio di v.i.a. e degradando la violazione delle disposizioni afferenti il dato temporale a mero vizio formale. Secondo il giudice nazionale, infatti, il dato temporale relativo alla v.i.a. sarebbe irrilevante poiché “l’omissione dello svolgimento della v.i.a. può essere sanata attraverso lo svolgimento della procedura e di conseguenza una volta che nel caso di specie tale svolgimento è avvenuto prima di ogni concreta conseguenza sul territorio, ogni contestazione non può che riguardare il contenuto della valutazione, restando superato l’aspetto del momento della valutazione” [50].

Si tratta, all’evidenza, di un orientamento giurisprudenziale che, nell’ammettere l’espletamento della procedura di v.i.a. postuma, rischia di vanificare, in concreto, la funzione di tutela preventiva dell’ambiente del procedimento di compatibilità ambientale, che diventerebbe una mera verifica ex post di un’opera già approvata (soprattutto nell’ipotesi in cui si tratti di opere già realizzate [51]).

Una attenta dottrina [52] non ha mancato, in particolare, di sottolineare come tale orientamento non tenga conto, ad esempio, della circostanza che nell’ambito di un procedimento postumo di v.i.a. l’esame delle alternative di progetto, contenuto nello studio di impatto ambientale, verrebbe ad assolvere ad una funzione meramente formale, essendo l’opera già approvata. Verrebbe inoltre ad essere snaturata anche la valutazione del carico ambientale sopportabile dal sito nell’ambito del quale l’opera è localizzata, verifica strettamente connessa all’esame delle alternative di progetto e che rappresenta, al pari di quest’ultimo, uno dei presupposti fondamentali del giudizio di vi.a. e del relativo procedimento che si ispira ai principi di prevenzione e di precauzione. Alla luce di tali verifiche, l’autorità competente può imporre misure di mitigazione degli impatti ambientali del progetto o esprimere un giudizio di v.i.a. negativo “ove siano ipotizzabili scelte più rispondenti alle esigenze ambientali”. [53] E’ quindi evidente che nell’ipotesi in cui il progetto sia già stato approvato, il giudizio postumo di v.i.a. potrà avere prevalentemente una funzione mitigativa degli impatti, essendo stata già decisa la realizzazione dell’opera, pur se in mancanza della pronuncia di compatibilità ambientale, con conseguente notevole ridimensionamento degli ambiziosi obiettivi di tutela della salute e dell’ambiente fissati dalla direttiva 85/337/CEE. [54]

Di questi rischi appare, tuttavia, ben consapevole il Legislatore del 2008 il quale, dopo aver vietato in modo assoluto la possibilità di “farsi luogo all’inizio dei lavori senza che sia intervenuto il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale” (art. 26, 5° comma), aderendo all’orientamento giurisprudenziale e dottrinale assolutamente maggioritario, qualifica espressamente la valutazione di impatto ambientale come “presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione” ed “annullabili per violazione di legge” i provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza “la previa valutazione di impatto ambientale” (art. 29, 1°comma): con ciò confermando il principio secondo cui la v.i.a. deve consentire un’azione di salvaguardia preventiva dell’interesse pubblico ambientale.

V. (SEGUE): B) LA PARTECIPAZIONE DEL PUBBLICO E LA SEMPLIFICAZIONE DEGLI ATTI AUTORIZZATIVI IN MATERIA AMBIENTALE

Di diretta derivazione comunitaria appaiono, altresì, gli altri principi informatori della procedura di VIA sviluppati negli artt.19 e ss. del D.Lgs.n.4/08: in particolare, da un lato, la garanzia dell’informazione, della consultazione e della partecipazione del pubblico al procedimento e, dall’altro, il conseguimento della semplificazione, della razionalizzazione e del coordinamento delle valutazioni e degli atti autorizzativi in materia ambientale.

A tale ultimo riguardo, è da rammentare che, pur vigendo in ambito comunitario, il “principio di applicazione cumulativa” delle tre discipline (VIA, VAS e IPPC) di valutazione in materia ambientale – per effetto del quale ciascuna delle tre normative deve essere applicata integralmente e nessuna delle tre pregiudica l’applicazione delle altre -, detta regola generale è temperata da una serie di principi e criteri di efficienza e semplificazione del procedimento decisionale, la cui applicazione tende a ridurre gli oneri burocratici gravanti sui soggetto interessati ed il carico di lavoro delle amministrazioni, conformemente alle raccomandazioni sulla semplificazione del contesto delle attività di impresa formulate dai più autorevoli organismi internazionali (OCSE) e dalla stessa Comunità europea. [55]

 Il 4° comma dell’art. 26 del D.Lgs. 4/08, a tenore del quale “Il provvedimento di valutazione di impatto ambientale sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o intervento inclusa, nel caso di impianti che ricadono nel campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005 n. 59, l’autorizzazione integrata ambientale di cui al medesimo decreto” introduce, così, nel tessuto ordinamentale nazionale, i principi del “coordinamento delle procedure” (per il quale è riconosciuta a livello comunitario agli Stati membri la facoltà di prevedere una procedura unica per soddisfare i requisiti della VIA e dell’IPPC, mentre nel caso della VAS devono evitare duplicazioni di valutazione nell’ambito di piani gerarchicamente sovraordinati e possono predisporre procedure coordinate o comuni per soddisfare i requisiti di valutazione richiesti da altre disposizioni comunitarie concernenti piani e programmi); il principio di “pertinenza delle informazioni” (sia nel caso della VAS sia nel caso della VIA, le informazioni rese nel procedimento devono essere congruenti con la fase procedurale e proporzionate al grado di approfondimento ragionevolmente richiesto); il principio di “predeterminazione del flusso delle informazioni tra procedimenti interferenti” e “economia degli oneri documentali” (in applicazione dei quali la documentazione utilizzata ai fini della procedure “presupposte” –VAS e VIA-, qualora soddisfi il requisito dell’equipollenza, può essere riutilizzata tal quale nei procedimenti amministrativi “presupponenti” –IPPC-). [56]

Altro principio informatore di primaria importanza è quello relativo alla garanzia della consultazione del pubblico al procedimento di VIA (intendendosi, a norma dell’art.5, per “consultazione” l’insieme delle forme di informazione e partecipazione, anche diretta, delle amministrazioni, del pubblico e del pubblico interessato nella raccolta dei dati e nella valutazione dei progetti), principio sviluppato soprattutto negli artt.24 e 27 del decreto legislativo in commento.

La discrezionalità riconosciuta agli Stati membri dalla direttiva n. 85/337/CEE in ordine alla scelta delle forme della partecipazione dei singoli e dei portatori di interessi diffusi e collettivi a tale procedura, unitamente al nuovo e più significativo ruolo attribuito dall’ordinamento nazionale alla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali nell’esercizio di funzioni ed attività di interesse generale, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale [57], inducono il legislatore delegato a riconsiderare sotto nuova e più pregnante luce l’apporto del “pubblico” [58] nell’ambito della procedura di VIA. Questo viene infatti valorizzato non solo in termini di mera collaborazione, da parte dei soggetti interessati, nell’adozione dei provvedimenti che incidano direttamente la loro sfera giuridica (attraverso la possibilità, prevista dall’art. 24, di presentare all’autorità competente pareri ed osservazioni scritte sul progetto al fine di fornire elementi conoscitivi e valutativi concernenti i possibili effetti dell’opera o dell’intervento soggetto a VIA [59]o la possibilità di partecipare, prima della conclusione della procedura, al contraddittorio con il proponente contemplato dal comma 8 dell’art. 24), ma anche ai più generali fini di stimolo, orientamento, controllo e gestione stessa delle funzioni di interesse generale inerenti alla tutela ambientale [60]. Ciò attraverso il coinvolgimento del “pubblico” nella presentazione di eventuali osservazioni e nel contraddittorio anzidetto, nonché l’introduzione generalizzata dell’istituto dell’inchiesta pubblica [61] (art. 24, comma 4) per l’esame dello studio di impatto ambientale presentato dal proponente, dei pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e delle stesse osservazioni del pubblico. [62]

Ciò produce, in definitiva, che il baricentro della partecipazione nei procedimenti di autorizzazione di progetti pubblici e privati si sposti, in maniera significativa, sulla procedura di VIA, l’unica, di fatto, nella quale possono trovare compiuta e contestuale manifestazione i diversi interessi pubblici, diffusi e privati e che viene pertanto ad essere sovraccaricata di tutti i conflitti suscitati dalla realizzazione dell’intervento in ordine ai possibili “usi alternativi dell’ambiente” [63], di cui l’autorità competente dovrà dare conto anche attraverso l’esplicitazione delle principali ragioni della scelta tra le alternative proposte dal committente. [64]

 VI. IL PROCEDIMENTO DI VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE: A) PREMESSA

I. Procedendo ad esaminare più nel dettaglio la procedura di VIA come compiutamente delineata nel Titolo III della Parte II del D.Lgs. n. 4/08, non può non sottolinearsi, in via preliminare, la evidente deroga ai principi di semplificazione amministrativa attuata dal legislatore delegato in subjecta materia al fine di garantire all’ambiente la tutela richiesta, in via prioritaria e privilegiata rispetto agli altri interessi costituzionalmente protetti, [65] dalla nostra Carta costituzionale.

L’affermazione dei principi di pubblicità, di partecipazione e contraddittorio tra soggetto proponente, autorità competente, altre pubbliche amministrazioni aventi specifiche competenze ambientali e privati interessati, di informazioni al pubblico comporta, invero, un inevitabile rallentamento nello svolgimento dell’azione amministrativa e contraddice ex se all’esigenza di efficienza e semplificazione procedimentale perseguita dal legislatore nazionale in altri campi dell’agire amministrativo, ma un alleggerimento di tutela procedurale dell’interesse pubblico protetto dagli artt. 32 e 9 non è stato ritenuto giustificabile neanche nelle ipotesi in cui fosse venuto in rilievo l’interesse nazionale alla realizzazione delle grandi opere strumentali alla modernizzazione del Paese [66]. L’ambiente sembra così costituire un valore superiore che postula scelte antitetiche rispetto a quelle a cui spingono valori di più recente emersione, come la produttività, in nome della quale si sono generalizzati istituti come il silenzio-assenso, o come la “necessaria infrastrutturazione” che ha indotto ad indebolire la VIA e che induce a ripensare lo stesso modello procedurale come strumento di controllo puntuale ed effettivo e di adeguato sbarramento a progetti di opere ed interventi capaci di pregiudicare in maniera significativa l’ambiente. [67]

VII. (SEGUE) : B) LA VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’

Il combinato disposto degli artt. 5 e 19 descrivono la valutazione di impatto ambientale come un processo che comprende a) lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, b) la definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale, c) la presentazione e la pubblicazione del progetto, d) lo svolgimento di consultazioni, e) la valutazione dello studio di impatto ambientale e degli esiti delle consultazioni, f) la decisione, g) l’informazione sulla decisione, h) il monitoraggio.

Tale procedimento si apre, a norma dell’art. 20, con la trasmissione all’autorità competente [68] del progetto preliminare, dello studio preliminare ambientale e di una loro copia conforme in formato elettronico nel caso a) di progetti elencati nell’allegato II che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni, b) di progetti inerenti modifiche dei progetti elencati negli allegati II che comportino effetti negativi apprezzabili per l’ambiente, e c) di progetti di cui all’allegato IV, secondo le modalità stabilite dalle Regioni e dalle Province autonome.

Al fine di consentire la formulazione di osservazioni da parte di chiunque ne abbia interesse, di tale trasmissione è dato sintetico avviso [69], a cura del proponente, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino Ufficiale della Regione per i progetti di rispettiva competenza, nonché all’Albo pretorio dei Comuni interessati. Copia integrale degli atti è depositata anche presso i Comuni (ed anche presso la sede delle Regioni e delle Province in caso di progetti di competenza statale) ove il progetto è localizzato, mentre i principali elaborati del progetto preliminare e lo studio preliminare ambientale sono altresì pubblicati sul sito web dell’autorità competente.

Entro il termine di 90 giorni dalla pubblicazione dell’avviso di cui sopra, l’autorità competente è chiamata quindi ad esprimersi, sulla base degli elementi indicati nell’allegato V del D.Lgs.n. 4/08 e tenendo conto dei risultati della consultazione, nei seguenti termini: se il progetto trasmesso, per le sue caratteristiche concrete, non ha impatti ambientali significativi o non costituisce modifica sostanziale, viene disposta l’esclusione dello stesso dalla procedura di valutazione ambientale, impartendo, se del caso, le necessarie prescrizioni [70]; se, invece, il progetto ha possibili impatti significativi o costituisce modifica sostanziale, si adotta un provvedimento di assoggettabilità [71], dando ulteriore corso alla procedura di v.i.a.

Il giudizio, obbligatorio e vincolante [72], espresso dall’autorità competente deve, comunque, essere supportato da un’adeguata motivazione, sia nel caso che si concluda con la necessità dell’assoggettamento a VIA del progetto, sia – e a maggior ragione- nel caso in cui invece lo escluda. Posto, infatti, che “secondo la regola generale, (…) prima di autorizzare l’esecuzione di un’opera occorre valutarne gli effetti, (…) qualora un intervento, in considerazione della sua innocuità, non richieda tale valutazione, sarà necessario esporre i motivi che hanno consentito di giungere a tale conclusione. La tutela dell’ambiente rappresenta attualmente una priorità delle politiche comunitarie(…); perciò le caratteristiche fondamentali di ogni provvedimento che comporti un discostamento dai criteri generali finalizzati alla tutela ambientale devono essere adeguatamente esplicitate, come espressione della razionalità nell’esercizio del potere e, contemporaneamente, come strumenti atti a facilitare l’eventuale controllo a posteriori del suddetto provvedimento”. [73]

Il giudizio previsto dall’art. 20 deve, poi, essere esplicito, in considerazione del fatto che solo un provvedimento esplicito può fornire la garanzia che la procedura di screening si sia effettivamente articolata in tutti i suoi passaggi e che tutti gli elementi rilevanti siano stati acclarati ed adeguatamente ponderati. Solo la formale, esplicita conclusione del procedimento può, inoltre, assicurare alla collettività, come visto, la garanzia democratica di una motivazione [74] idonea a rendere pienamente intelligibile le ragioni della decisione pubblica ed efficacemente tutelate, in sede giurisdizionale, le situazioni giuridiche soggettive indebitamente lese dal provvedimento dell’autorità amministrativa.

E’ pertanto da ritenersi illegittima, conformemente ad un orientamento del giudice amministrativo [75], la sottoposizione al regime del silenzio-assenso della procedura di screening mediante la quale l’autorità competente valuta se sottoporre a VIA una determinata opera, in quanto incompatibile con la massima tutela delle risorse ambientali imposte dall’ordinamento comunitario, nonchè lesiva dell’obiettivo perseguito dalla direttiva n. 85/337/CEE. Attraverso di esso si vuole, infatti, fare in modo che non sfugga alla valutazione di impatto nessun progetto idoneo ad avere una notevole incidenza sull’ambiente ai sensi della direttiva, a meno che lo specifico progetto esonerato possa essere ritenuto, in base ad una valutazione complessiva, inidoneo ad avere ripercussioni ambientali importanti. [76] Se allora, per le ragioni, innanzi esposte, i progetti devono formare oggetto di una disamina puntuale (caso per caso) ed effettiva, cioè non fondata su presunzioni od esclusioni “per categorie”, la inevitabile conclusione cui occorre pervenire è nel senso che un modello procedurale idoneo ad assicurare un controllo puntuale ed effettivo non è compatibile con lo schema del silenzio assenso, che è invece fondato sulla rinuncia, in nome della semplificazione, alla garanzia del provvedimento espresso quale condizione per la prosecuzione del procedimento: detto schema appare, pertanto, inidoneo ad assicurare uno sbarramento adeguato ai progetti di opere ed interventi in grado di pregiudicare significativamente l’ambiente [77].

In linea con la ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale innanzi descritta, il Legislatore prescrive infine all’ art. 20 u.c. che il provvedimento di assoggettabilità, comprese le motivazioni, venga pubblicato a cura dell’autorità competente mediante sintetico avviso nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino Ufficiale della Regione e la pubblicazione integrale sul sito web della stessa autorità.

L’interprete non può non sottolineare favorevolmente due novità della disciplina in commento: la prima attiene alla scelta del Legislatore, avallata da un consolidato orientamento giurisprudenziale, di prescrivere l’assoggettamento alla procedura di valutazione d’impatto ambientale non solo agli interventi realizzati ex novo nel contesto ambientale di riferimento, ma anche agli esiti derivanti, sul piano complessivo o finale, da successive modifiche alle infrastrutture già realizzate. Le ineludibili esigenze di salvaguardia del bene ambientale postulano, infatti, una valutazione parametrata (come potrebbe dirsi mutuando termini civilistici) non già sui mezzi, ma sul risultato e dunque coerentemente ricollegano l’operatività delle misure di tutela preventiva non già alla entità (atomisticamente valutata) del singolo intervento, ma al complesso strutturalmente individuato che deriva dalla sovrapposizione di quello alle preesistenze [78].

Per le medesime ragioni, del resto, un consolidato orientamento pretorio ha, ben prima della positivizzazione del principio fatta dal decreto legislativo in commento, sempre ritenuto sussistente l’obbligo di effettuare una nuova valutazione d’impatto ambientale sulle varianti dell’originario progetto, quando, in concreto, indipendentemente dal possibile carattere migliorativo delle varianti proposte, non è parso seriamente dubitabile che l’opera ridefinita nei suoi caratteri essenziali, presentasse una effettiva potenzialità ad incidere sull’ambiente. [79]

La seconda novità normativa da evidenziare è, poi, quella afferente la previsione (art. 20) di una generalizzata verifica di assoggettabilità cui sono sottoposti i progetti in via obbligatoria, sostanziantesi, come supra visto, nella valutazione tecnica preliminare della significatività dell’impatto ambientale dell’intervento realizzando, volta a determinare se il progetto medesimo richieda, in relazione alle notevoli ripercussioni sull’ambiente, lo svolgimento della vera e propria procedura di VIA [80] prevista dagli artt. 21 e ss. del D.Lgs.n. 4/08.

Appare evidente, nell’elaborazione della citata disposizione, l’influenza della giurisprudenza della Corte di Giustizia la quale ha, da un lato, ripetutamente considerato illegittime e contrastanti con il diritto comunitario quelle misure nazionali che erano dirette anticipatamente a predeterminare i casi di cui all’allegato II della direttiva n. 85/337/CEE che si sottraevano alla VIA c.d. facoltativa [81]; dall’altro, pur riconoscendo agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità nella individuazione dei metodi cui è possibile ricorrere per determinare quali dei progetti appartenenti all’Allegato II debbano essere sottoposti a valutazione d’impatto ambientale, ha tuttavia escluso che la titolarità di tale potere discrezionale fosse da sola sufficiente ad escludere un determinato progetto dalla procedura di VIA anche quando esso potrebbe, per la sua natura, dimensione o ubicazione, avere un impatto ambientale significativo.

Nell’intento di contrastare il comportamento di molti Stati membri volto ad aggirare surrettiziamente l’obbligo della individuazione e dell’assoggettamento a VIA dei progetti di cui all’Allegato II, la Corte di giustizia ha infatti chiarito i limiti della potestà ad essi attribuita, giungendo alla conclusione che se è vero che essi possono (ed anzi debbono), nell’ambito del proprio potere di apprezzamento e di valutazione discrezionale, selezionare i progetti di cui all’Allegato II sulla base del criterio (combinato o alternativo) delle soglie o dell’esame caso per caso, non si tratta, tuttavia, di una potestà libera ed incondizionata, in quanto deve essere comunque raggiunto il fine (indisponibile) di dare concreta attuazione alla disciplina europea e, quindi, in coerenza con tale indeclinabile ed imperativa necessità, di non rendere artatamente (ed artificiosamente) impossibile o eccessivamente gravoso il raggiungimento degli obiettivi rilevanti dal punto di vista comunitario. [82]

Al fine di decidere se effettuare o meno la valutazione d’impatto ambientale di un progetto, non è, pertanto, sufficiente verificare la sua formale riconduzione, in via astratta, all’uno o all’altro Allegato, sulla base della mera lettera normativa, ma è sempre necessaria la valutazione, concreta e globale, delle caratteristiche di quanto si intende realizzare. [83]

Alla luce dell’obiettivo perseguito dalla direttiva n. 85/337/CEE (la tempestiva sottoposizione a VIA di ogni progetto che possa incidere significativamente sull’ambiente, prima del conseguimento della relativa autorizzazione alla realizzazione) e conformemente all’approccio sostanzialista e pragmatico che il diritto europeo ha nei confronti della realtà che intende disciplinare, si postula, quindi, a livello comunitario, il compimento di due distinte operazioni: in un primo momento, occorre stabilire se gli interventi programmati, per le loro caratteristiche, possano avere ripercussioni importanti sull’ambiente; in un secondo momento, si procede a valutarne l’impatto conformemente alle prescrizioni degli artt. 5-10 della direttiva n. 85/337/CEE. [84]

Secondo i dettami della Corte di Giustizia non è così sufficiente affermare che il progetto realizzando astrattamente rientri in una delle ipotesi normative per le quali la VIA non è obbligatoria, arrestandosi ad un ossequio formale delle disposizioni legislative nazionali: l’obbligo dell’assoggettamento ad una procedura di VIA è comunque imposto allorché l’opera, per entità, dimensione o ubicazione, sia concretamente e nel suo complesso idonea ad avere un’incidenza significativa sull’ambiente [85] e le autorità nazionali sono tenute a disapplicare le normative interne qualora queste, attraverso la fissazione di soglie automatiche o criteri che rendano difficile la procedura di VIA, magari al fine di semplificare la realizzazione degli interventi, sacrifichino in misura rilevante il superiore principio del rispetto del controllo ambientale [86].

La procedura di verifica prevista dall’art. 20, sul modello dell’operazione di screening richiesta a livello comunitario, persegue proprio lo scopo di sottoporre ad una valutazione i progetti per la realizzazione di interventi idonei a dar luogo, per le loro caratteristiche oggettive [87], ad un notevole impatto ambientale, al fine di prevenire eventuali futuri effetti indesiderati e irreversibili, anche nel lungo periodo, sul delicato equilibrio ambientale dei luoghi interessati.

Coerentemente con tale finalità, nel caso di opere ed interventi realizzati senza la previa sottoposizione alla descritta fase di verifica di assoggettabilità, nonché nel caso di difformità sostanziale da quanto disposto dal provvedimento finale, è accordato all’autorità competente, valutata l’entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, il potere di disporre la sospensione dei lavori e la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, secondo le modalità indicate nell’art. 29 del D.Lgs. in commento.

VIII. (SEGUE): C) LA FASE DI CONSULTAZIONE CON L’AUTORITA’ COMPETENTE

 Per i progetti che sono sottoposti a valutazione d’impatto ambientale è facoltà del proponente richiedere all’autorità competente che venga esperita una fase preliminare avente lo scopo di definire, in contraddittorio con l’autorità medesima ed i soggetti competenti in materia ambientale, le informazioni da includere nello studio di impatto ambientale, il relativo livello di dettaglio e le metodologie da adottare. A tal fine, il proponente presenta il progetto preliminare, lo studio preliminare ambientale ed una relazione che, sulla base dell’identificazione degli impatti ambientali attesi, illustra il piano di lavoro per la redazione dello studio di impatto ambientale; a tale documentazione è altresì unito l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati necessari alla realizzazione ed esercizio del progetto.

L’autorità competente apre così con il proponente una fase di consultazione, della durata massima di sessanta giorni, all’esito della quale è chiamata, in ossequio all’art. 21, 2° comma, a pronunciarsi sulle condizioni per l’elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale, ad esaminare le principali alternative, compresa l’alternativa zero, a verificare, sulla base della documentazione disponibile, l’esistenza di eventuali elementi di incompatibilità, anche con riferimento alla localizzazione prevista dal progetto, ad indicare, in carenza di tali elementi, le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso, senza che ciò pregiudichi la definizione del successivo procedimento.

Partecipano alla determinazione in contraddittorio della portata delle informazioni da includere nello studio di impatto ambientale e del loro livello di dettaglio anche le altre autorità che, per le loro specifiche competenze ambientali, possono essere interessate agli effetti sull’ambiente dovuti alla realizzazione e all’esercizio dell’opera o intervento progettato.

Quella descritta dall’art.21 appare in definitiva una fase endoprocedimentale in cui l’autorità competente esprime un avviso anticipato sulla possibilità di prestare un giudizio di compatibilità ambientale, autovincolandosi a non esprimere ex post ragioni di dissenso non emerse in tale sede e non legate a sopravvenienze di fatto o di diritto.

IX. (SEGUE): D) LA PRESENTAZIONE DELL’ISTANZA E LA FASE DI CONSULTAZIONE CON IL PUBBLICO E LE ALTRE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.

Nel rispetto degli esiti della citata fase di consultazione, qualora attivata, e delle indicazioni contenute nell’allegato VII del D.Lgs.n. 4/08, il proponente predispone, a proprie spese [88] e previo accesso, se del caso, ai dati ed alle informazioni disponibili presso la pubblica amministrazione, lo studio di impatto ambientale, che deve fornire le informazioni minime indicate dall’art. 22, 3° comma: a) una descrizione del progetto con informazioni relative alle sue caratteristiche, alla sua localizzazione ed alle sue dimensioni; b) una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gi impatti negativi rilevanti; c)i dati necessari per individuare e valutare i principali impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che il progetto può produrre, sia in fase di realizzazione che in fase di esercizio; d) una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal proponente, ivi compresa la cosiddetta opzione zero, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell’impatto ambientale; e) una descrizione delle misure previste per il monitoraggio.

Lo studio di impatto ambientale, unitamente al progetto definitivo, alla sintesi non tecnica delle caratteristiche dimensionali e funzionali del progetto e dei dati ed informazioni contenuti nello studio stesso (inclusi elaborati grafici) e a copia dell’avviso a mezzo stampa di cui all’art. 24, commi 1 e 2, sono allegati dal proponente l’opera o l’intervento all’istanza formulata all’autorità competente, unitamente all’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o intervento.

Contestualmente alla presentazione della domanda –dalla cui data decorrono tutti i termini legislativamente previsti per l’informazione e la partecipazione, la valutazione e la decisione-, al fine di assicurare ai documenti ed agli atti inerenti il procedimento di VIA il massimo livello di pubblicità, il proponente è tenuto, altresì, ai sensi dell’art. 23, a depositare la documentazione, in un congruo numero di copie, a seconda dei casi, presso gli uffici dell’autorità competente, delle Regioni, delle Province e dei Comuni il cui territorio sia anche solo parzialmente interessato dal progetto o dagli impatti della sua attuazione, nonché, ai sensi dell’art. 24, a dare notizia del progetto a mezzo stampa e sul sito web dell’autorità competente secondo le modalità indicate nei commi 2 e 3 del citato articolo.

Si intende così, all’evidenza, garantire a chiunque abbia interesse di essere adeguatamente informato e, conseguentemente, posto nella condizione di partecipare fattivamente al procedimento presentando, come già visto, propri pareri ed osservazioni, fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi, od instaurando con il proponente un sintetico contraddittorio i cui esiti vengono verbalizzati ed acquisiti e valutati ai fini del provvedimento di valutazione di impatto ambientale [89].

L’autorità competente può anche disporre, senza che ciò comporti interruzioni o sospensioni dei termini per l’istruttoria, che la consultazione avvenga mediante lo svolgimento di un’inchiesta pubblica per l’esame dello studio di impatto ambientale, dei pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e delle osservazioni formulate dai cittadini, che si conclude con una relazione sui lavori svolti ed un giudizio sui risultati emersi, che sono del pari acquisiti e valutati ai fini dell’adozione del provvedimento di v.i.a [90].

In ogni caso tutta la documentazione istruttoria deve essere resa pubblica sul sito web dell’autorità competente.

Qualora la realizzazione del progetto preveda autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, contestualmente alla pubblicazione prevista dall’art. 24, il proponente trasmette altresì l’istanza, completa di tutti gli allegati, a tutti i soggetti competenti in materia ambientali interessati, affinché l’autorità competente ne acquisisca le determinazioni. Queste, a norma dell’art. 25, devono essere rese entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui all’art. 23, comma 1, o nell’ambito della Conferenza dei servizi eventualmente indetta a tal fine dall’autorità competente [91], cui è altresì riconosciuta la facoltà di concludere accordi con le altre amministrazioni pubbliche interessate per disciplinare lo svolgimento delle attività di interesse comune ai fini della semplificazione delle procedure.

X. (SEGUE): E) LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO DI VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

Acquisita e valutata tutta la documentazione presentata, le osservazioni, le obiezioni ed i suggerimenti inoltrati ai sensi delll’art.24, nonché, nel caso dei progetti di competenza dello Stato, il parere delle Regioni interessate, l’autorità competente conclude il procedimento di valutazione dell’impatto ambientale nel termine -da computarsi tenuto conto delle eventuali interruzioni e sospensioni intervenute- di centocinquanta giorni successivi alla presentazione dell’istanza di cui all’art. 23, comma 1, salvo che non sia necessario procedere ad accertamenti ed indagini di particolare complessità: in tal caso, infatti, l’autorità competente può, con atto motivato, disporre il prolungamento del procedimento di valutazione sino ad un massimo di ulteriori sessanta giorni, dandone comunicazione al proponente [92].         

In ossequio ad un principio generale del diritto secondo cui i termini del procedimento devono essere considerati ordinatori qualora non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge [93] o la natura perentoria dello stesso non possa essere desunta implicitamente dalla ratio legis [94], è da ritenere che, in difetto di una espressa qualificazione normativa e di specifiche esigenze di rilievo pubblico che postulino l’indefettibile svolgimento di adempimenti in un arco di tempo prefissato [95], i termini in esame abbiano carattere sollecitatorio. La loro inosservanza non è così causa di invalidità del provvedimento emesso tardivamente dall’autorità competente, poiché secondo la giurisprudenza amministrativa [96], avallata anche dall’orientamento consolidato delle Sezioni Unite della Cassazione [97], anche dopo la scadenza del termine non viene meno il potere ed il dovere dell’Amministrazione di attivarsi comunque per il soddisfacimento degli interessi pubblici affidati alla sua cura.

L’inutile decorso del termine di centocinquanta giorni previsto dall’art. 26, comma 1, per la conclusione del procedimento di v.i.a. può, peraltro, implicare, per i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale in sede statale, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei Ministri, che provvede, anche su istanza delle parti interessate, entro sessanta giorni previa diffida all’organo competente ad adempiere entro il termine di venti giorni [98].

L’art. 26, comma 2, estende anche ai progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale in sede non statale l’applicazione della normativa appena descritta, ma, nel rispetto della clausola di cedevolezza, essa è destinata a venire meno una volta che le Regioni e le Province autonome avranno adottato apposite norme in osservanza della disciplina comunitaria vigente in materia e del principio della fissazione di un termine del procedimento.

XI. IL PROVVEDIMENTO CONCLUSIVO DELLA PROCEDURA DI VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE: A) NATURA GIURIDICA E COMPETENZA ALL’ADOZIONE

Il provvedimento conclusivo della procedura di VIA è, secondo il combinato disposto degli artt. 7 e 26 del D.Lgs.n. 4/08, un provvedimento espresso e motivato, adottato, per i progetti di opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali che collabora alla relativa attività istruttoria e, in sede regionale, dalla pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata dalla Regione o dalla Provincia autonoma con propria legge.

Non sembrano pertanto fugarsi i dubbi e le incertezze che da sempre gravano sia sulla natura giuridica della valutazione di impatto ambientale, sia sul riparto di competenza tra organi politici ed organi dirigenziali in materia di v.i.a., aspetti, questi, che, proprio in quanto scarsamente indagati, rappresentano il punctum dolens delle ricostruzioni sinora effettuate da dottrina e giurisprudenza e che sembrano legittimare una diversa configurazione dell’atto conclusivo del procedimento di v.i.a. a seconda che la valutazione de qua ricada nella sfera di competenza dello Stato oppure delle Regioni.

Nel primo caso la VIA viene, infatti, considerata come una valutazione ampiamente discrezionale che sfuma in vero e proprio giudizio politico, in quanto l’esercizio di poteri che danno luogo a pronunce di concerto tra due Ministeri appartiene all’indirizzo politico-amministrativo (da qui la perdurante competenza del vertice ministeriale): si tratta, infatti, di pronunce che, ponderando e mediando interessi pubblici diversi ed incidendo reciprocamente sui poteri dell’altro Ministero, eccedono la semplice attività gestionale e sono, invece, espressione di valutazioni anche politiche, proprie dei poteri governativi [99].

Sotto un ulteriore profilo, si è configurata [100] la VIA nazionale anche come uno strumento di politica ambientale allorché con essa, al di là dell’aspetto tecnico, si effettua la valutazione, a fini ambientali, della localizzazione di progetti di importanti opere pubbliche, cooperandosi, così, in sostanza, ad un’attività di pianificazione e programmazione che, coinvolgendo profili di vera e propria opportunità, ben possono farsi rientrare nell’ambito dei poteri di indirizzo politico-amministrativo.

In tale prospettiva se ne è così dedotto che, avendo il D.Lgs. n. 29 del 1993 (ora trasfuso nel D.Lgs. 30.03.2001 n. 165 e segnatamente art. 4) ed il D.Lgs. 18.08.2000 n. 267 (T.U.E.L.) (art. 107) dato attuazione al principio della separazione tra sfera politica e amministrativa, individuando gli atti di competenza dei dirigenti e riservando agli organi politici solo gli atti politici, di indirizzo politico-amministrativo e di alta amministrazione, “quando il provvedimento rientra nelle competenze di organi politici, tale competenza si applica anche agli atti di autotutela provvedimentale, per il principio del contrarius actus, mentre rientrano nella competenza dirigenziale le attività di vigilanza sul rispetto della VIA e di irrogazione delle eventuali sanzioni, trattandosi di attività amministrativo-gestionale.” [101]

Nella VIA regionale, relativa ad opere di minore importanza, [102] invece, il giudizio di compatibilità perde i connotati di politicità che lo caratterizzano nell’ambito della procedura di rilievo nazionale, si estranea dall’esercizio di funzioni programmatorie e di indirizzo e si tecnicizza, con l’effetto di venire concordemente qualificato in dottrina e giurisprudenza come un atto di gestione (donde la competenza dirigenziale), in virtù della nota distinzione a suo tempo introdotta dall’art. 3 D.Lgs. n. 29/93, oggi trasfuso nell’art. 4 D.Lgs. n. 165/2001. [103]

Efficacia dirimente del dibattito in atto assume pertanto la possibile qualificazione della determinazione conclusiva della procedura di v.i.a. come atto avente natura tecnico-discrezionale (manifestazione di giudizio) ovvero discrezionale puro (ponderazione comparativa tra interessi pubblici e privati [104] attinente alle scelte di fondo dell’attività amministrativa discrezionale). Argomenti a favore dell’una e dell’altra tesi sono stati rinvenuti, nella normativa sinora vigente e in giurisprudenza, non solo sulla base del discrimine, in sé estrinseco, della disciplina applicata (il decreto interministeriale ha contenuto discrezionale proprio in quanto atto di composizione di interessi pubblici eterogenei, mentre la VIA regionale sarebbe invece pura espressione di discrezionalità tecnica) [105], ma persino in seno al medesimo procedimento statale, articolato in una istruttoria “tecnica”, svolta da apposito organo “tecnico” (la Commissione tecnica per la valutazione d’impatto ambientale) e in una decisione “politica”, attribuita al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. [106]

Il D.Lgs. n. 4/08 non sembra offrire indicazioni sicure al riguardo: da un lato, infatti, connota la pronuncia di compatibilità ambientale come provvedimento espressione di un potere caratterizzato da discrezionalità tecnica [107] o, al più, da discrezionalità mista (tecnica e amministrativa) [108]; dall’altro, pare risentire inequivocabilmente delle non poche resistenze opposte, a livello applicativo, all’ascrizione alla competenza dell’organo dirigenziale della valutazione di impatto ambientale allorché assegna l’adozione della VIA nazionale alla competenza del Ministero dell’ambiente e del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, riproponendo così all’attenzione dell’interprete l’eterno dilemma: la determinazione assunta in seno al procedimento di VIA è il risultato di un’attività di natura tecnico-discrezionale o, piuttosto, il frutto di apprezzamenti caratterizzati da discrezionalità pura, di valenza politica?

Invero, ad avviso di autorevole dottrina [109], tali apparenti antinomie sembrano superabili ponendo mente alle indicazioni fornite dalla direttiva 85/337/Cee, cui la normativa interna ha dovuto conformarsi, ed alla ratio complessiva dell’istituto, per le quali lo spettro valutativo della procedura di v.i.a. deve delimitarsi intorno alla considerazione di dati progettuali che vengono apprezzati da un organo particolarmente qualificato sotto il profilo tecnico-scientifico (Commissione V.I.A. e Ministero) nella loro incidenza su fattori esclusivamente ambientali.

Da tale impianto ricostruttivo e a corollario di questa impostazione, è da ritenere così che il potere esercitato nell’ambito del procedimento di valutazione di impatto ambientale sia caratterizzato da discrezionalità tecnica e, in quanto tale, debba essere ascritto alla competenza dirigenziale, dovendosi avere riguardo al criterio della latitudine della discrezionalità per la soluzione del nodo delle competenze per quegli atti, pur a carattere puntuale e concreto, che involgano l’esercizio di poteri discrezionali.

Manifestazione di discrezionalità pura risulterà, invece, il provvedimento di autorizzazione alla realizzazione dell’opera: nell’ambito del procedimento principale verrà, infatti, effettuato quel giudizio di bilanciamento tra interessi connessi allo sviluppo economico-produttivo ed alla tutela dell’ecosistema, caratterizzato da valutazioni ampiamente discrezionali, anche in ordine all’”incidenza sociale degli interventi” ed alla “rilevanza degli interessi coinvolti” tradizionalmente visti come indici sintomatici della “politicità” dell’atto amministrativo. [110]

La recente tendenza legislativa ad attribuire espressamente, in deroga al criterio generale di cui all’art. 4 D.Lgs. 165/01, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare la competenza ad adottare la valutazione sulla compatibilità ambientale dell’opera [111] può trovare allora fondamento già nelle stesse linee interpretative delineate nella circolare del ministro Ronchi dell’8 ottobre 1996 n.GAB/96/15326, in cui si è affermato che la valutazione di impatto ambientale deve “avere ad oggetto non solo i contenuti tecnici, ma altresì, quelli economici del progetto esaminato, (…) attraverso comunque un’analisi dei costi e dei benefici sociali in rapporto ai costi ambientali”. Ne discenderebbe, dunque, attraverso l’inserimento nel procedimento di v.i.a. di interessi “spuri” rispetto a quello prettamente ambientale, l’anticipazione (e la conseguente duplicazione) di quel giudizio di bilanciamento/ponderazione/mediazione di cui il Ministro dell’ambiente condividerebbe la titolarità con il Ministro competente in relazione all’autorizzazione dell’opera. [112]

XII. (SEGUE): B) IL SINDACATO GIURISDIZIONALE SULLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

In sintonia con una ricostruzione del provvedimento di valutazione di impatto ambientale volta ad accentuarne la natura tecnica ed in linea con l’orientamento della Corte Costituzionale che ha elevato il bene ambientale a valore assoluto e primario da presidiare in via unitaria e contestuale [113], è comunque l’orientamento pretorio che sottrae la determinazione in esame ad un sindacato del giudice amministrativo “di tipo forte” e a carattere intrinseco, [114] al fine di soddisfare, in via prioritaria, l’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente.

 In realtà, come già sottolineato [115], alla luce di un recente orientamento giurisprudenziale, si dovrebbe ritenere che il giudice amministrativo abbia sempre la possibilità di accedere alla verifica dei fatti posti a fondamento del giudizio di compatibilità ambientale, visto che “la questione di fatto, che attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma –soltanto perché opinabile- in una questione di opportunità, anche se è antecedente o successiva ad una scelta di merito” [116]. Tuttavia, il sindacato giurisdizionale sull’attività discrezionale di natura tecnica esercitata dall’autorità competente per la VIA è di tipo “debole”, poiché “non consente un potere sostitutivo del giudice tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del “concetto indeterminato””alla scelta dell’amministrazione [117], “potendo però il giudice censurare le valutazioni tecniche, compreso il giudizio tecnico finale, che attraverso un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza tecnica, appaiono inattendibili”. [118]

La giurisprudenza in tema di valutazione di impatto ambientale ha, infatti, affermato che, poiché nella pronuncia di compatibilità ambientale il potere dell’amministrazione appare caratterizzato da una discrezionalità tecnica, la VIA non può essere soggetta al sindacato del giudice amministrativo se non nel caso in cui emergano ictu oculi vizi di eccesso di potere nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento, illogicità, contraddittorietà, dell’ingiustizia manifesta, dell’arbitrarietà ovvero dell’irragionevolezza della scelta adottata. [119]

Più in generale, va evidenziato che il giudice amministrativo ammette un sindacato limitato sulle valutazioni tecniche delle autorità preposte alla tutela dell’ambiente, in quanto valutazioni riservate “da apposite norme all’Amministrazione, quantomeno nei casi in cui essa risulti titolare di una particolare competenza legata alla tutela di valori costituzionali speciali. In tal senso appare particolarmente significativa l’indicazione ricavabile dall’art.17, comma 2, della L.241/90 il quale statuisce il principio di non surrogabilità delle valutazioni tecniche spettanti alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini” [120].

Per le considerazioni esposte, il sindacato “debole” sulla valutazione di impatto ambientale è poi normalmente estrinseco, in quanto il giudice amministrativo raramente ammette il mezzo istruttorio della consulenza tecnica d’ufficio, implicando, questo, un sindacato più penetrante che deve essere tuttavia escluso, secondo la giurisprudenza, in quanto “i quesiti risolutivi da sottoporre al perito(…) non potrebbero non implicare nella risposta –da parte del medesimo- apprezzamenti di merito rimessi in via esclusiva all’Amministrazione” [121].

Del pari si esclude che la v.i.a. sia suscettibile di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, in quanto lo stessa non costituisce mero giudizio tecnico, ma presenta profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo, apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto nelle ipotesi in cui risulti evidente lo sconfinamento dal potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione [122].

Il giudice amministrativo generalmente provvede, quindi, a controllare la “ragionevolezza, logicità e coerenza tecnica” della pronuncia di VIA facendo riferimento a indizi dai quali evince la legittimità del provvedimento, riconducendo invece le valutazioni tecniche compiute dall’autorità competente al merito amministrativo [123].

In particolare, in materia di valutazione di impatto ambientale sono individuati come indici di legittimità della scelta discrezionale dell’amministrazione, inter alios, la circostanza che i pareri delle autorità competenti nell’ambito del procedimento siano positivi, [124] l’adeguata motivazione in caso di contrasto tra tali pareri [125], la circostanza che siano state valutate dall’amministrazione le alternative progettuali e gli impatti cumulativi e sinergici di più progetti [126], il fatto che siano state richieste le necessarie integrazioni, la previsioni di prescrizioni che condizionano il giudizio positivo di compatibilità ambientale. [127]

XIII. (SEGUE): C) LA MOTIVAZIONE E L’INDICAZIONE DI PRESCRIZIONI NEL PROVVEDIMENTO DI VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

Il provvedimento di valutazione di compatibilità ambientale deve, poi, a norma dell’art. 26, comma 1, essere motivato: a tale proposito, è da condividere un orientamento giurisprudenziale per il quale, nella pronuncia di VIA l’adeguatezza della relativa motivazione non debba essere valutata in astratto, ma con diretto ed immediato riferimento alla natura dell’atto ed alla corrispondenza tra la determinazione adottata e le acquisizioni istruttorie compiute.

Può anche ammettersi una motivazione per relationem, allorché le ragioni della scelta operata possono ricavarsi dagli atti della serie procedimentale che hanno preceduto il provvedimento finale e che sono dallo stesso richiamati (ad esempio, l’organo che decide fa proprio il parere espresso da organi consultivi). La Corte di Giustizia ha, del resto, ritenuto ammissibile tale tipologia di motivazione semprechè venga soddisfatta una duplice condizione: in primo luogo, che la decisione di fare proprio il parere di altri venga –a sua volta-debitamente motivata, in secondo luogo, che tale parere provenga da organi o soggetti incaricati di illustrare, consigliare o informare l’autorità competente a decidere e che rendano a quest’ultima più agevole l’adozione della decisione. Solo in tal modo vengono, infatti, assicurati l’obiettività ed il rispetto degli interessi generali nell’adozione del provvedimento, non essendo a tal fine sufficiente il rinvio ad un parere non qualificato, e cioè “ad un parere qualsiasi, emesso da un soggetto qualsiasi, in circostanze imprecisate”.[128]

In ogni caso, in considerazione della natura tecnico-discrezionale degli atti adottati e degli approdi della giurisprudenza amministrativa innanzi illustrati, non deve richiedersi una motivazione che convenga dell’opportunità della scelta operata, ma l’esternazione di ragioni da cui risulti un’adeguata completezza del procedimento, la non illogicità, arbitrarietà, contraddittorietà o iniquità della soluzione prescelta.

Proprio a motivo del carattere complesso delle valutazioni di impatto ambientale, nelle quali si riscontra spesso “una linea di demarcazione molto sfuggente tra il momento della valutazione tecnica opinabile e quello della ponderazione dell’interesse pubblico” [129], si era del resto esclusa, in passato, la possibilità per il giudice amministrativo di pretendere che l’Amministrazione desse contezza delle ragioni che, nel suo apprezzamento di merito, l’avevano indotta a preferire l’una o l’altra delle diverse ed opposte soluzioni valutate e nelle competenti sede confrontate, ma, in conformità con le prescrizioni dettate dal diritto comunitario [130] e dal decreto legislativo in commento, oggi l’Amministrazione è tenuta ad esplicitare, nella parte motiva del provvedimento VIA, anche le principali ragioni della scelta fra le alternative proposte dal committente.

Parimenti, essa dovrà dare conto, nel provvedimento conclusivo della procedura di VIA, anche delle osservazioni presentate nel corso del procedimento dai soggetti interessati e dal pubblico, nonché dei pareri forniti dalle altre pubbliche amministrazioni. A tale riguardo appare condivisibile un orientamento giurisprudenziale [131] per il quale il provvedimento di VIA che dichiara la compatibilità ambientale di un’ opera debba esplicitare nella motivazione soprattutto quelle valutazioni dirette a superare le critiche e le osservazioni poste avverso la realizzazione del progetto, giungendosi così a considerare illegittima la pronuncia di VIA che sia carente di motivazione non tanto in astratto, vale a dire con riguardo all’obbligo generale di motivazione sancito dall’art. 3 L. n. 241/90, quanto in concreto, alla luce delle osservazioni critiche mosse al progetto dall’autorità competente e dalle popolazioni interessate, sommariamente e sbrigativamente confutate: “Deve, del resto, riconoscersi che, trattandosi di scegliere fra due orientamenti nettamente contrapposti (espressivi di interessi orientati l’uno alla realizzazione dell’opera, l’altro di senso contrario per la sua inopportunità e invasività del contesto ambientale in cui l’opera andrebbe ad inserirsi), non sembra sufficiente la mera affermazione della prevalenza dell’uno sull’altro, sembrando al contrario necessario sostenere la scelta per la prevalenza del primo con argomentazioni quanto meno esplicative delle ragioni che militerebbero per la costruzione del tronco autostradale(…). In tal modo, invece, l’affermata prevalenza della necessità di realizzare l’opera si pone come un’asserzione pressoché arbitraria che non dà conto del perché della affermata prevalenza dell’interesse a realizzare il tronco stradale su quello, di senso contrario, a tenere indenne da offese ingiustificate il territorio, il paesaggio e l’ambiente”. [132]

Il provvedimento di valutazione di impatto ambientale, come innanzi visto, sostituisce o coordina poi tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o intervento, inclusa, nel caso di impianti che ricadono nel campo di applicazione del D.Lgs.n.59/05, l’autorizzazione integrata ambientale.

Esso contiene, inoltre, a norma dell’art. 26, comma 5, le condizioni per la realizzazione, l’esercizio e la dismissione dei progetti, nonché quelle relative ad eventuali malfunzionamenti, e può inoltre essere arricchito della previsione di prescrizioni per la mitigazione degli impatti, di indicazioni per lo svolgimento delle attività di controllo e di monitoraggio degli impatti ambientali ai sensi dell’art. 28 e delle misure previste per evitare, ridurre o eventualmente compensare rilevanti effetti negativi. [133]

E’ evidente, infatti, che il riconoscimento del potere degli organi amministrativi preposti al procedimento di v.i.a. di dettare ulteriori prescrizioni e condizioni per meglio garantire la compatibilità ambientale dell’opera progettata trova fondamento proprio nella considerazione che, implicando la relativa procedura che le opere da valutare abbiano comunque una incidenza sugli elementi naturalistici del territorio, modificandolo in misura più o meno penetrante, occorre stabilire, di volta in volta, se le alterazioni conseguenti alla loro realizzazione possano ritenersi “accettabili” alla stregua di un giudizio comparativo che tenga conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali e, dall’altro, dell’interesse generale sotteso all’esecuzione dell’opera pubblica. [134]

Lungi così dal costituire ex se indizio di un insanabile contrasto tra il progetto di un’opera e le prioritarie esigenze di tutela ambientale, le prescrizioni e le condizioni impartite dall’Amministrazione stanno semmai ad indicare come da parte di questa sia stata avvertita l’esigenza di migliorare ulteriormente il progetto [135], contenendo al massimo l’impatto che l’opera progettata avrà sull’ambiente.

Secondo la giurisprudenza, infatti, proprio l’avvenuta formulazione di molteplici, analitiche e dettagliate prescrizioni, interessanti praticamente tutti gli aspetti di incidenza dell’opera sull’ambiente, può essere considerato come una garanzia di rispetto delle istanze di ponderazione e cautela. E questo non solo nel senso che le prescrizioni stesse, con la loro presenza, attestano il fatto materiale che l’Amministrazione non ha mancato di farsi carico delle problematiche connesse alla tutela ambientale, ma anche nel più preciso senso che con dette prescrizioni, alle quali deve essere riconosciuta natura vincolante, la valutazione positiva di impatto ambientale condizionatamente espressa sul progetto è stata subordinata all’esito favorevole dei successivi controlli previsti, con la conseguenza che se le prescrizioni impartite non risultassero, nel prosieguo, positivamente adempiute, non potrà ritenersi avverata la condizione apposta [136].

L’ autorità competente è del resto chiamata dal Legislatore delegato ad esercitare il controllo sull’osservanza delle prescrizioni impartite e ad imporre al proponente l’adeguamento dell’opera o dell’intervento, qualora accerti violazioni delle prescrizioni anzidette o modifiche progettuali tali da incidere sugli esiti e sulle risultanze finali della fase di valutazione ai sensi dell’art. 29, comma 3, provvedendo anche d’ufficio a spese del proponente in caso di inadempienza di quest’ultimo.

Analogamente a quanto previsto in tema di verifica di assoggettabilità, nel caso di opere ed interventi realizzati senza la previa sottoposizione alla fase di valutazione di impatto ambientale, nonché nel caso di difformità sostanziale da quanto disposto dal provvedimento finale, è invece accordato all’autorità competente, valutata l’entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, il potere di disporre la sospensione dei lavori e la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, secondo le modalità indicate nell’art. 29 del D.Lgs. in commento.

XIV. (SEGUE): D) LA PUBBLICAZIONE

Nel rispetto della normativa comunitaria che impone la pubblicazione dei risultati dell’iter svolto [137], l’art. 27 dispone che il provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale venga pubblicato per estratto a cura del proponente nella Gazzetta Ufficiale per i progetti di competenza statale o nel Bollettino ufficiale della Regione per i progetti di rispettiva competenza, nonché pubblicato per intero sul sito web dell’autorità competente, indicando la sede ove si possa prendere visione di tutta la documentazione oggetto dell’istruttoria e delle valutazioni successive.

                                                                                   

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(*) Avvocato, Dirigente Regione Abruzzo.

[1] La definizione è di F.FONDERICO,Valutazione d’impatto ambientale,voce del Codice dell’Ambiente a cura di Nespor e De Cesaris, Milano, 1999,1429.

[2] La V.I.A. è infatti prevista nel NEPA (National Environmental Protection Act) del 1969: si tratta di un atto legislativo che prefigura una tutela dell’ambiente affrontando il problema della introduzione dei fattori ambientali nei processi decisionali. In particolare l’art. 102 stabilisce l’obbligo dell’environmental impact statement (EIS) per tutte le decisioni del Governo e delle Agenzie destinate a produrre effetti rilevanti sull’ambiente e tale obbligo non riguarda solo singoli e specifici progetti di opere, ma altresì piani, programmi, politiche e formulazioni legislative e regolamentari. Sul punto M.L. SCHIAVANO, Direttive comunitarie sulla valutazione di impatto ambientale e inadempimento degli Stati membri, in Riv.giur.ambiente, 2003, 195; A. CUTRERA, La direttiva 85/337/CEE sulla valutazione di impatto ambientale, in Riv.giur.ambiente, 1987, 499 ss; G. CORDINI, Diritto ambientale comparato, Padova, 2002, 232 ss.

[3] F. FONDERICO, Il riordino del procedimento di valutazione di impatto ambientale nella legge delega 308/2004, in Riv.giur.Ambiente, 2005, 420 e ss. sottolinea come la disciplina giuridica della VIA appaia uno degli snodi essenziali della normativa ambientale per almeno cinque ragioni: 1) perché contiene una delle prime e delle  più complete definizioni della nozione giuridica di ambiente; 2) per la sua priorità cronologica, vantando l’istituto VIA ben trentacinque anni di vita e quasi venti anni di applicazione in ambito comunitario e nazionale; 3) per la sua collocazione baricentrica nella dinamica amministrativa, atteso che sia la VAS che l’IPPC sono designate in relazione alla VIA e a questa sono collegate da nessi giuridici sostanziali e procedurali; 4) per la vastità del campo di applicazione, non esistendo virtualmente progetto di infrastruttura, impianto industriale ovvero altra attività umana –salvo quelli di modesta dimensione- il quale sfugga all’applicazione della normativa in materia di VIA; 5) per il notevole contenzioso occasionato dall’applicazione della disciplina sia a livello comunitario, sia  a livello nazionale.

Non è mancato, tuttavia, chi ha ravvisato proprio nella natura di “legge quadro” della direttiva la causa principale delle difficoltà in cui si sono imbattuti gli Stati membri nella sua trasposizione: se infatti, da un lato, tale natura può averli agevolato, in quanto ha consentito loro una certa elasticità e flessibilità nell’adattamento delle procedure nazionali alla disciplina comunitaria, dall’altro ha provocato notevoli problemi e dubbi per quanto attiene alla interpretazione dei criteri di valutazione e ai requisiti di base che devono essere soddisfatti, come risulta dalle numerose questioni pregiudiziali presentate da diversi Stati membri alla Corte di Giustizia. Sul punto v. la Relazione della Commissione del 2.04.1993 sull’applicazione della direttiva n. 85/337/CEE. V. inoltre le conclusioni dell’Avv. Gen. Gulmann presentate il 3.05.1994 nella causa C-396/92, Bund Naturschutz in Bayern ed altresì le conclusioni dell’Avv.gen.Elmer presentate il 21.03.1995 nella causa C-431/92, Commissione c/ Repubblica Federale di Germania e quelle dallo stesso presentate il 26.03.1996, causa C-72/95, Kraaijeveld. In dottrina si rinvia a M.L. SCHIAVANO, Direttive comunitarie sulla valutazione di impatto ambientale e inadempimento degli Stat membri, in Riv.giur.Amb., 2003, 195 e ss.; G. AMENDOLA, Necessità di un potenziamento della normativa penale nel settore della tutela dell’ambiente? Il caso Italia, in Riv.giur.Amb., 2004, 371 e ss. 

[4] Per la dottrina sulla direttiva comunitaria n. 85/337/CEE v., tra gli altri, B. CARAVITA, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2001, 365 ss; M.L. SCHIAVANO, La valutazione di impatto ambientale nel diritto comunitario, in R. Ferrara (a cura di), La valutazione di impatto ambientale, Padova, 2000, 13 ss; P. DELL’ANNO, La VIA in Italia, in Gazzetta ambiente, 1999, fasc. 3, 115 ss; R. PILIA, La tutela dell’ambiente nel Trattato di Maastricht e la nuova “VIA”, in Riv.giur.sarda, 1997 n. 281 ss.

[5] Fra i Trattati di Roma, il Trattato CE non riportava alcuna disposizione specifica in materia ambientale e il Trattato Euratom conteneva una capo dedicato alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti. Il Trattato CECA conteneva, a sua volta, l’art. 55, relativo alla sicurezza dei lavoratori.

[6] Corte di Giustizia sent.7.02.1985, causa 240/83, ADBHU

[7] Gli artt.130R e 130S sono divenuti rispettivamente, in seguito a modifica, gli artt. 174CE e 175CE e l’art. 130T è divenuto l’art. 176 CE.

Il Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, ha conferito poi a detta azione il rango di politica vera e propria. Il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha rafforzato ulteriormente la posizione di tale politica facendo figurare il principio di integrazione delle esigenze ambientali tra le altre politiche della Comunità nell’art. 6 CE, istituito a tal fine ed inserito nella parte del Trattato dedicata ai principi su cui si basa detta Comunità. Per il futuro, ai principi che disciplinano il diritto ambientale potrebbe essere riconosciuta maggiore importanza, poiché il progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, adottato dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri il 18 giugno 2004, fissa tra gli obiettivi dell’Unione europea lo sviluppo sostenibile dell’Europa, e anche della Terra, nonché un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e ripresa nella seconda parte del suddetto progetto di trattato, prevede a sua volta che “ (u)n livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.

[8] Nel preambolo della Direttiva si dà infatti atto che “l’esistenza di disparità tra le legislazioni vigenti negli Stati membri in materia di valutazione dell’impatto ambientale dei progetti pubblici e privati può creare condizioni di concorrenza ineguali e avere perciò un’incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune;… è quindi opportuno procedere al ravvicinamento delle legislazioni, previsto dall’art.100 del Trattato”.

[9] Sul punto si rinvia a M.L. SCHIAVANO, op.cit., 13 ss. e 23 ss.

[10] Cfr. l’attuale art. 174, par. 2, del Trattato, nella nuova numerazione determinata dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.

[11] Così R. FERRARA, op.cit., 266. In tal senso anche la giurisprudenza penale italiana che ha fornito un contributo alla definizione dello spirito informatore della normativa in materia di V.I.A., affermando che l’istituto, improntato all’obbligo giuridico di assicurare un elevato livello di tutela ambientale, con l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, vuole spostare il sistema giuridico europeo dalla considerazione del danno da prevenire (principio “chi inquina paga”) e riparare, alla prevenzione e alla correzione del danno ambientale alla fonte, alla precauzione (principio distinto e più esigente della prevenzione), all’integrazione degli strumenti giuridici tecnici, economici e politici per uno sviluppo economico davvero sostenibile ed uno sviluppo sociale che veda garantita la qualità della vita e l’ambiente quale valore umano fondamentale di ogni persona e società. Cfr. ex plurimis Cassazione penale, Sez. III, 8.02.1999 n. 494, in Foro It., 1999, II, 365, con nota di G.A MENDOLA.

[12] Ciò risulta in particolare dagli artt.1 n. 1 e 2 n. 1, nonché dal primo, quinto, sesto, ottavo ed undicesimo Considerando della direttiva, in cui si sottolinea che “la migliore politica ecologica consiste nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché combatterne successivamente gli effetti e…che in tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione si deve tener subito conto delle eventuali ripercussioni sull’ambiente; che a tal fine prevedono l’adozione di procedure per valutare queste ripercussioni

Così anche Corte di Giustizia sent. 16.09.2004, causa C-227/01, Commissione / Regno di Spagna

[13] Così, tra le tante, Corte di Giust. Sent.16.09.1999, causa C- 435/97, W.W.F. e a.

[14] M.R. SPASIANO, I soggetti della politica ambientale in Italia, in Riv.Giur.Edilizia, 2005, 194 e ss. Cui si rimanda per l’interessante analisi della evoluzione della normativa comunitaria in materia di ambiente.

[15] V. F. FONDERICO, Il riordino del procedimento di valutazione di impatto ambientale nella legge delega 308/2004, in Riv.Giur.Ambiente, 2005, 420 ss.

[16] In proposito la Corte di Giustizia ha sottolineato come gli Stati membri non conservino alcun potere di apprezzamento discrezionale nell’an, essendo semmai relativamente liberi nell’organizzazione del relativo procedimento, ossia nel quomodo di conformazione e di controllo dell’impatto ambientale. E ciò sia concentrando ed integrando il procedimento relativo a VIA all’interno del procedimento “principale”, sia separando i due procedimenti, quello principale e quello connesso, in vista dell’autonomia e peculiarità della considerazione degli interessi ambientali. Cfr. F. FRACCHIA, in Diritto dell’ambiente, Bari, 1999, 231 e ss.; P.D ELL’ANNO, La valutazione di impatto ambientale: problemi di inserimento nell’ordinamento italiano, Rimini, 1987; R. FERRARA, Valutazione di impatto ambientale e principi della giurisprudenza comunitaria: è solo un problema di ragionevolezza, in Foro It., 2000, 265 ss.

L’Italia aveva provveduto al recepimento della direttiva in esame, per quanto riguarda le opere dell’allegato I, con l’art. 6 L. 8.07.1986 n. 349 e successivi decreti attuativi (D.P.C.M. 10.08.1988 e D.P.C.M. 27.12.1988) che hanno introdotto norme transitorie sulla valutazione di impatto ambientale a cui non era mai seguita l’approvazione di una legge quadro in materia. Sul procedimento di VIA di competenza statale v. A. MILONE-E. MONDI, la valutazione di impatto ambientale. Normativa comunitaria, nazionale e regionale. Dottrina e giurisprudenza, Roma, 2001, 37 ss.; M-CAMPOLO, Interessi ambientali e pianificazione del territorio. La valutazione di impatto ambientale, Napoli, 1999, 210; F. FRACCHIA, I  procedimenti amministrativi in materia di ambiente, in R. FERRARA-F. FRACCHIA-N. OLIVETTI RASON, Diritto ambiente, Bari, 1999 n. 238; F.F ONDERICO, Valutazione d’impatto ambientale cit, 1428.

[17] La Corte di Giustizia ha avuto modo di chiarire, al riguardo,  che l’art. 4, secondo comma, della direttiva n. 85/337/CE menziona solo a titolo indicativo i metodi cui gli Stati membri possono ricorrere per determinare quali dei progetti appartenenti all’allegato II debbano essere sottoposti ad una valutazione di impatto ambientale, con la conseguenza che essendo conferito agli Stati membri un margine di discrezionalità in proposito, la direttiva non preclude loro di impiegare altri metodi per specificare i progetti che richiedano detta valutazione.

L’Italia aveva provveduto al recepimento dell’Allegato II della direttiva 85/337/CEE a seguito dell’avvio nei suoi confronti di una procedura di infrazione. Con il parere motivato del 4 luglio 1993 la Commissione europea aveva infatti sollecitato lo Stato italiano ad adottare i provvedimenti necessari per sottoporre a valutazione di impatto ambientale i progetti di opere elencati nell’Allegato II della direttiva 85/337/CEE e in grado di produrre un impatto ambientale importante. In data 27 maggio 1994 veniva comunicata al Governo italiano la presentazione di un ricorso alla Corte di Giustizia CEE da parte della Commissione, basato sulla non corretta attuazione della direttiva per non aver previsto in generale la procedura di valutazione di impatto ambientale per i progetti di opere di cui all’Allegato II della direttiva medesima. In risposta a tale sollecitazione era intervenuto il d.P.R. 12 aprile 1996 recante “atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 aprile 1994 n. 196, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale”. Per le opere di cui all’Allegato II il decreto aveva individuato un primo gruppo di progetti di opere (allegato A) necessariamente sottoposti alla procedura di v.i.a., mentre nell’allegato B erano stati raccolti i progetti per i quali la valutazione di impatto ambientale era eventuale, in quanto spettava all’autorità amministrativa accertare se le caratteristiche del progetto richiedessero lo svolgimento della procedura, nonché altri progetti che dovevano essere sottoposti necessariamente a v.i.a. perché ricadevano all’interno di aree protette. Il decreto aveva poi attribuito alle regioni il compito di emanare la relativa disciplina di attuazione ed era stata così introdotta una v.i.a. regionale che si affiancava a quella di rilievo nazionale che era obbligatoria per le opere elencate nell’Allegato I della direttiva. In data 29 settembre 1998 la Commissione aveva inviato all’Italia un nuovo parere motivato nel quale erano state ribadite le ragioni di contestazione già alla base del primo parere del 1993. Con d.P.C.M. 3 settembre 1999 era stato approvato un atto di indirizzo e coordinamento che modificava il d.P.R.12 aprile 1996 ed integrava gli Allegati A e B di quest’ultimo. Le leggi di alcune regioni, che disciplinavano la procedura di v.i.a., avevano tuttavia escluso dalla procedura determinati progetti elencati nell’Allegato II qualora la domanda fosse stata presentata o l’autorizzazione fosse stata data, prima dell’entrata in vigore delle leggi stesse. Tale legislazione veniva censurata dalla Commissione CE che in data 3 agosto 2000 aveva inviato all’Italia un ennesimo parere. Sul punto si rinvia a M.L. SCHIAVANO, Direttive comunitarie sulla valutazione di impatto ambientale cit., 190 e ss; G. MANFREDI, op.cit., 843 e ss.

Da segnalare, inoltre, in proposito, la recente ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 22.11.2006 n. 6836 in Urb.e app., 2007, 175 e ss. con nota di A. TEMPESTA, La v.i.a. italiana dinanzi alla Corte di Giustizia, e in Riv.Giur.Edilizia 2007, 611 e ss. che ha rimesso alla Corte di Giustizia U.E. le questioni pregiudiziali relative all’interpretazione degli artt. 2 e 4 della direttiva 85/337/CEE laddove prevedono che siano sottoposti a v.i.a. i progetti destinati ad avere un impatto importante sull’ambiente, al fine di stabilire se a tale procedura siano assoggettati anche i progetti non inclusi negli Allegati I e II della direttiva ovvero solo quelli in essi indicati e se il ricorso alla v.i.a. per i progetti di cui all’Allegato II, tenendo conto dei criteri di cui all’Allegato III, costituisca un obbligo puntuale o solo una facoltà per gli Stati membri ed infine la questione se l’art. 1 D.P.R. 12.04.1996 n. 163 costituisca puntuale recepimento dell’art. 4 della direttiva 85/337/CEE e del suo allegato III non avendo previsto, come criterio per la sottoposizione a v.i.a. del progetti dell’Allegato II, quello del cumulo del progetto con altri progetti. L’ordinanza solleva importanti questioni che sono state oggetto di contestazione da parte della Commissione Europea nell’ambito di una procedura di infrazione aperta nei confronti dell’Italia nel dicembre 2003. In particolare, in tale sede, la Commissione, al pari della pronuncia citata, ha evidenziato la difformità del D.P.R. 12.04.1996 all’Allegato II direttiva 85/337/CEE, del quale costituisce recepimento, nella parte in cui tiene conto, ai fini dell’assoggettamento a v.i.a. dei progetti inclusi in tale Allegato, soltanto di uno dei criteri indicati dall’Allegato III alla direttiva, recepito dall’allegato D del decreto. Si tratta del criterio dell’incidenza del progetto, in termini di impatti ambientali, sulle aree naturali protette (zone umide, zone costiere, zone montuose o forestali, riserve e parchi naturali, zone classificate o protette dalla legislazione degli Stati membri, zone protette speciali designate dagli Stati membri in base alle dir. n. 79/409/CEE e 92/43/CEE, ecc.). La Commissione ha, quindi, affermato che lo Stato italiano avrebbe dovuto prendere in considerazione, nell’ambito delle disposizioni nazionali di recepimento, tutti i criteri elencati nell’allegato III della dir. 85/337/CEE, incluso il cumulo dei progetti.

[18] A. GRATANI, La VIA deve precedere i provvedimenti nazionali autorizzativi o dichiarativi di p.u., in Riv.Giur.Ambiente, 2004, 254.

In realtà i principi di partecipazione e di informazione nei procedimenti in materia ambientale hanno avuto un primo riconoscimento da parte della Comunità europea proprio in relazione al procedimento di VIA disciplinato dalla direttiva n. 85/337/CE, in quanto la procedura di VIA ha ad oggetto opere di rilevante impatto, il cui procedimento di approvazione deve necessariamente tenere conto delle esigenze e, in generale, delle osservazioni dei cittadini. L’importante ruolo che assume la partecipazione del pubblico nei procedimenti in materia ambientale troverà poi un riconoscimento generale nella Convenzione di Aarhus, firmata in data 25.06.1998, che persegue la finalità di “contribuire alla protezione del diritto di ogni persona della presente e delle future generazioni di abitare in un ambiente adeguato alla sua salute ed al suo benessere, garantendo i diritti di accesso all’informazione, di partecipazione ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale” (art. 1). Grazie a tale Convenzione si affermerà, così, il principio secondo cui il riconoscimento del diritto di ogni persona all’accesso alle informazioni ambientali ed alla partecipazione nei procedimenti decisionali può portare al miglioramento della qualità e dell’applicazione delle decisioni e contribuire alla sensibilizzazione diffusa riguardo alle tematiche ambientali. Così A. MILONE, Ponte sullo Stretto: la sentenza del T.A.R. Lazio, in Riv.Giur.Edilizia, 2004, 2151 ss.; R. MONTANARO, L’ambiente e i nuovi istituti di partecipazione, in A. CROSETTI – F.F RACCHIA, Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, prospettive ed esperienze, Milano, 2002, 111. Sulla convenzione di Aarhus vedi P.M. VIPIANA, il diritto all’ambiente salubre: gli strumenti di tutela, Milano, 2005, R. BIANCHI, Informazione e giustizia ambientale: dalla Convenzione di Aarhus al D.Lgs.195/05, in Ambiente, 2005,1021.

[19] La distinzione tra la nozione di “pubblico” e di “pubblico interessato” è stata introdotta, in attuazione della Convenzione di Aarhus del 1998, dalla direttiva 2003/35/CE. L’art. 2, comma 4, della Convenzione dà una definizione di “pubblico interessato” nei seguenti termini: “una o più persone fisiche o giuridiche, le loro associazioni, organizzazioni o gruppi che possono essere interessati dalle potenziali modifiche della qualità ambientale, o che hanno interesse nel processo decisionale, nonchè le organizzazioni non governative di protezione ambientale ai sensi della legislazione nazionale”.

[20] Occorre evidenziare che il significato del termine “autorizzazione” è stato recentemente chiarito da una pronuncia della Corte di Giustizia, secondo cui per autorizzazione, in base alla direttiva n. 85/337/CE, deve intendersi ogni decisione nazionale che abbia l’effetto di consentire l’inizio di un’attività relativa ai progetti elencati negli allegati I e II della citata direttiva dopo il 3 luglio 1998, data in cui la normativa comunitaria è divenuta immediatamente applicabile all’interno degli Stati membri. Così Corte di Giustizia CE, Sez.V, C-201/02, 7.01.2004 in Urb e app, 2004, 415 ss., con nota di E. BOSCOLO, Nozione comunitaria di autorizzazione e v.i.a.

[21] Così Corte Giust. sent.5.07.2007, causa C-255/05, Commissione c/ Repubblica Italiana, in www.lexitalia.it; Corte Giust., sent. 23.11.2006, causa C-486/04, Commissione c/ Repubblica italiana, in www.giuffrè.it ha condannato l’Italia per non aver sottoposto a procedura di valutazione ambientale il progetto relativo all’impianto di incenerimento di combustibili derivati da rifiuti e biomasse di Massafra nel comune di Taranto (dotato di una capacità superiore alle 100 tonnellate di rifiuti al giorno) ai sensi dell’art. 3 D.P.C.M. del 3.09.1999 recante modifiche dell’Allegato A, lett.1) D.P.R. 12.04.1996; disposizione, questa, che esclude la procedura di v.i.a. su taluni progetti rientranti nell’Allegato I della dir.85/337/CEE (progetti di impianti di recupero dei rifiuti pericolosi, nonché progetti di impianti di recupero di rifiuti non pericolosi aventi una capacità superiore a 100 tonnellate al giorno), in quanto oggetto di una procedura di autorizzazione semplificata ai sensi dell’art. 11 della dir. 75/442/CEE. Si tratta di una esclusione, secondo la Corte di Giustizia, non prevista dalla normativa comunitaria, posto che  progetti di impianti di recupero di rifiuti pericolosi o non pericolosi, essendo idonei ad avere rilevanti ripercussioni sull’ambiente, rientrano nell’Allegato I della dir.85/337/CEE per i quali è prevista obbligatoriamente una tale valutazione. Inoltre la Corte di Giustizia ha ravvisato che è la stessa disposizione normativa introdotta dal citato art. 3 D.P.C.M. del 1999 che postula un criterio inadeguato per la scelta di quali impianti vadano assoggettati a v.i.a. e quali esclusi, in quanto “può far sì che determinati progetti idonei ad avere rilevanti ripercussioni sull’ambiente a motivo delle loro dimensioni o della loro ubicazione siano sottratti alla verifica del loro impatto ambientale”. La normativa italiana, quindi, “escludendo dalla valutazione di impatto ambientale…i progetti di impianti che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti in base alla procedura semplificata…non tiene conto di tutti i criteri di selezione precisati nell’Allegato III della dir. 85/337/CEE”. La sentenza è commentata da A. GRATANI, L’ambiente: il settore prescelto dall’ordinamento italiano per violare la normativa comunitaria, in Riv.Giur.Ambiente, 2007, 289 e ss., la quale non sottace il contrasto con il diritto comunitario della disposizione dell’art. 43 D.P.R. 327/2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazioni per pubblica utilità) e la giurisprudenza enucleatasi che consente, da un lato, l’esecuzione di opere pubbliche ricompresse negli allegati I e II della dir. 85/337/CEE, in totale assenza della procedura VIA, dall’altro lato, la loro acquisizione al patrimonio indisponibile dall’autorità pubblica che le utilizza in carenza di titolo, sottraendo il terreno, sulle quali sono realizzate, al privato pur in assenza di un valido provvedimento ablatorio. 

[22] Vedi Corte Giust. sent. 9.03.2000 in causa C-358/98; conforme Cons. Stato, sez. IV, 16.05.2006 n. 2773, in Riv.Giur.Edilizia, 2007, 269 che ha disapplicato una norma transitoria della L.R. Veneto n. 10/99 che esentava dagli obblighi relativi alla valutazione di impatto ambientale stabiliti dalla dir. 85/337/CEE il progetto di un’opera pubblica che rientrava nelle categorie di cui all’Allegato II di detta direttiva.

[23] Cfr. ex plurimis Corte Giust. CE, sent.10.06.2004, causa C-87/02, Commissione c/ Repubblica italiana; Id., sent.7.12.2000, causa C-374/98, Commissione c/ Francia; Id., sent.19.02.2002, causa C-366/00, Commissione c/ Granducato; Id., sent.7.11.2002, causa C-348/01, Commissione c/ Repubblica francese; Id., sent. 19.11.2002, causa C-319/01, Commissione c/ Regno del Belgio. In particolare, nel senso che semplici prassi amministrative, modificabili a piacimento dell’Amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non possano essere considerate un valido adempimento degli obblighi imposti dal Trattato, v. altresì Corte Giust. CE sent. 17.01.2002, causa C-394/02, Commissione c/ Irlanda.

In altre occasioni la Corte ha poi affermato che la ripartizione costituzionale di poteri tra autorità nazionali e centralizzate e autorità decentralizzate non incide affatto sulla valutazione dell’inadempimento e che è compito degli Stati membri vigilare sulla effettiva attuazione dei loro obblighi comunitari da parte delle autorità centralizzate e decentralizzate: a tal proposito v., ad esempio, Corte Giust.CE, sent. 24.11.1992, causa C-237/90, Commissione c/ Germania.

[24] Così Corte Giust., sent. 10.06.2004, causa C-87/02, cit.

[25] Così S. MEZZACAPO, Inadempimento comunque imputabile allo Stato anche se sul progetto la competenza è regionale, in Guida al Diritto, 2004, 98 ss. Sul punto v. anche Corte Giust., ord.1.10.1997, Regione Toscana c/ Commissione, causa C-180/97, secondo cui “il ricorso con il quale la Commissione…può chiedere alla Corte di Giustizia di dichiarare che un altro Stato membro è venuto meno agli obblighi che gli incombono riguarda soltanto il Governo di tale ultimo Stato membro, anche allorchè l’inadempimento risulti dall’azione o dall’inerzia delle Autorità di uno Stato federato, di una Regione o di una comunità autonoma”.

[26] Corte Giust., sent.10.06.2004, causa C-87/02 cit.

[27] Corte Giust., sent. 16.09.1999, causa C-435/97, WWF e a. c/ Provincia Autonoma Bolzano e a.

[28] In termini, Corte Giust., sent. 17.02.1970, causa C-31/69, Commissione c/ Repubblica italiana; Id., sent. 18.03.1986, causa C-85/85, Commissione c/ Belgio; Id.,  sent. 10.06.2004, cit. E’ da notare che in quest’ultimo caso offerto all’attenzione della Corte di Giustizia la verifica giurisdizionale sull’idoneità del progetto ad avere un notevole impatto ambientale avesse sortito esito negativo, essendo state favorevolmente apprezzate da parte del giudice nazionale, sul piano della legittimità, le valutazioni sulla compatibilità paesaggistico-ambientale dell’opera realizzanda, in relazione alla tipologia del progetto di esecuzione dei lavori assentito.

[29] STROZZI, Il sistema normativo, in CHITI, GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 1997, 30.

Sulla efficacia diretta delle disposizioni delle direttive che risultino incondizionate e sufficientemente precise, fra le tante, v. Corte Giust., 4.03.1999, causa C-258/97, in Foro it., 1999, IV, 175 in tema di appalti pubblici di servizi; 22.04.1999, causa C-423/97, ivi, 1999, IV, 233, in tema di multiproprietà e tutela del consumatore; sent. 22.02.1999, in causa C-221/88, in Riv.it.dir.pub.com., 1991, 473.

[30] V. per tutti BARONE, L’efficacia diretta delle direttive CEE nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte Costituzionale, in Foro it., IV, 1991, 130 e ss. e la dottrina ivi citata. Cfr. altresì F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2004, 20 e ss.

[31] Sul punto v. GRECO, incidenza del diritto comunitario sugli atti amministrativi italiani, in CHITI, GRECO (a cura di), op.cit., 555.

[32] Ciò proprio in virtù del potere discrezionale attribuito dall’art.4 agli Stati membri e del carattere di “legge-quadro” riconosciuto alla direttiva in esame dalla stessa Commissione europea nella sua Relazione del 2.04.1993 in cui si è richiamata l’attenzione sul fatto che l’ampio campo di applicazione della direttiva ha come corollario che diversi organi governativi, numerose autorità e molteplici procedure di autorizzazione vengano ad essere interessati. Si rinvia sul punto a M.L. SCHIAVANO, op.cit., 203.

[33] Secondo AMADEO, op.cit., 57 e ss., l’unica disposizione della direttiva che contempla la posizione dei singoli controinteressati si rappresenta come una disposizione di carattere procedimentale, alla quale può al più inferirsi il diritto dei singoli interessati ad essere informati e ad esprimere un parere sul progetto in esame. A tale Autore si rinvia per una puntuale critica all’orientamento della Corte di Giustizia di riconoscere efficacia diretta alle norme della direttiva n. 85/337/CEE.

[34] G. MANFREDI, Inadempimenti nell’attuazione della valutazione d’impatto ambientale e diretta applicabilità delle direttive comunitarie, in Urb.e App., 2001, 847.

[35] In termini, Corte Giust., sent.16.09.1999, causa C-435/97, WWF cit.; conforme Corte Giust., sent. 23.11.2006, causa C-486/04 cit

Le conclusioni del giudice comunitario sono state condivise anche dal giudice nazionale dacchè ha affermato che le direttive europee risultano ormai in molti aspetti precise, incondizionate e complete a tal punto da poter essere invocate anche dal singolo soggetto dell’ordinamento interno: è conseguentemente necessario disapplicare i dati normativi interni da esse difformi, essendo preclusa la possibilità di eccepire disposizioni del proprio ordinamento giuridico per giustificare l’inosservanza delle disposizioni della direttiva e, in ultima analisi, l’elusione degli obblighi comunitariamente imposti in materia di VIA. In termini, TAR Lombardia, Sez. I, sent.2864/2000 in Riv.giur.Amb., 2000, 763 e ss. con nota di PROVENZALI, La stratificazione legislativa in tema di VIA; di recente v. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 2005, 1211 e ss.

[36] Non è certamente possibile, in questa sede, ripercorrere l’evoluzione normativa e giurisprudenziale della nozione di ambiente, in relazione alla quale si rimanda a M.R. SPASIANO op.cit., 186  ss.

[37] M.R. SPASIANO, op.cit., 195. Conforme Trib. Bari, Sezione del riesame, ord.6.02.2004 n. 271 in www.ambientediritto.it, secondo cui La VIA mira ad introdurre, nella prassi tecnica ed amministrativa, una valutazione sistematica degli effetti prodotti dalle opere in progetto sull’ambiente, intendendo quest’ultimo come un sistema complesso di risorse naturali e umane e delle loro interazioni”.

[38] D. BORGONOVO RE, Informazione ambientale e diritto di accesso, in S. NESPOR- A.L. DE CESARIS, Codice dell’ambiente, 1122 ricorda che la citata Convenzione di Aarhus impegna gli Stati firmatari “ad introdurre una legislazione coerente con i principi affermati, al centro dei quali viene significativamente inserita la “persona””. Cfr. altresì Cons. Stato, Sez.IV, 1.10.2004, n. 6412 per cui “l’oggetto e la finalità della VIA di un progetto per la realizzazione di un’opera (…) consiste nel perseguire la tutela ed il miglioramento della salute, della qualità della vita dell’uomo, degli equilibri ecologici essenziali alla vita dell’uomo, della flora e della fauna, del patrimonio naturale ed artistico, individuando, descrivendo e valutando gli effetti dei progetti sull’ambiente, sia diretti che indiretti, a breve o lungo termine, permanenti o temporanei, singoli o cumulativi, con riguardo altresì alle situazioni di rischi e alle possibilità  di incidenti” . Conforme Cons. Stato, Sez. VI, 24.09.2004 n. 6255 in www.ambientediritto.it

[39] Cfr. Corte Giust. CE, sez. VI, 2.06.2005, C-83/03 in Riv.giur.Amb., 2005, 1027, con nota di A. GRATANI, L’autorizzazione a realizzare progetti pubblici e privati senza una preventiva disamina ambientale deve essere annullata ed il sito ripristinato; Id., 10.06.2004, C-87/02, in Riv.giur.Edil., 2004, I,843; Corte Giust. CE, sez. V, 7.01.2004, C-201/02, in Urb. e App., 2004, 415 e ss. con nota di E. BOSCOLO, Nozione comunitaria di autorizzazione e VIA

[40] V. anche Cons. Stato, Sez. IV, 5.09.2003 n. 4970 in Riv.giur.Amb. 2004, 253, con nota di A. GRATANI, La VIA deve precedere i provvedimenti nazionali cit.

[41] Sulla V.I.A. c.d. condizionata si rimanda a Cons. Stato, Sez. VI, 5.01.2004 n. 1, in Riv.Giur.Edil. 2004, 979 e ss., con nota di A. MILONE, Il sindacato giurisdizionale sulla valutazione di impatto ambientale.

[42] Cons. Stato, Sez. VI, 24.09.2004, n. 6255 in www.ambientediritto.it definisce il preventivo parere regionale sulla compatibilità ambientale presupposto di legittimità (e non di efficacia) del titolo abilitativo all’edificazione successivamente emesso, perché la sua funzione non è quella di rendere efficace un titolo edilizio emesso in precedenza (sia esso una concessione o una autorizzazione), bensì quella di valutare ex ante le specifiche caratteristiche del progetto di impianto e del sito individuato dal richiedente, avendo ad oggetto proprio l’incidenza del manufatto nel circostante contesto ambientale.

[43] Cons. Stato, Ad. Gen., 25.01.1996 n. 2757, in Arch.giur.oo.pp., 1996, 1320.

Nel senso che la V.I.A. non è un procedimento autonomo, ma collegato al procedimento principale di approvazione da un nesso di presupposizione, v. Cons. Stato, 19.07.1993 n. 741, in Riv.Giur.Amb., 1994, 71, con nota di S. CIVITARESE MATTEUCCI, Alcune riflessioni in tema di valutazione di impatto ambientale; TAR Piemonte, Sez. II, 5.12.2002 n.2036, in www.giustizia-amministrativa.it. Quest’ultima pronuncia si segnala in quanto chiarisce che dall’intima connessione del procedimento di V.I.A. con il procedimento di approvazione del progetto deriva che nell’ipotesi in cui il provvedimento finale venga annullato per essere stata pretermessa la procedura di V.I.A., la rinnovazione del procedimento relativo all’approvazione del progetto non può essere limitata all’esame della valutazione di impatto ambientale, ma comporta anche una nuova valutazione dell’intero progetto.

[44] Corte Giust., Sez. VI, 2.06.2005, C-83/03, Commissione c/ Repubblica Italiana. Sulle conseguenze relative a tale violazione del diritto si rinvia a A. GRATANI, L’autorizzazione a realizzare progetti pubblici e privati cit., 1029.

Esclude espressamente ogni possibilità di inversioni procedimentali non previste dalla legge anche Cons. Stato, Sez. VI, 24.09.2004 n. 6255,cit.

[45] Così TAR Abruzzo, sent. 25.10.2002 n. 540, in Riv.giur.Amb.2003, 374, con nota di M. BROCCA, Conferenza di servizi e tutela dell’ambiente tra esigenze di celerità e adeguata ponderazione; cfr. tra le altre Cons. Stato, Sez. IV, 25.05.2004 n. 5715; Cons. Stato, Sez. IV, 5.09.2003 n. 4970 in Riv.giur. Edil., 2004, 228 ss.; Cons.S tato, Sez.I V, 18.07.1995 n. 754. in particolare  il Consiglio di Stato ha evidenziato che, per quanto riguarda le opere pubbliche, la v.i.a. deve essere espletata precedentemente all’approvazione del progetto definitivo e non successivamente in quanto il progetto esecutivo “che costituisce mera ingegnerizzazione del definitivo, non può essere modificato secondo prescrizioni e condizioni previste nella pronuncia di compatibilità ambientale, che prevedano modifiche di sostanza del progetto definitivo, del tutto incompatibili con la natura, i contenuti ed i limiti della successiva fase della progettazione esecutiva”: così Cons. Stato, Sez. IV, 5.09.2003 n. 4970, cit.

In tema di grandi opere di preminente interesse nazionale di cui al D.Lgs.190/2002 (c.d. legge obiettivo) v. TAR Lazio, Sez. III ter, 4.01.2006 n. 82 secondo cui “l’anticipazione della VIA al progetto preliminare non comporta il venir meno di una valutazione effettiva e realistica delle ripercussioni dell’opera sull’ambiente, attesa la pienezza dei contenuti descritti dall’art. 19 e tenuto conto che l’art. 20 (ora nel testo modificato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 189/2005) estende ogni opportuna garanzia al progetto definitivo, il quale, oltre ad essere integrato da una relazione del progettista sulla corrispondenza al progetto preliminare ed alle prescrizioni apposte in sede di approvazione (art.4), è sottoposto alla verifica di ottemperanza da parte della Commissione speciale e, nel caso sia sensibilmente diverso da quello preliminare, il Ministro dell’ambiente può richiedere l’aggiornamento dello studio e la sua nuova pubblicazione anche ai fini dell’eventuale invio di osservazioni da parte dei soggetti pubblici e privati interessati. Infine, qualora si riscontrino violazioni degli impegni presi ovvero modifiche del progetto che comportino significative variazioni dell’impatto ambientale, la Commissione ne riferisce al Ministro, che ordina di adeguare l’opera e, se necessario, chiede al CIPE la sospensione dei lavori ed il ripristino della situazione ambientale a spese del responsabile, nonché l’adozione dei provvedimenti cautelari in tema di misure provvisorie di salvaguardia, anche a carattere inibitorio, previsti dagli artt.8 e 9 L. 8.07.1986 n. 349. Deve pertanto concludersi nel senso della pienezza delle garanzie approntate, pur nell’ottica delle procedure di realizzazione delle grandi opere di preminente interesse nazionale”.

In tema v. altresì Cons. Stato, Sez.IV, 22.07.2005 n. 3917 in Il Foro It., 2006, III, 402 con nota di A. MILONE, che ha ritenuto “conforme alla direttiva 85/337/CEE la previsione di cui all’art. 3, 3°comma, D.Lgs. 20.08.2002 n. 190, secondo cui la valutazione di impatto ambientale relativa alle grandi opere è da riferire alla fase preliminare anziché definitiva della progettazione: infatti, in base alle disposizioni del D.Lgs. 190/02 il primo livello di progettazione individua in modo adeguatamente approfondito e sviluppato tutti gli elementi dell’opera che possono avere incidenza sull’ambiente, sì da non poter essere modificato dal successivo livello di progettazione”; TAR Veneto, Sez. I, 15.03.2004 n. 680 in www.ambientediritto.it.

In dottrina si rimanda a MAZZAROLLI, PERICU ed altri, Diritto amministrativo, II ed., Bologna, 2001, 1602 e A. GRATANI, L’autorizzazione a realizzare progetti pubblici e privati senza una preventiva disamina ambientale cit., 1028. In giurisprudenza v. ex ceteris  Cons. Stato, Ad. Plen., 9.03.1984, n. 5; Cons. Stato, Sez. VI, 10.07.1989 n. 383.

[46] A. GRATANI, op.cit., 1028.

Così nella causa C-83/03 decisa dalla Corte Giust. con sent. 2.06.2005 le autorità nazionali si difendevano affermando che l’autorizzazione a costruire un porto turistico (intervenuta il 9.06.1999 e riconfermata con decreto regionale il 27.01.2000) veniva corroborata (il 21.01.2000) con parere del Comitato di coordinamento regionale sulla VIA, con cui si riteneva corretta l’assenza di necessità di effettuare la valutazione d’impatto ambientale per assenza dei presupposti.

[47] Corte Giust., Sez. V, 7.01.2004 C-201/02 in Urb. e App., 2004, 415 ss., con nota di E. BOSCOLO, Nozione comunitaria di autorizzazione e v.i.a.

[48] Cons. Stato, Sez. VI, sent. 22.11.2006 n. 6831 in Guida al Diritto, 2007, 74 ss. con nota di O. FORLENZA, La valutazione d’impatto ambientale dell’opera può essere successiva al progetto approvato e in Riv.Giur.Edil., 2007, 1049 con nota di  C. MICHELOTTI, La valutazione di impatto ambientale nella dinamica procedimentale, 1061 ss

[49] Cons. Stato, Sez. VI, sent.22.11.2006 n. 6832 n Riv.Giur.Edil., 2007,623 con nota critica di A. MILONE, In merito ad alcune questioni in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza. Nel caso deciso dalla pronuncia il Comune di Adria aveva impugnato, tra l’altro, il decreto di compatibilità ambientale positivo di un gasdotto rilasciato dal Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, successivamente al decreto di approvazione del progetto di massima dell’opera da parte del Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, precedentemente impugnato dal Comune.

[50] Condivide la riferita posizione del Consiglio di Stato L. FUMAROLA, in Riv.Giur.Amb., 2007,562, sul presupposto che la valutazione di impatto ambientale ha il fine di sensibilizzare l’autorità decidente, attraverso l’apporto di elementi tecnici-scientifici, idonei ad evidenziare le ricadute sull’ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera. Da ciò se ne inferisce che anche una valutazione postuma, effettuata cioè successivamente al rilascio dell’autorizzazione, ma in ogni caso prima dell’avvio dei lavori, può dirsi perfettamente idonea ad assolvere alla summenzionata funzione, nonché a garantire il rispetto dei principi di prevenzione e precauzione alla stessa sottesi. Secondo l’A., in altri termini, può essere considerata priva di conseguenze giuridiche (e quindi non assumere efficacia invalidante) la violazione della regola procedimentale che prescrive lo svolgimento della VIA prima del rilascio dell’autorizzazione, tutte le volte in cui non può dirsi affatto compromesso il soddisfacimento dell’interesse pubblico alla salvaguardia del bene-ambiente, in quanto prima della concreta modificazione del territorio si è proceduto alla valutazione degli effetti determinati dalla realizzazione dell’opera.

La stessa A. rileva, tuttavia, come la conclusione appena esposta sembra porsi in contrasto con quell’orientamento interpretativo secondo cui il parere tardivo, seppure favorevole, pur potendo essere sostanzialmente identico al parere tempestivamente acquisito, risulta di fatto condizionato dall’esito del provvedimento illegittimo già reso: vedi in tal senso, MAZZAROLLI, PERICU e altri, Diritto amministrativo, II ed., Bologna, 2001, 1602.

[51] Nel senso che è legittimo il procedimento di v.i.a. di opere già realizzate e in esercizio vedi TAR Lombardia, Brescia, 22.07, 2005 n. 782 secondo cui il mancato rispetto del corretto iter  procedimentale deve essere qualificato come “mera violazione formale priva di conseguenze quando un’infrastruttura già realizzata abbia solamente in seguito costituito oggetto di valutazione sotto il profilo dell’impatto ambientale e pertanto il potere pubblicistico attribuito dalla Costituzione e da legislatore all’autorità statale e regionale sia stato comunque esercitato affrontando in modo esauriente le questioni sostanziali connesse al compimento dell’opera”; Cons. Stato, Sez. IV, 31.08.2004 n. 5715.

[52] A. MILONE, In merito ad alcune questioni in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione d incidenza, in Riv.Giur.Edil., 2007, 644 ss.

[53] TAR Lazio, Sez.II bis 3.02.1998 n. 140

[54] Ciò, a meno che l’autorità procedente non provveda prima ad annullare l’atto di approvazione dell’opera, al fine di assoggettare il progetto a v.i.a. In tal modo, il procedimento di compatibilità ambientale non verrebbe condizionato e limitato dall’avvenuta approvazione dell’opera e, inoltre, gli esiti del procedimento di compatibilità ambientale potrebbero essere presi in considerazione e recepiti nell’emanazione del provvedimento di approvazione, secondo quanto prescrive l’art. 8 della dir. n. 85/337/CEE: così conclude A. MILONE, In merito ad alcune questioni cit., 647

[55] Così F. FONDERICO, Il riordino del procedimento di valutazione di impatto ambientale, cit., 423. V. anche A. NATALINI, Le semplificazioni amministrative, Bologna, 2002; S. CASSESE, G. GALLI (a cura di), L’Italia da semplificare, in Riv.trim.dir.pubbl.,1999, 757; S. CASSESE, La semplificazione amministrativa e l’orologio di Taylor, in Riv.giur.Amb., 1998, 699; M. CLARICH, Modelli di semplificazione nell’esperienza comparata, in Riv.giur. Amb., 1998, 679; G. CORSO, Attività economica privata e deregulation, in Riv.giur.Amb., 1998, 629.

[56] V.F. FONDERICO, op.cit., 422 e ss.

[57] Come è noto tale principio, di origini antiche e coincidenti con la nascita del pensiero liberale e con l’evoluzione delle moderne democrazie, si sostanzia in un generale criterio di riparto delle funzioni amministrative in base al quale l’intervento pubblico istituzionale assume carattere sussidiario rispetto all’iniziativa privata, nel senso che il primo si giustifica in quanti i privati cittadini e le loro libere associazioni non siano in grado di soddisfare efficacemente interessi ed esigenze di ordine generale. Oggi i pubblici poteri sono chiamati ad agire preferenzialmente tramite il coinvolgimento diretto dei singoli e dei gruppi sociali liberamente costituiti, in quanto chiamati in prima persona a cogestire la funzione amministrativa secondo il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale.V. TAR Liguria, Sez. I, 18.03.2004 n. 267 in Riv.giur. Amb., 2004, 898 e ss. In dottrina cfr. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2004, 996 e ss.

[58] Cfr. F. FONDERICO, Il riordino cit., 436 che sottolinea la distinzione, nella terminologia comunitaria, della categoria di “pubblico” da quella di “pubblico interessato” nell’ambito delle grandi opere pubbliche infrastrutturali: rientrano nella prima nozione i beneficiari delle funzioni di dotazione infrastrutturale, ossia i cittadini che ne fruiscono. Essi non hanno però, in quanto tali, una posizione giuridica tutelata, pur potendo astrattamente partecipare alle procedure di programmazione triennale delle opere pubbliche formulando osservazioni. La posizione di utente dell’opera pubblica spesso diverge da quella di chi ne subisce le “esternalità” economiche, territoriali ed ambientali positive o, più frequentemente, negative. Tali soggetti rientrano, secondo l’A., nella nozione comunitaria di “pubblico interessato” e possono far valere a diverso titolo le loro ragioni anche nei procedimenti (ad es. di VIA o di autorizzazione/approvazione del progetto) connessi alla realizzazione dell’intervento.

Coerentemente con l’impostazione comunitaria illustrata, il D.Lgs. n. 4/08 distingue, all’art. 5, la nozione di “pubblico” da quella di “pubblico interessato” e definisce il primo “una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai sensi della legislazione vigente, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone” ed il secondo “il pubblico che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale o che ha un interesse in tali procedure”precisando che, ai fini di tale ultima definizione, “le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente e che soddisfano i requisiti previsti dalla normativa statale vigente, nonché le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sono considerate come aventi interesse”.

[59] Come prescritto dal comma 5 dell’art. 24 tali osservazioni dovranno essere prese in considerazione nel giudizio di compatibilità ambientale ma, secondo la giurisprudenza amministrativa, il loro esame non deve necessariamente consistere in una analitica disamina motivata di ciascun apporto pervenuto dagli amministrati, essendo sufficiente una motivazione anche succinta e non riferita a tutte le osservazioni. In termini TAR Lazio, Sez. I, 31.05.2004 n. 5118. Conformi Cons. Stato, Sez. VI, 18.01.2006 n. 129 in www.giustamm.it; Cons. Stato, IV, 22.07.2005 n. 3917 in Il Foro It., 2006, III, 402; Cons. Stato, Sez. I, 29.01.2002 n. 491 in Il Foro It., Rep. 2002, voce Regione n. 413 secondo cui una volta che sia stato dimostrato che le osservazioni del pubblico sono state valutate nell’ambito del procedimento di v.i.a. “e tenute presenti ai fini del processo decisionale, non può annettersi rilievo invalidante alla mancanza di confutazione analitica dei singoli punti oggetto di contraddittorio da parte della pubblica amministrazione”. Cfr. inoltre TAR Veneto, Sez. I, 30.05.2005 n .2234; TAR Lazio, Sez. II bis, 5.07.2005 n. 5481.

[60] Sul ruolo del cittadino di soggetto attivo di politica ambientale si rinvia a M.R.S PASIANO, op.cit., 203 e ss.

[61] Sulle origini dell’istituto v. M. CERUTI, L’esperienza francese delle inchieste pubbliche per la tutela dell’ambiente, in Riv.giur.Amb., 1996, 215 e ss. Sull’istituto del debat publique cfr. J.L.AUTIN, Inchieste pubbliche e debat publique nell’ordinamento francese, in Diritto e gestione dell’ambiente, 2001, 67 e ss.

[62] M.R. SPASIANO, op.cit., 205 sottolinea, tuttavia, in proposito come nonostante le profonde innovazioni presenti nell’ordinamento a livello costituzionale e non, la legittimazione ad agire in giudizio a tutela di interessi ambientali passi sostanzialmente ancora attraverso le (troppo) strette maglie della dimostrazione di un rapporto di vicinitas secondo l’accezione anche di recente riproposta  dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 7246 del 2004. Secondo l’A. un indirizzo giurisprudenziale tanto restrittivo ingenera ormai perplessità: non solo per l’avvenuta legittimazione costituzionale della perseguibilità di interessi generali anche da parte di soggetti non pubblici (art. 118 u.c.), ma anche –in ordine alla tutela ambientale- alla luce della giurisprudenza costituzionale che da molti anni ribadisce la natura intersettoriale dell’ambiente, nonché della evoluzione dell’istituto della partecipazione procedimentale e che parrebbe individuare –sulla scorta anche di una minoritaria giurisprudenza- un più stretto nesso tra essa e la legittimazione ad agire. Senza poi tralasciare il significato e la portata dell’art. 146, comma 11, II periodo, del D.Lgs.n.42 del 2004, legittimante l’impugnazione delle autorizzazioni paesaggistiche da parte di tutti i soggetti pubblici e privati che ne abbiano interesse.

Concorda con il rilievo per cui, in tema di ambiente, l’interesse all’impugnazione debba atteggiarsi in modo del tutto peculiare in relazione sia all’alto valore istituzionale di detto bene, sia al crescente ruolo assunto dalle formazioni sociali nell’esercizio di funzioni ed attività di interesse generale anche Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2004 n. 345.

Sul punto v. anche Cons.S tato, Sez. IV, 2.10.2006 n. 5760 in Riv.Giur.Amb.,2007,360 ss con nota di commento di F.ORLINI, Ancora sulla legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste:quali limiti processuali e quali provvedimenti impugnabili.

[63] Cfr. in termini F. FONDERICO, op.cit., 437

[64] Sulla necessità di prendere in debita considerazione le varie alternative possibili sino all’opzione zero nel caso del Ponte sullo Stretto di Messina v. TAR Lazio, Sez. I, 31.05.2004 n. 5118 in Riv.giur.edilizia, 2004, 2116 con nota di A. MILONE.

Cfr. sul punto anche TAR Lazio, sez. III, sent. 8.08.2006 n. 7098 in www.lexitalia.it, secondo cui in presenza di una norma legislativa che dichiari un’opera di “preminente interesse nazionale”, non è contestabile in via di principio all’Amministrazione di avere omesso di ponderare l’utilità dell’opera stessa, e cioè la c.d. opzione zero, in quanto quest’ultima richiederebbe una disapplicazione del dato legislativo, che per converso già accerta e comporta la rispondenza dell’infrastruttura agli interessi della collettività, vincola tanto l’Amministrazione quanto il Giudice ed esige, finchè vige, di essere rispettato ed attuato al pari di ogni altra manifestazione di volontà legislativa.

[65] E’ noto, del resto, l’orientamento della Corte Costituzionale secondo cui gli interessi ambientali, paesaggistico-territoriali, tutelati dall’art. 32 e 9 Cost., vadano ritenuti prevalenti rispetto all’efficienza (e quindi alla semplificazione) dell’azione amministrativa, tutelata dall’art. 97 e rispetto all’iniziativa economica pubblica e privata di cui all’art. 41 Cost.: cfr. Corte Cost. 10.03.1988 n. 302; Id. 27.07.1989 n. 459, Id. 30.12.1987 n. 617; Id. 28.05.1987 n. 210. Sul punto V.P ARISIO, Tutela dei valori ambientali, paesaggistico-territoriali e semplificazione dell’azione amministrativa alla luce della L.7.08.1990 n. 241, in Riv.giur.edilizia, 1991, II, 21 e ss.

[66] Cfr. E.B OSCOLO, La VIA “accelerata” per le grandi opere: l’interesse ambientale quale limite alla semplificazione, in Urb. e Appalti, 2003, secondo cui la compressione dell’interesse alla tutela dell’ambiente non sarebbe ammissibile neanche nell’ipotesi in cui la realizzazione delle opere di interesse strategico fosse da individuare come mezzo di crescita economica. V. inoltre O.M. CAPUTO, La riforma del Titolo V della Costituzione, interesse nazionale e “legge obiettivo”, in Urb. e Appalti, 2002, 629,secondo cui la L. n. 443 del 2001 “è espressione dell’attuale linea politica di stampo liberista, dove gli investimenti pubblici, oltre che destinati allo sviluppo delle infrastrutture, sono strumentalmente finalizzati al rilancio dell’economia nella fase congiunturale di stagnazione della domanda”.

[67] Così E. BOSCOLO, La VIA silenziosa: diritto e processo speciali per l’ambiente, in Urb. e Appalti, 2005, 1214 e ss.

[68] L’art. 5  lett. q) individua nell’autorità competente “la pubblica amministrazione cui compete l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del parere motivato, nel caso di valutazione di piani e programmi, e l’adozione dei provvedimenti conclusivi in materia di VIA, nel caso di progetti”

[69] Nell’ avviso sono indicati il proponente, l’oggetto, e la localizzazione prevista per il progetto, il luogo ove possono essere consultati gli atti nella loro interezza ed i tempi entro i quali è possibile presentare osservazioni.

[70] L’autorità competente dovrà poi esercitare un controllo sull’osservanza delle prescrizioni impartite in sede di verifica di assoggettabilità secondo le modalità indicate dall’art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 4/08.

[71] A norma del comma 7 dell’art. 20 il provvedimento di assoggettabilità è pubblicato a cura dell’autorità competente mediante sintetico avviso sulla G.U. ovvero sul B.U.R. ed in versione integrale sul sito web dell’autorità competente.

[72] L’art. 5 D.Lgs. n. 4/08 lett.n) definisce tale il provvedimento di verifica adottato dall’autorità competente a conclusione della verifica di assoggettabilità.

[73] In tal senso Corte Giust., sent.10.06.2004, causa C-87/02, in Riv.giur.Edil. 2004, I, 1843.

[74] A. ROMANO TASSONE, Motivazione nel diritto amministrativo, in Dig.Disc.Pubbl.App., 1997, 683; G. CORSO, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc.Dir., Agg.V, Milano, 2001, 785 secondo cui “il destinatario (della motivazione) coincide con la comunità dei cittadini nei cui confronti la motivazione assolve una funzione democratica, di messaggio indirizzato a tutti a giustificazione della non arbitrarietà e adeguatezza della decisione”.

[75] TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 6.04.2005 n. 548 in Urb e App., 2005, 1211 e ss., con commento di E. BOSCOLO.

[76] Questo è il fondamentale principio affermato dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza  10.06.2004, C-87/02, in Riv.giur.Edil., 2004, I, 1843

[77] In termini, E. BOSCOLO, La VIA silenziosa: diritto e processo speciali per l’ambiente, in Urb. e App., 2005, 1214 e ss. Secondo l’A., la sentenza del collegio calabro citata, “in una stagione in cui il silenzio-assenso viene generalizzato ed assurge a forma tipica di conclusione del procedimento (peraltro con esclusioni espresse che riguardano proprio la materia ambientale e la sussistenza di vincoli comunitari), rafforza l’idea che sia configurabile un diritto amministrativo speciale riservato alla materia ambientale. (…) Si tratta di una serie di previsioni normative che, nel loro insieme, finiscono per determinare una sottolineatura particolarmente forte dell’interesse ambientale ed una sorta di plusvalore dell’amministrazione di tale interesse. Le riflessioni che si sviluppano in campo ambientale dovrebbero perlomeno spingere nella direzione della riaffermazione del principio secondo cui sull’amministrazione –anche nei casi di silenzio-assenso-  grava sempre un rigoroso dovere di provvedere; la generalizzazione del silenzio- assenso potrebbe invece ridare spazio all’argomento secondo cui in questi casi il dovere cederebbe il campo ad un mero onere di provvedere”

[78] In termini Cons. Stato, Sez. IV, 14.05.2004 n. 3116 in Foro amm. –Cds-, 2004,1374. Così anche Cons. Stato, Sez. IV, 2.10.2006 n. 5670 cit. secondo cui la valutazione di impatto ambientale deve prendere in considerazione, oltre ad elementi di incidenza propri di ogni singolo segmento dell’opera, anche le interazioni indotte dall’opera complessiva sul sistema ambientale, che non potrebbero essere apprezzate nella loro completezza se non con riguardo anche agli interventi che, ancorché al momento non ne sia prospettata la realizzazione, saranno posti in essere successivamente per garantire la piena funzionalità dell’opera stessa.

7.05.2004 n. 2874 in Riv.giur. Amb., 2004, 898 ss con nota di A.L. DE CESARIS e A. DE LUCA, Problemi vecchi e nuovi in materia di VIA; Cons. Stato, Sez. VI, 18.06.2004 n. 4163; Cons. Stato, Sez. VI, 28.09.2001 n. 5169 in Foro It., 2002, III, 280 ss. con nota di A.MILONE; TAR Lazio, Sez.Latina, 16.12.2002 n. 1456 in Riv.giur.Amb., 2003, 589 ss. con nota di G.LANDI. Cfr.inoltre la circolare del Ministero dell’Ambiente del 7.10.1996 n.GAB/96/15208 in Urb.e App., 1997, 505 con nota di L. GHEDINI FERRI, “V.i.a.:brevi rilievi sulle circolari del Ministero dell’Ambiente, per cui la v.i.a. prende in considerazione tutti gli effetti di un’opera sull’ambiente e quindi anche quelli derivanti dalla realizzazione differita di opere funzionalmente e strutturalmente connesse al progetto. Contra Cons. Stato, Sez. VI, 22.11.2006 n. 6832 in Riv.Giur.Edil., 2007, 623; Cons. Stato, Sez. IV, 28.04.2006 n. 2411 in Riv.Giur.Edil., 2007, 170; Cons. Stato, Sez. VI, 16.03.2005 n. 1102 in Riv.Giur.Edil.,2005, 1200. Per un esame critico di tale orientamento pretorio di rimanda a A. MILONE, In merito ad alcune questioni cit., 644.

Per le esposte ragioni è pacificamente riconosciuta come illegittima, in quanto contraria alla direttiva n. 85/337/CEE l’artificiosa suddivisione del progetto di un’opera al fine di evitare la sottoposizione dello stesso alla valutazione di impatto ambientale che sarebbe invece obbligatoria per l’opera nella sua interezza. Così Cons. Stato, Sez. IV, 2.10.2006 n. 5760 cit.; TAR Veneto, I, 30.05.2005 n. 2234 in Riv.Giur.Amb.,2006, 112 con nota di G. LANDI; TAR Friuli Venezia Giulia, 22.05.2004 n. 296, in Riv.Giur.Amb., 2006, Suppl.giur.,242; Cons.Stato, sez.VI, 30.08.2002 n. 4368 in Foro It., 2004, III, 100 ss, con nota di R. MONTANARO e in Riv.giur.Edil., 2003, 158 ss, con nota di A. MILONE, Valutazione di impatto ambientale regionale. Impianto di gestione rifiuti e porto turistico. Tale conclusione, alla quale la giurisprudenza è  pervenuta in tutti i casi in cui le norme in materia di VIA prevedevano una soglia dimensionale minima, costituisce, all’evidenza, un corollario del principio per cui la valutazione di impatto ambientale necessita di una considerazione in termini concreti ed unitari dell’opera, “ostante alla possibilità che, con un meccanismo di stampo elusivo, l’opera venga artificiosamente frazionata in frazioni eseguite in assenza della valutazione perché, isolatamente prese, non configuranti interventi sottoposti al regime protettivo”: in termini Cons. Stato, Sez. VI, 30.08.2002 n. 4368, cit., secondo cui la circostanza che l’Amministrazione comunale abbia sottoposto alla verifica regionale la parte di immediata realizzazione non toglie che l’opera nel suo complesso, anche per la parte di eventuale realizzazione successiva, necessiti della valutazione; lo sviluppo dell’iter procedimentale metterebbe anzi a nudo le possibilità di elusione che il meccanismo del frazionamento presenta.

Anche la questione pregiudiziale che dovrà affrontare la Corte di Giustizia per effetto dell’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato n. 6836/2006 cit. va inquadrata nell’ambito della tematica generale del frazionamento del progetto di opera pubblica ed impone di stabilire quando si sia realmente in presenza di un frazionamento e a quali condizioni esso debba considerarsi, in concreto, artificiosamente finalizzato all’elusione delle norme comunitarie che trovano applicazione in ragione della rilevanza dell’opera sotto il profilo ambientale: si rinvia sul punto a A. TEMPESTA, La V.I.A. italiana dinanzi alla Corte di Giustizia cit., 177 ss.

La giurisprudenza amministrativa ha peraltro indicato come il frazionamento dell’opera sia legittimo e frutto di una scelta di carattere discrezionale nel caso in cui non sottragga i singoli lotti all’obbligo della valutazione di impatto ambientale: in tal senso v. Cons. Stato, Sez. VI, 17.09.2001 n. 4876 in Foro It., 2002, III, 280 con nota di A. MILONE e 4.01.2002 n. 34 in Riv.Giur.Edil., 2002, I, 713.

[79] Così Cons. Stato, Sez. VI, sent. 31.01.2007 n. 370 in www.giustizia-amministrativa.it. Principio conforme da ultimo a Cons. Stato, Sez. VI, 22.11.2006 n. 6831 e n. 6832 cit. che enucleano la regola generale secondo cui la rinnovazione della v.i.a. si impone solo allorché le varianti progettuali determinino la costruzione di un manufatto significativamente diverso da quello già esaminato, richiedendosi a tal fine modificazioni sostanziali, tali cioè da determinare un impatto sull’ambiente ulteriore e distinto rispetto a quello già accertato in sede di prima verifica di compatibilità; Cons. Stato, Sez. VI, 4.04.2005 n. 1462, in www.giustizia-amministrativa.it, nella quale il giudice amministrativo afferma che la ratio della normativa di derivazione comunitaria sulla valutazione di impatto ambientale, nella misura in cui impone l’attualizzazione della valutazione in relazione ai fattori di rischio concretamente legati l’attività da svolgere, non consente di annettere valore esimente ad un’autorizzazione cornice quante volte, per effetto di successivi provvedimenti confortati da una nuova base progettuale, venga consentita in’attività caratterizzata da profili sostanzialmente innovativi non oggetto della disamina originaria; Cons. Stato, Sez. V, 30.10.2003 n. 6759; Cons. Stato, Sez. VI, 28.09.2001 n. 5169, TAR Piemonte, Sez. II, 30.11.2001 n. 2213. Sul punto si veda anche il contributo di P. BRAMBILLA, La valutazione di impatto ambientale e l’apporto giurisprudenziale alla definizione e applicazione dell’istituto, in Riv.giur.Amb., 2002, 781 ss.

Il giudice amministrativo ha così sempre richiesto l’esperimento di una nuova VIA allorché le varianti a progetti definitivi per la realizzazione di un impianto di smaltimento di R.S.U. abbiano apportato modifiche (anche migliorative) o innovazioni radicali, tali da formare un atto nuovo rispetto all’originario progetto o allorché l’intervento di ampliamento di strutture portuali esistenti abbia previsto opere che, per entità e dimensioni, non potevano essere ritenute di semplice ampliamento, ma costituivano a tutti gli effetti realizzazione di un nuovo porto turistico. Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30.10.2003 n. 6759 in Riv.giur.Amb., 2004, 287 e ss.; Cons. Stato, Sez. VI, 28.09.2001 n. 5169, ivi, 2002, 538; TAR Piemonte, Sez. II,30.11.2001 n. 2213 in Foro amm., 2001 976.

Sul punto si veda anche il contributo di P. BRAMBILLA, La valutazione di impatto ambientale e l’apporto giurisprudenziale alla definizione e applicazione dell’istituto, in Riv.giur.Amb., 2002, 781 e ss. 

Ispirandosi all’orientamento comunitario che impone di prendere in considerazione l’insieme delle caratteristiche del progetto al fine di verificarne la necessità di sottoposizione o meno alla procedura di VIA, la giurisprudenza amministrativa ha poi richiesto la valutazione di impatto ambientale del progetto di massima di un impianto di pretrattamento dei rifiuti che, seppur in una fase successiva, prevedeva la destinazione di una sua parte quale area di smaltimento di rifiuti pericolosi, sulla base dell’assunto che la VIA debba consentire una valutazione anticipata dell’opera in tutta la sua complessità ed in tutte le sue implicazioni. V. in tal senso, per tutti, TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 27.01.1998 n. 97, in Riv.giur.Amb., 1998, 752

Ugualmente, in tema di porti turistici, partendo dal presupposto che in tale nozione rientrino non soltanto le opere a mare, ma anche quelle complementari da realizzare a terra, si è affermato che allorquando si va ad esaminare un progetto relativo ad un porto turistico (o ad un suo ampliamento) non si possa prescindere dal considerare tutto il complesso delle opere occorrenti, siano esse a mare ovvero a terra, tenendo conto altresì degli interventi che, ancorché al momento non ne sia prospettata la realizzazione, siano poi posti in essere per garantire la piena funzionalità del progetto stesso. L’opera deve essere quindi presa in considerazione nel suo effettivo funzionamento, indipendentemente dalla realizzazione in tempi diversi delle varie strutture di cui è composta. Così TAR Lazio, Latina, 16.12.2002 n.1 456 in Riv.giur.Amb., 2003, 589, con nota di G. LANDI.

Sulla VIA relativa a modifiche sostanziali e impianti esistenti v. altresì P. DELL’ANNO, Valutazione d’impatto ambientale, in R. FERRARA-P. VIPIANA, I “nuovi diritti” nello Stato sociale in trasformazione, Padova, 2002, 208

[80] Cons Stato, Sez. IV, 14.05.2004 n. 3116.

[81] Si ricordi la sentenza del 16.09.1999, in causa C-435/97, WWF c/ Provincia Autonoma di Bolzano in cui la Repubblica italiana aveva omesso di procedere alla disamina ambientale preventiva allorché autorizzava la ristrutturazione dell’aeroporto di Bolzano. La Corte di Giustizia ha ritenuto che anche nel caso di un aeroporto già utilizzato a scopi militari e accessoriamente a scopi civili, laddove si dovessero apprestare nuove opere per la sua conversione a scopi essenzialmente commerciali era necessario procedere conformemente alla direttiva n. 85/337/CEE e che la sottrazione a priori di un tale procedere contrastava con la citata normativa.

Nella causa C-392/96 del 21.09.1999, Commissione c/ Repubblica di Irlanda, la Corte accertava l’inadempimento dell’Irlanda in quanto aveva introdotto una normativa che, prevedendo soglie minime di esclusione, finiva per dispensare taluni progetti dall’obbligo di studio di impatto ambientale.

Nella causa C-150/97 del 21.01.1999, Commissione c/ Repubblica portoghese, la Corte di Giustizia ha accertato che il Portogallo, introducendo norme transitorie dirette a sottrarre determinati progetti dalla VIA, è contravvenuto agli obblighi imposti a livello comunitario.

Altro caso è quello tedesco (causa C-431/92 dell’11.08.1995) in cui veniva sottratto a priori alla disamina ambientale preventiva la costruzione di una centrale termoelettrica.

[82] R. FERRARA, Valutazione di impatto ambientale e principi della giurisprudenza comunitaria: è solo un problema di ragionevolezza, in Foro It., 2000, 265 e ss. Quella degli Stati membri nella trasposizione della disciplina comunitaria viene, dunque, a configurarsi come una vera e propria potestà discrezionale, in quanto tale sindacabile nel suo esercizio, allorché essa devii dai fini perseguiti dalla direttiva europea, non solamente da parte del giudice comunitario, ma anche da parte del giudice nazionale cui è riconosciuto il potere di applicare le pertinenti norme della direttiva a guisa di parametro della conformità delle misure nazionali d’esecuzione. Così Corte Giust.CE, sent. 24.10.1996, causa C-72/95, Aannemersbedriff P.K.Kraaijeveld.

Da segnalare altresì l’intuizione di una parte della dottrina (E. PICOZZA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, Torino, 1997, 204 e ss.) ad avviso della quale il diritto europeo avrebbe tra i propri fini ultimi quello di depotenziare ed impoverire la funzione di indirizzo politico in senso stretto degli Stati membri, riconducendo il potere discrezionale a potere vincolato o trasformando, comunque, il potere discrezionale puro in discrezionalità tecnica, riducendo in questo modo i margini di discrezionalità politico-amministrativa che, per tradizione, sostanziano la funzione di indirizzo politico degli Stati nazionali sovrani.

[83] Nella sentenza Kraijveld e a.c/ Olanda (C-72/95) del 24.10.1996, la Corte di Giustizia ha espressamente affermato che spetta agli organi dello Stato membro, nell’ambito delle loro attribuzioni, adottare tutti i provvedimenti necessari affinché i progetti siano esaminati per stabilire se siano idonei a produrre un impatto ambientale. Per gli stessi motivi, quando il suddetto potere discrezionale viene esercitato in forma astratta e per tipologie progettuali, è necessario verificare caso per caso se gli interventi pianificati possano incidere seriamente sull’ambiente circostante. 

[84] Tale distinzione, effettuata per la prima volta dall’Avv. Gen. Geelhoed nelle conclusioni presentate il 12.07.2001 nella causa C-24/99, Commissione c/ Germania, è stata ripresa e fatta propria anche dall’Avv.Gen. Ruiz-Jarabo Colomer nelle conclusioni presentate l’8.07.2004 nella causa C-87/02, Commissione c/ Repubblica italiana.

Anche nella sent. 16.09.1999, WWF c/ Provincia Autonoma Bolzano (C-435/97), il giudice comunitario ribadisce che “spetta agli organi dello Stato membro adottare, nell’ambito delle loro competenze, tutti i provvedimenti, generali o particolari, necessari affinché venga condotto un esame sull’idoneità dei progetti ad avere un notevole impatto ambientale e affinché, in caso di esito positivo di detto esame, venga effettuato uno studio dell’impatto ambientale del progetto”.

In particolare si segnala che nella causa C-87/02 Commissione c/ Repubblica italiana, decisa dalla Corte Giust. con sent. 10.06.2004, la censura che viene mossa allo Stato italiano si sostanzia proprio nell’aver omesso di compiere la prima delle operazioni descritte nel testo e cioè nel non aver previamente verificato se la costruzione della strada extraurbana in prossimità di Teramo richiedesse una valutazione di impatto ambientale. Avrebbe dovuto, in altre parole, l’autorità amministrativa competente procedere ad analizzare effettivamente, concretamente e dettagliatamente, le caratteristiche del “Lotto Zero” per verificare se tale progetto fosse idoneo o meno a produrre danni all’ambiente, in funzione della natura, della dimensione e dell’ubicazione dell’opera, conformemente ai criteri e agli elementi indicati nella normativa vigente in materia di VIA. Effettuata questa prima, prodromica valutazione, delle due l’una: l’Amministrazione avrebbe potuto ritenere di assoggettare il progetto alla valutazione d’impatto ambientale, avendo stabilito che l’intervento poteva incidere significativamente sull’ambiente; o avrebbe potuto escludere che il progetto (concretamente e complessivamente) esaminato, per le sue caratteristiche, potesse provocare danni all’ambiente, ma in tal caso la relativa decisione avrebbe dovuto essere accompagnata da un’adeguata motivazione.

[85] Cfr. ex plurimis  Corte di Giustizia sent. 29.04.2004, causa C-117/02, Commissione/Repubblica portoghese; Corte di Giustizia, sent.16.09.2004, causa C-227/0, Commissione/ Regno di Spagna; Corte di Giustizia, sent. 21.09.1999, Commissione/Repubblica irlandese.

[86] Coerenti con la rigorosa interpretazione della direttiva e, per riflesso, delle regole degli Stati membri offerta dalla Corte di Giustizia sono le conclusioni cui approda la giurisprudenza amministrativa italiana allorché richiede comunque l’assoggettamento del progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale qualora le caratteristiche dell’intervento dimostrino in concreto un impatto sull’ambiente importante, benché il progetto in questione astrattamente rientri in una delle ipotesi normative per le quali la V.I.A. non è obbligatoria. Secondo Cons. Stato, Sez. VI, 28.09.2001 n. 5169 in Riv.giur.Amb., 2002, 538 ss., con nota di E. CERIO, “ E’ alla luce di un simile criterio ermeneutico di fondo “, infatti, “ che vanno esaminati i fatti e intese le norme, secondo un principio interpretativo riportato, a livello comunitario, del genere di quello suggerito dalla nostra Corte Costituzionale nei rapporti tra legge e Costituzione, secondo cui fra più significati possibili va privilegiato quello che rende conforme la norma inferiore a quella superiore “.

A titolo esemplificativo è da registrare che in materia di rifiuti e di porti turistici si è spesso assistito al tentativo di sfuggire all’applicazione della V.I.A. mediante la presentazione di formali varianti per il recupero o l’ampliamento di strutture già esistenti e/o già autorizzate che, di per sé, sarebbero presuntivamente caratterizzate da un impatto ambientale limitato.

E tuttavia la giurisprudenza è sempre stata estremamente rigorosa in merito, escludendo che la riconduzione di un intervento alle ipotesi normativamente previste di esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale potesse essere effettuata in astratto, sulla base della mera lettera normativa e postulando sempre la concreta valutazione delle caratteristiche dell’opera al fine di stabilire se l’impianto o la struttura fosse capace in concreto di provocare un impatto ambientale serio.

[87] Cons. Stato, sez. VI, 17/02/2006 n. 671, in www.ambientediritto.it

[88] Cfr. sul punto Cass. SS.UU., sent. 16.04.2007 n. 8955 in Riv.Giur.Edil., 2007, 1266 ss. che attribuisce alla giurisdizione tributaria la controversia relativa alla prestazione pecuniaria imposta dall’art. 27 L. 30.04.1999 n. 136 al soggetto che richieda l’attivazione della procedura di valutazione di impatto ambientale al fine di ottenere l’autorizzazione a realizzare un’opera per la quale la legge preveda la conclusione positiva di tale valutazione. Secondo la Suprema Corte, infatti, la valutazione di impatto ambientale è un’attività pubblica il cui esercizio è strumentale al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di determinate opere e funzionale a garantire l’interesse della collettività a che l’esecuzione delle opere de quibus non comprometta l’assetto del territorio, ponendo in pericolo il rispetto del diritto all’ambiente costituzionalmente tutelato. “La procedura di valutazione di impatto ambientale, quindi, nonostante realizzi, se positivamente conclusa, anche un interesse del privato alla esecuzione dell’opera per la quale quella valutazione è richiesta, è principalmente intesa ad attuare un interesse pubblico (quello della conservazione dell’ambiente): sicchè la prestazione pecuniaria dovuta dal richiedente, determinata dalla legge nella quantità e nei presupposti, non si colloca all’interno di un quadro di corrispettività sinallagmatica, ma costituisce un’entrata dello Stato(…) funzionale alla copertura dei costi per l’esercizio di una pubblica funzione nell’interesse della collettività (prima ancora che per la erogazione di un pubblico servizio a vantaggio del privato richiedente)”.

[89] Premesso che il legislatore comunitario non ha voluto limitare i poteri degli Stati membri nell’ambito della determinazione delle modalità di consultazione del pubblico ma, al contrario, ha voluto riconoscere a questi un ampio potere discrezionale nella definizione delle dette modalità, secondo Corte di Giustizia C.E., sez. II, 9.11.2006, C-216/05, in Lexitalia.it non contrasta con la direttiva 85/337 una normativa nazionale che subordina la partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo di valutazione di impatto ambientale, al previo pagamento da parte dei cittadini stessi di una tassa (nella specie 20 euro), a condizione tuttavia che tale tassa non sia fissata a un livello tale da impedire alla detta direttiva di spiegare pienamente i suoi effetti, conformemente allo scopo che essa persegue. Ciò avverrebbe qualora, a causa del suo importo, una tassa fosse tale da costituire un ostacolo all’esercizio dei diritti di partecipazione derivanti dall’art. 6 della direttiva 85/337.

[90] A norma dell’art. 24, comma 9, qualora il proponente intende modificare gli elaborati presentati in relazione alle osservazioni, ai rilievi emersi nell’ambito dell’inchiesta pubblica oppure nel corso del contraddittorio con i soggetti interessati,ne fa richiesta all’autorità competente, indicando il tempo necessario che non può, in ogni cado, superare i 120 giorni. In questo caso l’autorità competente esprime il provvedimento di valutazione entro 90 giorni dalla presentazione egli elaborati modificati, ma se ritiene che le modifiche apportate siano sostanziali e rilevanti, deve disporre che il proponente curi la pubblicazione di un avviso a mezzo stampa secondo le modalità già descritte nei commi 2 e 3 dello stesso articolo. Disposizioni particolari sono a tale riguardo fissate nel caso in cui il proponente sia un soggetto pubblico.

[91] Entro il medesimo termine il Ministero per i beni e le attività culturali si esprime ai sensi dell’art. 26 D.Lgs.n.42/04 e negli altri casi previsti dal medesimo decreto.

[92] A norma dell’art. 26, comma 3, è facoltà dell’autorità competente richiedere al proponente entro centoventi giorni dalla presentazione dell’istanza, in un’unica soluzione, integrazioni alla documentazione presentata, con l’indicazione di un termine per la risposta che non può comunque superare i centoventi giorni; anche il proponente, può, di propria iniziativa, fornire integrazioni alla documentazione presentata. Ove l’autorità competente ritenga rilevante per il pubblico la conoscenza dei contenuti delle integrazioni, dispone, a cura del proponente, il deposito di una loro copia presso l’apposito ufficio dell’autorità competente e l’avviso dell’avvenuto deposito secondo le modalità di cui all’art. 24, comma 2 e 3. In tal caso chiunque, entro sessanta giorni, può presentare osservazioni aggiuntive, mentre il provvedimento di v.i.a. è espresso entro il termine di novanta giorni dalla trasmissione della documentazione integrativa. Non si procede all’ulteriore corso della valutazione, invece, nel caso in cui il proponente non ottemperi alle richieste di integrazioni o ritiri la domanda; in tal caso, l’interruzione della procedura ha effetto di pronuncia interlocutoria negativa.

[93] Cfr. ex ceteris Cons Stato, Sez. VI, 19.02.2003 n. 939

[94] Cons. Stato, Sez. VI, 18.05.2004 n. 3201 in www.giustizia-amministrativa.it

[95] Cons. Stato, Sez.VI, 20.04.2006 n. 2195 in www.LexItalia.it, 5, 2006.

[96] Cons. Stato, Sez. V, 3.06.1999 n. 621; Id., Sez. V, 19.09.2000 n.4844; Id. Sez. VI, 13.05.2003 n.2533 ; Id., Sez. IV, 10.06.2004 n. 3741.

[97] Cass. SS.UU., 27.04.2006 n.9591, in www.LexItalia.it, 5, 2006.

[98] Nell’ipotesi contemplata dall’art. 26, comma 3, il potere sostitutivo previsto dal comma 2 dello stesso articolo verrà invece ad essere esercitato decorso infruttuosamente il termine di trecentotrenta giorni dalla data di presentazione del progetto di cui all’art. 23, comma 1.

[99] In termini, TAR Veneto, Sez. I, 14.07.2000 n. 1350 in Riv.giur.Amb., 2001, 105, con nota di S. AMOROSINO, La rivincita del diritto sulla cattiva amministrazione: il TAR Veneto annulla la bocciatura delle dighe mobili contro l’”acqua alta”a Venezia. Conformi Cons. Stato, Sez. VI, 11.02.2004 in Riv.giur.edilizia, 2004, 1034 e ss. secondo cui spetta all’organo politico l’adozione della VIA relativa ad una centrale termoelettrica, in quanto il giudizio sui presupposti ambientali e sulle politiche energetiche nazionali impone una ponderazione complessa che coinvolge profili tecnici e profili di vera e propria opportunità che ben possono farsi rientrare nell’ambito dei poteri di indirizzo politico-amministrativo, eccedendo la mera attività gestionale; TAR Veneto, Sez. I, 26.06.2004 n. 2480 in Riv.giur.edilizia, 2005, 209 e ss. con nota di A. MILONE, Il TAR Veneto si pronuncia sul progetto Mose di Venezia, cui si rimanda anche per l’interessante disamina dell’ipotesi di conflitto tra Ministri nel procedimento di VIA.

[100] Cons. Stato, Sez. VI, 22.11.2006 n. 6831 in Riv.Giur.Amb., 2007 551 con nota di commento di L. FUMAROLA; Cons. Stato, Sez. VI, 30.01.2004 n. 316 in www.ambientediritto.it

[101] Cons. Stato, Sez. VI, 24.0.2005 n. 127 in www.ambientediritto.it

[102] La rilevanza nazionale o regionale dell’opera agli effetti della individuazione di competenza alla verifica di impatto ambientale va stabilita unicamente in ragione della dimensione geografica e dell’incidenza dell’intervento sulle componenti del territorio: così Cons. Stato, Sez. IV, 16.12.2003 n. 8234; Id., Sez. VI, 13.05.2002 n. 2572

[103] V. ex ceteris TAR Lombardia, Sez.I , 25.06.2003 n. 3511 in Riv.giur.amb., 2004, 104 con nota di G. LANDI.

Critico nei confronti di tale prospettazione è A. GANDINO, L’adozione dell’atto conclusivo della procedura di valutazione di impatto ambientale: un “problema” del dirigente o del ministro?, in Il Foro It., 2006, III, 276 e ss. cui si rimanda per gli opportuni approfondimenti.

[104] In tema, per tutti, F. GIAMPIETRO, Criteri tecnici o discrezionali nel c.d. giudizio di compatibilità ambientali? – Proposte di coordinamento della VIA con gli altri procedimenti autorizzatori, in Riv.giur.amb., 1995, 395 e ss.

[105] Così, in particolare, Cons. Stato, Sez. VI, 18.01.2006 n. 129 in www.ambientediritto.it: “Correttamente sono stati qualificati dai giudici di prima istanza come atti di alta amministrazione ….i provvedimenti con i quali le massime autorità dello Stato avevano provveduto…a rendere amministrativamente operativa la volontà politica di realizzare il programmato intervento autostradale. La natura indicata di alta amministrazione dei provvedimenti impugnati –trattandosi pur sempre di atti amministrativi, sia pure altamente discrezionali – non ne escludeva…la sindacabilità in sede giurisdizionale con riferimento ad eventuali vizi di legittimità per eccesso di potere”. 

[106] In termini, F. FONDERICO, Il riordino cit. 433 e ss.,

[107] Cfr. ex plurimis Cons.Stato, Sez.VI, 30.01.2004 n. 316; id., 11.02.2004 n. 548 in www.ambientediritto.it

[108] V. TAR Lazio, Sez. II bis, 10.10.2001 n. 8416 che sottolinea come “la determinazione conclusiva da esprimere deve essere basata sulle scelte progettuali di minore impatto sul territorio,ma anche su una valutazione comparativa finale, in ordine al grado di compromissione del territorio stesso che può essere considerata accettabile, in rapporto all’interesse per la realizzazione dell’opera”.

[109] A. GANDINO, op.cit., 278

[110] In termini A. GANDINO, op.cit., 280 secondo cui è ragionevole ritenere che la scelta politica non possa incidere immediatamente sulla valutazione (tecnica) ambientale, ma si collochi piuttosto esternamente ad essa, seppur entro l’ambito del procedimento principale. Secondo tale A., il giudizio di compatibilità (o incompatibilità) ambientale, proprio in ragione della sua connotazione specificamente tecnica, rimarrebbe, dunque, formalmente intangibile ad opera del decisore politico, ma potrebbe pur sempre essere sostanzialmente vanificato, restando “lettera morta”, qualora l’interesse ambientale fosse destinato ad essere sacrificato nell’ambito del giudizio di bilanciamento con altri interessi pubblici primari; scelta, quest’ultima, di cui l’organo politico si assumerebbe comunque la responsabilità di fronte alla collettività.

[111] Prima del D.Lgs. 4/08 già la c.d. “legge obiettivo” (L. 21.12.2001 n. 443) ed il relativo decreto attuativo (D.Lgs. 20.08.2002 n. 190) hanno previsto una specifica disciplina di v.i.a. derogatoria rispetto a quella ordinaria, assegnando al Ministro dell’Ambiente la competenza all’emanazione della valutazione di impatto ambientale e al CIPE l’adozione del provvedimento di compatibilità.

[112] Le considerazioni sono di A. GANDINO, op.cit., 279

[113] Corte Cost. 30.12.1987 n. 617; Corte Cost., 28.05.1987, n. 210.

[114] Su questo tema si rinvia, per i necessari approfondimenti, a F. CINTIOLI, Giudice amministrativo, tecnica e mercato. Profili tecnici e “giurisdizionalizzazione”, Milano, 2005; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, cit., 1272; in materia di VIA cfr. F. FONDERICO, La tutela dell’ambiente, voce del Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, Milano, 2003, vol. II, 2098.   

[115] A. MILONE, Il sindacato giurisdizionale sulla valutazione di impatto ambientale, in Riv.giur.Amb., 2004, 985 e ss.

[116] Così Cons. Stato, Sez. IV, 9.04.1999 n. 601 in Foro it., 2001, III, 13-14 con nota di A.TRAVI. In tale pronuncia la IV Sezione ha chiarito che “il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici può svolgersi…in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì invece alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed al procedimento applicativo. Non è quindi l’opinabilità degli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione che ne determina la sostituzione con quelli del giudice, ma la loro inattendibilità per l’insufficienza del criterio o per il vizio del procedimento applicativo”. Nello stesso senso Cons. Stato, Sez. VI, 10.03.2004 n .1213 in www.giurisprudenza-amministrativa.it.

[117] Contra TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 6.04.2005 n. 548 in Urb. e App., 2005, 1211 e ss: nella logica del “sindacato forte” ed accedendo direttamente al fatto, tale pronuncia sostituisce in due passaggi topici l’amministrazione regionale che non aveva provveduto ad assoggettare alla procedura di VIA le opere di ampliamento di un porto turistico: nell’ affermare la sussistenza di un significativo impatto e nel ritenere che in concreto si ricadesse nell’area della necessaria sottoposizione alla procedura di VIA (“Le rilevanti dimensioni e la complessità strutturale dell’opera, che necessariamente amplificano gli effetti sull’equilibrio ambientale di strutture del genere, rende ragione del notevole impatto sull’ambiente che ha la stessa e della necessità di acquisire una valutazione degli effetti sull’ambiente che, a breve ed a lungo termine, potrebbe avere la realizzazione dell’opera progettata. Tale notevole impatto , in aderenza allo spirito ed alle finalità proprie della richiamata normativa comunitaria, fa sì che la valutazione di impatto ambientale assuma, nel caso di specie, carattere di indefettibilità, nonostante il fatto che, alla stregua delle richiamate norme interne, si siano verificati i presupposti per l’esclusione del progetto alla valutazione. In considerazione di ciò, si impone la disapplicazione delle norme di cui al D.P.R. 12.04.1996, che consentono, decorsi i termini indicati, di prescindere dall’acquisizione della VIA, in quanto, in base alle caratteristiche della fattispecie, la disciplina comunitaria avrebbe imposto l’effettuazione della valutazione. Ne discende l’illegittimità del provvedimento impugnato, contemplante, fra l’altro, l’approvazione del progetto esecutivo dei lavori(…) e l’aggiudicazione della licitazione privata(…) in quanto adottato in mancanza di valutazione di impatto ambientale). Per un interessante commento della pronuncia si rinvia a E. BOSCOLO, La VIA silenziosa cit, 1214 e ss.

[118] Cons. Stato, Sez. VI, 2.03.2004 n. 926, con riferimento al sindacato sulle valutazioni tecniche dell’Autorità Antitrust, che al pari degli apprezzamenti tecnici delle autorità preposte alla tutela dell’ambiente, sono riservate all’amministrazione in quanto relative ad interessi di rango primario.

In tema di sindacato sugli apprezzamenti tecnici delle amministrazioni deputate alla tutela dell’ambiente, v. A. MILONE, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente, nota a TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 25.11.2002 n. 2225, in Riv.giur.Edilizia, 2003, I, 1335 e ss. Nel senso che in tema di VIA il giudice “non può naturalmente sostituire la propria valutazione tecnica alla valutazione tecnica dell’amministrazione, dovendo il proprio sindacato sulle regole tecniche esercitarsi soprattutto in relazione a macroscopiche illegittimità ed incongruenze manifeste” anche Cons. Stato, Sez. VI, 30.01.2004 n. 316, in www.giurisprudenza-amministrativa.it

[119] Cons. Stato, sent. 30.01.2004 n. 316 cit; Cons. Stato, Sez. VI, 18.01.2006 n. 129 in www.ambientediritto.it

[120] In termini, Cons. Stato, Sez. V, 5.03.2001 n. 1247 pubblicata in Urb. e app., 2001, 866 e ss, con commento di M. PROTTO, La discrezionalità tecnica sotto la lente del g.a.. Conformi, ex plurimis, TAR Lazio, Sez. II bis, 5.07.2005 n. 5481; Cons. Stato, Sez. VI, 30.01.2004 n. 316; Id., Sez.V, 5.03.2001 n. 1207.

Cfr. altresì in proposito A. MILONE, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente, in Riv.giur.Edilizia, 2003, 1342 ss. e giurisprudenza ivi richiamata.

[121] Così A. MILONE, Il sindacato giurisdizionale sulla VIA, in Riv.giur.edilizia, 2004, 992. Conformi TAR Lazio, Sez. II bis, 10.10.2001 n. 8416 e TAR Sardegna, 12.03.2003 n. 296, in www.giustizia-amministrativa.it.

Ha invece ammesso la c.t.u. TAR Lombardia, Sez. Brescia, 7.08.2001 n. 689, in www.giustizia-amministrativa.it al fine di verificare se l’autorizzazione regionale per la realizzazione e gestione di un impianto di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, rilasciata a seguito della valutazione di impatto ambientale, fosse inficiata da difetto di istruttoria. Nella specie, il Tribunale ha disposto la consulenza tecnica “volta ad accertare, previo studio idrogeologico del sito con particolare riferimento all’analisi delle acque presenti nel sottosuolo della zona della discarica, la natura ed il peso specifico del fluff, nonché l’adeguatezza del fondo della discarica in relazione allo spessore delle geomembrane, alla massa complessiva del fluff e al sistema di drenaggio del percolato”.

[122] Così Cons. Stato, Sez. VI, sent.17.05.2006 n. 2851 in www.ambientediritto.it; Id., sent. 11.02.2004 n. 548.

[123] V. TAR Molise, 10.11.2003 n .874 in giurisprudenza-amministrativa.it secondo cui “le acquisizioni e le valutazioni tecniche compiute dall’amministrazione procedente, a meno che siano palesemente erronee o illogiche, non possono essere messe tra parentesi, né poste in dubbio dal giudice amministrativo, stanti i noti limiti del sindacato giurisdizionali in materia di discrezionalità tecnica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3.07.2002 n. 3637; Sez.VI, 7.02.2003 n. 648; Sez. V, 5.03.2001 n. 1247)”.

Sul punto si rinvia a A. MILONE, Il sindacato giurisdizionale cit. per i necessari approfondimenti.

[124] V. Cons. Stato, Sez. VI, 5.01.2004 n. 1 cit.

[125] cfr. per tutti TAR Veneto, Sez. I, 30.05.2005 n. 2234 in Riv.giur. Amb., 2006, 112 e ss.

[127] Così A. MILONE, Il sindacato giurisdizionale cit., 986; F. FONDERICO, La tutela dell’ambiente, voce del Trattato di diritto amministrativo a cura di S. CASSESE, Milano, 2003, vol. II, 2098.

[128] Così Corte Giust., sent.10.06.2004, C-87/02 cit.

[129] Cons. Stato, Sez. IV, 6.10.2001 n. 5287 in Foro It., 2002, III, 414 con nota di E. GIARDINO.

[130] Si ricordi, infatti, che in base al quadro normativo vigente in ambito comunitario gli Stati membri hanno l’obbligo, in sede decisionale, di valutare anche le principali alternative che, a tal fine, il proponente/committente deve individuare e motivare in sede di domanda.

[131] TAR Veneto, Sez. I, 30.05.2005 n. 2234, in Riv.giur.Amb., 2006, 112 e ss. con nota di G. LANDI la quale sottolinea l’interesse e l’importanza di tale sentenza soprattutto per l’indicazione di alcuni principi di carattere generale che devono ispirare l’attività pubblica ogniqualvolta la VIA concerne progetti che coinvolgono interessi di diversa natura ed hanno una incidenza rilevante sul territorio. I giudici richiamano infatti più volte l’attenzione sulla necessità di scelte strategiche e che le azioni  mirate alla pianificazione del territorio tengano conto di tutti gli attori coinvolti, mirando ad un reale e corretto bilanciamento dei vantaggi e degli svantaggi legati alla realizzazione del progetto proposto, consentendo una ponderata valutazione dei cambiamenti resi necessari dal progetto stesso. All’interno di tale quadro, le norme che regolano le procedure da seguire ed i competenti soggetti istituzionali da coinvolgere stabiliscono diversi obblighi, tra cui, ad esempio, quello di tenere in considerazione le osservazioni del pubblico e degli altri soggetti terzi, ovvero quello di motivare compiutamente gli atti adottati. Tali obblighi rappresentano le garanzie minime che devono essere rispettate all’interno di procedure decisionali che impattano sull’assetto del territorio e sulla qualità della vita locale, come nel caso deciso. Le stesse norme, però, continua l’A., devono essere adattate al caso di specie e rese concrete mediante i contenuti e le valutazioni effettuate all’interno di tali procedure. In altri termini, la non contraddittorietà degli atti e la motivazione delle decisioni assunte non possono essere considerati come meri adempimenti formali ai sensi di legge, ma devono essere sostanziati all’interno di ciascuna procedura con adeguati ed opportuni contenuti. Solo così è possibile dimostrare che la strategia di sviluppo del territorio si basa su un’effettiva analisi dei bisogni e delle peculiarità locali, e non su scelte di parte. Il TAR Veneto, conclude l’A., invoca, all’interno del testo della sentenza, la necessità di una democrazia sostanziale che deve essere rispettata in ogni atto parte di un procedimento volto ad autorizzare la modifica dell’attuale assetto sociale, economico o ambientale e che deve essere garantita attraverso un’attenta analisi delle condizioni e degli interessi in gioco e con il pieno rispetto degli obblighi e principi previsti dalla normativa.

Per completezza di esposizione è tuttavia da segnalare che la sentenza del TAR Veneto n. 2234/2005 in commento è stata riformata dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con la decisione n. 129/2006 cit. che, ritenuta la pronuncia appellata come “scaturita da una aprioristica opzione (di merito) di dichiarata contrarietà all’esecuzione dell’opera pubblica”, ha giudicato fondata, tra le altre, la censura dedotta dalle parti appellanti “di sconfinamento, da parte dei giudici di prima istanza, dai limiti del sindacato a loro consentito, avendo gli stessi inteso censurare non già la conformità alla legge delle adottate determinazioni di alta amministrazione, ma il merito amministrativo delle stesse, quasi, poi, rivendicando il ruolo di tutore oggettivo del merito amministrativo cui competeva stabilire quali delle opere programmate dal Governo potessero (per la loro ritenuta indispensabilità o utilità) essere realizzate e quali, invece, non dovessero essere eseguite, perché prive di detti requisiti”.

[132] V. anche Cons. Stato, Sez. VI, 18.01.2006 cit..

[133] La previsione di prescrizioni che condizionano il giudizio positivo di compatibilità ambientale è stata già ritenuta dalla giurisprudenza amministrativa, in presenza di altri elementi, un indice della legittimità della VIA. Così ex plurimis Cons. Stato. Sez. VI, 5.01.2004 n. 1 e TAR Lazio, Sez. I, 31.05.2004 n. 5118, secondo cui la previsione di molteplici, analitiche e dettagliate prescrizioni, lungi dal costituire ex se indizio di una valutazione espressa a seguito di una istruttoria carente, va considerata come una garanzia di salvaguardia dei preminenti valori ambientali.

Sul punto v. funditus A. MILONE, Ponte sullo Stretto di Messina: la sentenza del TAR Lazio, in Riv.giur.edilizia, 2004, 2155.

[134] Così Sez. TAR Lazio, Sez. III, sent. 8.08.2006 n. 7098 in LexItalia.it; Cons. Stato, Sez. IV, 2.10.2006, 5760 in Riv.Giur.Edil. 2007, 360 con nota di F. ORLINI; Cons. Stato, Sez. VI, 18.01.2006 n. 129 cit.; Cons. Stato, Sez.I V, sent. 3.05.2005 n. 2136 in LexItalia.it.; Cons. Stato, Sez. IV, 22.07.2005 n. 3917 in Il Foro It., 2006, 402 ss con nota di A. MILONE la quale rileva come, secondo la giurisprudenza, è nel diritto-dovere dell’Amministrazione apporre al giudizio di compatibilità ambientale condizioni e prescrizioni finalizzate a garantire la conformità di un’opera alla normativa di settore e, pertanto, le prescrizioni di natura ambientale e paesaggistica, che comportano anche l’obbligo di monitoraggio del territorio devono essere considerate “come poste a tutela di superiori interessi”. Secondo la dottrina, invece, il potere dell’Amministrazione di apporre prescrizioni alle autorizzazioni ambientali è da ricondurre nell’ambito dell’esercizio delle potestà conformative che “non si limitano ad esprimere una mera efficacia permissiva nei confronti del soggetto e dell’attività considerata (autorizzazioni, licenze, ecc.), ma assumono soprattutto un valore di proposizioni prescrittive, intese come determinazione puntuale (cioè caso per caso) delle caratteristiche e delle circostanze, alle quali è sottomessa la situazione giuridica soggettiva “amministrata” dal provvedimento della pubblica autorità: in tali ordini singolari vengono fissati modalità, oneri, scansioni temporali di adempimento, ecc.”: v. P. DELL’ANNO, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2003, 138.

[135] Secondo TAR Sardegna, Sez. II, 3.10.2006 n.2 083 in Riv. Giur. Amb., 2007, 305 ss, con nota di R. TUMBIOLO, Impianti eolici:provvedimento autorizzativi e compatibilità ambientale, l’Amministrazione competente in materia di valutazione di impatto ambientale non sempre deve necessariamente esprimere una valutazione negativa, ma può, invece, dettare al soggetto proponente prescrizioni e condizioni atte a consentire l’approvazione del progetto proposto; tuttavia, “questo non può comportare una totale inversione dei rispettivi ruoli, per il che l’iniziativa progettuale spetta comunque al privato, che ha l’obbligo, tra l’altro, di prospettare e analizzare soluzioni alternative, ivi compresa, al limite, una del tutto nuova, da sottoporsi sempre alla fase istruttoria e partecipativa”.

[136] In termini TAR Lazio, Sez. III, 8.08.2006 n. 7098 cit.

[137] Cfr.Corte Giust.CE, sent. 16.03.2006 C-322/04 in www.ambientediritto.it


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