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n. 4/2005 - ©
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MATTEO VAGLI
La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati tra evoluzione giurisprudenziale e novità legislative
SOMMARIO: 1.– Introduzione. 2.– La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati: posizioni giurisprudenziali. 3.– Novità legislative. 4.– Conclusioni.
Dopo 15 anni dalla sua entrata in vigore il legislatore ha posto mano, con apposita legge, alla riforma della disciplina del procedimento amministrativo.
Se le modifiche legislative precedentemente effettuate sulla legge 241/90 erano state occasionali e contenute in leggi aventi un oggetto più ampio, la legge 11 febbraio 2005 n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa” nasce all’interno di un esigenza specifica tesa a tradurre in disposti legislativi i risultati che dottrina e giurisprudenza hanno raggiunto durante gli anni di applicazione dei vari istituti previsti nella legge e si colloca in un momento di costante e continua evoluzione delle norme che regolano sia l’organizzazione sia l’azione amministrativa, norme sempre più tese a garantire economicità, efficienza, pubblicità e trasparenza all’interno delle Pubbliche amministrazioni, anche in risposta all’esigenza di armonizzare le regole che presiedono alla cura di interessi pubblici così come richiesto dall’appartenenza all’ordinamento comunitario.
La parte innovativa più significativa della nuova legge è l’introduzione di un Capo IV bis inerente l’ “invalidità e l’efficacia del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso”.
In particolare, circa l’invalidità, il legislatore, oltre ad aver distinto tra nullità e annullabilità del provvedimento codificando le rispettive cause invalidanti, ha distinto, nell’art. 21 octies, all’interno dell’annullabilità, la categoria dell’irregolarità che determina la validità del provvedimento nel momento in cui sia palese che, anche in caso di violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, il contenuto dispositivo del provvedimento stesso, per la sua natura vincolata, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il legislatore ha poi proseguito precisando che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Questa disposizione legislativa, che trova una sua eco anche all’interno del trattato comunitario laddove parla di violazione di forme sostanziali ( Art.230, comma 2 ), si pone al culmine di una evoluzione giurisprudenziale che ha analizzato a fondo il significato della comunicazione dell’avvio del procedimento e la conseguenza che la sua eventuale omissione produce.
2. La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati: posizioni giurisprudenziali.
Gli istituti previsti dall’art. 7 e ss della Legge 241/90 disciplinanti la partecipazione e la comunicazione di avvio del procedimento sono stati tra le novità più importanti all’interno della legge stessa in quanto hanno permesso un coinvolgimento del privato nell’esercizio della funzione amministrativa, nonché una possibilità di incidere, mediante proposizioni di memorie e documenti, sul contenuto del provvedimento stesso facendo venir meno la tradizionale unilateralità del potere amministrativo [1].
Data la loro importanza [2], si è da subito aperto in dottrina e giurisprudenza un ampio dibattito circa le modalità di applicazione dei suddetti istituti ai singoli procedimenti amministrativi e in particolare circa le eventuali cause di esclusione della comunicazione di avvio del procedimento per alcune tipologie di atti.
Del resto già l’art. 7 della legge pone una eccezione all’obbligo di comunicazione.
Come noto, si tratta dell’ipotesi di una particolare esigenza di celerità del procedimento, ovvero il caso in cui l’espletamento della formalità della comunicazione possa comportare un rallentamento nell’emanazione del provvedimento finale tale da compromettere gli obiettivi prefissati.
La giurisprudenza amministrativa ha interpretato questa disposizione in modo molto rigido sostenendo che non una qualsiasi urgenza poteva far derogare alla comunicazione di avvio ma soltanto una urgenza qualificata tale da non consentire il soddisfacimento dell’interesse pubblico cui il provvedimento è rivolto e attraverso una idonea motivazione che dia atto dei presupposti dell’ urgenza stessa [3].
Al di là di questa ipotesi prevista espressamente dal legislatore, da parte della giurisprudenza sono state elaborate ulteriori fattispecie in cui l’assenza formale della preventiva comunicazione non determina l’illegittimità del provvedimento finale adottato.
La ratio sottesa a tutte queste ipotesi di esclusione e che “ … l’avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art.7 L.241/90, come tutte le altre regole sulla partecipazione stabilite dalla legge stessa, non può essere applicato il modo acritico o formalistico, ma va letto alla luce dei criteri generali che governano tale azione ed individuano i contenuti essenziali del rapporto tra esercizio del pubblico potere e tutela della posizione del privato (ragionevolezza, proporzionalità, logicità ed adeguatezza) [4]….”
Una di queste ipotesi di esclusione della comunicazione di avvio del procedimento è quella inerente i provvedimenti vincolati.
Sul punto esiste una copiosa giurisprudenza che ha espresso posizioni variegate.
Secondo un primo orientamento la comunicazione di avvio del procedimento “va concepita non come mero strumento di instaurazione del contraddittorio, ma come mezzo idoneo a consentire una forma di partecipazione collaborativa dell’amministrato interessato, indirizzata alla determinazione concorsuale del contenuto del provvedimento, di cui, con intrinseco riferimento all’attività discrezionale dell’Amministrazione, viene esaltato il momento compositivo di interessi contrapposti; pertanto un tale onere non sussiste ove l’attività dell’Amministrazione si esaurisca nella mera adozione di un atto vincolato, quando cioè il processo valutativo sia privo di contenuti discrezionali e manchi una comparazione di interesse [5]”.
Il principio di fondo di questa interpretazione è che la comunicazione di avvio del procedimento e la relativa partecipazione del privato al procedimento stesso vanno viste come strumento di partecipazione collaborativa diretta ad arricchire l’istruttoria procedimentale: se quest’ultima non può essere arricchita la comunicazione e la partecipazione non hanno motivo di esistere; in altri termini si ritiene inutile la comunicazione nel momento in cui non presenta concretamente prospettive di vantaggio all’interno dell’iter procedimentale teso a creare un provvedimento finale completo ed esaustivo che tiene conto di tutte le molteplici sfaccettature ed interessi della situazione concreta; in questi casi le esigenze di garanzia e di trasparenza non sussistono e riprendono piena espansione i criteri di economicità e speditezza dai quali è retta l’azione amministrativa.
In stretto collegamento a questa posizione si è poi sviluppata un’altra impostazione che fa perno sul concetto del raggiungimento dello scopo di consentire la partecipazione: una volta che quest’ultima si è comunque realizzata, la comunicazione diventa superflua [6]; in altri termini se il soggetto interessato ha comunque acquisito “aliunde” la conoscenza del procedimento in tempo utile per realizzare l’eventuale partecipazione all’iter istruttorio, ossia in una fase idonea a consentirgli la prospettazione di fatti, documenti, memorie ed interpretazioni di cui la P.A procedente deve tener conto in sede di emanazione del provvedimento allora diventa superfluo effettuare la comunicazione formale dell’avvio del procedimento stesso.
Sempre legata alla suddetta posizione e sempre nell’ottica del raggiungimento dello scopo cui la comunicazione tende, altra giurisprudenza ha affermato che il legislatore “ …. si è premurato di apportare delle specifiche deroghe all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento con la conseguenza che negli altri casi deve in linea di massima garantirsi tale comunicazione, salvo che non venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità [7]”.
Queste impostazioni legate al raggiungimento dello scopo ponevano il delicato problema dell’individuazione del soggetto sul quale sarebbe gravato l’onere della prova in quanto per il cittadino sarebbe stata una vera “probatio diabolica” dimostrare che se avesse avuto conoscenza dell’avvio del procedimento e avesse, pertanto, avuto l’opportunità di intervenire avrebbe fatto cambiare idea all’amministrazione.
Diametralmente opposta all’orientamento che crea l’ipotesi di esclusione della comunicazione di avvio nei procedimenti vincolati è la posizione secondo cui quest’ultima deve essere sempre effettuata in quanto “ … la partecipazione del privato anche agli accertamenti che precedono provvedimenti vincolati può rilevare circostanze ed elementi tali da indurre l’Amministrazione a recedere dall’emanazione di provvedimenti restrittivi; non è pertanto da condividere la tesi secondo cui allorquando i margini di apprezzamento per l’amministrazione siano esigui si reputa inutile l’arricchimento che la partecipazione del privato comporta, in quanto si è comunque di fronte a provvedimenti necessitati[8]”
In quest’ottica la comunicazione e la partecipazione al procedimento vengono viste non tanto come strumento di arricchimento dell’istruttoria procedimentale ma come istituto teso a perseguire una gestione concordata del potere, ad evitare l’emanazione di provvedimenti “caduti dall’alto”: l’intervento del privato nel procedimento diventa in ogni caso necessario perché è funzionalizzato ad una gestione consentita del potere amministrativo che non va esercitato in forma unilaterale ma deve, appunto, essere cogestito, almeno sotto l’aspetto dell’informazione e dell’istruttoria procedimentale, con il privato interessato [9].
La partecipazione diventa quindi un valore in sé e si collega direttamente ad un principio di civiltà giuridica che non può essere sopraffatto da considerazioni di ordine pratico e propone un nuovo modello di agire amministrativo dove è preponderate il momento democratico del confronto e del dialogo.
In linea intermedia fra gli orientamenti finora esaminati, se ne è sviluppato un altro diretto a creare un ponte concettuale fra i due nel tentativo di superare gli sviluppi estremistici presenti nell’uno e nell’altro.
Secondo questa giurisprudenza “La comunicazione di avvio del procedimento va effettuata in presenza di atti vincolati, giacché la ragion d’essere della partecipazione si configura anche quando i presupposti del provvedimento da adottare richiedano comunque un accertamento nel cui ambito deve essere garantita al destinatario la possibilità di prospettare fatti ed argomenti in suo favore evitando in tal modo di incorrere, all’atto dell’adozione del provvedimento finale, in travisamenti e/o violazioni di leggi [10]”.
Questa ricostruzione pone in evidenza l’importanza della comunicazione e della partecipazione al fine di una migliore analisi dei presupposti di fatto del provvedimento vincolato e cerca di distinguere ulteriormente casi in cui la comunicazione stessa apporti una qualche utilità da quelli in cui essa crea soltanto un mero rallentamento all’attività amministrativa.
In sostanza la comunicazione di avvio del procedimento diventa superflua quando:
- l’adozione del provvedimento è doverosa (oltreché vincolata) per l’amministrazione;
- i presupposti fattuali risultano incontestati;
- il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza apprezzabili;
- l’eventuale annullamento del provvedimento finale per violazione dell’obbligo formale di comunicazione non priverebbe l’amministrazione del potere di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto.
In questo modo è vero che rieccheggia una concezione della partecipazione come istituto in grado di consentire un’analisi più approfondita e trasparente degli interessi coinvolti tale che se l’analisi non si profila necessaria perché i fatti e il quadro normativo di riferimento risultano pacifici ed incontestati la comunicazione di avvio del procedimento viene vista come superflua, ma è altresì vero che i presupposti in base ai quali ciò si verifica sono abbastanza ristretti e tali da considerare la partecipazione come valore in sé.
3. Novità legislative.
Dopo aver analizzato le varie posizioni della giurisprudenza e le diverse concezioni della comunicazione di avvio del procedimento ad esse sottese è interessante fare alcune osservazioni circa il nuovo disposto normativo dell’art. 21 octies della nuova legge 241/90.
Come già detto in premessa, il comma 2 di tale articolo distingue all’interno della categoria dell’annullabilità del provvedimento amministrativo la c.d. irregolarità che si verifica nel momento in cui, quand’anche sia avvenuta una violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, sia palese che il contenuto dispositivo del provvedimento per sua natura vincolato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Il legislatore è quindi giunto a codificare i risultati che dottrina e giurisprudenza avevano elaborato sulla teoria dello scopo e sulla attività vincolata senza, tuttavia, indicarne in modo esplicito i presupposti ma limitandosi a richiamare il concetto di “palese” quale situazione in grado di legittimare l’atto viziato nella sola forma.
Il comma 2 prosegue poi prendendo in considerazione proprio la fattispecie della mancanza della comunicazione di avvio del procedimento dicendo che tale ipotesi non genera comunque annullabilità del provvedimento qualora “l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
In primo luogo questa disposizione chiarisce una volta per tutte che in caso di mancanza di comunicazione di avvio del procedimento è l’amministrazione e non il cittadino a dovere dimostrare in giudizio che il provvedimento finale non sarebbe stato diverso.
Data questa precisazione legislativa, si evince che in tutti gli altri casi previsti dalla prima parte del comma 2 dell’art. 21 citato spetti comunque al cittadino e non all’amministrazione provare in sede di giudizio che “sia palese” che il contenuto del provvedimento non sarebbe stato diverso da quello in concreto adottato.
Pertanto il delicato problema che la teoria del raggiungimento dello scopo poneva circa l’individuazione del soggetto sul quale incombe l’onere della prova e che parte della dottrina diceva “essere inconcepibile che in capo al privato debba essere posto l’onere diabolico di dimostrare che se fosse intervenuto avrebbe fatto cambiare idea all’Amministrazione [11]”, viene risolto nel senso che soltanto se manca la comunicazione di avvio del procedimento l’onere della prova grava sull’amministrazione; in tutti gli altri casi grava sul privato cittadino.
Si può pertanto notare come il legislatore, da un lato, abbia optato per una concezione della comunicazione di avvio del procedimento funzionale al raggiungimento dello scopo di permettere una partecipazione utile, collaborativa, capace di arricchire l’istruttoria e di incidere sull’esito finale del provvedimento, da valutarsi per ogni singolo caso, dall’altro, abbia comunque riconosciuto, attraverso l’inversione dell’onere della prova previsto esclusivamente in questo caso, un particolare valore intrinseco all’istituto in questione da ricollegarsi al principio della garanzia del contraddittorio quale principio di civiltà giuridica e a un determinato modello di agire amministrativo dove le decisioni assunte devono essere, sia pur nel loro iter, partecipate.
In altri termini, i principi di economicità, speditezza, efficienza e efficacia che reggono l’agire amministrativo hanno reso la forma del procedimento funzionale alla sostanza, privilegiando (nel senso di presumerne la validità), in caso di difformità, quest’ultima sulla prima, ma ciononostante in caso di mancanza di comunicazione di avvio del procedimento e relativa mancanza di partecipazione del cittadino all’iter istruttorio è l’Amministrazione a dover dimostrare che nulla sarebbe cambiato e se non vi riesce allora il provvedimento diviene invalido sotto il profilo dell’annullabilità.
E’ altresì vero che in tal modo si viene a creare una situazione abbastanza strana in quanto è il cittadino che deve impugnare il provvedimento scaturente dal procedimento di cui non ha avuto notizia dell’avvio e portare in giudizio l’Amministrazione, ma è su quest’ultima che grava l’onere di dimostrare che il provvedimento è soltanto irregolare e non annullabile in quanto la comunicazione di avvio al ricorrente sarebbe stata meramente superflua.
Per capire meglio il valore che viene attribuito alla comunicazione dalla suddetta norma si può citare anche un altro articolo introdotto dalla legge di riforma.
L’attuale art. 10 bis della L. 241/90 prevede l’obbligo per l’Amministrazione di comunicare, prima dell’adozione formale del provvedimento negativo, i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza del privato. Quest’ultimo, dal ricevimento della comunicazione, ha un termine di 10 giorni per presentare per iscritto osservazioni eventualmente corredate da documenti. Nella motivazione del provvedimento finale, il cui termine di adozione viene interrotto dalla suddetta comunicazione, deve essere dato conto dell’eventuale mancato accoglimento delle osservazioni presentate.
Questa disposizione esalta il momento partecipativo e il principio del contraddittorio: addirittura alla fine della fase istruttoria e prima di emanare il provvedimento finale negativo, l’Amministrazione deve comunicare al privato i motivi ostativi alla sua richiesta affinché quest’ultimo possa sollevare eventuali osservazioni e questo in aggiunta al fatto che già durante la fase istruttoria egli avrebbe potuto presentare memorie o documenti a sostegno della propria richiesta in base all’art.10 della legge stessa.
Per sottolineare ancora di più l’importanza delle eventuali osservazioni addotte, si afferma esplicitamente che nel caso in cui queste non venissero accolte e fosse confermato il provvedimento negativo, del mancato accoglimento deve essere data ragione nella motivazione del provvedimento finale.
In questo caso i principi di efficienza, efficacia, economicità, speditezza dell’agire amministrativo lasciano il passo al principio della partecipazione, del contraddittorio considerati come valori in sé, come possibilità data al cittadino di partecipare alla decisione finale e di far valere il proprio punto di vista.
Bisogna, tuttavia, sottolineare che la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza non ha lo stesso trattamento giuridico che ha la comunicazione di avvio del procedimento in quanto una eventuale violazione dell’art.10 bis che introduce delle regole procedimentali, viene considerata, nei casi di attività amministrativa vincolata, causa di mera irregolarità ai sensi dell’art.21octies, comma 2 prima parte, e quindi spetta al cittadino dover dimostrare che le osservazioni che lui avrebbe potuto sollevare al termine della fase istruttoria e prima dell’emanazione del provvedimento finale avrebbero fatto cambiare idea all’amministrazione.
Pertanto è soltanto con l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento che agisce l’inversione dell’onere della prova e questo fatto testimonia ulteriormente l’importanza fondamentale che viene data all’istituto.
In altri termini, da una lettura contestuale dell’art.10 bis e dell’art 21 octies, entrambi introdotti con la legge di riforma, se, da una parte, il legislatore ha previsto, in determinati casi, una comunicazione ulteriore da fare al cittadino mostrando sensibilità verso un concetto di partecipazione più ampio tale da soddisfare esigenze garantistiche di contraddittorio, dall’altro ha sottolineato che soltanto nei confronti della omissione della comunicazione di avvio del procedimento si ha l’ulteriore “favor” dell’inversione dell’onere della prova ( sempre, ovviamente all’interno dei provvedimenti “per loro natura” vincolati!! ).
Questa conclusione va correlata anche ad un’altra novità introdotta dalla legge di riforma: all’interno dell’art.8, rubricato “Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento”, viene inserita, al comma 2, la lettera c-ter che indica come contenuto che la comunicazione deve avere nei procedimenti ad istanza di parte la data di presentazione della relativa istanza.
La giurisprudenza amministrativa si era espressa in modo abbastanza uniforme sulla superfluità della comunicazione di avvio del procedimento per quei procedimenti iniziati su istanza di parte, definendo la comunicazione “ …. una mera duplicazione di formalità [12]”, oppure “ …. un evidente duplicazione di attività, con aggravio dell’Amministrazione, non compensato da particolari utilità per i soggetti interessati [13]”.
In questi casi per il semplice fatto di aver presentato l’istanza, il cittadino è a conoscenza dell’apertura dell’iter procedimentale e della possibilità di partecipare al procedimento mediante produzione di documenti e memorie; viene, quindi, ritenuta superflua e inutile la comunicazione di avvio in quanto lo scopo cui essa tende è già stato raggiunto.
A fronte di questa posizione giurisprudenziale abbastanza univoca vi era parte della dottrina [14] che invece sottolineava l’importanza della comunicazione dell’avvio del procedimento anche nei procedimenti ad istanza di parte in quanto essa, ai sensi dell’art. 8, deve contenere una serie di informazioni che il cittadino istante non può conoscere quali l’indicazione dell’ufficio e della persona responsabile del procedimento, nonché dell’ufficio in cui è possibile prendere visione degli atti.
In questo senso la comunicazione non viene vista come inutile doppione o mera formalità, ma è funzionale a offrire al cittadino una serie di informazioni ulteriormente orientate ad agevolare la sua partecipazione all’iter procedimentale.
L’introduzione della lettera c-ter all’interno dell’art.8 sembra smentire la posizione della giurisprudenza e confermare quanto sostenuto dalla citata dottrina in quanto afferma la necessità di inserire nella comunicazione di avvio del procedimento richiesto da un cittadino anche la data di presentazione dell’istanza.
Corrobora questa impostazione anche l’inserimento della lettera c-bis che stabilisce che nella comunicazione deve essere indicata anche “la data entro la quale, secondo i termini previsti dall’art. 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione”.
Viene in tal modo ampliato il contenuto della comunicazione di avvio con l’indicazione sia del termine iniziale ( la data di presentazione della relativa istanza ) sia del termine finale che è variabile a seconda del tipo di procedimento e a seconda di come esso viene regolamentato dalla singola amministrazione.
Queste sono informazioni che il cittadino non può conoscere con la semplice presentazione della sua istanza e per questo motivo viene posto in capo all’amministrazione l’obbligo di comunicargliele.
E’ facile notare come sottesa a queste maggiori informazioni da rendere al cittadino ci sia una volontà di trasparenza e di pubblicità di ogni fase del procedimento e, conseguentemente, una volontà di agevolare il momento partecipativo visto come valore in sé, come garanzia che comunque sia possibile far sentire il proprio punto di vista.
Tuttavia, leggendo contestualmente il nuovo art. 8 e l’art. 21 octies comma 2, bisogna sottolineare che è la mancanza della comunicazione che genera l’inversione dell’onere della prova e non una comunicazione che difetta di uno dei contenuti previsti all’art.8: in questi casi è sempre il cittadino a dover dimostrare che vi è stata una violazione delle norme sul procedimento tale da cambiare il contenuto dispositivo del provvedimento finale.
4. Conclusioni
Al termine di queste brevi osservazioni, il dato significativo che emerge è che, anche dopo l’intervento legislativo, l’istituto della comunicazione di avvio del procedimento è sempre il crocevia di esigenze contrapposte.
E’ senza dubbio vero che il legislatore è giunto a codificare certi risultati acquisiti dalla giurisprudenza in merito al principio del raggiungimento dello scopo e alla creazione, per la natura vincolata del provvedimento, della figura della irregolarità quale causa non invalidante il provvedimento stesso per soddisfare esigenze di speditezza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa e di una prevalenza del contenuto sostanziale rispetto all’iter di formazione, ma è altrettanto vero che questi risultati non sono assoluti ma filtrati attraverso dei correttivi quali l’onere della prova in capo all’Amministrazione e l’allargamento del contenuto della comunicazione, che testimoniano l’esigenza di una maggior trasparenza e informazione possibile e di un “favor” verso una partecipazione più ampia e più consapevole.
Ciò che risulta certo è che sarà la giurisprudenza amministrativa a definire che cosa in concreto o l’amministrazione o il cittadino dovranno dimostrare affinché risulti “palese” che il contenuto del provvedimento non sarebbe cambiato a fronte di un intervento partecipativo.
Sarà, pertanto, la difficoltà di questa dimostrazione, soprattutto in capo all’Amministrazione, la cartina di tornasole che mostrerà la preponderanza verso esigenze garantistiche o verso esigenze di speditezza e celerità dell’azione amministrativa.
[1] Sulle finalità della partecipazione al procedimento si rinvia a “Il procedimento amministrativo – commento organico alla L.7 agosto 1990, n.241” di F. Caringella Cap.IV, pag. 91 e ss, Edizioni Giuridiche Simone 2002;
[2] L’innesto nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale è stato considerato come fatto più eversivo di quanto non fosse stato, all’inizio degli anni 60, l’inserimento della comunicazione giudiziaria all’indiziato e delle altre garanzie di difesa nel processo penale inquisitorio nel codice di procedura penale abrogato: così Consiglio di Stato Ad. Plen. 15 settembre 1999, n.14.
[3] Cons. di stato sez. IV 25 settembre 2000, n. 5061 dove si evidenzia che le ragioni di urgenza che giustificano l’omissione dell’invio dell’avviso del procedimento devono essere obiettive, concrete ed attuali e ciò al fine di non frustrare la ratio della norma.
[4] Cons. di Stato sez. V 7 aprile 2004, che richiama a sua volta Cons. di Stato sez. V n.2823/01
[5] TAR Lazio sez.II 489, 11 marzo 1997. Su questa posizione anche TAR Lazio, sez.III 17 giugno 1998; TAR Campania – Napoli, sez V 1 aprile 1999, n. 921, TAR Sicilia – Palermo, sez. II 7 novembre 1997, n.1719; Cons. di Stato, sez. IV 26 ottobre 1999, n.1625
[6] “ …la comunicazione di avvio è superflua quando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono necessariamente all’apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti” Cons. di Stato sez. IV, 18 maggio 1998, n.836. In questo senso si esprime anche Cons. di Stato sez. V, 7 aprile 2004, n.1969 precedentemente citata: “ l’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del procedimento è in funzione di garantire la partecipazione del privato all’attività amministrativa procedimentalizzata, per ivi svolgere attività difensiva e collaborativa, e quindi sussite nei soli procedimenti ex officio e per quelli in cui il destinatario non abbia avuto in altro modo conoscenza dell’attività amministrativa ….”
[7] Così TAR Campania, sez. III, 22 aprile 2004, n.7749; in questo senso anche Cons. di Stato, sez.VI, 7 febbraio 2002, n.686; TAR Sicilia, 28 gennaio 1998, n.74; TAR Puglia, Sez.I, 15 settembre 1997, n.546.
[8] Consiglio di Stato, sez.V, 23 febbraio 2000, n.948; Sulla stessa linea anche Cons. di Stato, sez. IV, 15 luglio 1999, n.1245; TAR Liguria, Sez.I, 27 maggio 1995, n.176
[9] Cfr. Caranta – Ferraris “La partecipazione al procedimento amministrativo”, Milano 2000
[10] Cons. di stato, Sez.I, 5 aprile 2000, n.286; in questo senso anche Cons. di stato Sez. VI, 29 maggio 2002, n.2972 secondo cui “ L’art.7 della L.241/90 si applica anche in presenza di atti vincolati, giacché la ragion d’essere della partecipazione si configura ancje quando i presupposti del provvedimento da adottare richiedano comunque un accertamento, configurandosi anche in questo caso l’interesse del privato a prospettare argomenti a suo favore.
[11] Così Caringella op. cit. pag.107-108
[12] Così Cons. di Stato sez. V 7 aprile 2004, n.1969, precedentemente citata. Si veda anche la nota 6.
[13] Così Cons. Stato sez.V, 2823/01 precedentemente citata; nello stesso senso si possono citare, tra le altre, Cons. di Stato sez. IV, 15 dicembre 2000, n.6687; Cons. di Stato, sez. VI, 12 dicembre 2000, n.6566; Cons di Stato, sez.VI, 19 luglio 1999, n.981.
[14] In questo senso A.Giraldo “La comunicazione di avvio del procedimento”, in Studium iuris, 1996; E. Casetta “Manuale di Diritto amministrativo.