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Articoli e note

n. 9/2005 - © copyright

ANTONIO VACCA

Risarcimento del danno da perdita di chance: ontologia di una fattispecie dalle connotazioni sfuggenti.

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La sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 297 del 10 maggio 2005 [1] offre lo spunto per affrontare una spinosa, quanto interessante, questione ricostruttiva, in ordine alla responsabilità risarcitoria della pubblica amministrazione. Si tratta della analisi qualificatoria del c.d. danno da perdita di chance e della conseguente problematica della risarcibilità di situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, aventi la consistenza di mere occasioni, possibilità o, rectius, utilità potenziali.

Nel multiforme e, talora, caoticamente sovrapposto panorama giurisprudenziale [2] e dottrinale [3] si possono individuare due orientamenti ricostruttivi che configurano la perdita di chance in modo apparentemente contrapposto.

Nella prima prospettiva, la perdita di chance è definita quale lesione irrimediabile della possibilità di conseguire un’utilità, riconosciuta, attribuita o, comunque, ammessa quale entità giuridica rilevante da parte dell’ordinamento; situazione potenziale a cui riconoscere, dunque, la natura di bene giuridico in sé e per sé, dotato di autonoma patrimonialità, il cui vulnus origina un danno specifico ed attuale da ricomprendere, ai fini risarcitori, “nell’alveo della nozione di danno emergente” [4]. In altri termini la chance sarebbe una posizione di vantaggio, patrimonialmente valutabile e giuridicamente rilevante, la cui lesione cagionerebbe un’attuale, definitiva e concreta diminuzione dell’integrità patrimoniale del soggetto titolare della medesima utilità potenziale [5].

Secondo tale ottica ricostruttiva la chance, in quanto si pone quale bene patrimoniale a se stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, deve essere distinto, sul piano ontologico, dagli obiettivi rispetto ai quali risulti teleologicamente orientata e di cui possa costituire la condizione o il presupposto in potentia. Ne consegue che la lesione della “entità patrimoniale chance” formerà oggetto di valutazione da parte dell’autorità giudiziaria, ai fini del riconoscimento di un risarcimento del danno, in termini di probabilità, definitivamente perduta, a causa di una condotta illecita altrui, senza dovere fare alcun riferimento al risultato auspicato e non più realizzabile ed alla consistenza del suo assetto potenziale.

Nella seconda prospettiva qualificatoria, invece, la perdita della chance o, rectius, dell’utilità potenziale è configurata come lucro cessante, ossia “la lesione diverrebbe risarcibile soltanto in una prospettiva condizionata: quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, la chance persa aveva notevoli possibilità di giungere a buon fine” [6]. La chance, allora, non ha una propria consistenza intrinseca ed autonoma, ma presenta piuttosto una natura ontologicamente strumentale e teleologicamente orientata, concretizzandosi in un mero supporto verso un obiettivo finale di cui costituisce un semplice presupposto causale, privo di rilevanza giuridica quale autonomo bene patrimoniale.

La dicotomia in parola, apparentemente, ingenera rilevanti ripercussioni sotto il profilo del sistema probatorio applicabile. In particolare con riguardo alla prima configurazione ontologica della fattispecie in esame, quanto alla consistenza dell’onere probatorio da raggiungere per conseguire il riconoscimento della pretesa risarcitoria per perdita di chance, sembra sufficiente dimostrare la semplice probabilità della chance, accompagnata dalla constatazione che il bene anelato è oramai irrimediabilmente perso e dall’accertamento del nesso eziologico fra la condotta e l’evento lesivo, consistente nell’elisione di quell’entità patrimoniale, avente autonoma rilevanza giuridica ed economica, rappresentata dall’utilità potenziale che si assume lesa.

Nell’ambito della seconda ricostruzione interpretativa, invece, pare necessario provare che la chance, irrimediabilmente persa, avrebbe assunto la consistenza o, rectius, avrebbe condotto al sorgere, ex novo, di un bene giuridico o di una situazione giuridica soggettiva di vantaggio, avente quest’ultima, e non la mera utilità potenziale da cui scaturisce, una propria rilevanza patrimoniale e giuridica, e ciò con un grado di verosimiglianza vicino alla certezza. In altri termini, nell’orientamento in parola, non basta dimostrare il nesso di causalità tra l’attività lesiva e la perdita della chance, già presupposta come esistente e giuridicamente rilevante, ove avente la consistenza di un’utilità potenziale, ma occorre anche provare che “un evento positivo per il danneggiato vi sarebbe comunque stato con rilevante probabilità, ove lo stesso non avesse subito il pregiudizio cagionato dalla condotta contra legem [7].

In realtà la contrapposizione fra le due posizione dottrinali e giurisprudenziali suesposte, sia sotto il profilo ontologico sia sotto il profilo dei conseguenti oneri probatori, deriva esclusivamente da una visione parziale della fattispecie risarcitoria in esame, che contrappone erroneamente, come blocchi distinti e reciprocamente incompatibili, i vari elementi costitutivi il danno da perdita di chance. E’ necessario, invece, procedere ad un’attività esegetica, che, dopo avere individuato gli elementi costitutivi della fattispecie in parola, li riconduca ad unità, in guisa da determinare una ricostruzione ontologica complessiva, uniforme e coerente.

In primo luogo si deve esattamente individuare l’ambito semantico-giuridico del termine chance, che costituisce la chiave di volta dell’ipotesi risarcitoria in esame. La parola chance deriva, etimologicamente, dall’espressione latina cadentia, che sta ad indicare il cadere dei dadi, e significa “buona probabilità di riuscita” [8]. Si tratta, dunque, di una situazione, teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio e caratterizzata da una possibilità [9] di successo presumibilmente non priva di consistenza. In particolare, trasponendo tale definizione in ambito giuridico, si può rilevare che, affinché un’occasione possa acquisire rilevanza giuridica, ossia ricevere tutela da parte dell’ordinamento, è necessario che sussista “una consistente possibilità di successo, onde evitare che diventino ristorabili anche mere possibilità statisticamente non significative” [10].

In altri termini la chance, ove si configuri quale mera possibilità di ottenere un risultato favorevole non è idonea ad assumere rilevanza per il mondo del diritto e dà vita ad un interesse di fatto, insuscettibile di ricevere tutela per la propria esigua consistenza [11].

Tale esito definitorio consente proficuamente ed agevolmente di riunificare i due orientamenti interpretativi esposti in precedenza, in quanto da un lato riconosce alla chance la qualità di bene giuridico autonomo, indipendente dalla situazione di vantaggio verso cui tende, dotato di per sé di rilevanza giuridica ed economica, in quanto elemento facente attivamente parte del patrimonio del soggetto che ne ha la titolarità; dall’altro lato, invece, attribuisce un rilievo decisivo all’elemento prognostico o, rectius, probabilistico, il quale è posto quale fattore strutturale e costitutivo, da accertare indefettibilmente al fine di riconoscere ad una mera possibilità la consistenza necessaria per rientrare nella nozione di chance e, dunque, per ricevere protezione da parte dell’ordinamento.

E’ decisivo, allora, distinguere fra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire l’utilità sperata (chance irrisarcibile). A tal fine bisogna ricorrere alla teoria probabilistica, che, nell’analizzare il grado di successione tra azione ed evento, per stabilire se esso avrebbe costituito o meno conseguenza dell’azione, scandaglia, fra il livello della certezza e quello della mera possibilità, l’ambito della c.d. probabilità relativa, consistente in un rilevante grado di possibilità. Nello specifico occorre affidarsi al metodo scientifico, che si sostanzia in un procedimento di sussunzione del caso concreto che si voglia di volta in volta analizzare sotto un sapere scientifico; ossia, quanto ai sistemi giuridici, sotto un sapere probabilistico, non sorretto da leggi statisticamente universali [12], ma pur sempre scientifico perché razionalmente fondato sulle conoscenze di una specifica scienza (quella giuridica) e, quindi, anch’esso attendibile.

Secondo tale metodo scientifico la verificazione dell’azione o della situazione fattuale esaminata quale condicio, certa o probabile, di un evento favorevole, va effettuata “secondo la migliore scienza ed esperienza”, ragion per cui si rende opportuno correggere quella consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, per cui “la concretezza della probabilità deve essere statisticamente valutabile con un giudizio sintetico che ammetta, con giudizio ex ante, secondo l’id quod plerumque accidit, sulla base di elementi di fatto forniti dal danneggiato, che il pericolo di non verificazione dell’evento favorevole, indipendentemente dalla condotta illecita, sarebbe stato inferiore al 50%” [13]. Non pare, infatti, corretto ricorrere al criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo, invece, necessario fare riferimento alla migliore scienza, ossia al più esauriente assetto gnoseologico in grado di fornire un giudizio il più possibile corretto e compiuto in ordine alla prognosi probabilistica circa il verificarsi o meno dell’evento vantaggioso preso in considerazione.

Occorre, poi, osservare che il parametro del 50%, oltre che di difficile utilizzazione, non sembra tenere conto del fatto che secondo la scienza statistica il grado di possibilità qualificabile come probabilità presenta una soglia costitutiva variabile da determinare caso per caso sulla base del concreto assetto della situazione esaminata.

Quanto finora enunciato deve, però, necessariamente, essere esaminato alla luce della peculiarità delle situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, proprie del diritto amministrativo, la cui probabilità di transitare dalla fase in potentia a quella in actu, requisito indispensabile per la configurabilità di una chance risarcibile, va verificata alla stregua  della consistenza dei poteri attribuiti dall’ordinamento alla pubblica amministrazione.

In altri termini, bisogna chiedersi se ed in che misura la discrezionalità amministrativa incida in ordine all’esito del giudizio prognostico in parola, ovvero con riguardo alla determinazione della consistenza e della rilevanza dell’utilità potenziale e, dunque, della sua concreta tutelabilità. Gli esiti di tale prognosi, infatti, si diversificano a seconda che il conseguimento della posizione di vantaggio, verso cui è teleologicamente orientata la chance, sia correlato ad un’attività vincolata, tecnico-discrezionale o discrezionale pura.

Nelle prime due ipotesi il giudice può, essendo la valutazione dell’amministrazione ancorata a parametri precisi e vincolanti, “sostituirsi” alla stessa, sia pure in modo virtuale e nella sola prospettiva risarcitoria e giungere così ad individuare il grado di possibilità di ottenimento, da parte del privato asseriamento leso, del bene della vita, irrimediabilmente perso che poteva scaturire dalla chance, senza che la natura dei poteri attribuiti alla pubblica amministrazione possano in alcun modo alterare l’esito prognostico.

Contrariamente, ove sia riconosciuta, in capo all’amministrazione, una potestà di natura discrezionale, tanto maggiori saranno i margini di valutazione rimessi alla pubblica amministrazione, tanto maggiore sarà l’alterazione del giudizio probabilistico, il quale in presenza di parametri valutativi elastici ed insindacabili, se non nei termini ristretti ed estrinseci della logicità e ragionevolezza, dovrà inevitabilmente rinunciare a riconoscere la sussistenza di un’apprezzabile probabilità di esito positivo e, dunque, di una chance risarcibile, onde evitare un’inammissibile e problematica surrogazione dell’autorità giudiziaria nei poteri dell’amministrazione. In altri termini la discrezionalità amministrativa elide, nella maggior parte dei casi, la stessa possibilità di compiere il giudizio prognostico in parola, indispensabile per poter configurare la fattispecie risarcitoria per perdita di chance.

A completamento dell’analisi degli elementi costitutivi dell’istituto in parola, occorre rilevare che è necessaria una lesione, concreta ed attuale, di una chance, individuata nella sua consistenza e rilevanza giuridica conformemente ai parametri in precedenza enunciati.

Tale lesione deve consistere nella perdita, definitiva, di un’occasione favorevole di cui il soggetto danneggiato si sarebbe avvalso con ragionevole certezza, ossia nella elisione di un bene, giuridicamente ed economicamente rilevante, già esistente nel patrimonio del soggetto al momento del verificarsi dell’evento dannoso, il cui valore, però, è dato dalle sue utilità future, ovvero dalla sua idoneità strumentale a far sorgere in capo al dominus dello stesso una data e specifica situazione di vantaggio. In particolare la condotta illecita deve concretarsi “nell’interruzione di una successione di eventi potenzialmente idonei a consentire il conseguimento di un vantaggio, generando una situazione che ha carattere di assoluta immodificabilità, consolidata in tutti gli elementi che concorrono a determinarla, in modo tale che risulta impossibile verificare compiutamente se la probabilità di realizzazione del risultato[14] si sarebbe, poi, tradotta o meno nel conseguimento dello stesso” [15].

L’evento dannoso deve essere, inoltre, imputabile alla pubblica amministrazione quantomeno a titolo di colpa, conformemente a quanto previsto in via generale in tema di responsabilità civile e risarcimento del danno. A tale riguardo occorre sottolineare che, secondo oramai consolidata giurisprudenza [16], l’illegittimità dell’atto attraverso cui si manifesta la condotta illecita non è sufficiente per fondare la responsabilità dell’amministrazione, ma è altresì necessario che l’agire della pubblica amministrazione sia connotato dall’elemento soggettivo della colpa, che non può essere considerato in re ipsa nella violazione della legge o nell’eccesso di potere estrinsecatesi nell’adozione ed esecuzione dell’atto illegittimo.

A conclusione di questa breve ricostruzione ontologica della fattispecie del risarcimento dei danni per perdita di chance, con particolare riguardo all’ipotesi in cui la lesione derivi da un provvedimento della pubblica amministrazione, sembra opportuno rilevare che, per quanto si venga a configurare la chance, quale autonomo elemento patrimoniale, giuridicamente rilevante di per sé, e, dunque, suscettivo di subire lesioni risarcibili, sempre che abbia una consistenza strumentale e probabilistica seria e significativa, nondimeno la sua tutela, nel concreto dispiegarsi dei rapporti giuridici, ove vengano in considerazione poteri discrezionali della pubblica amministrazione, risulta quasi del tutto annullata.

Infatti “a fronte della natura discrezionale del potere riservato all’amministrazione deve ritenersi inibito al giudice amministrativo, seppure ai soli fini del giudizio risarcitorio, accertare autonomamente ed incidentalmente la spettanza della positiva conclusione del procedimento diretto a far sorgere la posizione di vantaggio” [17], presente solo in potentia nella chance che si assume lesa.


 

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[1] La sentenza è stata pubblicata in questa Rivista, n. 5/2005, pag. http://www.lexitalia.it/p/51/tarbasilicata_2005-05-10.htm

[2] Ex multis v. Cass. 1 giugno 1993, n. 6109;Cass. 25 settembre 1998, n. 9598; Trib. Roma 22 aprile 1998; Cass. Sez. un. 22 luglio 1999 n. 500; TAR Lombardia 23 dicembre 1999, n. 5049; TAR Lombardia 14 gennaio 2000, n. 8; Consiglio di Stato sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239; Consiglio di Stato sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6281; Cass. 13 dicembre 2001, n. 15759; Cass. 14 dicembre 2001, n. 15810; Consiglio di Stato sez. V, 8 gennaio 2002, n. 100; Consiglio di Stato sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686; Cass. 18 marzo 2003, n. 3999; TAR Calabria 11 marzo 2004, n. 613; Consiglio di Stato sez. V, 3 agosto 2004, n. 5440; Consiglio di Stato sez. IV, 15 febbraio 2005, n. 478.

[3] Busnelli, Perdita di una chance e risarcimento del danno, in Foro italiano, IV, 47-52; Bocchiola, Perdita di chance e risarcimento del danno, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 1976, 55ss.; Monticelli, Responsabilità civile e perdita di chance: alcune considerazioni a margine dell’esperienza italiana e francese, in Giustizia civile, 2004, 295 ss.; De Cupis, Il risarcimento della perdita di una chance, in Giur. It., 1986, I, 1181; Alpa, Le aspettative e la perdita di chances, in La responsabilità civile, 1999, 514 ss.; Caporali, Alla ricerca della chance perduta, in Corriere giuridico, 1992, 1021; Pacces, Alla ricerca delle chances perdute: vizi e virtù di una costruzione giurisprudenziale, in Diritto della responsabilità civile, 2000, 659 ss.; Pontecorvo, La responsabilità per perdita di chance, in Giustizia civile, 1997, 447.

[4] Monticelli, Responsabilità civile e perdita di chance: alcune considerazioni a margine dell’esperienza italiana e francese, in Giustizia civile, 2004, 295 ss.

[5] A tal riguardo Monticelli parla di una prospettiva dinamica e diacronica per cui “il patrimonio personale del soggetto leso, prima e dopo l’attività lesiva della chance, non è identico; la perdita dell’utilità ha provocato una deminutio che prima non era sussistente e che inibisce o influenza in vario modo la realizzazione di auspicati vantaggi patrimoniali futuri”.

[6] Monticelli, Responsabilità civile e perdita di chance: alcune considerazioni a margine dell’esperienza italiana e francese, in Giustizia civile, 2004, 296.

[7] Monticelli, cit.

[8] Devoto- Oli, Dizionario della Lingua italiana, Firenze, 2003.

[9] E’ proprio il concetto di possibilità , nella sua gradazione quantitativa che progredisce fino alla sua trasformazione in probabilità, a rappresentare il criterio discriminatorio fra utilità potenziali dotate di concreta attitudine ed idoneità a consolidarsi in una situazione di vantaggio per il soggetto interessato e mere occasioni, prive dell’adeguata consistenza, atta a tradurle dallo stato in potentia a quello in actu.

[10] TAR Basilicata 10 maggio 2005, n. 297; ma v. anche Consiglio di Stato sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686; TAR Calabria 1 marzo 2004, n. 613 etc……

[11] Cass. 25 settembre 1998, n. 9598.

[12] Come nelle scienze a priori.

[13] V. ex multis, Consiglio di Stato sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686.

[14] Le quali devono, comunque, essere consistenti e serieuses.

[15] Consiglio di Stato sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945.

[16] Consiglio di Stato sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239; Consiglio di Stato sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6281; Consiglio di Stato sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169.

[17] TAR Calabria, sez. II, 11 marzo 2004, n. 613.

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TAR BASILICATA - POTENZA, sentenza 10-5-2005, n. 297, pag. http://www.lexitalia.it/p/51/tarbasilicata_2005-05-10.htm (sull’impossibilità di accordare il risarcimento per perdita di chance a seguito dell’annullamento della gara nel caso in cui non sia stata dimostrata anche la sussistenza di una consistente probabilità di successo).


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