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Articoli e note

n. 2/2005 - © copyright

VITO TENORE
(Magistrato della Corte dei conti
Professore presso la Scuola Superiore
dell’economia e delle finanze)

Responsabilità solidale della P.A. per danni arrecati a terzi da propri dipendenti: auspicabile il recupero di una nozione rigorosa di occasionalità necessaria con i fini istituzionali

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Sommario: 1. Premessa sulla responsabilità solidale della p.a. in caso di danni arrecati a terzi da pubblici dipendenti. – 2. L’elaborazione giurisprudenziale sulla occasionalità necessaria tra la condotta dannosa e i compiti d’istituto. – 3. L’occasionalità necessaria nei contenziosi risarcitori ex art. 2049 cc. nei confronti di datori di lavoro privati. - 4. Critiche all’attuale interpretazione giurisprudenziale dell’occasionalità necessaria e conclusioni.

1. Premessa sulla responsabilità solidale della p.a. in caso di danni arrecati a terzi da pubblici dipendenti.

Il patrimonio culturale che accomuna i giuristi appartenenti alle più diversificate carriere è rappresentato dai principi fondamentali del diritto elaborati, sulla scorta della lettura logico-sistematica del quadro normativo complessivo, dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Uno di questi principi, sui quali si sono formati molti operatori del diritto, è rappresentato da una nota puntualizzazione-limitazione afferente il peculiare regime della responsabilità civile verso terzi della p.a. a fronte di danni arrecati da un proprio dipendente, tematica sovente protagonista di contenziosi risarcitori, ma non adeguatamente esplorata nei pur numerosissimi studi in materia di responsabilità civile della p.a. [1]

Come è noto, a differenza della responsabilità per danno arrecato dall’”uomo della strada”, che ne risponde (di regola) in via personale ed esclusiva, qualora a produrre il danno sia il lavoratore pubblico, l’art.28 della Costituzione e l’art.22 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (non abrogato né disapplicato dalla c.d. privatizzazione del rapporto di impiego pubblico) sanciscono la corresponsabilità solidale diretta della p.a. ex art. 2043 c.c. (e non già indiretta ex art. 2059 c.c.) [2] in considerazione del rapporto di immedesimazione organica che lega il lavoratore al datore, che agisce necessariamente (e può dunque arrecare danni) tramite propri dipendenti [3], risultando inipotizzabile una visione antropomorfa della p.a. (che si muova nello spazio e nel tempo come un “omone” di Ascarelliana memoria producendo danni).

Tale regola subisce tuttavia una attenuazione logico-giuridica ad opera del predetto “principio generale” del diritto: la pubblica amministrazione può essere chiamata a rispondere di tali danni arrecati a terzi solo qualora il proprio dipendente li abbia arrecati nell’esercizio di compiti istituzionali o di compiti legati da “occasionalità necessaria” con compiti di istituto.

Trattasi di una doverosa limitazione, logica ancor prima che giuridica, alle sistematiche e crescenti evocazioni (e condanne) in giudizio della p.a., soggetto notoriamente più “solvibile” del proprio dipendente autore del danno arrecato a terzi, e, pertanto, raramente citato personalmente innanzi alla magistratura in sede risarcitoria, ferma restando la rivalsa dell’amministrazione innanzi alla Corte dei conti in caso di condanna, che, tuttavia, non sortisce quasi mai un reale recupero, con conseguente accollo in capo alla collettività dei danni risarciti dall’amministrazione e solo in minima parte refusi dal lavoratore [4].

La miglior dottrina [5] ha chiarito che tale “occasionalità necessaria” con compiti istituzionali viene meno qualora la condotta dannosa del dipendente sia frutto di comportamenti dolosi o egoistici e, in particolare, qualora questi si traducano in un illecito penale doloso, comportante, come tale, una cesura del rapporto organico con la p.a. che non può essere ritenuta corresponsabile di reati dolosi o di scelte (illecite, stravaganti, egoistiche) esclusivamente personali del lavoratore, in quanto il delinquere, almeno per la pubblica amministrazione (per alcuni enti privati, riconosciuti o meno, le conclusioni ….potrebbero non essere le stesse!), non è un compito istituzionale, ispirandosi le scelte pubbliche a principi costituzionali di liceità, ancor prima che di legalità e buon andamento della p.a.

Anche in altri ordinamenti, quale quello francese, la pubblica amministrazione non può essere chiamata a rispondere di faute personelle dei propri dipendenti, ma di soli faute de service [6].

Obiettivo di questo studio è quello di evidenziare come la magistratura, pur condividendo in via di principio tale approdo dottrinale, che ha contribuito essa stessa a creare e consolidare [7], così da farlo assurgere a “principio generale del diritto”, spesso, nelle concrete applicazioni, si discosta vistosamente dalla regola posta in via astratta, effettuando strappi applicativi nell’individuare la sussistenza della cennata occasionalità necessaria, che lasciano talvolta sconcertati non solo le parti in lite e i relativi difensori (soprattutto l’Avvocatura dello Stato, difensore istituzionale della p.a. in frequentissimi giudizi risarcitori), ma gli stessi studiosi e “addetti ai lavori” che, non limitandosi alla superficiale lettura della massima enunciante il corretto principio di diritto suddetto, estendano l’esame della sentenza alla applicazione del principio alla fattispecie fattuale sub iudice.

Tale lettura estensiva, in sede applicativa, della nozione di occasionalità necessaria da parte del giudice di legittimità, già in passato criticabile (giuridicamente) e pericolosa (per l’equilibrio finanziario della p.a.), è destinata a produrre devastanti ricadute sulle casse erariali a seguito del progressivo ampliamento del concetto di “danno risarcibile” operato dal legislatore [8] e dalla stessa giurisprudenza [9], della devoluzione al giudice amministrativo del contenzioso risarcitorio afferente proprie materie [10] e della (discussa) scomparsa della “pregiudiziale” amministrativa del previo annullamento dell’atto illegittimo rispetto alla connessa pretesa risarcitoria [11]. L’ampliamento del concetto di danno risarcibile, affiancato alla sistematica evocazione in giudizio della sola p.a. per danni cagionati da propri dipendenti potrebbe dunque comportare una più frequente evocazione in giudizio della p.a., circostanza che richiederà una più attenta valutazione dei presupposti logico-giuridici per una sua condanna.

2. L’elaborazione giurisprudenziale sulla occasionalità necessaria tra la condotta dannosa e i compiti d’istituto.

         Venendo alla disamina dei principali pronunciamenti dell’ultimo ventennio della Corte di Cassazione e di qualche altro organo giudicante sul rapporto di occasionalità necessaria tra condotta dannosa verso terzi del dipendente pubblico e compiti di istituto, può operarsi uno schematico richiamo alle più recenti decisioni che hanno fatto concreta applicazione della portata applicativa di tale legame.

a) Innanzi al giudice amministrativo è stata vagliata la illiceità (dolosa o gravemente colposa) dei comportamenti di dipendenti pubblici nell'attività di controllo e di contabilizzazione da parte di una impresa esecutrice di lavori di ristrutturazione del porto di Bari, la quale aveva effettuato false contabilizzazioni non riscontrate dalla PA, che aveva portato alla successiva rescissione del contratto con l’impresa esecutrice e l’adozione del fermo amministrativo da parte della PA creditrice nei confronti della stessa con pretesa alla restituzione di quanto indebitamente versato per lavori non eseguiti e contabilizzati oltre al risarcimento danni. L’impresa appaltatrice tenuta a restituire e risarcire ha eccepito la corresponsabilità della PA nei fatti (incidente sul quantum da risarcire, ma non su quantum da restituire da parte dell’impresa) per il mancato controllo da parte di suoi funzionari sulle contabilizzazioni.

Il Consiglio di Stato [12] ha rilevato che “i comportamenti illeciti tenuti da funzionari ed organi dell'amministrazione, ove eventualmente riconducibili a fattispecie penali, ad illeciti commessi con dolo sono suscettibili di interrompere, nella prospettiva tradizionale di ricostruzione della responsabilità della civile della p.a., il nesso organico, con conseguente impossibilità di ritenere concretato un concorso del creditore nel fatto colposo causativo di danno. Per ipotizzare una responsabilità civile della p.a. in presenza di dolo (ammessa dopo la sentenza n. 500/1999 da una corrente giurisprudenziale ben rappresentata da Cass., sez. III, 26 giugno 1998, n. 6334 secondo cui in virtù del principio dell'immedesimazione organica gli atti compiuti dagli organi della p.a. sono imputabili direttamente all'amministrazione stessa; ne consegue che l'atto amministrativo formalmente imputabile ad un organo collegiale (nella specie, al consiglio comunale), ove lesivo dei diritti dei terzi, obbliga l'amministrazione al risarcimento del danno, a nulla rilevando che il danno del terzo fosse stato dolosamente preordinato dalle persone fisiche che hanno materialmente deliberato l'atto) è necessario effettuare una complessa valutazione di occasionalità necessaria tra comportamento criminoso e mansioni sulla quale non sono stati forniti elementi univoci. In proposito il Collegio ritiene, in adesione ad una tesi intermedia, che, ai fini della responsabilità diretta dell'amministrazione, il fatto doloso del funzionario non è necessariamente non riferibile alla p.a., dovendo ritenersene al contrario la riferibilità allorché sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il comportamento dell'impiegato e le incombenze allo stesso affidate: nesso che va accertato considerando non solo lo specifico comportamento dell'impiegato pubblico costituente abuso, ma il complesso dell'attività nella quale esso si riferisce (Cass., sez. III, 14 maggio 1997, n. 4232). Nella specie non è chiarito neanche dall'appellante se le condotte dei funzionari siano dovute a colpa grave (che non interrompe il nesso organico) o dolo (che può interromperlo in caso di non riferibilità dell'azione, per la sua palese abnormità, all'amministrazione) e sono ancora in corso i procedimenti penali relativi alle ipotesi di falso: sicché la condotta tenuta dai funzionari è largamente indeterminata, anche se potrà rilevare per future eventuali azioni risarcitorie”.

In assenza di prova certa sulla condotta dolosa o gravemente colposa dei pubblici dipendenti-controllori, il Consiglio di Stato ha escluso una responsabilità degli stessi e della PA datrice di lavoro verso l’impresa appaltatrice.

b) La Cassazione [13] ha invece chiarito che la p.a. deve ritenersi civilmente responsabile, in base al criterio della cd. "occasionalità necessaria", degli illeciti penali commessi da propri dipendenti ogni qual volta la condotta di costoro non abbia assunto i caratteri della assoluta imprevedibilità ed eterogeneità rispetto ai loro compiti istituzionali, sì da non consentire il minimo collegamento con essi. Nel caso di specie, trattandosi di atti di violenza sessuale posti in essere da una insegnante di scuola materna nei confronti dei minori a lei affidati, sotto pretesto di finalità di igiene attinenti alla sfera sessuale, la Corte ha ritenuto correttamente affermata la concorrente responsabilità civile della p.a., considerando che tra i compiti delle maestre di scuola materna rientra anche quello di insegnare agli alunni gli elementi essenziali dell'igiene personale. L’indirizzo è confermativo di pregressi interventi del giudice di legittimità su analoghi reati sessuali, purtroppo “ambientali” nell’amministrazione scolastica [14].

c) La Cassazione [15] nel ribadire che l'attività del dipendente è riferibile all'ente pubblico e ne comporta la responsabilità diretta, ex art. 28 cost. e 22 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, in quanto sia e si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente stesso, cioè sia volta al perseguimento dei suoi fini istituzionali nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio al quale il dipendente è addetto e che detto nesso di occasionalità non è escluso dal carattere doloso dell'illecito posto in essere dal pubblico funzionario, ha ritenuto, nel caso di specie, sussistere una corresponsabilità risarcitoria della PA nella condotta di un sottufficiale dell'Esercito condannato per truffa in quanto, avvalendosi della sua qualità di comandante di un distaccamento militare, aveva indotto talune imprese a consegnargli, a titolo di cauzione, assegni circolari intestati all'amministrazione - dei cui importi si era appropriato negoziando i titoli in banca - con la falsa prospettazione della opportunità, per dette imprese, di ottenere appalti per l'esecuzione di opere edili nella sede del distaccamento. La Corte ha ritenuto che l'attività criminosa del sottufficiale si era svolta in rapporto di occasionalità necessaria con le sue attribuzioni e si era manifestata come attività propria dell'ente da cui egli dipendeva, non potendo evidentemente affermarsi che l'esecuzione di opere edili su installazioni dell'esercito non rientrasse nei fini istituzionali dell'amministrazione militare.

d) L’occasionalità necessaria è poi frequente protagonista di contenziosi risarcitori originati dall’uso imperito di armi da fuoco da parte di appartenenti a forze di polizia o militari. La Cassazione [16] ha pertanto avuto modo di affermare che presupposto della responsabilità diretta della p.a. per fatto del proprio dipendente è la c.d. "occasionalità necessara" (che sussiste tutte le volte in cui la condotta del dipendente sia strumentalmente connessa con l'attività d'ufficio), nesso che va accertato “considerando non solo lo specifico comportamento dell'impiegato pubblico costituente abuso, ma il complesso dell'attività nella quale esso si riferisce. Allorché, infatti, il comportamento si innesta nel meccanismo di una attività complessivamente, ed avuto riguardo alla sua finalità terminale, non estranea rispetto agli interessi e alle esigenze pubblicistiche dell'amministrazione, quel collegamento non può non essere ritenuto. In tal senso va ravvisata la connessione con le finalità istituzionali della pubblica amministrazione, che può essere anche anomala, in presenza di un'attività riconducibile a prassi di comportamenti distorte, ma pur sempre riconducibili ad uno specifico interesse dell'amministrazione. Una siffatta puntualizzazione è dato riscontrare anche in qualche decisione che sembrerebbe dare adesione alla teoria tradizionale, laddove si precisa che per accertare il nesso tra il comportamento del dipendente e le finalità istituzionali proprie dell'ente per il quale egli opera deve aversi riguardo allo scopo ultimo che il dipendente deve raggiungere, per cui l'abuso di potere commesso nel corso delle operazioni tendenti a quel fine non esclude il collegamento di necessaria occasionalità con le attribuzioni istituzionali del dipendente quando, quale che sia il motivo che lo ha determinato, risulti strumentale rispetto alla attività d'ufficio o di servizio".

Alla luce di tale premessa sistematica, il giudice della legittimità ha concluso che il semplice possesso dell'arma, ancorché trovi titolo nella qualità dell'agente di appartenente al corpo dei carabinieri (militare ausiliario in libera uscita che abbia prodotto lesioni colpose ad un collega attraverso un uso non accorto dell’arma di cui stava spiegando il funzionamento), non è sufficiente, di per sè, a rendere operante il nesso di occasionalità necessaria, poiché quest'ultimo va valutato non in relazione al solo possesso dell'arma, ma anche al comportamento tenuto con quell'arma [17].

Pertanto in più occasioni la giurisprudenza ha escluso il collegamento con l'attività d'istituto e con i fini istituzionali della p.a., relativamente al comportamento di un agente di P.S. o di un militare consistente nell'imprudente uso dell'arma in un colloquio del tutto privato [18], a nulla rilevando l'art. 68, l. n. 121 del 1981, laddove prescrive che gli agenti di P.S., come i militari, devono osservare, anche fuori servizio, i doveri inerenti alla loro funzione, così imponendo che gli stessi siano da considerare in servizio permanente, trattandosi di norma che non esclude affatto l’ipotizzabilità di condotte dannose strettamente personali “da privato cittadino” e non istituzionali del poliziotto (o del militare).

Il legame di occasionalità necessaria è stato invece ritenuto sussistere [19] in una fattispecie in cui il Ministero della difesa-esercito è stato condannato per le lesioni colpose cagionate in una caserma, ove era ospitato, da un carabiniere ausiliario, che, scaricando la pistola di ordinanza, accidentalmente faceva partire un colpo che attingeva un commilitone, in violazione della disposizione che fa divieto di tenere l'arma carica nella caserma.

e) Con riferimento alle condotte dolose dei propri dipendenti, la Cassazione [20] ha chiarito che ai fini dell'affermazione della responsabilità civile della p.a. per reato commesso dal dipendente, deve essere accertata l'esistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra il comportamento doloso posto in essere dall'agente e le incombenze affidategli, verificando che la condotta si innesti nel meccanismo dell'attività complessiva dell'ente e che l'espletamento delle mansioni inerenti al servizio prestato abbia costituito conditio sine qua non del fatto produttivo del danno per averne in modo decisivo agevolato la realizzazione. (Nella fattispecie, relativa ad un serie di reati commessi da agenti di polizia, la Corte ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la responsabilità civile del Ministero degli Interni senza accertare la contestualità tra svolgimento delle mansioni e comportamento criminoso, nonché le relative specifiche connessioni e l'eventuale condotta, anche omissiva, di altri dipendenti dell'amministrazione che avrebbero potuto agevolare la commissione dei reati, e, in particolare, senza valutare se il comportamento degli imputati, ancorché deviato, risultasse in ogni caso inquadrabile nel meccanismo delle attività complessive dell'ente e delle correlative finalità, o, viceversa, avesse determinato una completa responsabilità per la p.a.).

f) In un peculiare contenzioso, espressivo di “italica astuzia” del protagonista della vicenda, la Cassazione [21] è partita dalla classica (e condivisibile) premessa secondo cui ai fini della configurabilità di una responsabilità extracontrattuale diretta della p.a. verso terzi ex art. 28 cost., è riferibile alla p.a. la condotta del proprio dipendente che, ancorché dolosa e configurante reato (truffa nel caso di specie) sia esplicazione dell'attività dell'ente e sia rivolta al conseguimento dei fini istituzionali di esso e che detta responsabilità va esclusa nell'ipotesi in cui il dipendente agisce fuori dalle funzioni pubbliche cui è deputato e per fini del tutto personali ed egoistici che escludano il rapporto di "necessaria occasionalità" tra le incombenze stesse e l'attività che ha determinato il verificarsi del danno, nesso che va accertato - ed è questo il punto decisivo - considerando non solo lo specifico comportamento dell'impiegato pubblico costituente abuso, ma il complesso dell'attività nella quale esso si riferisce.

Il giudice di legittimità ha però ritenuto, nel caso di specie, che tale nesso di occasionalità esistesse nel comportamento di un direttore di un ufficio postale (all’epoca dipendente pubblico) che, sulla base di una prassi discutibile, ma reiterata negli anni e tollerata dai vertici, si recava presso l'agenzia di un Istituto di credito per acquisire denaro contante da riversare presso il proprio ufficio postale per l’ordinaria e quotidiana gestione di cassa (surrogando tali versamenti ai tardivi versamenti della competente direzione provinciale del Tesoro) e che un bel giorno, abusando della sua qualità e traendo profitto della favorevole situazione di esser l'unico impiegato dell' Ufficio Postale - senza, quindi, immediati controlli - distrasse a proprio profitto una parte dei fondi acquisiti anziché destinarli all'assolvimento degli scopi istituzionale dell'Ente. Orbene, la Cassazione ha ritenuto che il dipendente, nell’appropriarsi di tali somme, non avesse agito a fini privati ed egoistici, estranei all'Amministrazione di appartenenza, ma nell'ambito delle sue attribuzioni e nell'espletamento di attività proprie dell'Ente, in quanto la finalità (astratta, ovviamente) dell'operazione era quella di approvvigionare l'Ente di denaro liquido, e che quindi la relativa attività non poteva dirsi estranea all'amministrazione.

g) In un’ulteriore contenzioso, la Cassazione [22] ha ritenuto sussistere tale rapporto di “occasionalità necessaria” in connessione con un intervento di chirurgia estetica posto in essere da medici militari in una infermeria militare nei confronti di un soldato, consistito nel prelievo bioptico di un neo, poi risultato all'esame istologico melanoblastoma e seguito, presso altra struttura civile, da un intervento di radicale di asportazione di metà del mento, da cui era derivato uno sfregio permanente con disturbi nervosi. L’organo giudicante ha ritenuto l’”intervento estetico” posto in essere da medici militari nè privato nè egoistico, ben potendo attenere allo stato di salute (in senso lato) dei militari.

h) Altro intervento della Cassazione[23] sul punto in esame ha tratto origine da una pretesa risarcitoria azionata da un cittadino-contribuente per ottenere la condanna in solido del Ministero delle Finanze al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, con interessi, rivalutazione e spese, danni derivati dal fatto che il contribuente dopo aver pagato una imposta di successione nelle mani di un funzionario fiscale, si è visto richiedere dall’amministrazione tributaria nuovamente il pagamento della stessa imposta perché detto dipendente si era appropriato della somma versata in precedenza, tanto da essere poi condannato, con sentenza divenuta irrevocabile, per delitto di peculato. In tale evenienza la Cassazione, seppur incidentalmente, ha condiviso la valutazione dei giudici di merito tendente ad escludere una responsabilità solidale della p.a. a fronte del peculiare illecito penale posto in essere dal dipendente.

i) In altra fattispecie, afferente il ricco e frequente contenzioso risarcitorio legato al mondo scolastico, la Cassazione [24] ha premesso che per la responsabilità (definita indiretta) della p.a. per il danno arrecato dal fatto illecito di proprio dipendente, ai sensi dell'art. 2049 c.c., è sufficiente che sussista un nesso di occasionalità necessaria tra l'illecito stesso ed il rapporto che lega detti soggetti, nel senso che le mansioni o incombenze affidate al secondo abbiano reso possibile, o comunque agevolato, il comportamento produttivo del danno, a nulla rilevando che tale comportamento si sia posto in modo autonomo nell'ambito dell'incarico o abbia addirittura ecceduto dai limiti di esso, anche se in trasgressione degli ordini ricevuti, sempre che il commesso abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie alle quali la p.a. non sia neppure mediatamente interessata o compartecipe.

Da tale premessa il giudice di legittimità ha fatto discendere la sussistenza del nesso di occasionalità necessaria in caso di danno arrecato ad una allieva di prima media che cadde e riportò la perdita di due incisivi durante il gioco cosiddetto "del tocco", eseguito dagli alunni durante l'ora di educazione musicale sotto la direzione del docente, che aveva preso personalmente parte al gioco e con il quale la Giugliano si era scontrata. Difatti, secondo la Cassazione, era esente da vizi il ragionamento del giudice di merito che aveva ritenuto che "il fatto che un insegnante di musica abbia condotto in cortile la classe affidatagli ed abbia organizzato per gli allievi un gioco non può essere riguardato come violazione da parte dell'insegnante stesso d'una disposizione ostativa allo svolgimento di una qualsiasi attività diversa dall'insegnamento della educazione musicale, disposizione obiettivamente inesistente, o d'un canone di comportamento usualmente applicato incompatibile con l'organizzazione di momenti di svago e socializzazione, del pari inesistente e non ipotizzabile in quanto contrario alla libertà dell'insegnante nell'adozione degli strumenti pedagogici ritenuti più confacenti all'instaurazione di rapporti costruttivi con i singoli allievi e degli stessi tra loro. Tanto più ove, come nel caso di specie, si tratti d'un giorno particolare, l'ultimo giorno dell'anno scolastico, nel quale, ormai esaurite le esigenze propriamente didattiche con il completamento del programma, ben possono essere considerate meritevoli di maggior cura quelle di socializzazione e di rafforzamento della coesione del gruppo, in vista della ripresa autunnale dell'attività, da prospettarsi come piacevole ricostituzione del microcosmo della classe nella quale stemperare l'innegabile peso del dovere da compiere”.

l) Una evidente cesura del rapporto organico con la p.a. di appartenenza, e l’assenza di qualsiasi “occasionalità necessaria” con compiti di istituto è stata giustamente ravvisata dalla Cassazione [25] - in occasione di un noto giudizio concernente il risvolto civilistico-risarcitorio della vicenda, assurta a rilevanza anche mediatica, dei delitti della c.d. “uno bianca”-, nella condotta di un poliziotto autore di omicidi e rapine, in quanto l'incombenza disimpegnata, e cioè la qualità di poliziotto in sè stessa, non poteva ritenersi agevolativa del fatto illecito, con conseguente irresponsabilità civile del Ministero dell’Interno.

m) Altro filone contenzioso in cui la Cassazione ha vagliato la sussistenza o meno del predetto nesso di occasionalità necessaria ha riguardato i danni derivanti dall’utilizzo non istituzionale di beni d’ufficio da parte di pubblici dipendenti e, in particolare, delle autovetture di servizio. La magistratura [26] ha così chiarito che va esclusa la responsabilità della p.a. in ordine al sinistro provocato da un militare di leva (incidente stradale con morte di uno dei commilitoni trasportati e ferimento di altri due) il quale, nel condurre l'autovettura di servizio, dopo aver espletato il proprio compito di consegna del rancio alla truppa, aveva deviato dal percorso durante il viaggio di ritorno in caserma, per portarsi in un bar sito in una località che non avrebbe dovuto raggiungere in relazione al servizio affidatogli.

n) La Suprema Corte ha poi ribadito anche in sede penale [27] (per i consequenziali riflessi civilistico-risarcitori) che per stabilire la sussistenza del nesso di occasionalità necessaria e la conseguente riferibilità all'amministrazione dell'evento dannoso, deve aversi riguardo allo scopo ultimo che il dipendente deve raggiungere, e perciò il solo fatto che egli, nel corso delle operazioni tendenti a quel fine, commetta un abuso di potere, non vale ad escludere il collegamento di necessaria occasionalità con le sue attribuzioni istituzionali, quando l'abuso, da qualsiasi motivo provocato, risulti strumentale all'attività di ufficio o di servizio. La Corte ha pertanto ritenuto sussistere la responsabilità civile del Ministero degli interni per omicidio preterintenzionale da parte di carabinieri che hanno percosso un arrestato mentre lo accompagnavano nelle camere di sicurezza.

o) In un più datato precedente, anteriore alla privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, la Cassazione [28] ha ritenuto sussistere il legame di occasionalità necessaria affermando la responsabilità dell'azienda ferroviaria per i danni verificatisi a seguito dell'investimento di un veicolo da parte di un treno ad un passaggio a livello custodito, negando rilevanza alla circostanza che il casellante avesse aperto il passaggio a livello al di fuori dell'orario di servizio e su richiesta di terzi.

p) La lettura estensiva del concetto di occasionalità necessaria è stata ribadita anche in contenziosi i cui il comportamento danno verso terzi non era stato posto in essere da pubblici dipendenti, ma da soggetti legati alla p.a. dal c.d. rapporto di servizio [29]. In particolare, la magistratura ha chiarito che il rapporto tra i dipendenti della banca delegata alla riscossione dei tributi con lo svolgimento delle attività istituzionali pubbliche è un rapporto di occasionalità necessaria, con la conseguenza che l'amministrazione è responsabile in via extracontrattuale per i danni causati a terzi nell'esercizio delle loro funzioni [30].

3. L’occasionalità necessaria nei contenziosi risarcitori ex art. 2049 c.c. nei confronti di datori di lavoro privati.

Anche nell’impiego privato, individuato un parallelismo tra la responsabilità "diretta" (art. 2043 c.c.) della p.a. e quella "indiretta" (art. 2049 c.c.) del datore di lavoro-committente privato, si è posto analogo problema di limiti alla corresponsabilità del datore per danni a terzi arrecati da propri dipendenti ed anche in quest’ultima ipotesi la dottrina ha colto una lettura eccessivamente “dilatata” della nozione di occasionalità necessaria [31]. Difatti, la presunzione di responsabilità sancita dall’art. 2049 c.c. a carico dei padroni e committenti (non tanto frutto della immedesimazione organica che giustifica la responsabilità diretta della p.a., ma correlata al rischio che, per solidarietà sociale, deve gravare sul preponente a fronte dell’utilità tratta dall’attività commissionata) postula, da un lato, l’esistenza di un rapporto di lavoro o di commissione e, dall’altro, un collegamento tra il fatto dannoso del dipendente (o commesso) e le mansioni da quest’ultimo disimpegnate: a tal fine non si richiede un vero e proprio nesso di causalità, ma il predetto rapporto di occasionalità necessaria, configurabile quando l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile l’evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze o, addirittura, trasgredendo gli ordini ricevuti, purchè nell’ambito dell’incarico affidatogli e per finalità coerenti con quelle per le quali le mansioni furono affidate.

Tuttavia, come detto, anche in sede applicativa di tali condivisibili premesse sistematiche recepite e addirittura elaborate dalla Corte di Cassazione, si assiste ad una estensiva lettura giurisprudenziale della “occasionalità necessaria”, idonea a ricomprendere anche ipotesi di responsabilità del datore per comportamenti dolosi del lavoratore tradottisi in illeciti penali.

a) In particolare la giurisprudenza di merito [32] ha avuto modo di chiarire che in ipotesi di atti di libidine violenti e di violenza carnale commessi in danno di lavoratrice subordinata (da intendere come terzo danneggiato) dal superiore diretto non sussiste una concorrente responsabilità del datore di lavoro in ordine alle domande risarcitorie avanzate dalla lavoratrice per avere egli omesso, in violazione dell'art. 2087 c.c., di adottare le cautele necessarie a evitare danni all'integrità personale e alla dignità della propria dipendente qualora gli atti posti in essere dal superiore siano risultati non prevedibili e non sia emerso in altro modo un comportamento negligente da parte del datore di lavoro; nel caso di specie la Corte ha ritenuto sussistere la responsabilità in solido del datore di lavoro e dell'autore dei fatti delittuosi ai sensi dell'art. 2049 c.c., ricorrendo una situazione di occasionalità necessaria tra la posizione lavorativa attribuita all'autore dei fatti delittuosi e il compimento dei medesimi.

b) La Cassazione [33] ha poi chiarito, in altre fattispecie analoga all’art. 2049 cc., che la disposizione dell'art. 5, co.4, della legge n. 1 del 1991, secondo la quale la società di intermediazione mobiliare è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale, richiede, ai fini della sussistenza della responsabilità di detta società, un rapporto di "necessaria occasionalità" tra incombenze affidate e fatto del promotore, rapporto che, peraltro, è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all'esercizio delle incombenze di cui è investito. La Corte ha pertanto ritenuto che il rapporto di occasionalità necessaria non fosse escluso dalla circostanza che il promotore aveva indotto gli investitori da lui avvicinati a sottoscrivere valori mobiliari che sarebbero stati acquistati sul mercato non già dalla società che gli aveva affidato l'incarico, ma da altra società.

c) Il concetto di occasionalità necessaria è poi frequente protagonista di contenziosi in cui la Cassazione [34], sia in sezioni civili e lavoro, ha avuto modo di ribadire più volte che ai fini della configurabilità della responsabilità indiretta del datore di lavoro-committente ex art. 2049 c.c., non è necessario che fra le mansioni affidate e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo invece sufficiente che ricorra un semplice rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza affidata deve essere tale da determinare una situazione che renda possibile, o anche soltanto agevoli, la consumazione del fatto illecito e, quindi, la produzione dell'evento dannoso, anche se il lavoratore abbia operato oltre i limiti dell'incarico e contro la volontà del committente o abbia agito con dolo, purché nell'ambito delle sue mansioni.

Tale indirizzo è stato ribadito in contenziosi risarcitori ex art. 2049 c.c. con istituti di credito intrapresi da clienti vittime di comportamenti penalmente illeciti di funzionari [35].

d) La sussistenza della responsabilità ex art.2049 c.c. del datore a fronte di illeciti penali dei propri lavoratori è stata poi ammessa nel caso di un dipendente che, rimproverato da un compagno per questioni concernenti le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, ne aveva causato preterintenzionalmente la morte, lanciandogli contro un mattone[36]. In detta occasione la Cassazione ha ribadito che la responsabilità del committente per l'attività del preposto sussiste non solo quando sia configurabile una dipendenza causale tra il fatto illecito e le mansioni affidate dall'autore di esso, ma anche quando fra tali due elementi sussista un rapporto di occasionalità necessaria, ferma comunque, anche nel secondo caso, la necessità di un collegamento funzionale o strumentale tra lo svolgimento dell'incarico e l'evento lesivo, dovendo escludersi la responsabilità del proponente allorché il danno sia imputabile all'attività privata dell'autore dell'illecito, commesso nell'esercizio della sua personale autonomia.

e) Anche in contenziosi afferenti (la concettualmente distinta) responsabilità contrattuale di banche, il giudice di legittimità ha vagliato il problema della c.d. “occasionalità necessaria”, affermando che ai sensi dell'art. 1229 c.c. in tema di nullità di clausole esonerative, o limitative, della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, sussiste la responsabilità della banca per il maggior danno rispetto al limite convenzionalmente previsto con riguardo al servizio delle cassette di sicurezza, nella ipotesi in cui sia stata perpetrata, all'interno del caveau della stessa, una rapina alla quale abbia partecipato un suo dipendente, trovando applicazione, in tale ipotesi, l'art. 1228 c.c., a condizione che, con riferimento a siffatta partecipazione, sia fornita la dimostrazione - il cui onere incombe al danneggiato - di una relazione di occasionalità necessaria tra il fatto del dipendente e le mansioni a lui affidate, nel senso che queste abbiano reso possibile o, comunque, agevolato il comportamento produttivo del danno, restando, invece, irrilevante che tale comportamento abbia esorbitato dai limiti di dette mansioni [37] (nella specie, alla stregua dell'indicato principio, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito, che avevano escluso la sussistenza della colpa grave della banca, in considerazione della mancanza di prova in ordine al collegamento tra le informazioni fornite ai rapinatori dal dipendente della banca correo e la consumazione della rapina).

4. Critiche all’attuale interpretazione giurisprudenziale dell’occasionalità necessaria e conclusioni.

Dalla sunteggiata complessiva lettura delle massime dell’ultimo ventennio di giurisprudenza di legittimità, ci sembra di poter concludere che, ferma restando la tendenziale corretta applicazione nel caso concreto del principio di occasionalità necessaria, in alcuni giudizi appare evidente, anche al profano, lo strappo logico-interpretativo operato dalla Cassazione, che ha dilatato oltre misura il concetto, mosso da una lettura a dir poco…egoistica (questa volta non del dipendente autore del danno, ma del giudicante) dello stesso, così coinvolgendo la pubblica amministrazione in risarcimenti onerosissimi, frutto di scelte dolose e penalmente rilevanti di propri dipendenti. E analogo rilievo critico vale per l’ampia portata data all’analogo concetto in contenziosi ex art. 2059 c.c. da parte del giudice della nomofilassi, che ha parimenti accollato su “padroni e committenti” privati ingenti risarcimenti, originati da condotte illecite e, come tali incoerenti con finalità lavoristiche, di propri dipendenti o commessi.

In particolare, non è dato comprendere per quale motivo una p.a. debba rispondere per danni psicologici e fisici causati ad alunni minori da parte di un insegnante che abbia approfittato dell’accompagnamento in bagno dei propri allievi per abusarne sessualmente[38].

Parimenti non condivisibile è l’accollo in capo alla p.a. di un danno subito da una banca (soggetto terzo) frutto dell’appropriazione, penalmente rilevante (truffa), di somme di denaro da parte di un direttore di un ufficio postale (all’epoca ente pubblico) che abbia utilizzato le stesse per proprie esclusive finalità egoistiche [39]

Del tutto incomprensibili, inoltre, appaiono le ragioni per cui un datore privato debba essere chiamato a risarcire danni ex art.2059 cc. per lo stupro perpetrato da un proprio dirigente aziendale nei confronti di una dipendente subordinata [40], o per un mattone lanciato, con risvolti letali, da un proprio dipendente nei confronti di un collega durante una discussione originata da contrasti di lavoro [41].

A nostro avviso, senza inutili giri di parole, la ratio, inespressa e inesprimibile, di talune pronunce sembra da ricercare in mal celate esigenze assistenzialiste o di ristoro sociale di gravi danni patiti da soggetti socialmente o economicamente “deboli” i quali, senza l’adeguato intervento pecuniario della solvibile pubblica amministrazione o del ricco imprenditore “padrone o committente”, assai difficilmente riuscirebbero ad ottenere un minimale risarcimento da parte della persona fisica autrice materiale del comportamento dannoso. In altri termini, sembra evidente, in alcune decisioni, l’intento, …..divino più che terreno, di accollare sulla collettività (in caso di danni arrecati da dipendenti pubblici: art.28 cost.) o su soggetti economicamente capienti, quali i padroni o committenti (in caso di danni arrecati da lavoratori o commessi privati: art.2059 cc.) il costo di ingenti danni, sicuramente non rifondibili attraverso il modesto patrimonio dell’autore materiale dell’illecita condotta. Ma un tale scelta, di distribuzione sociale del rischio, potrebbe competere (nei limiti della ragionevolezza) al legislatore e non può certo essere frutto di judge made law.

Tali finalità, occasionalmente coglibili in talune decisioni, sebbene formalmente ammantate da una doverosa e imprescindibile veste tecnico-giuridica, sovente tautologica ed autoreferenziale, a sostegno dell’opzione ermeneutica effettuata, non hanno, ovviamente, alcun conforto normativo o logico e andrebbero accantonate attraverso il recupero non solo di una più coerente e rigorosa lettura del principio di occasionalità necessaria, ma, soprattutto, attraverso una più attenta analisi della concreta riconducibilità di taluni comportamenti illeciti del pubblico dipendente (o del lavoratore o commesso privato ex art.2059 cc.) a tale nozione.

In particolare, secondo chi scrive, il criterio della "occasionalità necessaria" andrebbe incondizionatamente e sistematicamente escluso in quattro ipotesi-tipo: a) qualora l’autore materiale non sia qualificabile come pubblico dipendente; b) qualora il pubblico dipendente produca un danno con comportamenti o provvedimenti che siano espressivi di straripamento di potere (incompetenza assoluta); c) qualora il dipendente produca un danno con comportamenti o provvedimenti che attengano alla sua vita privata e/o che non abbiano alcun riferimento alla sua qualifica di pubblico dipendente (es. fuori dall’orario di servizio); d) qualora il dipendente, pur nell’esercizio di proprie funzioni (es. durante l’orario di servizio), agisca per finalità e motivazioni assolutamente incompatibili con le finalità istituzionali dell’ente di appartenenza.

A quest’ultima delicata ipotesi sono a nostro avviso riconducibili le ipotesi, in precedenza richiamate, in cui il lavoratore pubblico arrechi un danno a terzi ponendo in essere un reato doloso, in quanto la commissione di un illecito penale, soprattutto se doloso (per quello colposo l’affermazione potrebbe non essere così radicale), non può in nessuna occasione essere espressiva di compiti anche latu sensu istituzionali della p.a., in quanto nessuna p.a. ha tra i propri fini ex lege codificati il delinquere, e, anzi, il sistema normativo si ispira alla repressione di tali illeciti posti in essere da pubblici dipendenti a tutela proprio della p.a.: si pensi alla tutela in sede amministrativo-contabile dell’amministrazione pubblica lesa (anche nell’immagine) da condotte penalmente rilevanti ed economicamente dannose di propri dipendenti [42]; si pensi alla tutela disciplinare, tesa a sanzionare il dipendente che, commettendo illeciti penali, violi doveri contrattualmente assunti con la p.a.-datrice [43].

Occorre pertanto ribadire che, poiché il delinquere dolosamente, ergo per finalità egoistiche (faute personnelle e non faute de service, secondo la dottrina e la giurisprudenza francesi), non è attività istituzionale, in caso di commissione di un reato doloso da parte di un pubblico dipendente, ancorché occasionato dall’espletamento di compiti d’ufficio, il legame di immedesimazione organica con la pubblica amministrazione-datrice di lavoro si elide e da tale cesura discende la non riferibilità all’ente pubblico del danno arrecato a terzi dal dipendente, che ne risponderà in via esclusiva. Non condividere tale conclusione, ritenendo, attraverso la irragionevole dilatazione del concetto di “occasionalità necessaria”, che la p.a. debba rispondere di danni arrecati a seguito di reati dolosi di propri dipendenti, comporterebbe, nella sostanza, la creazione giurisprudenziale di una deroga al basilare principio della non assicurabilità dei sinistri cagionati con dolo codificato nell’art. 1900 c.c.: la p.a. diverrebbe, senza volerlo, il garante-assicuratore verso terzi di danni arrecati da propri lavoratori che, in quanto dolosi, nessuna compagnia potrebbe assicurare.

Il tragico risvolto, poco noto ai non addetti ai lavori, dell’attuale largheggiante indirizzo giurisprudenziale è il seguente: dopo la condanna della p.a. in sede civile (o, oggi, anche innanzi al giudice amministrativo ex art. 7, l. n. 205 del 2000), scatta l’obbligo di denuncia del danno erariale patito alla Corte dei Conti, che, attraverso il c.d. giudizio di rivalsa in sede amministrativo-contabile, dovrebbe provvedere al recupero del danno arrecato dal singolo pubblico dipendente autore della condotta materiale. Tuttavia, come evidenziato dalle relazioni della magistratura contabile in occasione delle inaugurazioni degli anni giudiziari della Corte dei Conti, delle condanne pronunciate dalla Corte si recupera concretamente meno del 10%, a causa della scarsa solvibilità del pubblico dipendente, notoriamente incapiente e tutelato da una legislazione di favor che impedisce aggressioni della retribuzione, della pensione e della buonuscita oltre il quinto.

Ne consegue che il costo dei danni arrecati a terzi da pubblici dipendenti a terzi, dopo la condanna della p.a., non viene quasi mai recuperato presso l’autore materiale e resta a carico della collettività! Su tale conclusione dovrebbe meditare la Corte di Cassazione dalla cui autorevole giurisprudenza si auspica di poter presto ricevere, magari a sezioni unite, una massima ufficiale che finalmente affermi a chiare lettere “la non ipotizzabilità di un legame di occasionalità necessaria tra i compiti istituzionali della p.a. e il comportamento penalmente doloso di un proprio dipendente che, in situazione di mera occasionalità materiale con l’attività lavorativa, arrechi danni patrimoniali a terzi estranei all’amministrazione, con conseguente responsabilità civile esclusiva dell’autore materiale del danno non estensibile alla p.a.”.

 

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[1] Sulla responsabilità civile del dipendente pubblico e della p.a. cfr. FOLLIERI (a cura di), La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Milano, 2004; GARRI-GIOVAGNOLI, Responsabilità civile delle amministrazioni e dei dipendenti pubblici, Itaedizioni Torino, 2003; NAPOLITANO, La responsabilità civile, in DE BRANCO-NAPOLITANO-PENNONI-DE BRANCO, Le responsabilità del pubblico dipendente, Padova, 2003; CARANTA, Attività amministrativa ed illecito aquiliano, Milano, 2001; TORCHIA, La responsabilità, in CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, II, Milano, 2000, 1455; GARRI, La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Torino, 2000; ALPA-BESSONE-CARBONE, Atipicità dell'illecito, IV, Illecito della p.a., Milano, 1995, 387; BIANCA, Diritto civile, V, Milano, 1995, 633 ss.; BERTI, La responsabilità pubblica: costituzione e amministrazione, Padova, 1994; MARONE, La responsabilità della p.a. nel rapporto di pubblico impiego, in Corr.giur., 1993, 1488; BRONZETTI, La responsabilità nella pubblica amministrazione, Padova, 1993; CARANTA, La responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione, Milano, 1993; BILANCIA, Una rimeditazione della responsabilità civile della p.a. e dei dipendenti pubblici alla luce di due recenti decisioni della Corte Costituzionale, in Giur.cost., 1992, 1618; MERUSI-CLARICH, commento all'art.28 cost., in Commentario alla Costituzione fondato da BRANCA e continuato da PIZZORUSSO, Bologna-Roma, 1991, 370 ss.; CASETTA, Responsabilità civile, III) responsabilità della p.a., in Enc.giur., XXVI, 1991, 1 ss.; CLARICH, La responsabilità civile della pubblica amministrazione nel diritto italiano, in Riv.trim.dir.pubbl., 1989, 1985; SANDULLI, Manuale cit., II, 1166 ss.; SATTA, Responsabilità della p.a., in Enc.dir., vol.XXXIX, Milano, 1988, 1378; PIGA, La responsabilità civile dei pubblici amministratori: nuovi profili, in Foro amm., 1988, 746; SANVITI, La responsabilità civile della pubblica amministrazione: gli aspetti specifici e gli spunti di carattere generale, in La responsabilità civile, a cura di ALPA e BESSONE, vol.III, Milano, 1987, 460 ss.; MERUSI, La responsabilità dei pubblici dipendenti secondo la costituzione: l'art.28 rivisitato, in Riv.trim.dir.pubbl., 1986, 41 ss.; CANNADA BARTOLI, Introduzione alla responsabilità civile della pubblica amministrazione in Italia, in La responsabilità della pubblica amministrazione, Torino, 1976; ALESSI, L’illecito e la responsabilità civile degli enti pubblici, Milano, 1972; PICARDI, Sulla responsabilità della p.a. e dei dipendenti pubblici, in Studi vari di dir.pubblico, Milano, 1968; DI CIOMMO, La responsabilità civile del dipendente statale e dell’amministrazione dello Stato, in Rass.Avv.Stato, 1957, 42; CASETTA, L'illecito degli enti pubblici, Torino, 1953.

[2] Oltre agli scritti citati nella precedente nota, per una felice sintesi sul dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla natura diretta ex art.2043 cc. (tesi prevalente in dottrina ed univoca in giurisprudenza) o indiretta ex art.2049 cc. (tesi minoritaria in dottrina) della responsabilità civile della p.a., si rinvia alla limpida nota di SERRAINO a Cass., sez.III pen., 11 giugno 2003, in Foro it., 2004, II, 522.

[3] Molto chiaramente la Cassazione ha più volte chiarito  che la fattispecie di responsabilità della p.a. verso terzi per condotta di propri dipendenti è disciplinata dall'art. 2043 (responsabilità soggettiva diretta) c.c. e non dall'art. 2049 c.c. (responsabilità obbiettiva indiretta), in quanto “lo Stato e gli altri enti pubblici non possono agire che a mezzo dei propri organi, il cui operato non è di soggetti distinti, ma degli enti stessi in cui essi s'immedesimano: ed è in virtù di tale rapporto organico che la responsabilità derivante dalla loro attività risale appunto alle persone giuridiche pubbliche delle quali sono espressione. La pubblica amministrazione risponde quindi immediatamente e direttamente (e non indirettamente, per rapporto institorio) per i fatti illeciti dei suoi funzionari e dipendenti - secondo un'accezione onnicomprensiva - quali che siano le mansioni espletate (di concetto o d'ordine, intellettuali o materiali). L'art. 28 della Costituzione, invero, non ha inteso immutare la natura della responsabilità diretta dell'amministrazione e sanzionare il principio della responsabilità indiretta, non riferibile istituzionalmente alla p.a., ma ha solo voluto sancire accanto ad essa quella propria degli autori dei fatti lesivi delle situazioni giuridiche altrui. Perché ricorra tale responsabilità della p.a. non basta, ovviamente, il semplice comportamento lesivo del dipendente; deve sussistere, infatti, oltre al nesso di causalità fra il comportamento e l'evento dannoso, la riferibilità all'amministrazione del comportamento stesso” (così testualmente Cass.civile, sez. III, 12 agosto 2000, n. 10803, in Foro it., 2001, I, 3289 con nota di GIRACCA).

[4] Dopo la condanna della p.a. in sede civile (o,oggi, anche innanzi al giudice amministrativo ex art.7, l. n.205 del 2000), scatta l’obbligo di denuncia del danno erariale patito alla Corte dei Conti, che attraverso il c.d. giudizio di rivalsa in sede amministrativo-contabile, provvede al recupero del danno arrecato dal singolo pubblico dipendente autore della condotta materiale. Tuttavia, in occasione delle inaugurazioni degli anni giudiziari della Corte dei Conti, i vari Procuratori generali hanno chiarito che delle condanne pronunciate dalla Corte si recupera concretamente meno del 10%, a causa della scarsa solvibilità del pubblico dipendente, notoriamente incapiente e tutelato da una legislazione di favor che impedisce aggressioni della retribuzione, della pensione e della buonuscita oltre il quinto. Ne consegue che il costo dei danni arrecati a terzi da pubblici dipendenti a terzi, dopo la condanna della p.a., non viene recuperato e resta a carico della collettività !  Sul tema TENORE, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2004, 7 ss.

[5] SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, 1117, secondo il quale “non sono riferibili all’Amministrazione …le azioni che non provengono da soggetti i quali possano essere considerati agenti di essa, …. gli atti personali degli agenti (lettere e negozi privati), ….gli atti viziati da incompetenza assoluta (straripamento di potere) e i comportamenti posti in essere volutamente (dolosamente) in violazione di norme proibitive (diversamente dall’opinione corrente nella dottrina francesi, si ritiene che il fatto che costituisca reato doloso istituzionalmente non può essere ascritto all’Amministrazione)”. Sul punto v. anche CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2004, 575; GRECO, La responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 2003, 1741; PASSERONE, Il requisito della riferibilità all’amministrazione del comportamento illecito del pubblico dipendente nell’accertamento della responsabilità civile della p.a., in Resp.civ., 1996, 620; CLARICH, La responsabilità civile della pubblica amministrazione nel diritto italiano, in Riv.trim.dir.pubbl., 1989, 1085

[6] Sulla distinzione tra  faute personelle e faute de service v. CUOCCI, Tutela dei singoli e responsabilità civile della p.a. nell’esperienza francese, in FOLLIERI (a cura di), La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Milano, 2004, 528 ss.

[7] Oltre alle sentenze citate nel successivo paragrafo 2, v., tra le decisioni in materia di occasionalità necessaria, Cass.penale, sez. VI, 15 dicembre 2000, n. 1269, in Rass. avv. Stato, 2000, I, 344 con nota di PLUCHINO e id. Cass.civile, sez. III, 12 agosto 2000, n. 10803, in Foro it., 2001, I, 3289 con nota di GIRACCA, secondo cui “….a tale riguardo, l'attività può essere riferita all'Ente se sia e si manifesti come esplicazione dell'attività di quest'ultimo, cioè tenda (pur con abuso di potere) al conseguimento dei suoi fini istituzionali, nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui esso dipendente è addetto; e questo riferimento all'ente può venire meno solo quando il dipendente agisca come un semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico, che si rilevi assolutamente estraneo all'amministrazione - o addirittura contrario ai fini che essa persegue - ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente (così, sostanzialmente, Cass., 17 settembre 1997, n. 9260; Cass., 6 dicembre 1996 n. 10896; Cass., 13 dicembre 1995 n. 12786, Cass., 7 ottobre 1993 n. 9935, Cass., 3 dicembre 1991 n. 12960)”.

[8] Tra i più noti interventi legislativi volti ad ampliare la nozione di danno risarcibile v. l’art.13, l. 19 febbraio 1992 n.142 (poi abrogato dall’art.35, co.5, d.lgs n.80 del 1998) e l’art.17, co.1, lett.f), l. n.59 del 1997.

[9] Il riferimento è: a) all’ormai nota apertura alla risarcibilità dell’interese legittimo operata da Cass, sez.un., 22 luglio 1999 n.500, edita, tra l’altro, in  Foro it., 1999, I, 2487, 320, con note di CARANTA, FRACCHIA e ROMANO, in Foro amm., 2000, 2062, con note di SALEMME, CARPINELLI; in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1999, 1108, con nota di GRECO e in Giur. it. 2000, 21, con nota di MOSCARINI, al cui indirizzo si riporta anche Cass., 26 settembre 2003 n.14333, in Foro it., 2004, I, 794 con ampia nota di TRAVI e Cass., sez.un., 24 settembre 2004 n.192000, in www.lexitalia.it, n.10, 2004; b) all’ampliamento del danno risarcibile all’interesse negativo in caso di responsabilità precontrattuale e alla perdita di chances anche nei confronti della p.a. (es. in materia di gare e contratti); c) all’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata data all’art.2059 c.c. dalla Cassazione (Cass., sez.III, 31 maggio 2003 n.8827 e 8828, in TAR, 2003, n.10, 1991 con nota di VIOLA, Il danno esistenziale nella responsabilità civile della p.a. dopo gli interventi della Cassazione e della Corte costituzionale) e dalla Consulta (C.cost., 11 luglio 2003 n.233, ivi), che hanno dato il definitivo imprimatur alla nozione di danno esistenziale, sul quale, da ultimo, DI MARZIO, Il danno esistenziale nella giurisprudenza di merito e di legittimità, in Il merito, 2004, n.6, 2 ss..

[10] Sulla devoluzione al giudice amministrativo del contenzioso risarcitorio ex art.7, l. n.1034 del 1971 novellato dall’art.7, l. 205 del 2000 sia nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva che in quelle affidate alla sua giurisdizione di legittimità, v., ex pluribus, VARRONE, Giurisdizione amministrativa e tutela risarcitoria, in CERULLI IRELLI (a cura di), Verso il nuovo processo amministrativo, Torino, 2000, 36; TRAVI, Giustizia amministrativa e giurisdizione esclusiva nelle recenti riforme, in Foro it., 2001, V, 68 ss. Tale devoluzione pone un delicato problema in punto di giurisdizione, qualora nell’ambito di un giudizio su atti illegittimi e dannosi devoluto alla giurisdizione di legittimità venga proposta una azione risarcitoria nei confronti anche del singolo dipendente, oltre che nei confronti della p.a. (quest’ultima sicuramente convenibili innanzi al g.a.): sulla domanda nei confronti del singolo lavoratore sussiste la giurisdizione amministrativa (come in dottrina ritenuto da MERCATI, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Torino, 2002, 131 ss. e da PICONE, I temi generali del diritto amministrativo, vol.I, Napoli, 2000, 190 ss., che evidenziano il rischio di una doppia giurisdizione a seconda del corresponsabile solidale – p.a. o lavoratore - evocato in giudizio, con possibile contrasto di giudicati) o la domanda va proposta esclusivamente innanzi all’a.g.o. (come ritenuto da Tar Friuli Venezia Giulia, 26 luglio 1999 n.903, in Urb.appalti, 1999, 1350 e, assai sinteticamente, e prima della novella della l.n.205 cit., da Cass., sez.un., 10 marzo 1999 n.113, in Giust.civ.Mass., 1999, 529), come accade per i giudizi risarcitori avverso comportamenti non provvedimentali (ergo non giudicabili dal g.a.) della p.a. che arrechino un danno a terzi?  Sul punto si attende un intervento chiarificatore delle sezioni unite della Cassazione.

[11] Sull’ampio dibattito concernente la c.d. pregiudiziale amministrativa demolitoria per l’azione risarcitoria (richiesta da Cons.St., ad.plen., 26 marzo 2003 n.4, in Foro it., 2003, III, 433 con osservazioni di TRAVI e probabilmente esclusa, in un obiter, da Cass., sez.un., 26 maggio 2004 n.10180/ord., in Foro it., 2004, I, 2738 con osservazioni di FRACCHIA) è sufficiente il richiamo a FRACCHIA, nota a Cass, sez.un., 26 maggio 2004 n.10180/ord., in Foro it., 2004, I, 2738. V.altresì GARRI, Il problema della pregiudizialità amministrativa, in GARRI-GIOVAGNOLI, Responsabilità civile cit., 1 ss.

[12] Cons.St, sez. VI, 26 giugno 2003, n. 3850, in Riv. giur. Edilizia, 2004, I, 275 con nota di RAGAZZO.

[13] Cass.pen., sez. III, 11 giugno 2003, n. 33562, in Foro it., 2004, II, 522, con osservazioni di SERRAINO e in Riv. pen., 2003, 974.

[14] Con sentenza Cass.penale, sez. III, 2 luglio 2002, n. 36503 (in Cass. pen., 2004, 886), la Corte ha annullato la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità civile del Ministero della pubblica Istruzione per gli atti di violenza sessuale compiuti dal maestro di una scuola elementare in danno di sue alunne.

[16] Cass.civile, sez. III, 12 agosto 2000, n. 10803, in Foro it., 2001, I, 3289 con nota di GIRACCA. La sentenza cita, a conforto del proprio iter motivazionale, le conformi pronunce Cass., sez.III, 14 maggio 1997, n.4232, in Rass. Avv. Stato, 1997, I, 139; Cass., sez.III, 3 dicembre 1991 n.12960, in Rass.Avv.Stato, 1991,525; Cass., sez.III, 17 dicembre 1986 n. 7631, in  Giust.civ.Mass., fasc.12.

[17] La sentenza n.10803 del 2000 citata ha cassato la sentenza di merito, in quanto contraddittoria ed incongrua, nella parte in cui aveva affermato che il carabiniere, al momento dell'illecito era in libera uscita e che, allorché il colpo partì dalla pistola, egli "non stava svolgendo un'egoistica attività fuori servizio, ma stava maneggiando stolidamente l'arma affidatagli" e aveva ritenuto che tale fatto non fosse del tutto indipendente dal suo servizio "tanto più che pare che egli malaccortamente stesse spiegando ai commilitari come si maneggiava la pistola”.

[18] Cass., sez. III, 22 maggio 2000, n. 6617, in Giust. civ. Mass., 2000, 1079.

[19] Cass.penale, sez. IV, 11 dicembre 1980 (Rossi), in Giur. it., 1982, II, 225.

[20] Cass. penale, sez. VI, 20 giugno 2000, n. 13048, in Cass. pen., 2002, 1417.

[21] Cass., sez.III, 14 maggio 1997, n.4232, in Rass. Avv. Stato, 1997, I, 139.

[22] Cass., sez.III, 3 dicembre 1991 n.12960, in Rass.Avv.Stato, 1991, 525.

[23] Cass., sez.III, 17 dicembre 1986 n. 7631, in  Giust.civ.Mass., fasc.12.

[24] Cass., sez. III, 10 dicembre 1998, n. 12417, in Giust. civ. Mass., 1998, 2559.

[26] Cass.civile, sez. I, 13 dicembre 1995, n. 12786, in Giust. civ. Mass., 1995, fasc. 12.

[27] Cass. penale, sez. V, 22 settembre 1987 (Curcio), in Cass. pen., 1989, 823. V.anche Cass.penale, sez. IV, 14 giugno 1984 (Cipriani ), in Cass. pen. 1986, 286 e in Giur. it. 1986, II,41; Cass.penale, sez. I, 2 settembre 1982 (Lenza), in Cass. pen. , 1984, 912.

[28] Cass. civile, sez. III, 18 giugno 1983, n. 4195, in Giust. civ. Mass., 1983, fasc. 6.

[29] Sul rapporto di servizio,oggetto di frequenti interventi interpretativi della Corte dei Conti (presso la quale la nozione è rilevante per radicarne la giurisdizione in caso di danni erariali arrecati da privati legati alla p.a. da rapporto di servizio), cfr. TENORE, La nuova corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2004, 46.

[30] Tribunale Roma, 21 maggio 2002, in Giur. Merito, 2003, 573.

[31] Cfr. ALPA-BESSONE-ZENO ZENCOVICH, in Tratt.di dir.priv.diretto da RESCIGNO, Padova, vol.XIV, 341 ss.; VISINTINI, Tratt.breve della resp.civile, 666; MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile diretto da SACCO, Padova, 979 ss.

[32] Trib. Milano, 9 maggio 2003, in D.L. Riv. Crit. dir. lav., 2003, 649 con nota di BERNINI.

[34] Cass.civile, sez. lav., 7 gennaio 2002, n. 89, in Giust. civ., 2003, I, 524 (nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva configurato la responsabilità indiretta del datore di lavoro in relazione alla condotta del dipendente che, guidando un trattore per espletare un servizio del quale era incaricato, aveva consentito ad un altro dipendente di collocarsi come passeggero sul parafango del mezzo e ne aveva cagionato la morte a seguito di una manovra errata); in terminis Cass.civ., sez.III, 22 maggio 2001 n.6970, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 871 nota di BOERI; id., sez.III, 26 giugno 1998 n.6341, in Giust.civ.Mass., 1998, 1406; id., sez.III, 9 ottobre 1998 n.10034, in Giust. civ. Mass., 1998, 2055; id., sez. lav., 7 agosto 1997, n. 7331, in Giust. civ. Mass., 1997, 1364; id.,  sez. III, 14 novembre 1996, n. 9984, in Resp. civ. e prev,. 1998, 455 con nota di BOTTI; id., sez.lav., 9 giugno 1995 n.6506, in Giust. civ. Mass., 1995, fasc. 6; id., 16 marzo 1990 n.2154, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 3. V. anche Cass.civile, sez. III, 17 maggio 2001, n. 6756 (in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, 365 nota di MEOLI) che ha confermato la sentenza con cui il giudice di merito aveva ritenuto un istituto di credito responsabile dell'operato di alcuni suoi dipendenti - i quali, all'insaputa dell'istituto stesso, si erano fatti consegnare somme di danaro da alcuni clienti al fine di impiegarle in operazioni finanziarie definite di particolare redditività - sull'assunto che il comportamento dei funzionari infedeli era stato tenuto nell'orario di lavoro e nei locali della banca.

[35] Cass., sez.I, 20 marzo 1999, n.2574, in Giust. civ. Mass., 1999, 621 e in Danno e resp., 1999, 1021, con nota di PEDRAZZI; id., sez.III, 26 giugno 1998 n.6341, in Danno e resp., 1999, 429 con nota di PIZZETTI.

[36] Cass., sez. lav., 30 ottobre 1981, n. 5724, in Giust. civ. Mass., 1981, fasc. 10. In terminis Cass., sez. III, 11 gennaio 1982, n. 100, in Giust. civ. Mass., 1982, fasc. 1.

[37] Cass., sez. I, 15 febbraio 2000, n. 1682, in Giust. civ. Mass., 2000, 340.

[38] Il riferimento è alla citata Cass, sez.III, 11 giugno 2003.

[39] Il riferimento è alla citata Cass., sez.III, 14 maggio 1997, n.4232.

[40] Il riferimento è al citato Trib. Milano, 9 maggio 2003

[41] Il riferimento è alla citata Cass., sez. lav., 30 ottobre 1981, n. 5724

[42] Sulla responsabilità amministrativo-contabile del pubblico dipendente per danni arrecati alla p.a., è sufficiente il rinvio a TENORE (a cura di), La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2004, 2 ss e 107 ss.

[43] Sulla responsabilità disciplinare del pubblico dipendente v. NOVIELLO-TENORE, La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, Milano, 2002.


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