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RAFFAELE SQUEGLIA
Il nuovo art. 24 del CCNL del comparto Regioni – EE.LL.: prime riflessioni su taluni profili procedurali problematici.
L’art. 23 del CCNL del comparto Regioni – Enti Locali sottoscritto lo scorso 22 gennaio, rubricato “Modifiche all’art. 24 (Sanzioni e procedure disciplinari) del CCNL del 6 luglio 1995”, ha innovato diversi aspetti procedurali del procedimento disciplinare a carico dei dipendenti del comparto.
L’art. 23 comma 1 lettera b) ha sostituito il comma 2 dell’art. 24 del CCNL del 6.7.95, indicando esplicitamente il dies a quo dei venti giorni per la contestazione dell’addebito.
Il comma 2 dell’art. 24 recita: “L'ente, salvo il caso del rimprovero verbale, non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del dipendente, senza previa contestazione scritta dell'addebito e senza averlo sentito a sua difesa con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. La contestazione deve essere effettuata tempestivamente e comunque nel termine di venti giorni che decorre:
a) dal momento in cui il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora ha avuto conoscenza del fatto;
b) dal momento in cui l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, su segnalazione del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, ha avuto conoscenza del fatto comportante l’applicazione di sanzioni più gravi del rimprovero verbale e di quello scritto.”
Nella sua attuale formulazione, quindi, la norma distingue l’ipotesi in cui il responsabile della struttura proceda alla contestazione (ipotesi sub a) da quella in cui il responsabile della struttura, ritenendo che il fatto comporti l’applicazione di una sanzione più grave del rimprovero scritto, lo segnali all’ufficio per i procedimenti disciplinari (ipotesi sub b).
Si tratta di una modifica di carattere formale più che sostanziale, giacché la disciplina in proposito è rimasta nella sostanza conforme a quanto già risultava dal combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’art. 24 del CCNL del 6.7.95, e che l’interpretazione della previgente disposizione già deponeva nel senso di cui al nuovo comma 4. In ogni caso si è trattato di una precisazione opportuna, laddove si consideri che il nuovo testo contrattuale, ponendo fine ad annoso contrasto giurisprudenziale, ha espressamente attribuito natura perentoria al termine iniziale del procedimento disciplinare aggiungendo un comma 9 bis all’art. 24.
Quest’ultimo costituisce comunque un aspetto sul quale, attesa la sua rilevanza, si tornerà approfonditamente in seguito.
La lettera c) dell’art. 23 ha introdotto, all’art. 24, un comma 4 bis che reca una novità assoluta nel procedimento disciplinare a carico dei dipendenti degli enti locali.
Esso prevede che:“Qualora, anche nel corso del procedimento, già avviato con la contestazione, emerga che la sanzione da applicare non sia di spettanza del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, questi, entro cinque giorni, trasmette tutti gli atti all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, dandone contestuale comunicazione all'interessato. Il procedimento prosegue senza soluzione di continuità presso quest'ultimo ufficio, senza ripetere la contestazione scritta dell'addebito.”
L’intento perseguito dalla norma esaminata è senz’altro commendevole poiché risponde ad un’esigenza emersa dalla prassi. Non di rado, infatti, accadeva che il responsabile della struttura, pur avendo avviato il procedimento disciplinare con la contestazione di addebito, successivamente, melius re perpensa, mutasse avviso ritenendo il fatto suscettibile di sanzione superiore alla censura.
In tal caso, però, egli rimaneva irrimediabilmente vincolato alla determinazione assunta contestando direttamente l’addebito, scelta che consente, all’esito del procedimento disciplinare, esclusivamente di irrogare una sanzione non superiore alla censura.
Altrettanto condivisibile è la formulazione della norma che salvaguarda il principio di immutabilità della contestazione, laddove prevede espressamente che il procedimento prosegua, senza soluzione di continuità, presso l’ufficio per i procedimenti disciplinari, e rimarca che la contestazione di addebito non debba essere ripetuta.
Appare problematica la previsione di un termine di cinque giorni entro il quale il responsabile della struttura, rilevato che la sanzione eccede la propria competenza, deve trasmettere gli atti all’ufficio per i procedimenti disciplinari, atteso che in ordine a tale termine non è espressamente stabilito il dies a quo.
Sembra ragionevole, in via interpretativa, farlo coincidere con la contestazione di addebito, deponendo in tal senso la circostanza che cinque giorni dalla contestazione costituisce anche il termine dilatorio che il comma 3 dell’art. 24 (rimasto inalterato nella sua formulazione di cui al CCNL del 6.7.95), pone per la convocazione del dipendente per la difesa.
Secondo questa ipotesi ricostruttiva, entro il quinto giorno dalla contestazione d’addebito il responsabile della struttura potrà - qualora ritenga il fatto contestato esorbitare dalla propria competenza - trasmettere gli atti all’ufficio per i procedimenti disciplinari, demandando a quest’ultimo gli ulteriori adempimenti; in alternativa, decorso il termine dilatorio di cui all’art. 24 comma 3, potrà proseguire egli stesso il procedimento già avviato con la contestazione di addebito, in tal modo implicitamente confermando la decisione inizialmente assunta.
La restrizione del termine entro il quale è possibile il ricorso all’istituto della trasmissione “tardiva” degli atti all’ufficio per i procedimenti disciplinari appare coerente con l’ipotesi “fisiologica” dell’avvio del procedimento disciplinare mediante trasmissione degli atti all’ufficio competente, ai sensi del comma 4 del medesimo art. 24. Tale disposizione, inalterata rispetto alla formulazione di cui al CCNL del 6.7.95 - salvo l’aggiornato riferimento non più all’art. 59 del D.L.vo 29/1993 bensì e correttamente all’art. 55 del D. L.vo. 165/2001 - concede un termine di dieci giorni al responsabile della struttura per la segnalazione dei fatti da contestare all’ufficio per i procedimenti disciplinari.
Considerato che il responsabile della struttura, nel contestare direttamente l’addebito secondo il comma 2 dell’art 24, potrebbe già aver consumato per intero i venti giorni a sua disposizione, sembra congruo un termine massimo complessivo di venticinque giorni per il ricorso all’istituto di cui al comma 4 bis.
Inoltre una siffatta interpretazione pone l’ufficio per i procedimenti disciplinari in condizione di istruire e concludere con tempestività il procedimento “trasferito” presso di esso, non essendo possibile ipotizzare, nelle more della trasmissione degli atti, alcuna interruzione o sospensione del procedimento, ostandovi l’inequivocabile disposto dello stesso comma 4 bis nella parte in cui precisa che il procedimento prosegue “senza soluzione di continuità”.
Merita infine un cenno la comunicazione all’interessato dell’avvenuta trasmissione degli atti all’ufficio per i procedimenti disciplinari, adempimento che la norma demanda al responsabile della struttura, precisando che esso avvenga contestualmente alla trasmissione degli atti.
La norma non riconnette all’omessa o tardiva comunicazione alcuna specifica sanzione, benché esso sembri poter comunque integrare una violazione del principio di buona fede delle parti contrattuali, atteso che il ritardo o l’omissione può comprimere il diritto di difesa del dipendente che non venga a conoscenza del trasferimento del procedimento presso l’ufficio per i procedimenti disciplinari, menomando, per esempio, l’esercizio del diritto di accesso agli atti del procedimento disciplinare, espressamente riconosciuto dall’art 24 comma 5 del CCNL.
Il punto e) del comma 1 dell’art. 23, aggiungendo un comma 9 bis all’art. 24 affronta uno dei punti nodali in tema di procedimento disciplinare, quello che concerne la natura perentoria ovvero ordinatoria dei termini che ne scandiscono le fasi.
Il comma 9 bis recita: “Con riferimento al presente articolo sono da intendersi perentori il termine iniziale e quello finale del procedimento disciplinare. Nelle fasi intermedie i termini ivi previsti saranno comunque applicati nel rispetto dei principi di tempestività ed immediatezza, che consentano la certezza delle situazioni giuridiche”.
Malgrado la disposizione esaminata discorra genericamente di “termine iniziale e finale del procedimento disciplinare, sembra riferirsi, quanto al termine iniziale, a quello di venti giorni da computarsi ai sensi dell’art. 24 comma 2, a seconda che il procedimento sia instaurato direttamente dal responsabile della struttura ovvero dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari alla stregua di quanto previsto nelle distinte ipotesi sub a) e b) di tale comma.
Difficilmente appare sostenibile una diversa lettura che individui come termine iniziale quello di dieci giorni entro cui - nell’ipotesi di cui alla lettera b) dell’art. 24 comma 2 - il responsabile della struttura è tenuto a segnalare i fatti da contestare all’ufficio per i procedimenti disciplinari.
Infatti lo stesso nuovo CCNL precisa che la contestazione di addebito costituisce l’atto iniziale del procedimento disciplinare, come desumibile sia dall’art. 28 comma 1, che espressamente individua nella notifica della contestazione l’avvio del procedimento, sia dall’art. 24 comma 6 del CCNL del 6.7.95 che fa decorrere il termine di centoventi giorni per la conclusione del procedimento dalla “data della contestazione di addebito”.
La norma da ultimo citata fissa il termine finale del procedimento disciplinare in centoventi giorni dalla data della contestazione di addebito. Il secondo periodo del medesimo comma gli attribuisce natura perentoria, disponendo che “qualora non sia stato portato a termine entro tale data, il procedimento si estingue”.
Ne deriva che il comma 9 bis nulla ha innovato in merito al termine finale, atteso che anche la giurisprudenza dominante non ha mai seriamente dubitato della sua perentorietà.
Diversamente, ben altra rilevanza si dovrebbe riconoscere al dettato del comma 9 bis, nell’ipotesi in cui si concordi con la ricostruzione proposta da chi ritiene che il comma 3 dell’art. 24 contenga un diverso termine per la conclusione del procedimento disciplinare da applicarsi qualora il dipendente, convocato per l’audizione, la diserti. In tal caso, ai sensi del secondo periodo del comma 3, “trascorsi inutilmente quindici giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la sanzione viene applicata nei successivi quindici giorni”.
Ciò posto, laddove si ritenga che, nell’ipotesi disciplinata dalla predetta norma, il procedimento disciplinare vada concluso non entro centoventi giorni dalla contestazione di addebito, bensì decorsi complessivamente trenta giorni dalla data della convocazione andata deserta, ai sensi del comma 9 bis tale ultimo termine sarebbe senza dubbio da considerarsi perentorio.
Il secondo periodo del comma 9 bis, dispone che “Nelle fasi intermedie i termini ivi previsti saranno comunque applicati nel rispetto dei principi di tempestività ed immediatezza, che consentano la certezza delle situazioni giuridiche.”
Esso estende ai termini del procedimento disciplinare sia il principio di tempestività previsto per la contestazione d’addebito dall’art. 24 comma 2, sia quello di immediatezza, desunto dall’art. 7 della legge 300/70 secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sempre in riferimento alla contestazione.
Si tratta di statuizione tutt’altro che secondaria, che consente di escludere decisamente la perentorietà dei termini relativi alle fasi intermedie del procedimento, problematica in ordine alla quale, vigente il CCNL del 6.7.95, erano sorte non poche perplessità.
Merita infine un cenno la determinazione dell’ambito operativo del comma 9 bis: l’inciso del primo periodo “Con riferimento al presente articolo (…)” sembrerebbe escludere in radice ogni sua estensibilità a termini contenuti in disposizioni diverse dall’art. 24, il che rileverebbe rispetto a quelli contenuti nell’art. 25 bis in tema di procedimento disciplinare connesso a procedimento penale.
Il secondo periodo, tuttavia, potrebbe dare adito a diversa interpretazione qualora si ponga in relazione l’“ivi previsti” con i “termini previsti nelle fasi intermedie”, così consentendo di estendere il principio di cui al secondo periodo del comma in esame anche ai termini relativi alle fasi intermedie di cui all’art. 25 bis del CCNL.