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n. 6/2008 - © copyright

MARCO SMIROLDO
(Magistrato della Corte dei conti)

La giurisdizione di nullità della Corte dei conti sui provvedimenti e sui contratti che violano l’art. 30, comma 15, L. 27 dicembre 2002, n. 289: per gli enti territoriali un possibile exit device per liberarsi dalla morsa dei derivati finanziari

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SOMMARIO: 1.- Il giudizio sulla nullità degli atti e dei contratti stabilita dall’art. 30, comma 15, L. 27 dicembre 2002, n. 289 dinanzi alla Corte dei conti. 2.- I fondamenti della giurisdizione di nullità della Corte dei conti: alcune ipotesi ricostruttive. 3.- La nullità degli atti e dei contratti che violano l’art. 119, comma 6, Cost. quale strategia d’uscita dalla morsa dei derivati finanziari per gli enti territoriali.

1.- Con la sentenza n. 87/E.L./08 del 23 maggio 2008, la Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria ha compiuto un altro importante passo del (tormentato) percorso d’attuazione giurisprudenziale della disposizione contenuta nell’art. 30, comma 15, L. 27 dicembre 2002, n. 289, a mente del quale: “Qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle d’investimento, in violazione dell’art. 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque volte e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione”.

La decisione si segnala per aver risolto un originale caso nel quale amministratori di un ente territoriale, ricorrendo all’indebitamento tramite l’emissione di Buoni Ordinari comunali, avevano finanziato spese diverse da quelle d’investimento in violazione dell’art. 30, comma 15, L. 27 dicembre 2002, n. 289.

Tra gli aspetti più significativi della sentenza, anche perché affrontati ex professo per la prima volta, spicca la soluzione data dalla Sezione ai problemi applicativi concernenti la declaratoria, nell’ambito del giudizio dinanzi alla Corte dei conti, delle nullità di atti e contratti prevista dal primo periodo della richiamata disposizione.

La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l’Umbria si affida ad un’agile e sintetica motivazione, che in alcuni passaggi assume delle forme stilistiche quasi tacitiane: ma si sa, “che il perder tempo a chi più sa, più spiace”. Proviamo allora ad avventurarci nei luoghi argomentativi del giudice contabile.

In primo luogo, la Sezione rintraccia nella previsione dell’art. 30, comma 15, L. 27 dicembre 2002, n. 289 due sanzioni, una oggettiva, “relativa alla nullità degli “atti e contratti” di indebitamento”, ed una soggettiva, “relativa alla condanna ad una “pena pecuniaria” di coloro che “hanno assunto la deliberazione” che ha dato luogo all’indebitamento stesso”: “trattasi, invero, - continua la Sezione - di “sanzioni strettamente correlate l’una all’altra, tanto che la sanzione pecuniaria sembra configurarsi quale conseguenza ulteriore rispetto alla nullità degli atti” (v. Sez. Giur. Reg. Lazio sent. N°3001/2005)”. Tale nullità “opera di diritto” e, conseguentemente, le sentenze della Corte dei conti hanno natura meramente dichiarativa e sono necessarie per fissare chiaramente l’ambito oggettivo della nullità, “o – se si preferisce – ad individuare esattamente gli atti colpiti da nullità”. E ciò ha un valore del tutto particolare proprio nei casi, come in quello deciso, “in cui uno stesso “indebitamento” ha dato copertura a più spese, di cui alcune soltanto costituiscono “spese diverse da quelle di investimento”, così che solo per esse opera la nullità dei relativi atti”.

In tale prospettiva, prosegue la sentenza, la “nullità” di cui all’art. 30, comma 15, della l. n°289/2002, non può essere concepita sempre e comunque come “nullità totale”, ben potendo consistere anche in una “nullità parziale”; limitata, cioè, alle sole spese non di investimento sostenute con un indebitamento che ha dato copertura anche a spese di investimento. Tanto, “in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 30, comma 15, della l. n°289/2003, che tenga conto dei principi di “adeguatezza” e “congruità” della sanzione, per i quali deve sempre sussistere un ragionevole rapporto di “proporzionalità” tra la sanzione stessa ed il “bene-valore presidiato dalla norma” (ex Corte Cost. n°16/1991, n°84/1997, n°247/1997 e n°68/1998)”.

Il collegio, infine, precisa anche i termini temporali d’efficacia della declaratoria di nullità, limitandone l’operatività “solo per i rapporti che non siano già integralmente esauriti e per i quali, quindi, non sia più possibile eliminare tutti gli effetti ormai irretrattabilmente prodotti : factum infectum fieri nequit.

Conclusivamente, sulla base della suesposta motivazione, il Collegio “ritiene di dover pervenire ad una declaratoria di nullità parziale della deliberazione consiliare n°88/2004 (e conseguenti atti negoziali)”.

2.- La decisione si dimostra importante, perché per la prima volta, affronta concretamente il tema dell’operatività del “principio di concentrazione delle tutele” nell’ambito della giurisprudenza di responsabilità della Corte dei conti, consentendo di verificare gli ambiti d’operatività di quella che potrebbe definirsi con formula di sintesi la “giurisdizione di nullità della Corte dei conti”.

In tale prospettiva, la decisone si rivela di generale interesse anche perché i principi da essa affermati sono – come si dirà -astrattamente estensibili a tutti i procedimenti contenziosi di competenza della Corte dei conti.

In linea generale, infatti, la possibilità di rimuovere gli effetti dell’atto (provvedimentale e/o negoziale) che è la causa giuridica del danno erariale completa, facendole acquisire concreta effettività, la tutela giuridica delle ragioni dell’erario. In tal modo, infatti, si impedisce che gli effetti patrimoniali negativi derivanti dalla vigenza dell’atto o del contratto si perpetuino a prescindere dalla condanna degli autori dello stesso al pagamento di una sanzione pecuniaria, come nel caso di cui all’art. 30, comma 15, l. 27 dicembre 2002, n. 289, o al risarcimento del danno cagionato con la loro adozione o conclusione nel caso di responsabilità amministrativa classica.

In tale contesto, il primo punto da affrontare, si direbbe il più importante, è quello del fondamento della giurisdizione in materia di nullità di atti della p.a. e contratti in capo alla Corte dei conti, ordinariamente assegnata – com’è noto -, rispettivamente a G.A. e G.O..

Con riferimento all’ipotesi di responsabilità prevista dall’art. 30, comma 15, l. n. 289 del 2002, la Sezione, nel dichiarare “la nullità parziale della deliberazione consiliare n. …. (e conseguenti atti negoziali)”, ha dimostrato di ritenere che la nullità degli atti e dei contratti abbia natura di sanzione, al pari di quella pecuniaria, concludendo che a fronte del nesso di stretta relazione esistente tra le due sanzioni, la giurisdizione su entrambe spetta alla Corte dei conti.

L’affermazione (implicita) della giurisdizione della Corte dei conti sulle azioni di nullità previste dall’art. 30, comma 15, l.n. 289 del 2002 è senz’altro da condividere per i contenuti d’effettività che dà agli strumenti di tutela delle ragioni erariali, sia in relazione alle nuove figure di responsabilità erariale tendenzialmente tipizzate di recente dal legislatore, sia con riferimento alle ipotesi classiche di responsabilità amministrativa fondate sulla clausola generale di atipicità dell’illecito erariale.

Tuttavia, a rigore, anche se è vero che la nullità, al pari delle altre invalidità, comporta la sanzione dell’inefficacia definitiva del contratto, qualificare la nullità come sanzione può ingenerare confusione tra natura giuridica ed effetti giuridici di un istituto, e comunque rimane il fatto che soltanto l’irrogazione della sanzione pecuniaria è dalla legge espressamente assegnata alla giurisdizione delle “sezioni giurisdizionali della Corte dei conti”, e quindi, probabilmente la giurisdizione della Corte dei conti in materia d’invalidità provvedimentali e negoziali non si dovrebbe fondare direttamente sull’art. 30, comma 15, L. n. 289 del 2002.

Ciò non porterebbe comunque ad escludere in radice la giurisdizione della Corte dei conti in materia d’invalidità provvedimentali e negoziali.

Sul piano tecnico – giuridico il problema può scomporsi, da un lato, nella questione relativa al fondamento della giurisdizione contabile in materia di nullità degli atti amministrativi e, dall’altro, in quella della giurisdizione sulle azioni di nullità dei contratti.

Quanto al sindacato del giudice contabile sulla validità degli atti amministrativi, in mancanza di una espressa previsione normativa in tal senso, l’affermazione della giurisdizione potrebbe esser rinvenuta nel sistema giuridico di tutela delle ragioni erariali [1].

Da questo punto di vista, la pronuncia in esame – di nullità parziale di un provvedimento amministrativo -si rivela di assoluta innovatività, ponendo certamente pro futuro delicatissimi problemi di riparto di giurisdizione. Tali problemi potrebbero essere superati dalla considerazione che, in realtà, la soluzione adottata dalla Sezione giurisdizionale Umbria sembra operare un (implicito) rinvio per presupposizione al principio di concentrazione delle tutele [2], impiegato dal G.A. per giustificare il proprio potere di dichiarare la nullità dei contratti conseguente all’annullamento delle procedure di gara. Nel caso della giurisdizione della Corte dei conti, infatti è innegabile che un’efficace protezione delle ragioni dell’erario impone di agire – attraverso l’esperimento dell’azione di nullità - anche per impedire il prodursi di ulteriori futuri effetti patrimoniali pregiudizievoli per l’erario causati dalla vigenza (esecutività ed esecutorietà) dei provvedimenti amministrativi [3].

Quanto alla giurisdizione del giudice contabile sulle azioni d’invalidità contrattuale, ed in particolare l’azione di nullità, il discorso può essere in parte diverso, in quanto esiste un’espressa previsione di legge che fa proprie quelle esigenze d’efficacia ed effettività della tutela delle ragioni dell’erario. Si tratta dell’art. 1, comma 174 della l. 23.12.2005 n. 266, secondo il quale “Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l'articolo 26 del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile”.

Sul piano sostanziale, almeno per ciò che concerne la nullità dei contratti, si potrebbe concordare agevolmente che tra tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore sia ricompresa anche quella diretta a far dichiarare la nullità dei contratti che si rivelino fonte di danno permanente

Ciò comporterebbe che proprio la norma contenuta nell’ art. 1, comma 174 della L. 23.12.2005 n. 266 potrebbe essere considerata quell’espressa previsione di legge che, ai sensi dell’art. 103, Cost., attrae il giudizio su tale forma d’invalidità (nullità) nell’ambito delle materie oggetto dei “procedimenti contenziosi di competenza della Corte dei conti” (art. 26, R.D. 1038 del 1933) e quindi nella giurisdizione della Corte dei conti.

Nel caso dei contratti la nullità potrà assumere, a seconda dei casi, p. es., la figura della nullità c.d. “virtuale” (art. 1418, comma 1, c.c.) per contrarietà a norma imperativa (art. 119, comma 6, Cost.) qualora sia fatta valere nell’abito di un giudizio di responsabilità amministrativa per danno, ovvero, come nel caso deciso, quello della nullità ex art. 1418, comma 3, c.c., quando il giudizio abbia ad oggetto l’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 30, comma 15, l.n. 289 del 2002.

Quanto agli effetti temporali, la declaratoria di nullità avrà gli ordinari effetti ex tunc nel caso dei contratti stipulati nella vigenza del divieto posto dall’art. 119, comma 6, Cost. (novembre 2001) o, al più tardi, successivamente all’entrata in vigore dell’art. 30, comma 15, l. n. 289 del 2002 (gennaio 2003).

Nel caso di contratti conclusi prima di tali termini, la Sezione sembra aver accolto la ricostruzione dogmatica della c.d. “nullità successiva”, osservando che “che la “nullità” in questione opera solo per i rapporti che non siano già integralmente esauriti e per i quali, quindi, non sia più possibile eliminare tutti gli effetti ormai irretrattabilmente prodotti: factum infectum fieri nequit.”.

Passando ad esaminare alcuni profili processuali dell’azione di nullità contrattuale conoscibile dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti occorre rilevare che l’entrata in vigore delle norme contenute nell’art. 1, comma 174 della l. 23.12.2005 n. 266, ha fatto sì che il P.M. contabile sia stato inserito tra i soggetti che – attesa la legittimazione generale all’azione di nullità ex art. 1421 c.c. – “hanno interesse” a far valere la nullità dei contratti e segnatamente nell’ambito dei “procedimenti contenziosi di competenza della Corte dei conti” (art. 26, R.D. 1038 del 1933).

Nel caso deciso dalla Sezione Umbria, sul piano processuale, l’azione di nullità sembra esser stata introdotta d’ufficio dal giudice, secondo quanto previsto dall’art. 1421 del c.c.. Al riguardo, com’è noto, il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità ai sensi dell'art. 1421 cod. civ. deve essere correlato col principio della domanda di cui agli artt. 99 e 112 cod. proc. civ.

Infatti, secondo la giurisprudenza (ex plurimis v. Cass. civ. Sez. I, 08-01-2007, n. 89 (rv. 594360)) ove si contesti l'applicazione o l'esecuzione di un atto, la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare l'eventuale nullità dell'atto stesso in qualsiasi stato e grado del giudizio e indipendentemente dall'attività assertiva delle parti.

Al contrario, quando, invece, nel giudizio si controverta della illegittimità dell'atto, costituisce vizio di ultrapetizione l'eventuale dichiarazione d'ufficio della nullità.

Così, poiché nel caso della applicazione dell’art. 30, comma 15, l. n. 289 del 2002, si ritiene si sia dinanzi ad un’ipotesi in cui il thema decidendum sia proprio la illegittimità dell’atto, conseguentemente la nullità deve essere oggetto di specifica domanda della parte. Infine, con riferimento alla necessaria costituzione in giudizio delle parti contrattuali, si ritiene necessario rilevare che la declaratoria di nullità debba essere soggettivamente qualificata con la partecipazione al giudizio anche delle parti del contratto del quale si dichiara la nullità, nonché oggettivamente precisata con riferimento ad ogni singolo contratto, non ritenendosi sufficiente una indicazione per relationem (e tra parentesi) a conseguenti atti negoziali.

3.- Un’ultima notazione, infine, di carattere strettamente operativo. Infatti, indipendentemente dall’accoglimento, o meno, della ricostruzione qui tentata per rintracciare i fondamenti della “giurisdizione di nullità” della Corte dei conti, occorre sottolineare che quella “stretta correlazione” rinvenuta dalla giurisprudenza (Sez. Lazio e Sez.Umbria) tra nullità degli atti e contratti e sanzione pecuniaria emerge un secondo profilo che merita un breve accenno.

Occorrerà verificare, infatti, se tale rapporto di correlazione debba essere inteso in termini di pregiudizialità o meno, ossia se la declaratoria di nullità sia pregiudiziale ai fini del decidere sulla sanzionabilità dei comportamenti e, quindi, se essa possa essere dichiarata dalla Sezioni ai sensi dell’art. 34 del c.p.c., per l’effetto di giudicato che tale norma riconnette agli accertamenti incidentali dalla cui definizione dipende la decisione della causa (art. 295 c.p.c.).

Sul punto, come si è visto, la Sezione ritiene – facendo propria la giurisprudenza della Sezione Lazio – che “la sanzione pecuniaria sembra configurarsi quale conseguenza ulteriore rispetto alla nullità degli atti” (v. Sez. Giur. Reg. Lazio sent. n°3001/2005)”, in tal modo adombrando probabilmente l’esistenza di un nesso di pregiudizialità tra nullità degli atti e/o contratti e sanzione dei comportamenti posti in violazione dell’art. 30, comma 15, l.n. 289 del 2002.

Il problema non è di poco momento se si considera che, se il capo della sentenza che contiene la declaratoria di nullità fosse idoneo a passare in giudicato anche a fronte di una assoluzione dei convenuti, p. es., per mancanza del coefficiente psicologico d’imputabilità del fatto sanzionato, ciò avrebbe dei riflessi pratici di enorme importanza. Si fa riferimento, p. es., alle note problematiche che hanno coinvolto numerose amministrazioni locali che hanno stipulato strumenti di finanza derivata quali gli swap con up front.

In questi casi, gli enti territoriali hanno trasformato il loro indebitamento a tasso fisso in un indebitamento a tasso variabile, sostanzialmente scommettendo– assumendone il relativo rischio - sul mancato rialzo nel tempo dei tassi d’interesse, e lucrando un’anticipazione (up front) di ciò che il contratto derivato avrebbe reso se i tassi d’interesse in vigore al momento della conclusione del contratto fossero rimasti invariati fino alla scadenza del contratto medesimo.

L’attualità consegna una situazione economica caratterizzata da un’estrema volatilità dei tassi d’interesse, che infatti dopo la stipula degli swaps sono saliti, esponendo gli enti territoriali non soltanto a oneri maggiori di quelli che avrebbero sostenuto mantenendo i loro strumenti d’indebitamento al tasso fisso, ma anche ad elevatissimi “costi di sostituzione”.

Ora, poiché gli enti territoriali – nella generalità – hanno impiegato le risorse ottenute tramite l’incameramento dell’anticipazione sui flussi di cassa futuri (up front), somme che hanno notoriamente natura d’indebitamento, per finanziare spese di parte corrente, hanno in tal modo violato l’art. 30, comma 15. l.n. 289 del 2002, con conseguente nullità degli atti e dei relativi contratti di finanza derivata.

In tale contesto, la possibilità di configurare un autonomo passaggio in giudicato del capo della sentenza che contiene la declaratoria di nullità, consentirebbe – indipendentemente dalle sorti dell’azione sanzionatoria – di garantire una tutela effettiva ed efficace delle casse dell’ente territoriale che, grazie alla nullità dei contratti, non dovrebbero sopportare i maggiori costi dovuti alle oscillazioni al rialzo dei tassi, nè gli alti costi di sostituzione legati all’anticipata risoluzione o modificazione delle condizioni contrattuali degli strumenti finanziari.

E’ bene precisare, anche per i possibili profili di concorrente responsabilità erariale “classica” che a ciò si associano [4], che l’effetto descritto potrebbe realizzarsi anche se si negasse la giurisdizione in materia di nullità della Corte dei conti.

Infatti, la qualificazione legale di nullità di atti e contratti che compongono le operazioni di finanza derivata in parola potrebbe essere oggetto di un provvedimento d’autotutela da parte dell’amministrazione contraente, ovvero di una declaratoria giurisdizionale di nullità dell’atto amministrativo da parte del G.A. su impulso sempre dell’amministrazione.

Quanto ai contratti, quest’ultimi potrebbero essere dichiarati nulli dal G.O. sempre su azione dell’amministrazione contraente.

Si rileva, in conclusione, che la possibilità di esperire tali strumenti di tutela delle ragioni erariali è attuale almeno a far data dal 2003, essendo noto peraltro che al creditore erariale – qualificato dal fatto di gestire un patrimonio di cui è costituito garante, ed in alcuni casi custode – incombe l’obbligo di servizio del diligente esercizio di quelle azioni volte ad evitare l’effetto di limitazione della responsabilità del danneggiante previsto dall’art. 1227, comma 2, c.c. in ipotesi di colpevole concorso del danneggiato nell’aggravarsi della dimensione economica del danno.


 

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[1] Nel cui contesto è nota la costante giurisprudenza contabile che ritiene configurabile tale sindacato soltanto incidenter tantum, e quindi non ai fini di una pronuncia demolitoria sull’atto, ma dell’affermazione della responsabilità amministrativa che dall’adozione di quell’atto deriva.

[2] Cass., SS.UU., 28 febbraio 2007, n. 4636.

[3] La questione rimane, comunque, complessa e aperta, restando ancora attuale il confronto interpretativo sul punto tra Consiglio di Stato e SS.UU: v. da ultimo , SS.UU. sent. n. 27169 del 2007.

[4] V, sul punto, SS.RR. 12 QM del 2007.


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