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CIRO SILVESTRO (*)
La mobilità pubblico-privato dei dirigenti nella legge 145/2002
1. La mobilità pubblico-privato all’interno della riforma della dirigenza pubblica.
L’art. 7, comma 1, della legge 15 luglio 2002, n. 145, di riforma della dirigenza statale, ha introdotto nel corpo del D.Lgs. 165/2001 un articolo 23 bis, il cui carattere innovativo traspare già dalla rubrica: Disposizioni in materia di mobilità tra pubblico e privato. Da evidenziare, peraltro, che tale rubrica è, in parte fuorviante: la norma in oggetto riguarda, infatti, non solo la mobilità tra pubblico e privato ma anche la circolazione dei dirigenti tra soggetti pubblici diversi.
A fare da apripista sul tema si era adoperato un disegno di legge presentato dal governo nella passata legislatura, poi decaduto con lo scioglimento delle Camere. Anche in quell’occasione venne prospettato il ricorso ad aspettative prolungate dei dirigenti pubblici per favorire scambi di esperienze tra settore pubblico e privato, meccanismo da subito ribattezzato come un “biglietto di andata e ritorno per una trasferta nel mondo del privato” [1].
La relazione al disegno di legge governativo concretizzatosi nella legge 145/2002 sottolinea, invero, il rilievo strategico delle “norme dirette a favorire una maggiore mobilità dei dirigenti tra settore pubblico e privato, anche al fine di realizzare un proficuo e reciproco scambio di esperienze. L'esigenza suddetta, volta a realizzare una maggiore osmosi tra management pubblico e management privato, nasce dalla necessità di inserire velocemente nelle pubbliche amministrazioni quei meccanismi privatistici di gestione delle risorse umane e finanziarie che consentano un miglioramento della qualità dei servizi per le imprese e per i cittadini. Inoltre, la possibilità di effettuare esperienze di lavoro sia nel settore pubblico che nel settore privato contribuisce alla promozione della crescita professionale della dirigenza pubblica, oltre che della cultura manageriale, nonché di realizzare un meccanismo di pantouflage trasparente per assicurare un continuo scambio di esperienze, di best practices e di culture organizzative [la cosiddetta cross fertilization]”.
L’indagine che segue mira ad offrire un primo commento alle disposizioni del nuovo articolo 23 bis del D.Lgs. 165/2001, per poi soffermarsi sui contrapposti modelli del pantouflage e dello spoils system, i due meccanismi di interazione tra alta funzione pubblica e realtà esterne sviluppati, rispettivamente, in Francia e U.S.A. (con qualche nota sulle particolarità del caso italiano).
2. L’art. 23 bis del D.Lgs 165/2001.
L’art. 23 bis del D.Lgs. 165/2001 introduce una deroga al regime delle incompatibilità disposto per tutti i dipendenti pubblici dall’art. 60 T.U. n. 3/1957, norma richiamata dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001 (anche esso modificato dalla l. 145/2002 con l’inserimento di un riferimento espresso all’allentamento del sistema delle incompatibilità scaturito dal nuovo art. 23 bis).
I dirigenti delle pubbliche amministrazioni, nonché gli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato, possono, ora, a domanda [2], essere collocati in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Il periodo di aspettativa non comporta la perdita della qualifica posseduta [3].
Tale disposizione non incide bensì si aggiunge alla vigente disciplina in materia di collocamento fuori ruolo. La legge 145/2002 ha, anzi, potenziato, semplificandole, proprio alcune delle procedure di fuori ruolo funzionali all’esercizio di incarichi e impieghi temporanei presso enti o organismi internazionali ovvero all’esercizio di funzioni presso Stati esteri (cfr. l’art. 8 della legge).
D’altro canto, sempre per favorire meccanismi di mobilità – specie sulla direttrice privato/pubblico - il legislatore del 2002 ha parallelamente innovato anche la materia degli incarichi dirigenziali presso amministrazioni dello Stato conferibili ad esterni, rimodulando i contingenti e i soggetti interessati. L’inedito dettato dell’art. 19, comma 5-bis, del D.Lgs. 165/2001 precisa, in primo luogo, che gli incarichi dirigenziali possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, anche a dirigenti non appartenenti ai ruoli delle amministrazioni statali, purché dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art.1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 ovvero di organi costituzionali.
Tale facoltà è contenuta nei limiti del 10% della dotazione organica dei dirigenti di prima fascia e del 5% della dotazione organica dei dirigenti di seconda fascia [4]. La legge 145/2002 è, poi, intervenuta sull’originario dettato del comma 6 dell’art. 19 D.Lgs. 165/2001, prevedendo un significativo aumento degli incarichi dirigenziali attribuibili, con contratto a tempo determinato, a soggetti, dalle specifiche e comprovate qualità professionali, non appartenenti ai ruoli dirigenziali pubblici. Rispetto alla precedente formulazione della norma, detti posti sono incrementati dal 5% al 10% della dotazione organica dei dirigenti di prima fascia e dal 5% all’8% della dotazione organica dei dirigenti di seconda fascia [5].
Tornando all’esame dell’art. 23 bis del D.Lgs. 165/2001, si deve evidenziare come, al fine di evitare fenomeni di connivenza/sviamento, pregiudizievoli alla trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa, l'aspettativa per lo svolgimento di attività o incarichi presso soggetti privati o pubblici non può comunque essere disposta qualora:
a) l’interessato, nei due anni precedenti, è stato addetto a funzioni di vigilanza, di controllo ovvero, nel medesimo periodo di tempo, ha stipulato contratti o formulato pareri o avvisi su contratti o concesso autorizzazioni a favore di soggetti presso i quali intende svolgere l'attività. Ove l'attività che si intende svolgere sia presso una impresa, il divieto si estende anche al caso in cui le predette attività istituzionali abbiano interessato imprese che, anche indirettamente, la controllano o ne sono controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile;
b) l’interessato intende svolgere attività in organismi e imprese private che, per la loro natura o la loro attività, in relazione alle funzioni precedentemente esercitate, possa cagionare nocumento all'immagine dell'amministrazione o comprometterne il normale funzionamento o l'imparzialità.
Viene, altresì, specificato che il dirigente non può, nei due anni successivi al rientro dall’aspettativa, ricoprire incarichi che comportino l'esercizio delle funzioni sopra individuate (commi 5 e 6 dell’art. 23 bis).
La facoltà di richiedere il collocamento in aspettativa senza assegni è espressamente sancita anche per i dirigenti che svolgono funzioni ispettive, di consulenza, studio, ricerca o altri incarichi specifici, fatto salvo il motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza. Per i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, e per gli avvocati e procuratori dello Stato, sono i competenti organi di autogoverno a deliberare il collocamento in aspettativa, anche qui fatta salva la facoltà di valutare ragioni ostative all'accoglimento della domanda [6]. Il disposto del nuovo articolo 23-bis del D.Lgs. 165/2001 non trova, invece, applicazione nei confronti del personale militare e delle Forze di polizia, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Il complessivo tenore delle disposizioni in commento non sembra prefigurare forme di automatismo nella concessione dell’aspettativa. In tal senso “depone non solo il dato letterale (possono…essere collocati in aspettativa), ma la stessa regola generale per cui non può precludersi all’amministrazione di appartenenza l’esercizio di una discrezionale valutazione in ordine al miglior utilizzo del proprio personale, e quindi anche sull’opportunità di concedere l’aspettativa di cui è questione, che va infatti riguardata sotto molteplici aspetti, non sempre necessariamente collimanti” [7].
La norma, peraltro, già prevede espressamente sia per i dirigenti con incarichi di studio, ispettivi, ecc. (ex art. 19, comma 10, D.Lgs. 165) che per i magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, la possibilità, rispettivamente, di “motivato diniego dell’amministrazione di appartenenza” a fronte della domanda di aspettativa, ovvero “la facoltà di valutare ragioni ostative all’accoglimento della domanda”. Per i dirigenti con incarichi di studio, ispettivi, ecc., il comma 2 dell’art. 23 bis dispone, peraltro, testualmente che gli stessi “sono collocati a domanda in aspettativa senza assegni”, laddove la disposizione generale di cui al comma 1 prevede, come appena ricordato che i dirigenti “possono, a domanda, essere collocati in aspettativa”. Tali dati testuali hanno spinto a ritenere che “per i dirigenti che non hanno la titolarità di uffici il percorso previsto dal legislatore sia più agevole e meno condizionato rispetto agli altri dirigenti (ed alle altre categorie previste dal comma 1): nel senso che la domanda di svolgere attività presso altri soggetti pubblici o privati è assistita da una sorta di presunzione di accettazione, che potrà essere sconfessata solo da un espresso e motivato atto di diniego dell’amministrazione. Sembra doversi invece desumere, a contrario, un meccanismo inverso per i dirigenti con titolarità di uffici” [8].
Da segnalare, poi, che laddove la norma individua, al comma 5, le due generali ipotesi preclusive all’aspettativa (al fine di evitare fenomeni di connivenza/sviamento), essa specifica testualmente che l’aspettativa “non può comunque essere disposta”, con ciò facendo intendere “che trattasi di ipotesi (appunto normativamente previste) di non concessione dell’aspettativa, che quindi sottintendono e presuppongono una generale facoltà dell’amministrazione di appartenenza di non concedere l’aspettativa pur non ricorrendo le segnalate ipotesi” [9].
Infine, il comma 4 del nuovo art. 23 bis del D.Lgs. 165 stabilisce che nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, il periodo di collocamento in aspettativa non può superare i cinque anni e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza (l’originario disegno di legge governativo prevedeva, invece, un limite di tre anni). La norma di legge omette di specificare se il limite dei cinque anni sia da intendersi come complessivo ovvero sia riferito alla durata massima di ciascun periodo di aspettativa, stante la possibilità di più richieste nel corso della vita lavorativa del dipendente interessato.
Accanto alle disposizioni fin qui commentate, la legge 145/2002 prevede un ulteriore istituto (cfr. i commi 7 e 8 dell’art. 23 bis del D.Lgs. 165/2001). Sulla base di appositi protocolli di intesa, le amministrazioni pubbliche possono anche disporre, per singoli progetti di interesse specifico dell'amministrazione e con il consenso dell'interessato, l'assegnazione temporanea di personale presso imprese private. I protocolli disciplinano le funzioni, le modalità di inserimento e l’eventuale attribuzione di un compenso aggiuntivo, da porre a carico delle imprese destinatarie. Il servizio prestato dai dipendenti durante tale periodo di assegnazione temporanea costituisce titolo valutabile ai fini della progressione di carriera.
La norma non limita l’applicabilità dell’assegnazione temporanea presso imprese private a specifiche figure, stante l’adozione del generico termine “personale” (quindi anche non dirigenziale). Non vengono neanche contemplati espressi limiti temporali, sebbene l’assegnazione temporanea sia consentita solo per singoli progetti (condizione limitativa che non è prevista, invece, per il collocamento in aspettativa di cui al comma 1 dell’art. 23 bis).
Alla definizione dei meccanismi di attuazione di quanto dettato dall’art. 23-bis si dispone con apposito regolamento governativo, individuante anche i soggetti privati e gli organismi internazionali che potranno “pescare” tra i dirigenti pubblici disponibili ad uscire in aspettativa. Solo “in ambito pubblico (e nazionale), dunque, la disciplina prevista dalla norma è immediatamente operativa. Incuriosisce peraltro immaginare il criterio che potrà essere utilizzato in sede di regolamento per circoscrivere l’area di possibile destinazione ai sensi dell’art. 23–bis, specie per quanto riguarda i soggetti privati” [10].
Il comma 2 dell’art. 7 l. 145/2002 aggiunge, altresì, all'articolo 101 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000) un comma 4-bis, in funzione dell’estensione delle disposizioni di cui all'articolo 23-bis del D.Lgs. 165/2001 anche ai segretari comunali e provinciali equiparati ai dirigenti statali ai fini delle procedure di mobilità (per effetto del relativo CCNL). Alla cessazione dell'incarico, il segretario comunale o provinciale viene, però, collocato nella posizione di disponibilità nell'ambito dell'albo di appartenenza. Con riferimento, invece, alla dirigenza degli enti locali, si segnala la Circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli affari interni e territoriali 4/2002 prot. n. 15700/aagg del 7 ottobre 2002.
Tale atto di indirizzo interpretativo rileva che, poiché alcune parti della legge 145/2002 “introducono principi ai quali non può non riconoscersi una potenziale valenza generale nell’ambito del pubblico impiego, si pone il problema dei limiti nei quali è possibile configurare una loro diretta o mediata incidenza sull’ordinamento degli enti locali” [11].
Richiamati i principi già enucleabili dal Testo unico degli enti locali, è precisamente dall’art. 88 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (che rinvia, per l’ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti, alle disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni) e dal successivo art. 111 (che prescrive l’adeguamento di statuti e regolamenti degli enti locali ai principi del capo II - sulla dirigenza - del D.Lgs. 29/1993), la circolare ritiene “che a ciascun ente locale, sia riconosciuta la potestà di recepire nel proprio ordinamento, attraverso l’esercizio della potestà regolamentare, i principi desumibili dalle disposizioni della legge n. 145/2002, attraverso una disciplina di dettaglio calibrata alla specifica condizione dell’ente, alle sue esigenze organizzative ed alle sue condizioni strutturali e funzionali.
Si creano così, per gli enti locali, opportunità aggiuntive, conseguenti al superamento di vincoli che, in assenza delle esplicite previsioni della legge 145, avrebbero potuto ritenersi persistentemente preclusivi dell’esercizio della loro potestà di autorganizzazione”. Tali opportunità vengono colte, dalla citata circolare, con riferimento prioritario proprio alla materia di mobilità tra pubblico e privato, nonché alla delega parziale di funzioni dirigenziali.
Particolarmente interessante anche il dettato dell’art. 9 della legge 145/2002 (Accesso di dipendenti privati allo svolgimento di incarichi e attività internazionali), ugualmente partecipe della logica di un più accentuato interscambio pubblico- privato. Parallelamente alle aperture a favore dello svolgimento da parte di personale pubblico di attività presso realtà internazionali e/o estere (così sia il nuovo art. 23 bis D.Lgs. 165/2001 che il già ricordato art. 8 l. 145/2002), la norma in commento prevede la possibilità per i dipendenti di imprese private di assumere, su designazione delle P. A italiane, incarichi nell'ambito di organizzazioni internazionali. Ciò in carenza, alle dipendenze della pubblica amministrazione nazionale, di personale che disponga delle peculiari caratteristiche necessarie a ricoprire tali posti o incarichi [12].
3. Tra pantouflage e spoils system.
Su un piano di ricostruzione sistematica, è stato autorevolmente osservato che il rafforzamento professionale di una burocrazia pubblica “passa attraverso una serie di pratiche che vanno dal rinnovamento dei meccanismi di reclutamento, alla formazione, alla trasformazione dell’organizzazione del lavoro, all’investimento in nuove tecnologie, eccetera. Tuttavia una precondizione è che i superiori gerarchici siano persone ai quali è riconosciuta, da parte dei funzionari stessi, la necessaria legittimazione; siano soggetti in grado di trasformare in azione concrete l’indirizzo politico, ma anche leader professionali, manager autorevoli. Per ottenere questo risultato sono possibili due strade. La prima è un investimento di lungo termine nella costruzione di corpi dotati di alto prestigio e risorse professionali attraverso un processo di selezione meritocratico. È il modello francese [cd. a competenza politicamente neutra; in Italia è applicato, ad esempio, alle carriere prefettizia e diplomatica].
In periodi di forte turbolenza, al contrario, funzionano meglio sistemi più decentrati, più flessibili, capaci di adattare le scelte all’esistenza di punti di vista alternativi. In questo senso, il modello che sembra emergere come vincente nella storia del XX secolo è il modello americano, basato sullo sviluppo della mobilità tra settore pubblico e settore privato, sulla porosità dei confini tra centro e periferia, sull’ampiezza delle deleghe decisionali e delle conseguenti interdipendenze, sulla natura sostanzialmente fiduciaria dei rapporti tra i vertici politici ed amministrativi. Parte integrante di questo sistema è l’importanza accordata allo spoils system, il sistema secondo il quale la provvista degli incarichi pubblici – sia l’hiring che il firing – è prerogativa assoluta, e discrezionale dei detentori pro-tempore del potere politico” [13].
Una distinzione netta è, così, tracciata tra un modello di elites burocratica basata sul corpo professionale [14] e uno fondato sulla facoltà di innestare nell’apparato statale tecnici esterni, con rapporti a tempo determinato, destinati a ritornare agli ambienti professionali di provenienza alla fine del mandato del capo dell’esecutivo che ha esercitato la prerogativa governativa di nomina discrezionale (secondo il principio, proprio dello spoils system, del simul stabunt, simul cadunt). Ciò necessita di qualche precisazione, con particolare riferimento al tema della mobilità pubblico - privato.
In Francia, il prestigio della burocrazia professionale è stato sempre altissimo. Esso è storicamente legato a due specifici fattori, caratteristici dell’evoluzione della società francese: a) l’indiscussa supremazia di Parigi come unico centro politico, culturale ed economico a livello nazionale e il conseguente sviluppo del sistema delle grandi ecoles (a partire da quelle di ingegneria, alla metà del ‘700); b) il ruolo fondamentale assunto dagli apparati e dagli alti funzionari amministrativi (spesso borghesi per origine o per vocazione) della administration royale, dal XVII secolo in poi, nella progressiva cancellazione della “unità feudale tra possesso della terra e governo degli abitanti” [15].
Nella realtà francese, quindi, il prestigio della burocrazia professionale ha fatto si che l’osmosi tra dirigenza pubblica e altre classi dirigenti del paese si atteggiasse a fenomeno ordinario (il cd. pantouflage), realizzandosi continui scambi non solo con il settore pubblico e privato dell’economia, ma anche con banche e assicurazioni, attività culturali e incarichi internazionali, cariche parlamentari e di governo.
Il sistema italiano si è andato, invece, caratterizzando per l’isolamento di tipo piccolo - corporativo della dirigenza pubblica, in un contesto di modernizzazione imperfetta derivante dalla recente formazione storica dello Stato italiano, dove troppo spesso la pubblica amministrazione è andata a presidiare le retrovie dello sviluppo piuttosto che essere elemento di traino.
La dirigenza pubblica ha finito per coltivare soltanto “il potere di impedire e di frenare – potere di cui non si priva – e quello di gestire il suo fondo, cioè di proteggere il suo reclutamento, il suo statuto, la sua carriera” [16], al prezzo dell’emarginazione dalle elites del paese. Questa acquiescenza è stata riassunta con una formula di grande successo: quella dello “scambio sicurezza - potere” [17]. La dirigenza italiana è apparsa “socialmente poco rappresentativa, per la prevalente provenienza da piccole realtà urbane e per l’accentuata meridionalizzazione; portatrice di una cultura prevalentemente umanistica e giuridica; poco attenta ai valori economici e alle esigenze produttive e molto sensibile, invece, agli aspetti legali e formali delle questioni; gerontocratica e poco avvezza, per reclutamento e carriera, alla competizione meritocratica; restia alla mobilità e portata ad una concezione proprietaria del posto di lavoro; tendente a garantire il proprio status entro l’amministrazione e molto sensibile alle questioni occupazionali; non integrata con la dirigenza politica” [18].
La figura del dirigente pubblico italiano ha finito per appiattirsi su un ruolo a forte impronta legalistica, attingendo all’archetipo del custode dell’osservanza delle norme e degli adempimenti burocratici, per di più in posizione di stretta subordinazione gerarchica nei confronti degli organi politici di vertice delle amministrazioni. Una prima, autentica soluzione di continuità si è registrata solo con la complessiva riforma dell’agire delle pubbliche amministrazioni sviluppatasi negli anni ‘90. Le parole d’ordine della riforma hanno fatto leva sulla sostituzione di un modello di Stato che appariva invadente, autoritario, centralizzato, burocratico, rigido, inefficiente, con un disegno di Stato più leggero, più flessibile, più decentrato.
Outsourcing e liberalizzazioni dovevano consentire alle amministrazioni di concentrarsi sul loro core business (attività di regolazione, fonctions régaliennes); l’applicazione del principio di sussidiarietà doveva avvicinare l’amministrazione ai cittadini, alle imprese, ai sistemi produttivi territoriali; la riorganizzazione dei ministeri superare la storica frammentazione del nostro esecutivo; la semplificazione dei procedimenti, l’autocertificazione, l’introduzione dell’analisi di impatto della regolazione ridurre e/o verificare i costi burocratici e da regolazione; l’aziendalizzazione delle amministrazioni, la pluralizzazione dei loro modelli organizzativi (dipartimentalizzazione, agenzie), il prepotente ingresso delle nuove tecnologie e le spinte alla digittalizzazione e al pieno sviluppo delle potenzialità offerte dalle reti telematiche, come pure l’introduzione di indicatori e controlli di performance e la privatizzazione dei rapporti di impiego pubblico (dirigenza compresa), dovevano spingere le amministrazioni a misurarsi sul terreno della qualità dei servizi e delle prestazioni e non solo su quello del rispetto formalistico di norme e procedure.A dodici anni dall’inizio di questa stagione, la legge 145/2002 segna un ulteriore tappa nel processo di reingegnerizzazione della dirigenza pubblica italiana.
Si è, infatti, tentato, in primo luogo, di ibridare il modello italiano di dirigenza con ulteriori elementi di spoils system: ciò più attraverso l’ampliamento della percentuale degli incarichi conferibili ad esterni, piuttosto che con il meccanismo di automatica cessazione, ope legis, dagli incarichi dirigenziali apicali dello Stato - decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia ottenuto dal Governo subentrante – previsto dal comma 8 dell’art. 19 D.Lgs 165/2001, meccanismo non definibile come spoils system in senso proprio, giacché riguarda, di regola, dirigenti statali di ruolo e non comporta la perdita del rapporto di lavoro ma solo quella del temporaneo incarico in corso [19]. Contestualmente, il legislatore si è, però, preoccupato di curare, con nuova attenzione, il tema della mobilità pubblico- privato, per aprire nuovi spazi alla dirigenza professionale di ruolo e rafforzare, per questa via, anche i due corpi di funzionari generalisti in regime di diritto pubblico, prefettizi e diplomatici (carriere esclusivamente dirigenziali).
L’istituto dell’aspettativa per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, risponde così ad esigenze, in primo luogo, formative. Specie l’esperienza dirigenziale presso organizzazioni private deve essere considerata, al momento, un beneficio anche per l'amministrazione, considerato il contesto di sempre maggiore osmosi e concorrenzialità fra strutture pubbliche e private e la similitudine nelle modalità di gestione (per obiettivi). È una possibilità ulteriore che si apre al dirigente pubblico per una formazione che non segua più i canali tradizionali ma avviene sul campo, con l’esperienza diretta in organizzazioni dinamiche.
La seconda funzione dell’istituto è, poi, quello di preparare l’humus culturale per sviluppare ulteriormente una più ampia partnership pubblico-privato, grazie al riavvicinamento di mondo pubblico e privato e al recupero di visibilità sociale dei dirigenti pubblici. L’obiettivo è, qui, di facilitare l’interazione e le strategie collaborative su progetti comuni [20].
La dirigenza del domani sarà, infatti, quella che saprà muoversi nella knowledge community, una comunità che supera lo steccato tra il pubblico e il privato e che impone di accrescere e aggiornare continuamente il sapere professionale da spendere per la realizzazione degli obiettivi.
(*) Viceprefetto aggiunto, in servizio presso l'ufficio di Gabinetto del Ministro dell'Interno.
[1] M. Rogari, Il dirigente pubblico in aspettativa potrà fare un esperienza nel privato, in Il Sole-24 Ore, 30 ottobre 2000.
[2] L’istituto ha, dunque, carattere volontario.
[3] Viene, inoltre, precisato che “è sempre ammessa la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell'interessato, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29, presso una qualsiasi delle forme assicurative nelle quali abbia maturato gli anni di contribuzione. Quando l'incarico è espletato presso organismi operanti in sede internazionale, la ricongiunzione dei periodi contributivi è a carico dell'interessato, salvo che l'ordinamento dell'amministrazione di destinazione non disponga altrimenti”.
[4] I dirigenti non appartenenti ai ruoli ministeriali che assumono tali incarichi sono collocati, per il periodo dell’incarico stesso, in fuori ruolo, comando o analogo istituto. Le percentuali indicate dalla legge per il conferimento di incarichi dirigenziali ai particolari soggetti in questione hanno un carattere aggiuntivo rispetto al contingente, previsto dal successivo comma 6 dell’art. 19, in tema di altri incarichi esterni (contrariamente a ciò che avveniva, invece, nel contesto della precedente disciplina).
[5] La nuova formulazione dell’art. 19, comma 6, D.Lgs 165/2001 si caratterizza, altresì, per l’esplicita previsione della possibilità di conferire incarichi dirigenziali con contratto a tempo determinato anche a dipendenti appartenenti alla medesima amministrazione, ma non inseriti nei ruoli dirigenziali, purché abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile da concrete esperienze di lavoro maturate in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza (peraltro, non necessariamente in possesso sia di laurea che di anzianità di servizio almeno quinquennale, condizioni entrambe necessarie, invece, per l’accesso ai concorsi per la dirigenza). Al riguardo è stato osservato che “è evidente come la nuova previsione si presti a considerazioni di opportunità, sia in quanto essa rende possibile la creazione di una sorta di “carriera parallela” [..] sia perché ne risulta profondamente modificata la ratio stessa della norma: è cioè una norma, sorta per aprire l’amministrazione dello Stato alle professionalità a essa esterne, finisce per servire a un (opinabile) conferimento tutto interno di incarichi dirigenziali” (O. Forlenza, Regole operative anche per chi è già in carica, in Guida al Diritto- Il Sole 24 Ore, 2002, 31, 47). Per il periodo di durata dei suddetti incarichi dirigenziali, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono, comunque, collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio.
[6] Durante i dibattiti parlamentari è stata contestata la scelta di estendere ai magistrati l'applicazione della norma, in un momento in cui la funzione giudiziaria è al centro dell'attenzione ed è acceso il dibattito sulla conferibilità di incarichi ai magistrati. A tali obiezioni il Governo ha replicato che, trattandosi di una norma studiata per il beneficio di tutta l’amministrazione pubblica, non sarebbe stato corretto escludere dal suo ambito di applicazione una categoria così rilevante e significativa di "servitori dello Stato", quale quella dei soggetti preposti all'esercizio della funzione giurisdizionale.
[7] S. Mezzacapo, Con l’aspettativa possibile il salto pubblico - privato, in Guida al Diritto-Il Sole 24 Ore, 2002, 31, 56.
[8] G. Natullo, Nuove ipotesi di mobilità nel settore pubblico e verso il settore privato: il “collocamento in aspettativa” e “l’assegnazione temporanea”, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2002, 6, 1058.
[9] S. Mezzacapo, Con l’aspettativa, cit., 57.
[10] G. Natullo, Nuove ipotesi di mobilità, cit., 1057.
[11] La circolare specifica che la problematica ha formato oggetto di esame congiunto con i rappresentanti dell’A.N.C.I. e dell’U.P.I. (rispettivamente, le due associazioni dei comuni e delle province italiane).
[12] Più specificamente, gli incarichi in questione possano essere ricoperti dalle P. A., in presenza della suddetta situazione di carenza, facendo ricorso (con atto motivato) ad un elenco istituito presso il Ministero degli affari esteri, dove verranno iscritte le imprese che si siano dichiarate disponibili a fornire proprio personale, di cittadinanza italiana, per tale eventualità. Per l’iscrizione all'elenco, le imprese interessate inoltrano al Ministero degli affari esteri le relative richieste indicando espressamente: a) l'area di attività in cui operano, giacché è evidente che l’accesso di personale privato a incarichi e attività internazionali ha un senso soltanto se vi è coerenza tra i settori di interesse dell’impresa e quelli dell’organizzazione internazionale; b) gli enti od organismi internazionali di interesse; c) i settori professionali ed il numero massimo di candidati che intendono fornire; d) l'impegno a mantenere il posto di lavoro senza diritto al trattamento economico al proprio personale chiamato a ricoprire posti o incarichi presso enti o organismi internazionali, con eventuale indicazione della durata massima dell'aspettativa. Le nomine pubbliche possono essere disposte solo a tempo determinato – per un periodo non superiore a tre anni, non rinnovabile - e non danno luogo all'attribuzione di alcuna indennità o emolumento, comunque denominato, da parte delle amministrazioni pubbliche italiane. La nomina dei dipendenti privati in questione avviene, nei limiti dei posti vacanti, sulla base delle professionalità, esperienze e conoscenze tecnico-scientifiche possedute. Modalità e procedure attuative del nuovo istituto sono definite con regolamento adottato con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con il Ministro dell'economia e delle finanze (cfr. l’art. 10, comma 1, l. 145/2002).
[13] B. Dente, Verso una dirigenza pubblica responsabile: il nodo della riforma organizzativa, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2001, 1, 89.
[14] Immancabile nei corpi burocratici costituenti elites amministrative è la valorizzazione dei singoli perché legati tra di loro dalla coesione della medesima appartenenza (lo spirito di corpo, appunto).
[15] M. D'Alberti Per una dirigenza pubblica rinnovata, in M. D'Alberti (a cura di), La dirigenza pubblica, Bologna, 1990, 13.
[16] Y. Meny, Istituzioni e politica, Rimini, 1995, 486.
[17] Così S. Cassese, Grandezza e miserie dell’alta burocrazie in Italia, in Politica del diritto, 1981, 220.
[18] C. D’Orta - C. Meoli, La riforma della dirigenza pubblica, Padova, 1994, 33.
[19] Oggi, i massimi vertici burocratici statali sono tutti automaticamente azzerati con il passaggio da un governo all’altro. Il nuovo esecutivo può nominare agli incarichi più alti - lasciati liberi dai precedenti titolari – o dirigenti pubblici appartenenti ai ruoli ministeriali oppure, nella misura del 10 per cento, soggetti esterni con contratto a tempo determinato. Al di là dell’ipotesi di preposizione, nel limite del 10 per cento dei posti, di esterni con contratto a termine, l’elemento di precarizzazione introdotto per gli incarichi apicali dalla legge 145/2002 (che ha sul punto novato il già richiamato comma 8 dell’art. 19 D.lgs. 165/2001) investe, però, il solo rapporto di ufficio, ma non quello di servizio, dei dirigenti statali di ruolo, pro tempore titolari di incarichi apicali. I dirigenti in questione, infatti, dopo il decorso dei previsti 90 giorni, o perdono l’incarico apicale per essere destinati ad altro oppure sono destinatari di un nuovo provvedimento di incarico che gli riconferma le funzioni apicali già svolte, seppur, eventualmente, in termini mutati (durata, obiettivi, ecc.). Non risulta affatto inciso, invece, il rapporto di lavoro, scaturente dal contratto a tempo indeterminato stipulato al momento dell’immissione in ruolo. Si tratta, pertanto, di un istituto fondamentalmente diverso dal sistema delle spoglie vigente negli U.S.A., che solo in via di approssimazione è stato battezzato come spoils system all’italiana, per rimarcare il carattere di fiduciarietà che finisce per caratterizzare il rapporto tra organi politici e massimi vertici burocratici.
[20] Se le imprese private adottano strategie collaborative con le p.a. a supporto della crescita, privilegiando la direttrice esterna per sfuggire a limitazioni di risorse, le organizzazioni pubbliche si orientano alle partnership per perseguire obiettivi di innovazione gestionale, produttiva, organizzativa e finanziaria. Le relazioni cooperative rappresentano, quindi, un’alternativa alla crescita e all’introduzione dell’innovazione che si sviluppa con modalità completamente differenti da quelle tradizionalmente attuate.