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Articoli e note

 

Il declino delle commissioni edilizie:
organi indispensabili o da sopprimere ? (*)

di Ciro Silvestro

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1 – La portata innovativa della legge n. 449 del 1997.

È a tutti noto il carattere di leggi omnibus che la legge finanziaria e i cosiddetti provvedimenti collegati alla manovra finanziaria hanno generalmente assunto, nel contesto di una produzione legislativa letteralmente piegata ai ritmi incalzanti della sessione di bilancio [1]. E’ accaduto sovente che, a causa dei vincoli temporali, norme di rilevante importanza per specifiche materie si siano trovate disperse in un mare di disposizioni, aventi in comune soltanto la qualità di incidere sul bilancio statale.

Non può allora meravigliare come la legge 27 dicembre 1997 n. 449 ("misure per la stabilizzazione della finanza pubblica") contenga all'articolo 41 una norma di notevole portata quanto al disegno dell'organizzazione di comuni ed altre amministrazioni, pur sotto la sibillina rubrica "organismi collegiali, riduzione degli stanziamenti per lavoro straordinario e missioni, disposizioni in materia di altri trattamenti accessori e contenimento delle promozioni in soprannumero".

La norma in questione dispone che “al fine di conseguire risparmi di spesa e recuperi di efficienza nei tempi dei procedimenti amministrativi, l'organo di direzione politica responsabile, con provvedimento da emanare entro sei mesi dall'inizio di ogni esercizio finanziario, individua i comitati, le commissioni, i consigli ed ogni altro organo collegiale con funzioni amministrative ritenuti indispensabili per la realizzazione dei fini istituzionali dell'amministrazione o dell'ente interessato. Gli organismi non identificati come indispensabili sono soppressi a decorrere dal mese successivo all'emanazione del provvedimento. Le relative funzioni sono attribuite all'ufficio che riviste preminente competenza nella materia”.

La collocazione della norma nel capo II della l. n. 449/97 ("disposizioni in materia di personale e di attività delle amministrazioni pubbliche") e il suo indirizzarsi, in generale, agli organi di direzione politica responsabili conferma l’ampiezza dei soggetti investiti della facoltà in oggetto [2].

Appare, peraltro, evidente come sia l'attività degli enti locali a rappresentare il campo privilegiato di applicazione della disposizione in esame. Basti pensare al potenziale impatto sulla pletora di collegi, a carattere non burocratico, con funzioni ausiliarie e, segnatamente, consultive nei confronti degli organi comunali, la cui istituzione (come pure, generalmente, la composizione e i compiti) è stata finora disposta da specifiche leggi statali, nel segno quindi della necessarietà [3].

Tra questi collegi assume una rilevanza eccezionale – ai fini della materia urbanistica - la commissione edilizia, attesa la delicatezza delle competenze assegnatele “secondo modelli e prassi non omogenei, al punto da apparire talvolta come una sorta di consiglio comunale parallelo in materia edilizia (rectius: collegio misto rappresentativo di interessi e di competenze tecniche)” [4]. Essa è, infatti, prevista, come organo consultivo comunale, da una legge statale (art. 33 della legge n.1150/1942, lett. a), la quale demanda interamente ai regolamenti edilizi comunali la disciplina della “composizione, del funzionamento e delle attribuzioni” [5]. Ed è giusto un’ipotesi di soppressione ex art. 41 l. n. 449/1997 di questa commissione ad aver fornito l'oggetto della prima pronuncia giurisprudenziale in materia (T.A.R. Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, 28 gennaio 1999, n.48) [6].

 

2 - La soppressione “automatica” degli organi collegiali e le prospettive de jure condendo per le commissioni edilizie

La ratio che sorregge l'introduzione di questa particolarissima modalità di soppressione di organi collegiali appare cristallina.

La finalità di "conseguire risparmi di spesa e recuperi di efficienza nei tempi dei procedimenti amministrativi" inscrive, infatti, questa norma nel più generale indirizzo di trasformazione delle pubbliche amministrazioni verso modalità organizzative maggiormente rispondenti ai principi di efficienza, efficacia ed economicità. Nell’ambito di tale generale tendenza, l’innovazione in esame rientra, poi, nella linea evolutiva che presiede al graduale declino della funzione consultiva [7]. È, quest’ultimo, un processo avviato dalla legge 241/1990, con la previsione a largo raggio di strumenti quali il silenzio-assenso e la obbligatorietà della richiesta di parere in luogo della necessità della sua acquisizione; proseguito con il D.P.R. n. 608 del 1994, “Regolamento sul riordino degli organi collegiali dello Stato”, che ha soppresso numerosi comitati ed organi plurisoggettivi, fra i quali molti aventi funzioni consultive; concluso, per ora, con la legge 127/1997 (la c.d. “Bassanini bis”), che ha ridotto l’attività consultiva del Consiglio di Stato ai soli pareri sugli atti normativi del Governo e dei singoli ministri ai sensi dell’art. 17 della legge 400/1988, sulla decisione dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato e sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri.

La drastica riduzione dell’attività consultiva nella pubblica amministrazione, a ben vedere, risponde pienamente alle pressanti esigenze di rinnovamento che stanno finalmente trovando, nella recente legislazione, un opportuno esito positivo. Senza dubbio, il traguardo di amministrazioni pubbliche più "snelle" e incisive passa anche attraverso "la differenziazione e disarticolazione dei modelli organizzativi e dei regimi normativi, per adattarli e plasmarli alla varietà delle situazioni e circostanze concrete" [8]; e la soppressione di organi consultivi e collegiali dev’essere inquadrata fra le iniziative utili a liberare le pubbliche amministrazioni da elementi che risultano inadeguati, inappropriati o negativi rispetto alla sopravvivenza e allo sviluppo, ossia a svuotare l'amministrazione di zavorre e incrostazioni, ristrutturandone strategia e disegno complessivo. Le amministrazioni si avviano, pertanto, a “divenire sempre più centri vitali e propulsivi di sviluppo e di elaborazione strategica sul futuro dei territori, delle comunità, della convivenza civile ed essere capaci di operare con flessibilità di strutture, di risposte, di soluzioni” [9].

Entro una siffatta cornice teorica, nonché nella più pratica funzione del conseguimento di risparmi di spesa e di recuperi di efficienza, l'articolo 41 della l. n. 449/97 opera una delegificazione a vasto raggio, attribuendo agli organi di direzione politica il compito di scegliere annualmente gli organi collegiali con funzioni amministrative ritenuti indispensabili e, come tali, sottratti alla soppressione che incombe su tutti gli altri. Ciò trasferisce la decisione sulla concreta necessarietà di questi organi dalla competenza legislativa a quella delle amministrazioni attive.

Il legislatore ha voluto escludere qualunque limite alla discrezionalità degli organi di direzione politica nella scelta di commissioni e comitati da sopprimere: l’unico carattere prestabilito dalla legge in ordine agli organi che possono essere soppressi è proprio quello della collegialità. Il complessivo sistema degli organi collegiali con funzioni ausiliarie e consultive, compresi quelli già previsti come necessari dalla legislazione nazionale, appare ora “modulabile” da parte degli organi di direzione politica, in virtù delle contingenti valutazioni relative alla indispensabilità alla realizzazione dei fini istituzionali degli enti.

La norma rafforza ulteriormente l'autonomia degli enti sottolineando il carattere annuale della scelta (da operare entro il 30 giugno), riconoscendo, così, nell'amplissima discrezionalità dell'organo di direzione politica, anche la possibilità di mutare legittimamente l'originaria valutazione [10]. La diretta influenza sul bilancio degli enti pubblici rende, poi, naturale il collegamento delle determinazioni in oggetto con le previsioni programmatiche e di bilancio.

Il circolo virtuoso che la norma si prefigge di realizzare è quello di un periodico monitoraggio dell’impatto che l’operatività di collegi e commissioni varie comporta sull’attività degli enti, sia in termini di aggravio procedurale che di risorse impegnate e risultati conseguiti. Sotto questo profilo, la norma dovrebbe, altresì, stimolare, la sensibilità e l’attenzione degli organi di direzione politica sui temi della economicità della gestione e della razionalità (in termini di costi e benefici) delle procedure e degli assetti organizzativi.

Anche il rapporto fra la legge e la deliberazione dell'organo politico merita qualche approfondimento.

Ad operare la soppressione degli organi collegiali non individuati come indispensabili è direttamente la norma di cui all'art. 41 della legge n. 449/97, effetto che si produce ope legis giusta la deliberazione dell'organo politico responsabile. Sia che lo si ricostruisca in termini di declassamento della materia che di effetto abrogativo condizionato, il meccanismo della delegificazione fa comunque leva sulla automaticità della soppressione degli organismi non identificati come indispensabili.

L’impianto della norma sembra in sostanza privilegiare la soppressione degli organi collegiali, consentendo quasi in via di eccezione alla regola di mantenere in vita gli organi identificati come indispensabili alla realizzazione dei fini istituzionali. Per tutti gli altri non è ammesso alcun margine di discrezionalità, discendendo la soppressione direttamente della legge.[11]

La vis innovativa della disposizione in esame è d'altronde rafforzata dal suo carattere di specialità nei confronti delle previgenti disposizioni.

Conclusioni diametralmente opposte valgono, però, nel caso in cui l'istituzione di particolari commissioni o comitati sia prescritta da leggi regionali. Stante l’inidoneità della norma in questione ad incidere sulle materie attribuite alle regioni, la cancellazione di organi collegiali potrà realizzarsi soltanto laddove nulla è stato stabilito dalla legislazione regionale circa la loro necessarietà e le loro competenze,

Sotto altro profilo, infine, deve segnalarsi come il meccanismo di soppressione ex art. 41 l. n. 449/97 risulti quanto mai coerente con il nuovo quadro dei rapporti tra direzione politica e funzioni gestionali.

L’attività amministrativa dei collegi interessati a questa ipotesi di soppressione non ha, infatti, natura volitiva, esplicandosi in funzione di sub-procedimenti accessori a carattere, di volta in volta, istruttorio, certificatorio, ricognitivo, propositivo, consultivo, ecc. [12] L’attribuzione delle funzioni degli organi soppressi ai responsabili delle unità operative conferma il carattere meramente accessorio e/o gestionale delle funzioni stesse. La devoluzione “all’ufficio che riveste preminente competenza nella materia” tende, allora, a responsabilizzare il più possibile la struttura tecnico-burocratica degli enti, limitando fortemente canali e forme di “influenza e di pressione da parte di soggetti esterni all’amministrazione locale, ovvero di gruppi politici, pur presenti nei consessi elettivi, che riversano anche sui vari organi amministrativi di natura consultiva e di controllo, la loro attività politica” [13]. L'indubbia politicizzazione della nomina dei membri di queste commissioni, infatti, costituisce un fattore di handicap alla loro sopravvivenza nella mutata realtà gestionale.

Al riguardo, particolarmente interessante appare l’esperienza statunitense dei Design Review Boards, autorità locali ufficialmente costituite, formate in genere da consulenti esterni e affiancate ai preesistenti organismi preposti alla pianificazione urbanistica, con funzioni di esaminare i singoli progetti nel particolare merito della qualità del progetto. Dalla metà degli anni sessanta ad oggi questi organismi si sono evoluti secondo una linea che ha privilegiato la realizzazione di un contesto più favorevole e non esclusivamente prescrittivo. Migliorate le regole di funzionamento degli organismi stessi (si da evitare conflitti di interessi e protezionismi), la loro funzione è stata supportata dalla puntualizzazione di direttive scritte (guidelines) che chiariscono gli obiettivi urbanistici e architettonici a cui si tende nonchè i criteri cui i progetti dovranno attenersi.

Queste indicazioni potrebbero essere seguite anche in Italia, “restituendo alle commissioni edilizie dignità tecnica (anziché di collegio virtuale rappresentativo di interessi)….e promuovendo linee – guida, abachi o repertori delle tipologie costruttive e dei tipi edilizi, regolamenti di estetica, piani del colore, studi degli stili consolidati, con espresso riferimento a parti determinate del tessuto urbano; prescrizioni cioè di carattere direttivo e non vincolanti in via generale, in grado di guidare e orientare la qualità delle scelte progettuali, senza mortificare la libertà e la creatività. Solo se queste condizioni saranno realizzate le commissioni edilizie potranno trovare un fondamento cui riferire l’attività tecnico – valutative di natura discrezionale.” [14] L’auspicio è che con l’elaborazione di strumenti disciplinari culturalmente progrediti e non oppressivi sarà possibile far emergere, nel contesto degli interessi in gioco, anche l’interesse pubblico alla qualità architettonica, ora negletto.

Giova ricordare che allo stato della normativa attuale il potere di provvedere sull’istanza di concessione edilizia appare già “spesso – circa l’an, il quantum, il quomodo dell’intervento – in sede di pianificazione generale e particolareggiata e, se del caso, di programma pluriennale di attuazione nonché in sede di definizione delle norme tecniche e del regolamento edilizio; sicché, quando il progetto presentato ai fini della concessione sia del tutto conforme a tali strumenti e normative, l’amministrazione non ha il potere di negare il rilascio del titolo richiesto, ma può soltanto chiedere modifiche al progetto con riferimento a profili concernenti l’igiene, la sicurezza, la funzionalità e anche l’estetica” (T.A.R. Lombardia, sez. II, 22 agosto 1995, n. 1069).

E’ innegabile che oggi le commissioni edilizie vivono una acuta crisi di identità strette come sono, da un lato, dal “diritto amministrativo che rende più oggettivo e disciplinato il procedimento di rilascio della concessione edilizia (responsabile del procedimento, termini, obbligo di motivazione e di trasparenza), con ciò valorizzando il ruolo degli uffici comunali” [15], e, dall’altro, dalla affermazione piena della distinzione tra indirizzo politico – amministrativo e il complesso dei compiti gestionali (attribuiti in via esclusiva ai dirigenti), principio che anche esso supporta gli uffici comunali nel tornare ad esercitare un ruolo attivo e non subordinato alle commissioni edilizie

In questo scenario, il generale processo di rimeditazione della funzione consultiva apre per le commissioni edilizie, de iure condendo, due alternative radicali. La prima è quella della loro generale eliminazione. La seconda, invece, è quella della conservazione quali sedi di incontro tra competenze professionali pubbliche e private, funzionali a particolari valori da tutelare o sviluppare. Quest’ultimi potrebbero essere individuati nella qualità della stessa regolazione (studio e proposte di aggiornamento delle normative e dei piani comunali) oppure nell’esame della qualità progettuale e architettonica, in un contesto non autoritativo bensì segnato dalla accennata puntualizzazione di linee guida o da forme di consulenza e indirizzo dei progettisti in fase iniziale. Un buon progetto non può essere prodotto da una commissione edilizia, che può solo aspirare ad incoraggiare il meglio e, in ultima istanza, ad evitare il peggio.

 

3 –Le commissioni edilizie al guado fra necessarietà e soppressione

La concreta applicazione della legge 449/97 ha presto evidenziato aspetti problematici, attorno ai quali si sono coagulate le resistenze alla piena operatività della facoltà di sopprimere gli organi collegiali in questione. La chiara volontà del legislatore di fornire uno strumento atto ad incidere su alcuni dei nodi che appesantiscono l’azione amministrativa ha trovato spesso operatori e amministratori titubanti, quando non restii. La stessa consapevolezza della portata innovativa della norma in esame ha faticato ad affermarsi. La sentenza del T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, n. 48/1999 – la prima al riguardo - ha, così, costituito una preziosa occasione di verifica e puntualizzazione.

La vicenda che ha originato la pronuncia predetta è paradigmatica.

Nel febbraio 1998 il consiglio comunale di Siderno procede con l’individuazione, ai sensi dell’art. 41 della l. 449/97, delle commissioni ritenute indispensabili, con conseguente declaratoria di caducazione di quelle non rientranti nel novero. Con un’unica votazione il consiglio comunale depenna la commissione per l’aggiornamento dell’elenco dei giudici popolari, la commissione elettorale comunale[16], la commissione per il rilascio delle autorizzazioni di somministrazione di alimenti e la commissione edilizia.

L’Ordine degli architetti della provincia di Reggio Calabria – interessato in quanto suoi iscritti sono membri delle commissioni edilizie - impugna il provvedimento, deducendone l’illegittimità per eccesso di potere e violazione di legge. Nel ricorso si lamenta che il consiglio comunale non ha minimamente approfondito l’evoluzione legislativa della materia edilizia “limitandosi al semplice ragionamento economico”. L'ordine professionale, intervenendo a tutela del vantaggio (riferibile alla categoria nel suo complesso) che gli associati possano continuare ad essere componenti delle commissione edilizie [17], afferma, invece, la indispensabilità del parere di tale commissione. Essa “affonda le sue radici nel regolamento di esecuzione della legge comunale e provinciale dell’8 giugno 1865, n. 2321 e nel successivo ulteriore regolamento emanato con regio decreto 12 febbraio 1911, n. 297”, nonché nelle leggi successive “fino all’art. 4 della l. 493/1993, in cui si impone la richiesta del parere da parte del responsabile del procedimento, precisando anche che il parere stesso può non essere richiesto per alcuni casi preventivamente stabiliti dal regolamento edilizio comunale”.

Questa disciplina attesterebbe la necessità sul piano procedurale del parere della commissione edilizia, poiché essa svolge una rilevante funzione di supporto, offrendo ponderati elementi di giudizio e di valutazione il cui peso specialistico non rientrerebbe, di regola, nel bagaglio culturale dell’organo amministrativo cui è demandato l’atto formale conclusivo del procedimento. Tali caratteristiche sottolineerebbero la imprescindibilità di un siffatto organo, in ragione della complessità e della variegata articolazione di conoscenze che in esso confluiscono. Queste esigenze non sembrano poter essere assolte dal singolo funzionario, soprattutto “laddove il responsabile tecnico sia un geometra al quale, in violazione di altre norme, verrebbe così commesso il parere su progetti costruttivi che di regola non sono di sua competenza”.

Il giudice amministrativo – con la sentenza prima richiamata - rigetta decisamente i rilievi del ricorrente, affermando che “la soppressione della commissione edilizia comunale non contrasta con il fine pubblico, legislativamente preordinato, di conseguire risparmi di spesa e recupero di efficienza nei tempi dei procedimenti amministrativi; essendo tale commissione un organo tecnico comunale, essa ben può essere rimpiazzata dall’ufficio tecnico che riveste preminente competenza nella materia, consentendo in tal modo il raggiungimento della finalità predetta”.

La decisione del giudice amministrativo è supportata da due ordini di considerazioni.

Si evidenzia, in primo luogo, che l'art. 41, primo comma, della l. 449/97 non pone alcuna limitazione in ordine alla valutazione da parte dell'organo di direzione politica della indispensabilità o meno degli organismi in essa menzionati, purché nel rispetto del fine legislativamente predeterminato della realizzazione di risparmi di spesa e recuperi di efficienza. Ne consegue che “in assenza di altri presupposti legali, il giudice amministrativo non può sostituirsi all'organo competente nelle valutazioni discrezionali ad esso demandate dalla legge, potendo solo giudicare se esse siano viziate o meno da eccesso di potere per illogicità manifesta o per incongruenza rispetto al fine pubblico, poc’anzi menzionato di conseguire risparmi di spesa e recupero di efficienza nei tempi dei procedimenti amministrativi”.

Nel caso di specie – osserva il TAR Calabria - la concessione edilizia viene rilasciata a seguito di una mera verifica di conformità del progetto al piano regolatore generale o agli altri strumenti urbanistici e, cioè, al seguito di un accertamento della legalità della concessione che ha la sola finalità di verificare la conformità dell'opera progettata alle norme vigenti e non già di apprezzare l'opportunità della stessa, il suo valore artistico o il grado di interesse pubblico alla sua realizzazione. Nulla vieta, quindi, l'utilizzazione degli uffici tecnici del comune in sostituzione delle commissioni edilizie, in funzione del risparmio di spesa e del recupero di efficienza.

In secondo luogo, la motivazione della sentenza 48/1999 rileva che non occorre una puntuale motivazione circa la non indispensabilità di un organo collegiale da sopprimere, proprio in applicazione delle disposizioni della legge 449/1997 prima commentate.

Gli organi di direzione politica sono tenuti a specificare, puntualmente, nella motivazione soltanto le ragioni in base alle quali sono stati individuati gli organi ritenuti indispensabili, senza che siano gravati dell'onere di vagliare organismo per organismo le ragioni che inducono a ritenerlo non indispensabile. Per questi ultimi la soppressione si configura come atto dovuto, quale conseguenza che discende direttamente dalla legge. Prova ne sia che la stessa consegue come automatico effetto alla non inclusione degli organi collegiali negli elenchi di quelli da non sopprimere.

Trova, allora, applicazione – nel caso in questione - il principio secondo il quale gli atti vincolati, adottati sulla base di schemi rigidamente definiti dalla legge, non necessitano di puntuale motivazione, essendo sufficiente l'indicazione dei presupposti di fatto e di diritto richiesti dalla legge per la loro adozione.

 

4 - La commissione edilizia “fantasma” (non obbligatorietà del parere)

L'ultimo dei punti toccato dalla sentenza del T.A.R. Calabria riguarda la necessità o meno, sul piano procedurale, del parere delle commissioni edilizie che sarebbe imprescindibile secondo l’interpretazione data da parte ricorrente all’art.4 della l. 493/1993.

A giudizio del giudice amministrativo, laddove la legge non stabilisca in via generale le competenze della commissione edilizia, demandandone l’individuazione alla determinazione dei comuni in sede di emanazione dei regolamenti edilizi[18], la conclusione che si può trarre è che quelle norme che prevedono l'obbligatorietà della preventiva audizione del parere della commissione devono essere applicate “solamente nei casi in cui la commissione stessa debba essere udita ai sensi del regolamento edilizio comunale, regolamento che deve determinare i casi in cui il parere de quo deve o non deve essere richiesto (cfr. art.4, co.3, l. 493/93, come sostituito dal comma 60 art. 2, l.662/96)”.

Ne consegue che rientra nella discrezionalità dell’amministrazione comunale non soltanto il mantenimento della commissione edilizia in luogo della sua soppressione, ma anche – ove si voglia mantenere – la delimitazione delle sue competenze, ivi compresa la pronuncia di pareri e la loro obbligatorietà.

Un bilancio conclusivo sulla portata della disposizione contenuta nell’art.41, comma 1, non può che rilevare come la norma in questione presenta almeno tre profili di un certo interesse. Essa, infatti, rispetto ad altre iniziative analoghe, implica una radicale inversione di prospettiva, in quanto richiede agli organismi di direzione politica “di identificare non le commissioni o i comitati superflui, bensì quelli indispensabili. Inoltre, al pari della legge annuale di semplificazione delle procedure prevista dalla l. n. 59/1997, il nuovo meccanismo ha natura permanente. Infine, viene accentuata la responsabilità che incombe sugli organi di direzione politica, che dovrebbero rispondere di eventuali carenze e ritardi” [19].


(*) Il presente saggio sarà pubblicato nella rivista "Urbanistica ed appalti".

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[1] Cfr. C. D'Orta, V. Di Porto, L'attività di draftging nel procedimento legislativo: strutture, regole, strumenti, in Formazione delle leggi e tecnica normativa, Roma, 1995.

[2] In tema C. Di Marco, Sulle commissioni comunali soppresse ex art. 41, comma 1, della legge n. 449/1997, in Nuova Rassegna, n. 4/1999, III.

[3] Cfr. L. Vandelli, voce Comune-II organizzazione, in enc. giuridica Treccani, VII, 8 nonché P. Monea, M. Mordenti, Commissione edilizia: tra leggi e regolamenti il difficile percorso verso la soppressione, in Guida agli enti locali de "Il Sole-24 Ore", 4 settembre 1999 n.34, 104.

[4] P. Mantini, La commissione edilizia tra diritto e architettura, in Rivista giuridica dell’edilizia, n. 1/1997, 7.

[5] Il legislatore ha lasciato alla libera autodeterminazione del comune di individuare quali dovessero essere i membri, le funzioni, l’organizzazione e il ruolo di tale organo. Ciò naturalmente con le norme del regolamento edilizio, valide erga omnes e non già con le occasionali delibere dell’assessore di turno.

[6] Pubblicata in Guida agli enti locali de "Il Sole-24 Ore", 20 febbraio 1999 n.7, 90

[7] Si veda, in proposito, F. Romano, “L’attività consultiva”, in Percorsi monografici di diritto amministrativo, AA.VV. a cura di F. Caringella, Napoli, 1999, p. 530.

[8] G. D'Alessio, Il buon andamento dei pubblici uffici, Ancona, 1993, 138.

[9] S. Mollica, La riforma delle amministrazioni: politica, organizzazione, cambiamento, in Il nuovo governo locale, 1, 1997, 127.

[10] Ciò apre le porte ad ipotesi di reviviscenza di un organo collegiale, già escluso dal novero di quelli indispensabili e successivamente "riammesso" a seguito di una rinnovata valutazione.

[11] Cfr M. Giunta, Scatta la cancellazione automatica per un organismo non necessario, in Guida agli enti locali de “Il Sole 24 Ore”, 20 febbraio 1999 n.7, 94.

[12] Gli organi collegiali che svolgono attività amministrative sono stati individuati con D.M. 25 giugno 1998.

[13] C. Di Marco, cit., IV.

[14] P. Mantini, cit., 12

[15] P. Mantini, cit., 7

[16] Sulla soppressione della commissione elettorale comunale, invero, esiste un orientamento contrario espresso dal ministero dell’interno con proprie circolari interpretative, nelle quali si evidenzia il carattere speciale della legislazione in materia elettorale, ciò che sarebbe d’ostacolo all’applicazione della norma generale di cui all’art. 41 della legge 449/1997. La linea interpretativa del Ministero è fondata, altresì, sulla considerazione che la materia elettorale rientra fra quelle di competenza esclusiva dello Stato (anche ai sensi dell’articolo 1 della legge 59/1997, c.d. “Bassanini”), ove il Sindaco agisce nella propria qualità di rappresentante del Governo e, perciò, la decisione in merito al suo mantenimento o alla sua soppressione non spetta ai comuni ma all’amministrazione statale.

[17] E' ormai consolidata la giurisprudenza secondo la quale gli enti esponenziali di gruppi aventi interessi omogenei sono abilitati ad adire la sede giurisdizionale per la tutela di quegli interessi, mentre non sono legittimati ad impugnare atti amministrativi che riguardano esclusivamente situazioni soggettive proprie di singoli professionisti (cfr. C.d.S., sez. V, n.624/1996).

[18] Cfr. l'articolo 33 della legge 1150/1942 (c.d. legge urbanistica), già richiamato.

[19] G. della Cananea, Riordino dei conti pubblici e riforma dello stato sociale, commento alla l. n. 449/1997, in Giornale di diritto amministrativo, n. 2/1998, 124.


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