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n. 12/2003 - ©
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GIROLAMO SCIULLO
(Ordinario di diritto amministrativo nell’Università di Bologna)
La
procedura di affidamento dei servizi pubblici locali
tra disciplina interna e principi comunitari (*)
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. L’atto della Commissione di messa in mora dello Stato italiano (8 novembre 2000) in relazione alla disciplina dettata dall’art. 22 della l. 142/1990. - 3. La sentenza Teckal della Corte di giustizia comunitaria. - 4. La reiterazione dell’atto di messa in mora (26 giugno 2002) in relazione alla disciplina contenuta nell’art. 35 della l. 448/2001 e negli artt. 113 e 113-bis Tu. - 5. La disciplina risultante dall’art. 14 del d.l. 269/2003 e la compatibilità con l’ordinamento comunitario.
1. La relazione si snoderà nella risposta al seguente quesito: sono coerenti con l’ordinamento comunitario o quantomeno accrescono la coerenza della disciplina italiana con quella comunitaria nel settore dei servizi pubblici locali le modifiche introdotte dall’art. 14 del dl. 30 settembre 2003, n. 269 (c.d. decretone), all’art. 35 della l. 28 dicembre 2001, n. 448 (finanziaria del 2002), e agli artt. 113 e 113-bis del dlgs. 267/2000 (Tu sull’ordinamento degli enti locali)?
Lo Stato italiano con riferimento alla gestione dei servizi pubblici locali è stato oggetto di due atti di messa in mora nell’ambito della procedura di infrazione prevista dell’art. 226 del Trattato CE:
- il primo dell’8 novembre 2000 [n. SG (2000) D/ 108243] in relazione alla disciplina dettata dall’art. 22 della l. 142/1990;
- il secondo del 26 giugno 2002 [n. C (2002) 2329] in relazione alla disciplina contenuta nell’art. 35 della l. 448/2001 e negli artt. 113 e 113-bis Tu, come innovati da tale disposizione.
2. Nell’atto dell’8 novembre 2000 la Commissione ritenne che, con la disposizione dell’ art. 22 della l. 142/90, lo Stato italiano aveva violato gli obblighi discendenti sia dalle direttive 92/50/CEE [appalti servizi] (in particolare dall’art. 11) e 93/38/CEE [appalti settori esclusi] (in particolare dall’ art. 20), sia dagli artt. 49 ss. del trattato CEE e dai principi di non discriminazione e di trasparenza.
A cadere sotto i rilievi della Commissione furono le disposizioni di cui alla lett. e) [s.p.a. a prevalente capitale pubblico locale], ma anche alle lett. b), c) e d) [concessione, azienda speciale, istituzione].
Secondo la Commissione, tali disposizioni, laddove avessero dato luogo in favore di soggetti aventi qualità di <<terzo>> -secondo la sentenza Teckal (18 novembre 1999, causa C-107/98)- ad affidamenti diretti di appalti pubblici di servizi, si sarebbero poste in contrasto con le direttive 92/50 (pp. 3 e 4) e 93/38 (p. 4), mentre, se avessero dato luogo in favore degli stessi soggetti ad affidamenti diretti di concessione di servizi, avrebbero violato le norme in tema di libera prestazione di servizi (art. 49 ss. del trattato CE) e i principi di trasparenza e parità di trattamento.
Alcuni chiarimenti richiedono di essere formulati:
a. La Commissione muove dalla distinzione fra appalto pubblico di servizio e concessione di servizi, distinzione esplicitata nella <<Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario>> (2000/C 121/02), secondo la quale si ha appalto pubblico di servizi quando l’amministrazione affida un servizio dietro pagamento di un corrispettivo. Viceversa, ricorre la concessione di servizi quando, a fronte dell’affidamento di un servizio, il corrispettivo consiste anche o solo nella gestione dello stesso. Inoltre, nel secondo caso, l’alea della gestione ricade sul concessionario (v. p. 3 e 4 Comunicazione e p. 2 Atto di cost. in mora) [1].
b. Secondo la Commissione dall’art. 22 non è dato evincere la natura esatta dell’affidamento (a titolo di appalto oppure di concessione) (pp. 2 e 4).
c. Secondo la Commissione nel caso di concessione di servizi non trovano applicazione le direttive 92/50 CE e 93/38 CE. Nondimeno le concessioni di servizi ricadono nel campo di applicazione delle norme del Trattato in tema di libera circolazione delle merci (artt. 28 ss.), libertà di stabilimento (artt. 43 ss.) e soprattutto di libera prestazione di servizi (artt. 49 ss.), nonché dei principi sanciti dalla Corte (sentenza 18 novembre 1999, causa C-275/98, Unitron Scandinavia): in particolare di trasparenza (comportante l’obbligo di rendere pubblico l’intenzione di affidare ad un terzo la gestione di un servizio) e di parità di trattamento o di non discriminazione (comportante che la scelta sia assunta in base a criteri obiettivi e nel rispetto delle regole e dei requisiti inizialmente fissati) (pp. 6 e 7 Comunicazione e p. 7 Atto di cost. in mora).
d. Il rispetto delle norme e principi in tema di appalti pubblici di servizi e di concessione di servizi non è richiesto nel caso di affidamento del servizio ad un soggetto che non si configuri “terzo” rispetto all’ente locale ai sensi della pronuncia Teckal, ossia nei casi in cui ricorra l’ipotesi della delega interorganica ovvero dell’affidamento c.d. <<in house>> (pp. 3, 4, 5 Atto di cost. in mora) e p. 5 Comunicazione.
L’atto di costituzione in mora non ebbe seguito essendo stato l’art. 22 della l. 142/90 abrogato e sostituito (peraltro senza modificazioni) dall’art. 113 del dlgs 267/2000 (p. 2 Atto di reiterazione della messa in mora).
All’atto di costituzione in mora fa riscontro la circolare 19 ottobre 2001, n. 12727 <<Affidamento a società miste della gestione di servizi pubblici locali>>), nella quale si riprendono e si illustrano i contenuti dello stesso atto in forma neutra.
3. Consideriamo brevemente la sentenza Teckal pronunciata dalla Corte di giustizia delle comunità europee il 18 novembre 1999 (in causa C-107/98).
Questi i fatti: il Comune di Viano(Reggio Emilia) affida all’Azienda Gas-Acqua (AGAC), cui il Comune partecipa, la gestione del servizio di riscaldamento di taluni uffici comunali, senza dar luogo a procedura di gara. La Teckal, impresa privata operante nel settore di servizi di riscaldamento, ricorre al TAR per l’Emilia-Romagna adducendo che il Comune sarebbe dovuto ricorrere alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici previsti dalla normativa comunitaria.
Il TAR sospende il giudizio chiedendo alla Corte l’interpretazione di talune disposizioni delle direttive 92/50 e 93/36 CE. La Corte, assume il quesito prospettato come ponente in sostanza l’interrogativo se le disposizioni del diritto comunitario in materia di appalti pubblici siano applicabili qualora l’amministrazione aggiudicatrice (in questo caso un ente locale) affidi la prestazione di servizi (o la fornitura di prodotti) ad un consorzio a cui esso partecipi.
Ad avviso della Corte l’applicazione delle direttive comunitarie in tema di appalti pubblici richiede che il contratto a titolo oneroso sia stipulato fra un’amministrazione aggiudicatrice e una <<persona giuridicamente distinta (...) da essa sul piano formale e autonoma rispetto ad essa sul piano decisional>>. Circostanza questa che non si verifica nel caso in cui <<l’ente eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano>> (punti 50 e 51). La Corte conclude che il giudice nazionale <<deve verificare se [nel caso specifico] ci sia stato un incontro di volontà tra due persone distinte>> ( punto 49).
Giova sottolineare che l’orientamento inaugurato da tale pronuncia è stato ribadito dalla Corte nella recente pronuncia, Sez. IV, ord., 14 novembre 2002, causa C-310/01, Diddi e Comune di Udine [2].
4. Con l’atto di reiterazione di messa in mora[c(2002) 2329 del 26/06/2002] la Commissione anzitutto ribadì, con riferimento all’art.35 della l. 448/2001, gli orientamenti in precedenza espressi.
L’affidamento dei servizi pubblici locali può essere qualificato come appalto pubblico di servizi o come concessione di servizi (a seconda che la controprestazione per l’attività svolta consista in un corrispettivo pecuniario oppure nel diritto a svolgere detta attività (punti 8 e 13). Nel primo caso trova applicazione la disciplina delle direttive 92/50 e 93/38. Nel secondo [3] valgono le norme del Trattato (in particolare gli artt. 43 e 49, in tema di diritto di stabilimento) e i principi formulati dalla Corte (soprattutto quello di pubblicità e di messa in concorrenza), salvo che ricorrano le ipotesi previste dagli artt. 45 e 46 del Trattato (esercizio di pubblici poteri, motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica), dagli artt 6 e 11, par. 3, della direttiva 92/50 e dagli artt. 11 e 20, par. 2, della direttiva 93/38. A supporto viene citata la pronuncia della Corte 7 novembre 2000, causa C-324/98, Telaustria)(punti 12-16).
L’affidamento diretto può essere giustificato altresì nel caso previsto dalla giurisprudenza Teckal (punti 29-33).
Ad avviso della Commissione l’art. 35 della l. 448/2001 <<continua a consentire numerose ipotesi di affidamento diretto dei servizi pubblici locali senza il rispetto>> della richiamata disciplina comunitaria.
In particolare la Commissione segnalò come non conformi a tale disciplina:
- l’affidamento diretto della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, quando separata dall’erogazione dei servizi, a società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali (art. 113.4, lett. a), Tu 267/00 ex art. 35.1 l. 448/01) (punto 19);
- la durata(massima) del periodo transitorio, durante il quale sono fatti salvi gli affidamenti diretti effettuati in passato (art. 35.2 l. 448/01) (punti 21-23);
- l’affidamento diretto del servizio idrico integrato a società di capitali partecipate unicamente da enti locali (art. 35.5 l. 448/01) (punti 24-26);
- gli affidamenti diretti previsti come regola generale in tema di gestione di servizi pubblici <<privi di rilevanza industriale>> (art. 113-bis Tu) (punti 27-28).
Ad un’osservazione delle autorità italiane, con la quale si era fatto riferimento alla giurisprudenza Teckal al fine di giustificare le ipotesi di affidamento diretto in favore di società a capitale interamente o parzialmente detenuto da enti locali (punto 20), la Commissione oppose che <<non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societari>>, richiedendosi, affinché non sussista il rapporto di terzietà rilevante ai fini della applicazione delle regole comunitarie, un <<assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato>> da parte dell’amministrazione controllante (punti 32-33).
Al nuovo atto di messa in mora il Governo italiano rispose osservando:
-in via preliminare, la carenza in capo alla Commissione dell’interesse a dolersi della disposizione dell’art. 35 l. 448/2001. Secondo il Governo italiano, infatti, l’art. 35 non sarebbe stato di immediata applicazione, in assenza del regolamento di attuazione da esso previsto al comma 16: ’L’omessa emanazione del regolamento (...) [avrebbe privato] di alcuna pratica e concreta efficacia l’intero disposto dell’art. 35>>. Né sarebbe stato <<ammissibile instaurare una sorta di processo alle intenzioni>> (pp. 9 e 10).
Nel merito, per un verso, si assunse l’impegno a inserire nell'emanando regolamento tutte le prescrizioni idonee ad assicurare il rispetto di canoni indicati dalla giurisprudenza comunitaria in tema di affidamento <<in house>>(p. 10).
Per altro verso, relativamente alle proroghe degli affidamenti pregressi, si sostenne che l’obiettivo del regime transitorio era quello di creare le condizioni perché si realizzasse <<una concorrenza effettiva tra un numero elevato di soggetti di dimensioni adeguate>>, ossia in sostanza <<l’incremento dell’efficienza sistemica>> (p. 10).
Infine, riguardo ai servizi privi di rilevanza industriale, si fece presente che vi <<[sarebbero rientrati] pure taluni marginali servizi sociali destinati alle deboli>> (p. 11).
Nonostante la loro vaghezza e opinabilità le controdeduzioni del Governo italiano dovettero risultare in qualche modo persuasive, giacché non consta che la procedura di infrazione abbia avuto un seguito.
Ciò però non garantisce di per sé per il futuro perché la nuova disciplina risultante dal d.l. 269/2003 prescinde dall’emanazione di un regolamento di esecuzione, avendo l’art. 14.3 del decreto abrogato il comma 16 dell’art. 35, che la prevedeva. Ossia è venuta meno la principale <<linea difensiva>> utilizzata dal Governo italiano.
5. Valutiamo dunque il tema della compatibilità della nuova disciplina con l’ordinamento comunitario. Come è noto il d.l. 269/2003, di recente convertito in legge con talune modifiche (L. 24 novembre 2003, n.326) che hanno riguardato anche l’art. 14, relativo ai servizi pubblici locali, innova sia gli att. 113 e 113-bis del Tu, sia l’art. 35 della l. 448/2001 nella parte in cui non novellava il Tu.
Se si considerano i rilievi avanzati dalla Commissione nell’atto di reiterazione della messa in mora del 2002 si può constatare che:
- è rimasta la previsione dell’affidamento diretto dell’attività di gestione delle reti ecc., quando separata dall’erogazione dei servizi, a società di capitali, ma ora con partecipazione totalitaria di capitale pubblico e soprattutto sottoposta, da parte degli enti pubblici titolari del capitale, ad <<un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi>> e realizzante <<la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano>>. Si tratta di condizioni mutuate alla lettera dalla sentenza Teckal (punto 50) (nuovo art. 113.4, lett. a), ex art. 14.1, lett. c), d.l. 269);
- analoga previsione è utilizzata come causa di esclusione della cessazione delle concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica - cessazione prevista in linea generale alla data del 31 dicembre 2006 (art.113.15-bis ex art. 14.1 lettera b) dl. 269)- nonché impiegata come requisito per l’affidamento a società di capitali della gestione di servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (nuovo art. 113-bis, lett. c), ex art. 14.2, lett. c));
- il periodo transitorio di cui all’art. 113.15-bis risulta ridotto rispetto a quello previsto dall’art. 35.2-4 della l. 448/2001 o soggetto a previo accordo con la Commissione europea (art. 113.15-ter);
- è stata abrogata la specifica previsione contenuta nell’art. 35.5 relativa al servizio idrico integrato (art. 14.3 del 269);
- per la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, a parte quanto già osservato per le società di capitali, l’affidamento diretto permane a favore di istituzioni e aziende speciali e associazioni e fondazioni costituite o partecipate da enti locali, ma si tratta di entità per le quali è da pensare che valga di nuovo la <<formula Teckal>>.
Ove si consideri, poi, che la stessa formula concretizza il modello non competitivo introdotto per la gestione dei servizi di rilevanza economica dal nuovo art. 113.5, lett. c) -in alternativa a quelli competitivi previsti dalle lett. a) e b) della stessa disposizione-, che vengono fatte salve le disposizioni “di attuazione di specifiche normative comunitarie e che restano non toccati i settori disciplinati dai d.lgs 79/1999 e 164/2000 (in tema di energia elettrica e gas naturale), la conclusione pare obbligata, ancorché abbia il sapore del paradosso: la nuova disciplina, rispetto alla precedente, stabilita dall’art. 35 della l. 448/2001, offre sicuramente il fianco a minori rilievi sotto il profilo della compatibilità con la normativa comunitaria. Ancorché essa risulti per più aspetti <<di chiusura al mercato>> si espone di meno a contestazioni di incoerenza con il quadro dell’Unione europea.
Il fatto è che tale disciplina fa emergere un dato spesso trascurato nel dibattito sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali in Italia ossia che l’ordinamento comunitario risulta assai più flessibile di quanto comunemente creduto, consentendo esso, per questi servizi, sia il modello dell’<<esternalizzazione>> sia quello dell'"in house providing", ossia del <<mantenimento all’interno>> della sfera pubblica della gestione, peraltro richiedendo che, se viene assunto il primo modello, se ne sposi fino in fondo la logica, ossia quella della pubblicità, del confronto concorrenziale, in breve <<del mercato>>.
Con tutto ciò non s’intende esprimere un’opzione in ordine alla scelta auspicabile, ma solo sottolineare che, nella sua flessibilità, l’ordinamento comunitario affida molte scelte, per intero, alla responsabilità del legislatore nazionale. Come dire, il re -in questo caso il legislatore nazionale- è di nuovo <<nudo>> (o senza schermo).
(*) Relazione tenuta nel Seminario di studio "Autonomia locale e autonomia imprenditoriale nei servizi pubblici locali" (Ravenna, 27-28 novembre 2003).
[1] Per un assai più convincente criterio cfr. di recente Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 2003, n. 1289.
[2] Su tale sentenza v. il lucido commento di S. Colombari, in Urbanistica e appalti, 2003, n. 10, 1144 ss.
[3] Come pure per gli appalti sotto soglia (punto 11).